•/C: m^: ^1.1 ^'•'^'; i.^ y ?-t.L4 f Ma iè^ BKIGH, VERSITY Digitized by the Internet Archive in 2010 with funding from Brigham Young University Iittp://www.arcliive.org/details/leoperedigiorgio03vasa M?5- \iv> LE VITE DE' PIO ECCELLENTI PITTORI SCULTORI ED ARCHITETTORI SCRITTE DA. GIOEGIO VASAEI PITTORE ARETINO CON NUOVE ANNOTAZIONI E COMMENTI DI GAETANO MILANESI Tomo III IN FIRENZE G. C. SANSONI, EDITORE MDCCCLXXVIII T'.p. e Lit. Carnesecchl. — Firenze, Piazza d'Arno. THE LIBRARY BRIGHAM \ i IVO r/Mn/i?r>or^.. GENTILE DA FABRIANO E VITTORE PISANELLO VERONESE ( Nato nel 1370 ? ; morto nel USO ? ) ( Nato nel 13S0 ? ; morto nel 1456 ) Grandissimo vantaggio ha chi resta in uno avviamento, dopo la morte d' uno che si abbia con qualche rara virtù onore procacciato e fama: perciocché, senza molta fatica, solo che seguiti in qualche parte le vestigio del maestro, perviene quasi sempre ad onorato fine; dove se per sé solo avesse a pervenire, bisognerebbe più lungo tempo e fatiche maggiori assai. Il che, oltre molti altri, si po- tette vedere e toccare, come si dice, con mano, in Pi- sano ovvero Pisanello, pittore veronese: il quale essendo stato molti anni in Fiorenza con Andrea dal Castagno, ed avendo l'opere di lui finito; dopo che fu morto, si acquistò tanto credito col nome d'Andrea, che, venendo in Fiorenza papa Martino V, ne lo menò seco a Roma:' ' * Martino V venne a stare a Firenze nel 1419. Mori nel 1431, quando Andrea dal Castagno era ancor giovane. Ecco un altro riscontro della nessuna fedeltà storica del Vasari. Oltre a questo (vedi contradizione grande!), il Vasari qui fa morto il Dal Castagno non solo prima della venuta di Martino V a Fi- renze, ma ancora prima del Pisanello; il quale, stando al Vasari, verrebbe ad ^essere morto dopo il 1479. t Nel Commentario alla Vita di Andrea dal Castagno (tom. II, p. 684) _ noi abbiamo dimostrato che quest'artefice mori nell'agosto del 1457. 6 GENTILE DA FABRIANO dove, in San Giovanni Laterano, gli fece fare in fresca alcune storie, che sono vaghissime e belle al possibile: perch' egli in quelle abbondantissimamente mise una sorte d'azzurro oltramarino datogli dal detto papa, si bello e sì colorito, che non ha avuto ancora paragone. Ed a concorrenza di costui dipinse Gentile da Fabriano alcune altre storie, sotto alle sopraddette: di che fa men- zione il Platina nella Vita di quel Pontefice; il quale narra che, avendo fatto rifare il pavimento di San Gio- vanni Laterano ed il palco ed il tetto. Gentile dipinse molte cose; ed in fra l'altre figure di terretta, tra le finestre, in chiaro e scuro, alcuni Profeti, che sono te- nuti le migliori pitture di tutta quell' opera.' Fece il me- desimo Gentile infiniti lavori nella Marca, e particolar- mente in Agobbio, dove ancora se ne veggiono alcuni; e similmente per tutto lo stato d'Urbino.' Lavorò in San Giovanni di Siena:' ed in Fiorenza, nella sagrestia di Santa Trinità, fece in una tavola la storia de' Magi; nella quale ritrasse se stesso di naturale." Ed in San Nic- colò alla porta a San Miniato, per la famiglia de'Quaratesi '■* Anche il Facio (De vh^is illustribus) attesta che il Pisanello fini le storie di San Giovan Batista lasciate imperfette da Gentile; aggiunge però, che poi quel lavoro, secondo che il Pisanello stesso gli disse, dalla umidità della parete fu quasi cancellato. Al presente non ne rimane vestigio. t Gentile lavorò le pitture in San Giovanni Laterano dal 2S di gennajo- a tutto il luglio del 1427, col salario di 25 fiorini al mese. Del Pisano si ha memoria che vi dipingesse nel 143L Quindi non può dirsi che tra questi due pittori sia stata concorrenza in quell'opera, come vorrebbe il Vasari. (V. Euge- nio Muntz, Les anciennes hasiliques et églises de Rome au XV"'^ siécle, nella Revue Archéologique ). Il Facio, nel suo libro De viris illustribus, dice che Gentile vi dipinse papa Martino V circondato da dieci cardinali. - *De' lavori suoi nella Marca, vedi il Commentario a pag. 19. ' *Su questo asserto del Vasari, vedi il Commentario a pag. 18. ' *Questa tavola, ricca di molte figure piccole e grandi, e di prezioso la- voro, ora si vede ben conservata nella Galleria delle Belle Arti. Essa è auten- ticata dal nome e segnata dell'anno, in una scritta a lettere d'oro in basse che dice: opvs • gentilis • de • Fabriano . mcccc • xx • m • mensis • mah. Nel gradino dipinse tre storie* la Nascita del Salvatore e la Fuga in Egitto, che tuttavia sono unite al quadro: la Presentazione al tempio, che fu trasportata a Parigi nel 1812 e si custodisce nel Museo del Louvre. Il ritratto del pittore. E VITTORE PISANELLO 7 fece la tavola dell'aitar maggiore; che, di quante cose ho veduto di mano di costui, a me senza dubbio pare la migliore: perchè, oltre alla Nostra Donna e molti Santi che le sono intorno, tutti ben fatti; la predella di detta tavola, piena di storie della Vita di San Niccolò, di figure piccole, non può essere più bella ne meglio fatta di quello che eli' è/ Dipinse in Koma, in Santa Ma- ria Nuova, sopra la sepoltura del cardinal Adimari, fio- rentino ed arcivescovo di Pisa; la quale è allato a quella di papa Gregorio IX; in un archetto la Nostra Donna col Figliuolo in collo , in mezzo a San Benedetto e San Giu- seppo : la qual opera era tenuta in pregio dal divino Mi- chelagnolo; il quale, parlando di Gentile, usava dire, che nel dipignere aveva avuto la mano simile al nome.'" In Perugia fece il medesimo una tavola in San Domenico, molto bella; ^ ed in Sant'Agostino di Bari, un Crucifisso citato dal Vasari, e identico a quello da lui dato, è in quella figura di faccia, con un berretto di color vinato in capo, dietro al re eh' è ritto in piedi. Un buono intaglio di questa tavola, senza la predella, e l' Annunziazione ch'è nelle punte, è tra quelle della più volte citata Galleria delle Belle Arti. t Fu dipinta per commissione di Palla Strozzi nel 1423, e pagata 150 lire. ' Adesso è nel coro, ed è composta delle sole figure dei santi laterali, ri- congiunti insieme, dopo essere stata tolta via la parte di mezzo (ov'era la Ma- donna), della quale non sappiamo il destino, (t Le figure rappresentano santa Maria Maddalena, san Niccolò, san Giorgio e il Battista). La predella manca intieramente: ma una porzione di essa venne iu possesso del cavi Tommaso Puc- cini, e si conserva tuttavia in Pistoja presso il cav. Niccolò, nipote ed erede di lui. In essa son rappresentati varj devoti che visitano la cassa di san Niccolò. — *Questa tavola prima che fosse mutilata, aveva la seguente iscrizione: opvs GENTiLis DE FABRIANO Mccccxxv. MENSE MAI. Se ne ha un fedele intaglio nella tavola xxxviii della Storia del prof. Rosini. t Forse le due tavolette della predella, che possedeva il cav. Niccolò Puc- cini, sono ora nell'Orfanotrofio di Pistoja: ma i signori Crowe e Cavalcàselle ( tom. Ili, p. 102, nota 5) dicono che esse appartengono ad altro tempo e ad altra scuola. - Questa pittura è perita. ' *I1 Mariotti non era lontano dal credere ch'essa fosse quella bella tavola da altri attribuita a Benedetto Bonfigli, che si vede nella cappella del Gonfa- lone nella chiesa di San Domenico. Essa rappresenta l'Adorazione dei l'e Magi ; le diademe di rilievo dorato che hanno in capo i re, e i vasi che tengono in mano, ove ogni altro riscontro mancasse, la fanno tener per certo opera di Gentile, che si piaceva di usare lo stucco dorato in siffatti accessorj : come si 8 GENTILE DA FABRIANO clintornato nel legno con tre mezze figure bellissime, che sono sopra la porta del coro. ' Ma tornando a Vittore Pisano, le cose che di lui si sono di sopra raccontate furono scritte da noi senza più, quando la prima volta fu stampato questo nostro libro ; perchè io non aveva ancora dell'opere di questo eccel- lente artefice quella cognizione e quel ragguaglio che ho avuto poi.^ Per avvisi dunque del molto reverendo e dot- tissimo Padre Fra Marco de' Medici, veronese, dell'ordine de' Frati predicatori; siccome ancora racconta il Biondo da Furlì, dove nella sua Italia illustrata parla di Verona; fu costui in eccellenza pari a tutti i pittori dell' età sua ; come, oltre l'opere raccontate di sopra, possono di ciò fare amplissima fede molte altre che in Verona, sua no- bilissima patria, si veggiono; sebbene in parte quasi con- sumate dal' tempo. E perchè si dilettò particolarmente di fare animali; nella chiesa di Santa Nastasia di Verona, nella cappella della famiglia de' Pellegrini, dipinse un Sant' Eustachio che fa carezze a' un cane pezzato di tanè e bianco; il quale, co' piedi alzati ed appoggiati alla gamba di detto Santo, si rivolta col capo in dietro, quasi vede anche nell'altra Epifania, nella Galleria delle Belle Arti di Firenze. L'in- taglio che il prof. Resini ha dato della tavola di Perugia, al n" xxxix, tuttoché sia debole, pur "basta per sempre più farci convinti essere quella opera di Gentile, t La tavola de' Magi è ora nella Pinacoteca Perugina, e che sia del Bon- figli è opinione de' signori Crowe'e Cavalcasene ( t. Ili, p. 105, nota 2) e del Guardabassi {Indice- Guida, p. 216); il quale la dice opera posteriore cfl poco al 1466. Nella stessa Pinacoteca si conserva una tavola assai guasta, che stette in San Domenico, ed è attribuita a Gentile da Fabriano, la quale rappresenta Maria Vergine col Bambino Gesù sulle ginocchia festeggiato da due angioletti che sotto il seggio tengono spiegato un papiro col Regina coeli musicato. ' t Questo Crocifisso è descritto dallo Schulz nel voi. Ili, p. 174, de Monii- ìnenti dell'Italia meridionale. - Da quest' ingenua confessione si rileva che la brevità o il silenzio del Biografo aretino, rispetto ad alcuni artefici non toscani, deriva da mancanza di notizie, e non da gelosia; come alcuni gelosissimi scrittori hanno ingiusta- mente asserito. Il Bottari, il Lanzi ed alti'i imparziali l'hanno difeso da questa accusa; mostrando che qualche volta ei tacque, o poco disse, eziandio di To- scani, e spesso esauri tutte le espressioni della lode a favore d'estranei. Potrà dunque esser tacciato di poco o di male informato; ma non già di maligno. E VITTORE PISANELLO 9 che abbia sentito rumore ; e fa questo atto con tanta vi- vezza, che non lo farebbe meglio il naturale. Sotto la qual figura si vede dipinto il nome d'esso Pisano; il quale usò di chiamarsi quando Pisano e quando Pisanello, come si vede e nelle pitture e nelle medaglie di sua mano.' Dopo la detta figura di Sant'Eustachio, la quale è delle migliori che questo artefice lavorasse e vera- mente bellissima, dipinse tutta la facciata di fuori di detta cappella. Dall'altra parte, un San Giorgio armato d' armi bianche , fatte d' argento ; come in queir età non pur egli, ma tutti gli altri pittori costumavano: il qual San Giorgio, dopo aver morto il dragone, volendo rimet- tere la spada nel fodero ^ alza la mano diritta che tien la spada già con la punta nel fodero ; ed abbassando la sinistra, acciocché la maggior distanza gli faccia agevo- lezza a infoderare la spada che è lunga; fa ciò con tanta grazia e con sì bella maniera, che non si può veder meglio. E Michele Sanmichele,' veronese architetto della illustrissima Signoria di Vinezia, e persona intendentis- sima di queste belle arti, fu più volte vivendo veduto contemplare queste opere di Vittore con maraviglia, e poi dire, che poco meglio si poteva vedere del Sant'Eu- stachio, del cane, e del San Giorgio sopraddetto. Sopra r arco poi di detta cappella è dipinto quando San Giorgio, ucciso il dragone, libera la figliuola di quel re; la quale si vede vicina al Santo, con una veste lunga, secondo r uso di que' tempi : nella qual parte è maravigliosa an- cora la figura del medesimo San Giorgio; il quale, armato come di sopra, mentre è per rimontar a cavallo, sta volto con la persona e con la faccia verso il popolo, e messo un pie nella staffa e la man manca alla sella, si vede ' * [^on conosciamo nessuna opera di lui, si di getto come di pennello, dove siavi scritto Pisanello, ma costantemente Pisano. - Del Sanmicheli ha pure scritto il Vasari la Vita, che leggesi alquanto più sotto. 10 GENTILE DA FABRIANO quasi in modo di salire sopra il cavallo che ha volto la groppa verso il popolo, e si vede tutto, essendo in iscor- cio, in piccolo spazio benissimo. E per dirlo in una pa- rola, non si può senza infinita maraviglia, anzi stupore, contemplare quest'opera fatta con disegno, con grazia e con giudizio straordinario. Dipinse il medesimo Pisano in San Fermo Maggiore di Verona, chiesa de' Frati di San Francesco conventuali, nella cappella de'Brenzoni, a man manca quando s' entra per la porta principale di detta chiesa, sopra la sepoltura della Resurrezione del Signore fatta di scultura, e secondo que' tempi molto bella;* dipinse, dico, per ornamento di quell'opera, la Vergine annunziata dall'Angelo: le quali due figure, che sono tocche d'oro, secondo l'uso di que' tempi, sono bel- lissime; siccome sono ancora certi casamenti molto ben tirati, ed alcuni piccoli animali ed uccelli sparsi per l'ope- ra, tanto proprj e vivi, quanto è possibile immaginarsi.^ Il medesimo Vittore fece, in medaglioni di getto, in- finiti ritratti di principi de' suoi tempi, e d'altri; dai quali poi sono stati fatti molti quadri di ritratti in pit- tura. E Monsignor Giovio, in una lettera volgare che egli scrive al signor Duca Cosimo, la quale si legge ' L'autore di questa sepoltura de'Brenzonì è un Giovanni Rosso fiorentino; come apparisce dal seguente distico latino ivi scolpito, di recente scoperto: Qiiem genuit Russi Florentia Thusca JohanniSj Istud sculpsit opus ingeniosa nianus. — *Non era a noi ignoto questo Giovanni di Bartolo detto Rosso, scultore fio- rentino; allora che annotando la Vita di Donatello, oltre il monumento de' Bren- zoni, citammo di lui due altre opere di scultura, che al pari di questa sono autenticate dal suo nome. (Vedi tom. II, pag. 404, nota 2). ^ *Del Sant'Eustachio, lodato sopra, non rimane vestigio. L'Annunziata, dipinta circa il 1420, dove il pittore scrisse Pisanus pinsit, sin dai tempi di Scipione Maffei aveva cominciato a deperire. Nel 1820 però questi due aff're- schi non erano del tutto perduti. L'unica tavola poi, oggi conosciuta, che di lui ci rimanga, è quella della Galleria Constabili di Ferrara, con san Giorgio e sant'Antonio abate; dove è scritto: pisanvs pi. t Questa tavola fino dal 1867 fa parte della Galleria Nazionale di Londra. Veramente del Pisanello si conoscono altre due tavole, l'una nella Galleria di E VITTORE PISANELLO li stampata con molte altre, dice, parlando di Vittore Pi- sano, queste parole:* Costui fu ancora prestantissimo nel- l'opera de' bassi rilievi, stimati difficilissimi dagli artefici, perchè sono il mezzo tra il piano delle pitture e 'l tondo delle staine. E perciò si veggiono di sua mano molte lodate meda- glie di gran principi, fatte in forma maiuscola, della mi- sura propria di quel riverso, che il Guidi mi ha mandato, ^ del cavedio armato: fra le quali, io ho quella del gran Re Alfonso in zazzera, con un riverso d'una celata capitanale ; quella di Papa MaHino, con V arme di casa Colonna per riverso; quella di Sidtan Maomette che prese Costantinopoli, con lui ìuedesimo a cavallo, in abito turchesco, con una sferza in mano; Sigismondo Malatesta, con un inverso di Madonna Isotta d' Arimino; e Niccolò Piccinino, con un berrettone bis- lungo in testa, col detto riverso del Guidi, il quale rimando, Oltra questo, ho ancora una bellissima medaglia di Giovanni Paleologo, imperatore di Costantinopoli; con quel bizzarro cappello alla grecanica, che solevano portare gV imperatori : e fu fatta da esso Pisano in Fiorenza, al tempo del Con- cilio d' Eugenio, ove si trovò il prefato Imperatore; che ha per riverso la croce di Cristo sostenuta da due mani, ver- bigrazia dalla latina e dalla greca.^ In sin qui il Giovio, Verona, che già fu nella chiesa di San Domenico, nella quale è figurata Maria Vergine col Divin Figliuolo circondata da serafini , e nel fondo il martirio di santa Caterina; l'altra che pochi anni fa era nella Raccolta del dott. Cesare Bernasconi di Verona, rappresentante anch'essa la Vergine col Figliuolo, e che forse è quella stessa che un tempo era nella Galleria Sanbonifazio. Il Dal Pozzo ricorda una sua tavola colla Madonna e il Putto tra san Giovanni Batista e santa Ca- terina. In un cartellino si leggeva: Opera di Vettor Pisanello de San Vi Vero- nese MCCCCVI. Ma è chiaro che questa iscrizione non può esser di quel tempo. ' 'Questa lettera che ha la data de' 12 novembre 1551, si trova per intero nelle Pittoriche pubblicate da monsignor Bottari. ^ *I1 Maffei ( Verona illustrata) ed altri danno inciso questo medaglione di Giovanni Paleologo. Il Giovio però sbaglia nel descriverne il rovescio; per- ciocché in esso non è che l'imperatore a cavallo in atto di adorare una croce piantata sur un masso. Di questo medaglione la Galleria di Firenze possiede un esemplare in oro del peso di libbre due e once cinque, che oggi si tiene per l'unico; perciocché l'altro che era nel Museo Nazionale di Parigi, dicesì essere stato trafugato. 12 GENTILE DA FABRIANO con quello che seguita. Ritrasse anco in medaglia Filippo de' Medici, arcivescovo di Pisa;' Braccio da Montone; Criovan Galeazzo Visconti; Carlo Malatesta, signor d'Ari- mino; Giovanni Caracciolo, gran siniscalco di Napoli; Borso ed Ercole da Este; e molti altri signori e uomini segnalati per arme e per lettere.^ Costui meritò , per la fama e riputazione sua in quest'arte, essere celebrato da grandissimi uomini, e rari scrittori ; perchè, oltre quello che ne scrisse il Biondo, come si è detto, fu molto lo- dato in un poema latino da Guerino vecchio, suo com- patriota, e grandissimo litterato e scrittore di quei tempi: del qual poema, che dal cognome di costui fu in- ' 'Questa medaglia porta nel diritto il ritratto dell'arcivescovo de'Medici, e la scritta philippus de medicis archiepiscopus. — virtute supra. Nel rove- scio è il Giudizio finale e le parole di Giob : et in carne mea videbo deum sal- VATOREM MEUM. Ma il nome del Pisanello non v'è. Noi dubitiamo che alcune me- daglie di uomini illustri attribuite dal Vasari al Pisanello veramente non sieno sue. Cosi, per modo d'esempio, di Borso marchese di Ferrai'a, successo a Lionello nel 1450, e di Ercole fatto signore di quella città nel 1471, si cono- scono medaglie, ma senza il nome di quell'artefice. Anzi rispetto alle medaglie di Borso, delle tre riferite dal Litta, una del 1460 è di Petrellino da Firenze, l'altra dello stesso anno, di Giacomo Lixignolo, e la terza di Amedeo milanese. Parimente non possono esser sue quelle di Gian Galeazzo Visconti, morto nel 1402, e di Filippo de'Medici, arcivescovo di Pisa; perchè nella medaglia di quest' ultimo, incisa neWItalia Sacra dell' Ughelli, nel Museo Mas zucclielliano e meglio nel Litta, Filippo è chiamato arcivescovo di Pisa; la qual dignità ebbe egli nel 1461: e cosi dieci anni in circa, dopo il tempo da noi assegnato alla morte del Pisanello. Invece congetturiamo essere di lui la medaglia di Cosimo de'Medici, il Vecchio, riportata dal Litta; nell' esergo della quale e precisa- mente sotto il busto di Cosimo, sono incise a rovescio le lettere a: a: o: le quali, raddrizzate in questo modo o. p. p., facilmente si possono interpretare OPUS • pisani • piCTORis. Ma se alcuno vi leggesse opus petri pictoris (che forse è quel Pietro di Niccolò, che fece la medaglia di Lirenzo il Magnifico), non ci opporremmo. i Oggi però, meglio esaminata la leggenda della medaglia, questa spie- gazione e congettura non regge più. Le lettere o p p sono rovescie perchè se- guitano e compiscono nel contorno della medaglia la iscrizione. La o non è che l'ultima lettera della parola pvblico, e le due p p che seguono facilmente si spiegano: v(ater) v{atriae). Il qual titolo fu dato a Cosimo per decreto pubblico poco avanti la sua morte, accaduta nel 1464, cioè quando già il Pisanello, al- meno da sette anni, non era più tra i vivi. (Vedi Cesare Bernasconi, 7/ Pi- sano ecc.; Verona, Ci velli, 1862, in-8, a pag. 36). ^ 'Delle medaglie fatte dal Pisanello, vedi il seguente Commentario. E VITTORE PIS ANELLO 13 titolato il Fisano del Guerino , fa onorata menzione esso Biondo. Fu anco celebrato dallo Strozzi vecchio, cioè da Tito Vespasiano, padre dell'altro Strozzi;' ambiduoi poeti rarissimi nella lingua latina: il padre, dunque, onorò con un bellissimo epigramma, il quale è in stampa con gli altri, la memoria di Vittore Pisano.^ E questi sono i frutti che dal viver virtuosamente si traggono.' Dicono alcuni che quando costui imparava l'arte, essendo giova- netto, in Fiorenza,* che dipinse nella vecchia chiesa del Tempio, che era dove è oggi la cittadella vecchia, le storie di quel pellegrino, a cui, andando a Sant'Iacopo di Galizia, mise la figliuola d'un oste una tazza d'ar- gento nella tasca, perchè fusse come ladro punito; ma fu da Sant'Iacopo aiutato e ricondotto a casa salvo: nella qual' opera mostrò Pisano dover riuscire , come fece, eccellente pittore. Finalmente, assai ben vecchio, passò a miglior vita. ^ E Gentile, avendo lavorato molte cose in Città di Castello, si condusse a tale, essendo fatto parletico, che non operava più cosa buona. In ultimo, consumato dalla vecchiezza, trovandosi d'ottanta anni, si morì.'' Il ritratto di Pisano non ho potuto aver di * *Cioè Ercole Strozzi. - * Vedasi in Strozii Poetae, pater et films , Eroticon, lib. II, pag. 197, ediz. d'Aldo, Ad Pisanum pictorem , l'epigramma che comincia « Statuariurnque antiquis comparandum ». ' Agli encomiatori del Pisauello qui mentovati si aggiunga Bartolommea Facio, autore dell'opuscolo De Viris illustribus, scritto nel 1466 e stampato in Firenze nel 1745; il Basinio, il Porcellio, e il Maffei. "* Secondo il Maffei {Verona illustrata), non poteva il Pisanello esser ve- nuto in Firenze da giovinetto. ^ Nella prima edizione termina il Vasari le poche notizie del Pisanello colle seguenti parole: « dipinse parimente nel Campo Santo di Pisa; nella quale, come in amatissima patria sua, dimorando poi lungamente, terminò finalmente assai ben maturo la vita sua ». Queste cose non ha egli confermate nella seconda edizione, perchè non vere. — *Intorno alla nascita e alla morte di costui, vedi le nostre congetture nel Commentario seguente. * « E gli fu fatta questa memoria: Hic pulchre novit varios miscere colores ; Pinxit et in variis urbibus' Italiae ». 14 GENTILE DA FABRIANO E VITTORE PIS ANELLO luogo nessuno/ Disegnarono ambiduoi questi pittori molto bene, come si può vedere nel nostro Libro. ' *Del ritratto del Pisanello si discorre nel Commentario sopraccitato. Di Gentile da Fabriano, l'Anonimo del Morelli cita in casa Bembo un ritratto di mano di Jacopo Bellini, che ora è perduto. 15 COMMENTARIO ALLX VITA DI Gentil da Fabriano e di Vittore Pisanello DI GENTILE DA FABRIANO Nel coipentare queste Vite degli artefici abbiamo tenuto due modi assai divei/: uno biografico, ed uno critico. Quando si sono trovate Vite molto tur/ te nell'ordine dei tempi, povere di fatti, digiune di notizie, e piuttosipccennate che scritte ; allora abbiamo creduto debito nostro rias- sumere e/ordinare tutta quanta la narrazione, perchè le note non sover- chiassero'! testo, e se ne ingenerasse una non piccola confusione; come, in esenio, abbiam fatto nella Vita di Giuliano da Majano. Quando poi ci sianjavvenuti in quistioni gravi e difficili, le quali non pativano le ancust/di una nota, quantunque lunghissima; allora, invocando l'ajuto della /tica, ci siamo fatti a instituirne un esame accurato e coscenzioso, con t# quella ampiezza che richiedeva l' argomento : come sarebbe quello sulla^ttu^'^' a olio, alla Vita di Antonello da Messina. Orala Vita del celeV pittore Gentile da Fabriano vuole essere non pure corretta, ma scrif nuovamente; tanto poco ne disse il Vasari, e tanto ancora ne re- stala dire. untile , nato circa la terz' ultima decade del secolo xiv in Fabriano , ci| della Marca di Ancona, ebbe a padre un Niccolò; come apparisce njLibro Nero segnato di num. 10 delle Matricole del contado all'Arte (Oiledici e Speziali di Firenze, dove si legge sotto l'anno 1422 ai 21 Novembre essersi matricolato magister Gentilis Nicolai Johannis Massi jFabriano, pictor, hahitator Florentie in populo Sancte Trinitatis. Gli (Ittori fabrianesi lo credettero figliuolo di un Orazio; ma non citano >cumenti. Il cav. Amico Ricci, che di questo artefice pubblicò un elo- 1 6 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO gio, inserito poi nelle sue Memorie degli artisti della Marca di Ancona ' appella il nostro pittore, Francesco di Gentile; ^ non avvisando, che il se- gnacaso del genitivo frapposto a due nomi personali iidica la figliazione del primo dal secondo. Per il che noi non dubitiamo che quel Francesco fosse un figliuolo del nostro pittore, il quale esercitava la piofessione del paui-e come vedremo. Forse il cav. Ricci fu indotto in erra-e da quel ritratto da hii veduto in Fabriano presso il signor Vincenzo Liierati, da ambidue creduto il ritratto di Gentile ; nel quale dappiedi si Qgg& : Francisciis Gentilis de Fabriano jnnxit. ' In molti quadri Gentile aipose il suo nome • due documenti del tempo lo ricordano; e sempre è critto Gentile e non mai Francesco. Da chi ai^parasse l' arte della pittura s' ignora. Il Vsari lo dice di- scepolo del Beato Angelico ; " forse per certa somjglianz dì stile che è tra r uno e l' altro pittore. Il Ricci lo crede piuttosto allie\) di Alleo-retto Nuzi di Fabriano ; ^ ma non nega siasi potuto giovare deg esempi e dei consigli dell'Angelico. Il Nuzi potè dare a Gentile i pimi rudimenti della pittura, piuttostochè esser suo maestro; avendo egli vesso a quin- dici anni, quando Allegretto morì. Fra le prime opere eh levassero in fama il nome di Gentile da Fabriano, il Ricci crede dov-si noverare quella figura della Beata Vergine da lui dipinta a fresco )1 Duomo di Orvieto ; intoriK) la quale il Padre Guglielmo Della Valle rin^nne la se- guente notizia, sotto il giorno 9 dicembre 142-5 : Cum per e;egiu>n ma- gistrum magistrorum Gentilem de Fabriano pictorem facta fiiet imago et pietà maiestas B. M. V. tani subtiliter et decore pulchritudinis , ppg fontem ' Memorie storiche delle Arti e degli Artisti della Marca di ^cona del marchese Amico Ricci. Macerata, 1834, due volumi. ^ Ibid., voi. I, cap. VII, pag. 146. ' Memorie ecc., pag. 154, e nota 30. * Nella Vita di Frate Giovanni da Fiesole, tom. II, pag. 521. ' Cosi ne assicura un manoscritto anonimo conservato in FabrianDi Al- legretto Nuzi esiste ancora nel Duomo di Macerata un trittico, con mezzo la Madonna col Bambino in trono, circondata da angeli e santi, e aiti san- t'Antonio abate e san Giuliano, con questa iscrizione nel soppedaneo, di posa i piedi la Vergine : Islam tahulam fecit fieri frater Ioannes clericus p^ptor Tolentini anno Domini McccLXvnii; e nella cornice: Allegrettus de Fciano pinxit M€CCLXvnii. 11 prof. Rosini ne ha dato un intaglio nella tavola .vj. i[ D'Agincourt, nella tavola cxxvui della Pittura, dà inciso un trittico esente nell'ospizio di Camaldoli alla Lungara di Roma, conia scritta: Alegrittus lìng me pinssit A. mccolxv. Nel Museo di Berlino è del medesimo Nuzi una f^ra Donna in trono col Divino Fanciullo, con san Bartolommeo e santa Cateriai lati; dove è scritto: Alegrictus de Fabriano me pinxit (sic). Nel 1346 fu asi^Q all'Arte de' Pittori di Firenze, come si ritrae dal vecchio libro, dov'è sCq Allegretto Nucci. Il Nuzi, secondo il Lori, citato dal Ricci, mori nel 1385. E DI VITTORE PISANELLO 17 hajytìsmatis in xyariete, ecc., ecc. ' Avverte il Ricci, col citato Padre Della Valle, che questa commemorazione del dipinto di Gentile non de- termina l'anno, in cui venne eseguito; e potersi credere eziandio ante- riore di uno 0 due anni al 1425. Noi però siamo di contrario avviso. Il titolo di magister magistrorum dato a Gentile lo dice già celebre, e forse direttore di tutti i dipinti del Duomo. ^ L'Angelico ebbe la stessa appel- lazione in Orvieto nel 1447, quando era nel colmo della sua gloria. Ag- giungiamo, che Gentile è inscritto nella matricola dei pittori in Firenze l'anno 1422: che nel 1423 dipinse nella stessa città la tavola della Ado- razione dei Magi, per la chiesa di Santa Trinità: ' che nel maggio del 1425 aveva dipinto, per la chiesa di San Niccolò oltr'Arno, la bellissima ta- vola per la famiglia Quaratesi.' È quindi ben ragionevole il credere, che, per queste bellissime opere, delle quali forse non fece le migliori, avendo conseguito fama di valente pittore, fosse dagli Operaj del Duomo di Orvieto invitato a dipingere in quella cattedrale. A questa nostra congettura oste- rebbe il detto del Ricci, che pone le pitture di Gentile in Siena nel 1425. Ma ciucilo che egli operò in Siena si riduce alla sola pittura fatta ai seggi dell'uffizio de'notari, detto àe' Banchetti -j^ la quale, essendo comin- ciata negli ultimi mesi del 1424 e finita nel 1425, lasciava a Gentile tempo bastante per tornare a Firenze a fare la tavola di San Niccolò, e nel maggio di quell'anno portarsi a Orvieto.* Quanto poi alle pitture nella chiesa di San Giovanni di Siena; delle eguali il Ricci, seguendo il Vasari, ' Storia del Duomo di Orvieto, pag. 123. - tll pagamento a Gentile per la pittura del Duomo d'Orvieto è del 20 ot- tobre 1425, ed è riferito tra i documenti sotto quell'anno a pag. 407 del libro di Lodovico Luzi, intitolato II Duomo d'Orvieto descritto ed illustrato. Firenze, Successori Le Mounier, 1866, in-16. II Luzi non conviene che dandosi a Gentile il titolo di magister magistrorum, nel documento riportato dal Della Valle, si debba credere che egli fosse direttore di tutti i dipinti del Duomo suddetto, perchè se fosse veramente stato tale, non sarebbe mancata ne' libri di quella Fabbrica la memoria della sua condotta a quell'ufficio, come si vede non mancare mai per ogni altro artista anche di minor conto, e nella quale si sarebbe dato a Gentile il titolo di caporaaestro, e non quello di magister magistrorion che indica una dimostrazione di onore datagli dai soprastanti dell'Opera, e non altro. ' t Vedi, a pag. 8, l'aggiunta alla nota 3, dove abbiamo notato che questa Adorazione de' Magi è oggi con più ragione riconosciuta per opera del Ronfigli. ' Vedi a pag. 7, nota 1. ^ Essa rappresentava Maria Vergine con ai lati san Giovan Batista, san Pie- tro, san Paolo e san Cristofano, e sotto era un tondo, den trovi la Pietà. Oggi, in luogo di quella, è una moderna pittura. * t Nei Ricordi mss. di Mino di Bonaventura de' Marzi senese sì ha memoria della dimora in Siena di Gentile dal 22 di giugno al 28 d'agosto del 1425, nel ^qual tempo stette nella casa di Lionardo di Betto, allogatagli per il prezzo di dodici lire dal detto Mino. I detti Ricordi, che vanno dal 1395 al 1427, si conser- Vasiri, Opere. — Voi. III. 2 1 8 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO fa menzione; questo, al parer nostro, è falso; perchè noi, che abbiamo con molta diligenza ricercato nei libri dell' Archivio del Duomo gli autori delle pitture che in gran parte rimangono sulle volte e nelle pareti della pieve di San Giovanni, ci siamo imbattuti in alcuni nomi d'artefici che vi lavorarono, ma in quello di Gentile non mai. E perchè i passati scrit- tori senesi non seppero i maestri di quelle pitture, così prenderemo questa occasione per farli noti ad utilità degli eruditi. Nel 1447, Michele di Matteo da Bologna; il quale, secondo il Malvasia, è de' Lambertini ; dipinse nella volta sopra il fonte battesimale, e nelle due di fianco, i dodici articoli del Simbolo degli Apostoli, come pure la cappella della tribuna da capo all'aitar maggiore. E nel 1450, Lorenzo di Pietro, detto il Vecchietta, rappresentava nelle altre due volte i dodici Apostoli. Parimente negli anni 1451, 1454 e 1455, Guasparre d'Ago- stino, molto valente pittore senese poco conosciuto, vi lavorava nella parte superiore della detta tribuna dell'aitar maggiore una Crocifissione e le Marie al sepolcro; ed Agostino di Marsilio da Bologna era condotto uel 1451 a dipingere nella detta chiesa, in compagnia di Giovanni da Forlì suo garzone ; e Benvenuto di Giovanni del Guasta vi faceva in basso, nel 1453, Cristo battuto alla colonna, e quando porta la croce. La storia di Cristo che lava i piedi agli Apostoli, dipinta da Pietro di Francesco degli Orioli nel 1489, non esiste piìi. Ne sappiamo a chi dare quelle dei miracoli di Sant'Antonio, e dello Sposalizio di Maria Vergine, le quali sono sopirà le pareti degli altari laterali al maggiore. Forse l' ultima storia è di Girolamo di maestro Giovanni del Pacchia. Non ricordiamo la gran tavola che alcuni affermano colorisse per Pisa, sendo taciuta dal Vasari, e non avendosi argomenti che provino questo. Noi abbiamo esaminato questa tavola dell'Incoronazione della Vergine, vano tra le carte del convento di San Domenico di Siena nell' archivio de' Resti del Patrimonio Ecclesiastico unito a quello dell'Opera del Duomo. Il Tizio (Histo- riae Senenses mss., voi. IV, a carte 200) dice, sotto l'anno 1425, a proposito della pittura fatta in Siena da Gentile, queste parole: Gentilis Fabrianensis picCor exi- miam Virginis imaginem ceterorumque sanctorum non hoc. anno, ut fertur, prò Foro puhlico apitd Tahelliones depinxit, sed sequenti perfecit. In imis vero sub Virgine circulus est, in quo Jesu Cliristi in sepulcro mortiti consi- stentis, quam Pietatem christiani vocant, a dextris ac sinistris angeli duo sunt aereo colore tam tenui picti, tamque exili lineatura in tufeo lapide, ut nisi quis etiam ostensis acutissimum figat intiiitum, conspicere non valeat. E a carte 205 e sotto l'anno 1426 aggiunge: Diebus tamen paucis elapsis (octobris) Gentiles Fabrianensis pictor Marie Virginis ceterorumque sancto- rum super Tabellionum sedilia in puhlico Foro ad Casati fauces ( alle bocche della via detta del Casato) pietas imagines, iam perfectas annoiato augusti mense, populo prebuit conspiciendas ; tametsi anno elapso incohatas et non piene absolutas notaverinius. E DI VITTORE PISANELLO 19 che dalla soppressa abbazia di San Zeno di Pisa passò nell'Accademia delle Belle Arti di quella citta ; ed affermiamo non potersi per niun conto at- tribuire a Gentile da Fabriano. In Pisa piuttosto abbiamo tutta ragione di credere opera di lui una tavoletta esistente nella sala dell' Uffizio della Pia Casa di Misericordia, con Maria Vergine in atto di adorare il Divin Fi- gliuolo, che tiene disteso sulle ginocchia. Il suo elogiografo conduce quindi il j)ittore in Perugia per dipingervi quella Adorazione dei Magi, che tut- tavia si vede nella chiesa di San Domenico: tavola per alcun tempo cre- duta dell'Angelico, ma dal Mariotti restituita a Gentile.' Avvertiremo non pertanto, che l'esistenza di un quadro in una citta non è argomento che basti per credere che ivi lo colorisse il pittore, potendovi essere mandato da luogo eziandio remotissimo. In caso diverso, farebbe mestieri creare lunghi e numerosi viaggi per questi artefici, i quali dotati di molta fa- cilità, e levati in grande riputazione, moltissimo operarono, ed ebbero commissioni dagli stranieri. Non così degli affreschi. Per V autorità, del Vasari, scrissero alcuni che Gentile molto dipingesse in Citta di Castello; e il Vermiglioli e l' Andreocci credettero che questi dipinti accogliesse la chiesa o il convento di San Francesco : intorno ai quali ecco quanto si legge nella accurata Guida Aì'tistica di quella città, del dotto cavalier Giacomo Mancini: « Che Gentile da Fabriano dipingesse in Città di Ca- « stello si crederà sull' autorità del Vasari ; ma certamente non dipinse «nella chiesa di San Francesco; perchè il Padre Conti, capi)uccino di « detta città, noverando tutti i dipinti di detta chiesa, tace di quelli di « Gentile; e il Padre Conti scriveva nel secolo xvii; che è a dire, prima « del rinnovamento di quella chiesa, e prima del celebre terremoto ». ^ Sebbene la tradizione e il Vasari stesso affermino che Gentile molto operasse nelle città della Marca, in Urbino e in Gubbio; ciò non per- tanto il Ricci, dopo lunghe e diligenti ricerche, non potè rinvenire nei luoghi indicati alcun dipinto che con certezza si possa a quest'artefice attribuire.' Soltanto per l'autorità del Lori, e avrebbe potuto aggiungere del Vasari , ricorda un Crocifisso sopra la porta della chiesa di Sant' Ago- stino in Bari, creduto opera di Gentile.* Rimane però non più nella pa- tria dell'artefice, ma in Milano nella Pinacoteca di Brera, il bel quadro ' Vedi a pag. 8, nota .3. ^ Istruzione storico-pratica della città di Castello, pag. 147. ' t Nel paese di Santa Vittoria delle Marcile è una cappelletta presso la ro- vinata chiesa appartenuta ai monaci di Farfa, che quivi ebbero un loro mona- stero: ivi sono bellissime pitture in fresco rappresentanti soggetti religiosi. Coloro che l'hanno vedute dicono che si accostano grandemente alla maniera di Gen- tile da Fabriano. Di queste pitture non parlano né il Ricci né altri. ' Memorie manoscritte di Fabriano. Ricci, loc. cit., pag. 152. 20 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO fatto dal nostro pittore per i religiosi osservanti eli Valle Romita, poco discosto da Fabriano. In questa tavola figurò, di grandezza un quarto del naturale, in campo aurato, Nostro Signore che incorona la Vergine, pre- senti i santi Girolamo, Francesco, Domenico e Maddalena; ed in cinque piccoli quadretti, dei quali non rimangono che quattro presso il sig. Carlo Rosei di Fabriano, sono la testa di san Francesco, di san Girolamo, di san Pietro martire, e un monaco seduto in atto di leggere: il quinto, acquistato da un oltramontano, partì dall'Italia. Narrano l'Ascevolini e il Ricci, che Raffaello, tratto dalla rinomanza di quel dipinto, si recasse a bella posta a Valle Romita per ammirarlo. Gentile da Fabriano non lasciò la Marca se non dopo aver dipinto nella tribuna della cattedrale di San Severino: opera che ebbe avversi non il tempo, ma gli uomini; i quali, rinnovandosi nel 1576 la chiesa, la distrussero. Vi aveva egli eseguite alciine storiette della vita di san Vit- torino, fratello del vescovo san Severino; più, un Cristo risorto, e san Tom- maso in atto di cercarne la piaga. Quindi, dei tanti affreschi da lui di- pinti, non rimane al presente che quello della cattedrale d'Orvieto. Che Gentile da Fabriano fosse invitato a dipingere in Venezia, che ivi dimorasse non breve tempo , è certissimo ; il quando , s' ignora. Gli storici delle arti venete suppongono due viaggi di lui a quella capitale dell'Adriatico. Il primo nel 1422, affine di conciliare il tempo, in cui Jacopo Bellini studiò l'arte sotto Gentile. Il secondo viaggio non pochi anni dopo. Ma nel 1422 abbiamo veduto che Gentile era in Firenze, nel popolo di Santa Trinità, e si matricolava pittore: ne forse aveva ancor fatta opera di tanta rinomanza da essere invitato in paese ricco di ar- tisti. Crede piuttosto il cav. Ricci, che Jacopo Bellini si recasse in Firenze ad apparar 1' arte da Gentile. Questa congettura , rafforzata da una iscri- zione in barbaro latino, la quale si leggeva a pie d'un affresco di Jacopo Bellini nel Duomo di Verona, divien certezza per via di un documento da noi trovato, per indicazione avutane dall'egregio sig. abate Giuseppe Rosi, direttore del Regio Archivio diplomatico di Firenze. Il documento è de' 28 novembre 1424. In esso si dice, che Bernardo di ser Silvestro di ser Tommaso, del popolo di Santa Trinità di Firenze, fa pace perpetua con Jacopo da Venezia , ólim famulo magistri Gentilini pittoris de Fabriano, (cioè Jacopo Bellini, stato garzone di Gentil da Fabriano ijittore) d'ogni e qualunque malefizio ed eccesso dal detto Jacopo commesso e perpe- trato contro il detto Bernardo, e nominatamente di certe bastonate da- tegli nel medesimo anno 1424. ' ' Archivio diplomatico fiorentino, carte della Camera Fiscale. — t Daremo maggiori notizie, intorno a questo fatto, nella Vita di Jacopo Bellini. E DI VITTORE PISANELLO 21 Stando all'autorità del Ridolfi, Gentile dipinse in Venezia due grandi tavole da altare; una per la chiesa di San Giuliano, l'altra per quella di San Felice, ove ritrasse i due santi eremiti Paolo e Antonio. Degli altri dipinti non si hanno certe notizie. Il Ricci scrive aver veduto , in casa del capitano Craglietto in Venezia, una tavola con entro l'Adorazione dei Magi, molto simile a quella fatta già per la chiesa di Santa Trinità in Firenze. Ma l'opera maggiore, per la quale era stato invitato, e che gli ottenne fama ed onori presso de' Veneziani, fu il fresco nella sala del Gran Consiglio di quella Repubblica, dipinto in concorrenza di Vittore Pi- sanello da Verona. E sembra che la celebrità del luogo , l' emulazione col Veronese, il desiderio di rispondere alla espettazione dei Veneti, elevas- sero la mente di Gentile a più fervido immaginare ; ne e chi ignori quanto le grandi occasioni concorrano a far grandi gli artefici. Voleasi da lui de- lineato e colorito uno dei più grandi avvenimenti che resero temuta e grande cj^uella Repubblica; che è a dire, la battaglia navale data, ti-a il Doge Ziani e Ottone figliuolo dell'imperatore Federico Barbarossa, sul- l'alto di Pirano: e Gentile vi riuscì in modo che, a preferenza degli ar- tefici, i quali in quella stessa sala dipingevano altre storie, fu onorato della toga dei patrizi, e gli fu decretata la vitalizia pensione di un ducato il giorno. Quest'opera, guasta in prima per l'umidità, fu interamente perduta nell'incendio che nel 1574 distrusse la sala del Consiglio. Pari- mente narra il Ricci, che Gentile facesse in Venezia alcuni ritratti; fra i quali i due posseduti da Antonio Pasqualino : ' ma dall' anonimo Mo- relliano veniamo a conoscere, che quei due ritratti or ricordati furono dipinti in Fabriano e non in Venezia. Parlando egli appunto di uno di questi ritratti, dice: Fu de man de Gentile da Fabriano portato ad esso messer Antonio Pasqualino da Fabriano insieme con V infrascritta testa, ecc. ; e la descrive.^ Il Facio ricorda una stupenda tavola dipinta da Gentile a Venezia ; nella quale rappresentò maravigliosamente un turbine che schianta alberi e capanne, e tutto travolve e sperpera nel suo furore. Sappiamo dallo stesso scrittore, che Gentile dipinse una cappella di padronanza di Pandolfo Malatesta nella città di Brescia. Una lettera dello stesso Mala- testa, data dal campo de' Veneziani presso Cremona, de' 7 aprile 1449 (Gate, I, 159), parla di certe cappelle da dare a dipingere a un tal maestro dipintore, che probabilmente, coi riscontri che s' hanno nel Facio, potrebbe esser Gentile medesimo. Nella Real Galleria di Berlino è una tavola con Maria Vergine in trono, col Divino Infante in grembo, con santa Caterina e san Niccolò ai lati; da piedi, chi fece fare la tavola. ' Ricci, Memorie ecc., pag. 159. - Notizia d' opere del disegno ecc., pag. 57. 22 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO Nella cornice è scritto: gentilis de Fabriano pinxit. Un'altra tavola, nella collezione di Yoimg Ottley in Inghilterra, è a lui attribuita dal Waagen. ' Or seguitando la storia, il pontefice Martino V, volendo condecorare di pitture la chiesa di San Giovanni in Laterano, invitava a Roma Gentile. Il Fabrianese vi raffigurò alcuni fatti di san Giovanni Batista, e, fra una finestra e l'altra, cinque profeti di chiaroscuro, i quali furono lodatissimi. In una delle pareti ritrasse Martino V di naturale, con dieci cardinali. Questi dii^inti dovettero essere eseguiti in piìi tempi, perchè cominciati sotto il citato Martino V che morì nel 1431, si trova «he il pittore vi operava ancora nel 1450; perchè narra il Facio, che Ruggiero Gallico, venuto a Éoma per il giubileo dell' anho 1450, e vedute le opere di Gentile in San Giovanni Laterano, volle conoscerne il pittore, e lo ap- pellò il primo tra i pittori italiani.^ Fra le cose operate in Roma deve ricordarsi eziandio il fresco in Santa Maria Nuova, allato al monumento di Gregorio IX; ove ritrasse la Vergine col Figlio, e ai lati san Giuseppe e san Benedetto : dipinto ora perduto, ma che, veduto da Michelangiolo Buonarroti, meritòglil' elogio, che parlai nome avesse gentile il dipingere. Il Vasari da ultimo conduce Gentile a Citta di Castello, ove sembra far credere che morisse. Altri lo credettero morto in patria; ma Barto- lommeo Facio, parlando degli ultimi lavori di Gentile in San Giovanni Laterano , soggiunge : quaeclam etiam in eo ojjera adumhrata atque imper- fecta, morte pì'aeventiis , reliquitJ Cessò egli adunque di vivere in Roma; e in un antico manoscritto, veduto dal Ricci, si aggiunge, che le sue spoglie mortali ebbero sepoltura nella chiesa di Santa Francesca Romana in Campo Vaccino; ove in bianca lapide se ne leggeva la mortuaria iscri- zione, prima che quella chiesa prendesse novella forma.' In qual anno ])oì accadesse la morte sua, possiamo arguirlo a un dipresso dalle parole del Facio stesso; il quale dice che Ruggiero Gallico, andato a Roma nella occasione del Giubileo del 1450, vide le pitture in San Giovanni Late- rano lasciate da Gentile per morte imperfette. La morte sua dovett' es- sere adunque verso il finire di quello stesso anno 1450. Con questo dato, e con l'altro somministratoci dal Vasari, che dice morto Gentile ottua- genario, possiamo giungere a stabilire la nascita sua a un dipresso circa il 1370: con che s'accorda bene l'aver egli avuto a primo istitutore nel- l'arte Allegretto Nuzi, morto nel 1385. Non sappiamo con qual fonda- mento gli storici municipali del Piceno asseriscano, aver Gentile lasciati ' Kunstwerke und Kiinstler in England, I, 398. - Ricci, loc. cit., pag. 162. ' Vedi presso il Ricci, pag. 162. * Id., loc. cit. DI VITTORE PI S ANELLO 23 alcuni trattati sulla pittura. Il primo intorno alla origine e pro^n-es^o dell arte; il secondo sul mescolare dei colori; il terzo sul modo di tirare le linee. Ninno dei tre giùnse fino a noi. Fra i discepoli del Fabrianese si sogliono noverare, Jacopo Bellini come SI disse; Jacopo Nerito da Padova; ' un Giovanni da Siena, che forse e quel Giovanni di Paolo, del quale la patria sua possiede moltissime opere, che veramente hanno più d'una somiglianza con quelle del mae- stro. Di costoro alquanto si disse nelle note; altre notizie possono le^-ersi nell'opera del Ricci, colla quale abbiamo in gran parte ricomposta" que- sta biografia. DI VITTORE PISANELLO Le brevi e povere notizie che ha lasciate il Vasari sopra Gentile da Fabriano, le opere del quale e per pregio e per numero meritavano di avere miglior ricordo nella sua storia, ci persuasero a distenderne un Com- mentario. Intorno alla Vita di Vittore Pisanello ci hanno indotto a fare il medesimo due altre e differenti ragioni. La j)rima delle quali è l' ob- bligo di rilevare il inerito che a lui si appartiene come rinnovatore e perfe- zionatore dell' arte di gettare e cesellare medaglie ; 1' altra è la necessita di dover combattere certe asserzioni di alcuni moderni scrittori. E inco- minciando dal primo assunto diremo : che se dopo la età degl' Imperatori si percorrono i bassi tempi, i monumenti numismatici altro non ci pre- sentano che informi simboli di rozzissimo lavoro, testimoni della deca- denza di quest'arte. Ma un secolo dopo la rinascita delle principali arti del disegno, anche quella di far medaglie si rinnovò. La restaurazione degli studj della classica antichità per opera di alcuni benemeriti Italiani apportò ancora, che fossero ricercati con ogni diligenza, e studiati con grande amore i monumenti dell'arte: fra i quali, e per la squisitezza del lavoro, e per la singolarità dei simboli, non erano al certo da trascurare le medaglie e i medaglioni imperiali : onde venne ben presto ad alcuno ar- tefice la voglia d'imitarli; e l'uso di far nel diritto delle medaglie ritratti veri e proprj , e invenzioni nei rovesci , mancato in ogni parte da gran tempo, tornò in vigore. e divenne tale da poter rendere convenientemente l'effi- gie e servire ad eternare la memoria/ degli uomini illustri contemporanei. ' Il Moschini {Orig. della Pitt. Ven., pag. 20) cita un quadro di san Mi- chele in figura di gigante, dove per una specie di vanto si sottoscrisse disce- polo di Gentile. 24 COMMENTARIO ALLA VITA DI GLl^TILE DA FABRIANO L' artefice , a cui la storia da il merito d' essere stato il primo restau- ratore di tale arte, è Vittore Pisano da Verona. E siccome egli era anche molto risoluto del disegno e pratico pittore, così riuscì mirabilmente in quest'arte novella. Gli scorci arditi, la maestria nel fare gli animali, massime i cavalli, la bene intesa imitazione delle fattezze e dei movimenti loro più difficili, provano senza dubbio, che il Pisano fu artefice valen- tissimo, e confermano la gi-andissima fama ch'egli si acquistò in questo esercizio appresso i suoi contemporanei. Costui lavorò , si può dire , quasi per tutti i principi del suo tempo; e ben disse il Va^ri, che meritò, per la fama e riputazione sua, esser celebrato da grandissimi uomini e rari scrittori. Ora poi, stimando che possa essere utile corredo di questo Com- mentario una nota delle medaglie onorarie da lui fatte, le abbiamo di- sposte secondo la ragione dei tempi, registrando però le sole a noi note e autenticate dal suo nome. I. — Niccolò Piccinino d. NICOLAVS PICININVS • VICECOMES • MARCUIO • CAPITANEVS ■ Ukx[ÌmUS) ■ AC • MARS ■ ALTER. r. s{icolaHs) ■ picininvs • braccivs • opvs • pisani ■ pictoris. II. — Leonello d' Este 1. d. LEONELLVS • MARCHIO • ESTENSIS. r. OPVS • PISANI • PICTORIS. 2. d. LEONELLVS • MARCHIO • ESTENSIS • 'd{iIX) ■ FERRARIE • REGII ■ ET MVTINE GE{neralis) ■ Ro{manoruiu) ■ An{migeroniin). r. M. ecce. xLiiii. opvs ■ pisani ■ pictoris. 3. d. LEONELLO • MARCHIO • ESTENSIS. r. T>{ominus) ■ rERAR(/ae) • reg(ù') • et MVT(tMae) ■ pisanvs • F(ecìt). 4. d. LEONELLVS • MARCHIO • ESTENSIS • D(«;a;) • FEEKAEIE ■ REGII 7 (ct) MVTINE» r. PISANI ■ PICTORIS • OPVS. III. : — Sigismondo Pandolfo Malatesta 1. d. SIGISMVNDVS • PANDVLFVS • DE • MALATESTIS ■ ARIMINI ■ FANI • D^OmìnUS). r. OPVS • PISANI • PICTORIS. 2. d. SIGISMVNDVS • DE • MALATESTIS • ARIMINI • ETC • ET • ROMANE • ECCLESIE CAPITANEVS • GENERALIS, r. M. ecce. XLV. OPVS • PISANI • PICTORIS. IV. — Pietro Candido Decemhrio d. p(etrus) ■ candidvs • stvdiorvm • hymanitatis • decvs. ì\ OPVS • PISANI • PICTORIS. E DI VITTORE PISANELLO 25 V. — Vittorino da Feltt'e d. VICTORINVS ■ FELTRENSIS • SVMMVS. r. MATHEMATICVS ■ ET OMNIS • HVMANITATIS • PATER • OPVS • PISANI • PICTORIS. VI. — Filippo Maria Visconti ' d. PHILIPPVS • MARIA • ANGLVS • DVX • MEDIOLANI • ETCETERA • PAPIÉ • ANGLE- EIEQVE • COMES • AC ■ GENVE • DOMINVS. r. OPVS • PISANI • PICTORIS. VII. — Gio. Paleologo'^ d. IQA'NNHC . BACIAErc • KAf ATTORPA rQP- "PQMA'IQN- O"- nAAAIOAOTOC. r. OPVS • PISANI • PICTORIS ■ E'PrON . TOT' . niCA'NOr . ZQrPA*OT. Yiii. — Alfonso V d'Aragona 1. d. DIVVS • ALPHONSVS • REX • TRIVMPHATOR • ET ■ PACIFICVS ■ M. CCCC. XLVIIII. r. LIBERALITAS • AVGVSTA • PISANI • PICTORIS • OPVS. 2. d. DIVVS • ALPHONSVS • ARAGONIAE • VTRIVSQVE ■ SICILIAE • VALENCIAE • HIE(r-0- soli/mae) ■ ii.\N{gariae) ■ MATo{rcae) ■ sx-R{diniae) ■ coR{sicae) ■ kex • co(mes) • BA{rcinonis) ■ dvx • AT{henaruni) • et • ^Eo{2ìatraruìn) ■ ac - co(mes) • Ro(ssiUonis) ■ e. c. r. FOETITVDO • MEA • ET • LAVS • MEA • DOMINVS • ET ■ FACTVS • EST ■ MICHI ■ IN • SALVTEM • OPVS • PISANI ■ PICTORIS. IX. — Francesco Sforza d. FRANCISCVS • SFOKTIA • VICECOMES • MARCHIO • ET • COMES • AC • CREMONE - D{ominus). r. OPVS ■ PISANI • PICTOR. X. — Giovan Francesco Gonzaga d. lOHANES • FRANCISCVS • DE • GONZAGA ■ PEIMVS • MARCHIO ■ MANTVE • CAPir [aneus) ■ maxi(mjhs) ■ armigerorvm. r. OPVS • PISANI ■ PICTORIS. ' Non è mai stato interpretato il rovescio di questa medaglia, che rappi'esenta un guerriero a cavallo, e due altri cavalli, uno de' quali lia seduto in sella un valletto: da lontano, veduta d'una città posta in monte, con una figura nuda colla bacchetta o asta in mano. Si crede che sia la città di Genova. Il Tochon d'Anneci la pubblicò a Parigi nell816, 9on una dissertazione. (Vedi Litta, Fam. Visconti). ^ Questa medaglia si può dire coniata nel 1438; nel qual anno venne aperta il Concilio di Ferrara, che poi fu chiuso in Firenze sotto papa Eugenio IV. 26 COMMENTAEIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO XI. — Cecilia Gonzaga d. CECILIA • VIRGO • FILIA ■ lOHANNIS - PRANCISCI • PRIMI • MARCHIONIS ■ MANTVE • r. OPVS ■ PISANI • PICTORIS • MCCCCXLVII. xn. — Lodovico III, Gonzaga d. LVDOVICVS ■ DE • GONZAGA • MARCHIO • MANTVE ■ ET • CET(er«) • CAPITANEVS • ARMIGERORVM. r. OPVS • PISANI • PICTORIS. XIII. — Malatesta IV, Novello d. MALATESTA • NOVELL VS • CESENE ■ DOMINVS • DVX • EQVITVM • PRAESTANS. r. OPVS ■ PISANI ■ PICTORIS. xiY. — Inigo d'Avalos d. DON • INIGO ■ DE • DAVALOS. (sìc). r. OPVS ■ PISANI • PICTORIS. ' XY. — Tito Vespasiano Strozzi TITVS STEOCIVS. ^ ' t Dal carme del Porcellio (ved. Cesare Cavattoni, Tre Canni latini ecc. «n lode di Vittore Pisano. Verona 1861 in-8) si rileva che il Pisano fece in me- daglia il ritratto di esso Porcellio, e da quello del Basinio, le medaglie di Carlo Gonzaga, del Guarino, dell'Aurispa, d'un Girolamo, del Belletto fanciullo, e di Paolo dal Pozzo Toscanelli fiorentino. Queste medaglie, fuorché quella dell'Au- rispa che era nel Museo Mazzucchelliano, oggi non si conoscono in nessun Museo. Esiste oltracciò un'altra medaglia che nel diritto ha il ritratto di Dante, e le parole intorno danthes florentinvs e nel rovescio quello del Pisano colla scritta PISANVS • PicTOR. Ma pare una contraffazione. (Vedi ancora C. Bernasconi, Il Pisano ecc.). Della medaglia di Lionello si conoscono quattro ripetizioni con va- rianti nella parte figurata del rovescio ed altre due di Alfonso l d'Aragona. ^ Medaglione di straordinaria grossezza e di forma quadrata, col busto dello Strozzi di profilo. — Sebbene non vi sia il nome del Pisanello, pure si può molto ragionevolmente supporre che sia sua fattura, dagli ultimi quattro versi di una Elegia dallo Strozzi medesimo indirizzata al Pisanello, nella quale e' lo ringrazia d'avergli voluto fare il ritratto, con queste parole: Ast opere insigni nostros effingere vultus — Quod ctipis , liaud parva est gratia liàbenda tibi.' t Questo medaglione non è opera del Pisano. Il quod cupis che si legge nel secondo de' quattro ultimi versi dell'Elegia dello Strozzi, non ci dà sicurezza che r artefice mandasse ad effetto il desiderio espresso allo Strozzi di fargli il ritratto. E che veramente non glielo facesse, è provato dal vedere che lo Strozzi ritoccando quel suo carme, non parla più del suo ritratto. E con questa seconda lezione secondo il manoscritto Estense segnato vi n. 31, esso fu stampato dal suddetto Cavattoni. Lo Strozzi, se la medaglia fosse stata eseguita, avrebbe, cor- reggendo il suo carme, alle parole quod cupis sostituitene altre che mostrassero il desiderio dell'artefice già adempito. Di più quel carme fii scritto quando lo Strozzi aveva 29 anni, e il medaglione, di cui si parla, lo rappresenta più che sessagenario: e perciò quando fu fatto, il Pisanello era già morto da ventisei anni almeno. (Vedi Cavattoni, Tre Carmi ecc., e Bernasconi, Il Pisano ecc.). E DI VITTORE PISANELLO 27 La scuola e V esempio del Pisanello diffuse rapidamente l' arte del far medaglie, nella quale si esercitarono anche pittori e scultori; e poche sono le citta d' Italia che non ricordino con gloria il loro maestro in sì fatta maniera di lavoro. Noi, per dire dei principali che fiorirono nei se- coli XV e XVI, noteremo che Verona, oltre il suo Pisanello, vanta Matteo Pasti, Giovanmaria Pomedello valentissimo, Giulio della Torre, France- sco Caroto. Venezia rammenta Gentile Bellini, Giovanni Boldù, Antonio Erizzo, Marco Guidizzani, Vittore Camelo, un Domenico; Padova, Andrea Eiccio 0 Crispo, Briosce, ' Giovanni Cavino, Giovanmaria Mosca, Lodo- vico Leoni detto il Padovanino. Roma ebbe Pietro Paolo Galeotti; Bolo- gna, il Francia e Giovanni Bernardi da Castel Bolognese; Ferrara, un Bal- dassarre Estense,^ quel Bono ferrarese, che fu pittore principalmente, e senza dubbio scolare del Pisanello,' un Jacopo Lixignolo, un Antonio Ma^ ' Vedi intorno a questo artefice la nota 2 a pag. 608 del tom. II (Vka di Vellano da Padova). ^ Nacque circa il 1443, e fu scolare di Cosimo Tura, e si vuole figliuolo naturale d'alcuno dei principi estensi, come .egli stesso par che credesse; citan- dosi alcune sue pitture perite, dov'era lo stemma della famiglia d'Este, e il diamantino, impresa del duca Ercole I. Il prof. Resini (p. 199 del tom. Ili della sua Storia) dà inciso un bel ritratto, che si conserva nella Galleria Constabili di Fei'rara, nel quale è scritto: baldasares • estensis • nob • pix • anor. 36 (il Laderchi legge 56) 1495. feb. 24. Né il Vasari, ne il Cittadella fanno parola di questo artefice. Il Baruffaldi ne scrisse le notizie nelle Vite de' Pittori e Scul- tori ferraresi. (Vedi la nuova edizione di esse con belle ed erudite note del Boschini, stampata in Ferrara nel 1844-48, pei tipi di D. Taddei). t Di lui riportano altre memorie il cav. Cittadella, a pag. 581 delle sue Notizie relative a Ferrara ecc., e i signori Crowe e Cavalcasene, History of painting in North Italy, voi. I, pag. 526. Pare che egli nascesse in Reggio d'Emilia e che Baldassarre da Reggio, di alcuni ricordi, e Baldassarre Estense o da Este sieno una stessa persona. Nel 1469 fece il ritratto del duca Borso, ed ebbe ordine di presentarlo al Duca di Milano. Nel 1471 risiedeva in Castel Nuovo come ufficiale di corte, e dipoi era governatore di Castel Tedaldo. I fre- schi che aveva fatti nella cappella Ruffini in San Domenico di Ferrara sono periti. Nel 1483 dipinse il ritratto di Tito Strozzi, che si conserva nella Galleria Constabili; un altro ne possiede il prof. Bertini a Milano. A lui si attribuisce quel ritratto nel Museo Correr di Venezia che è dato ad Ansuino da Forli. Bal- dassarre fece testamento nel 1500; ebbe due mogli, ed un figliuolo naturale di nome Niccolò Alfonso. ' « La prova sta in un quadretto della Galleria Constabili di Ferrara, rap- « presentante San Girolamo nel deserto, colla iscrizione: bonus ferariensis « pisani disipulus (sic). Dello stesso autore si giudica nella medesima Galleria « un Salvatore seduto sotto un arco di bella architettura, colle mani legate, e « coperto di bianca tunica; ma è senza nome ». (Rosini Stor. della Pitt. It, III, 197, in nota). Di questo Bono sinora non si conoscevano che le pitture, se- gnate del suo nome, nella cappella di San Cristoforo agli Eremitani di Padova, 28 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO rescotto. ' Ravenna ricorda nn Severo, lodato a cielo dal Gaurico come arte- fice universale; Pavia, Ambrogio Foppa, detto Caradosso; Parma, Giovan Francesco Enzola, Gio. Giacomo e Gio. Federigo Bonzagni e Lorenzo Fra- gni. Vicenza s' illustra del celebre Valerio Belli ; Mantova , di Francesco Corradini (?) e dello Sperandio Miglioli famosissimo; Milano, di Amedeo, di Alessandro Cesati (e non Cesari, come per errore il Vasari e gli altri), detto il Grechetto; di Domenico Compagni, detto dei Cammei, di Jacopo da Trezzo. Cremona ha un Francesco di Girolamo dal Prato ^ e un Andrea; * dove lavorò anche il Mantegna. Per alcuni documenti artistici da noi raccolti sappiamo, che nel 1461 era agli stipendj del Duomo di Siena un maestro Buono pittore da Ferrara, il quale non è dubbio essere quello stesso, di cui si parla. i II quadro del San Girolamo fino dal 1867 fa parte della Galleria Nazio- nale di Londra; l'altro ùeW Ecce Homo è ora posseduto dal signor Layard in Londra. Della dimora di Bono in Siena si hanno memorie del 1442, nel quale anno dipingeva alcune volte del Duomo, e del 1461. Si sa ancora che egli di- pinse il San Cristofano nella cappella degli Eremitani di Padova, sotto il quale è scritto : opvs bonii (sic) ; che nel 1450 e 1451 decorava di pitture al marcliese Lionello d'Este il suo palazzo dà Migliaro, e il camino della casa del castaido di Casagiia presso Ferrara; e che nel 1452 dipingeva uno studio, probabilmente nel palazzo di Belfiore. (Crowe e Cavalcaselle, op. cit., I, 375, nota 2). ' Riferisce il Litta una medaglia coniata da un Marescotto ferrarese, nel Museo Maz zucche Ulano ; una a Giovanni da Tossignano, vescovo di Ferrara, con nel rovescio: Marescotus mccccxlvi; altra a Fra Paolo Albertini, veneto, e nel rovescio: opus Antonii Marescoto de Ferrara f. {fece). Infine il Litta riferisce quella fatta da lui, a Galeazzo Marescotti di Bologna. Nella Vita del Marescotto, tra quelle degli artefici ferraresi scritte dal Baruffaldi , si cita una sua medaglia col proprio ritratto; dove nel diritto si legge: Antonio Marescoto; e nel rovescio: Memoria • de • Antonio • Marescoto • da • Ferara. Nel campo Jesus coli' anno 1448. - Ponghiamo tra i Cremonesi questo Francesco, perchè un Girolamo dal Prato, che forse era suo padre, è di Cremona, e ha nome tra i coniatori di medaglie. (Vedi Cicognara). t L'autorità del Cicognara non ha per noi tanta forza da seguirlo in questa sua opinione, la quale ci apparisce in tutto falsa; imperciocché noi crediamo esser nel vero affermando che Girolamo dal Prato e Francesco suo figliuolo non furono cremonesi, ma fiorentini, e che di loro parli il Vasari nella Vita di Francesco Salviati, chiamando il primo, maestro assai pratico nelle grosserie e celebrando l'altro come eccellente nei lavori di tausia e nel gettare di bronzo. Di Francesco di Girolamo d'Andrea orefice, della famiglia Ortensi, detto dal Prato, perchè abitò in una casetta posta sul Prato d'Ognissanti in Firenze, si conoscono due medaglie, l'uua la tanto celebrata del duca Cosimo I de' Medici, che fu posta ne' fondamenti della fortezza da Basso, e l'altra di papa Clemente VII che ha nel rovescio un Cristo ignudo alla colonna. Francesco, nato ne' primi anni del se- colo XVI, morì in Firenze a' 13 d'ottobre 1562. ' ì Questo artefice oggi è dimostrato che fu Andrea di Filippo Guazzalotti da Prato in Toscana, nato nel 1435 e morto l'S di novembre 1495. Egli fu ca- nonico della Prepositura di Prato, scrittore della curia romana, familiare di Nic- colò Palmieri vescovo d'Orte, ed infine collettore in Prato delle decime eccle- E DI VITTORE PISANELLO 29 Urbino, Paolo de Ragnsio e un Clemente; Fano, un Petrecino. Firenze celebra Bertoldo, Petrellino ' e un Niccolò; poi Antonio del Pollajuolo, Domenico di Polo, Gio. Paolo e Domenico fratelli Poggini, e per dir tutto, il suo Benvenuto Cellini. Siena il suo Francesco di Giorgio^ e il Pa- storino. Arezzo ebbe Lione Lioni. Finalmente, conosciamo le opere e il nome, ma non la patria, di un Francesco Cravana o Cauriana (se pur non è mantovano), di un Costanzo, di un Moderno, d'un Giovan Francesco Ruberio, d'un Bartolo Talpa. Ma, per tornare al Pisanello, più scrittori citano due differenti medaglie col ritratto di lui. In una, egli è effigiato colla testa sco^Derta, e vi si legge: pisanys • pictor; il rovescio è nudo.' Nell'altra, di minor grandezza, siastiche. Il dott. Julius Friedlaender di Berlino pubblicò nel 1857 una Memoria intorno al Guazzalotti, voltata poi in italiano, e ripubblicata in Prato nel 1862 da Cesare Guasti con una sua appendice. Il dott. Friedlaender registra fino a dieci medaglie del Guazzalotti, tutte state gettate dal 1455 al 1481. Esse sono una di Niccolò V, un'altra di Callisto III, due di Pio II, una di Sisto IV, e di Niccolò Palmieri, due con diverso rovescio di Alfonso duca di Calabcia, una di Costanza Benti voglio, e l'ultima di G. B. Dotti da Padova. Di queste meda- glie in tre sole è il nome dell'autore, cioè in quella di Niccolò V, dove si legge: ANDREAS GUACiALOTis coUa lettera A senza la lineetta traversa; nell'altra del Palmieri, che ha Andreas gvacialotvs, ed in una delle due di Alfonso colla segnatura: opvs • and. g pratens. ' La medaglia di Lorenzo de' Medici, riferita dal Litta, ha nel rovescio p. NI. Crediamo Petrus Nicolai, che forse è figliuolo di Niccolò detto del Ca- vallo, fiorentino, che lavorò a Ferrara. (Vedi nel tom. II la nota 1 a p. 385). t Questa medaglia non ha veramente p. ni., ma ho (sic) ni. fl., ossia Opus Nicolai fiorentini, il quale crediamo che sia Niccolò nato circa il 1450 da Spinello figliuolo naturale di Forzore Spinelli. (Vedi l'Alberetto degli Spinelli, a pag. 695 del tom. I). Oltre la medaglia di Lorenzo il Magnifico, fece Niccolò quella di Antonio Geraldini d'Amelia storico e poeta. In essa si segnò cosi : op . NI • FL • sp • FI . F-L, cioè Opus Nicolai fiorentini Spinelli filii fiorentini , oppure Florentiae, e l'altra di Alfonso I d'Este col suo nome e l'anno 1492. Gli viene attribuita anche quella di Giovanna Albizzi fiorentina. Mori Niccolò a Lione nel 1499, lasciando due figliuoli, Domenico e Niccolò, che fecero l'arte pa- terna. Quanto a Petrellino, noi crediamo che sia Pietro di Neri Razzanti fioren- tino, al quale la Repubblica di Firemze fece nel 1477 un privilegio, esentandolo dal pagare gravezze per dieci anni, perchè dimorasse in Firenze ed insegnasse ai giovani l'arte sua dell'intagliare gemme e pietre preziose, nella quale era riputato eccellente. Dalla scuola di costui usci certamente Giovanni di Lorenzo dell'Opere detto Giovanni delle Corniole, autore dello stupendo ritratto del Sa- vonarola inciso in corniola che si conserva nella Galleria degli Uffizj. - Il Vasari, nella Vita di lui, dice che fece in medaglia il ritratto di Fede- rigo duca d'Urbino. ' Vedi Museo Maz zuc.chelliano , tom. I, tav. ii. Essa è riprodotta con molto maggiore fedeltà nel Trésor de numismalique ecc., della quale opera si dà conto nella nota che segue. 30 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO veclesi il suo busto vòlto a sinistra, con berrettone in testa, e parimente la scritta: pisanvs ■ pictoe. Nel rovescio, una ghirlanda d'alloro: e in mezzo, le iniziali F. S. K. I. P. F. T. Queste due medaglie da alcuni, fra i quali il dottissimo Morelli, fu- rono giudicate opera di Pisanello stesso; il quale, secondo il Gaurico, era ambiziosissimo di fare il proÌDrio ritratto. Noi non negheremo che la prima delle descritte medaglie possa essere fattura di lui; ma quanto alla se- conda, corivinti che quelle lettere che si trovano nel rovescio debbano avere un significato, volentieri abbracciamo la congettura del sig. Carlo Lenormant, ' che ne crede autore Francesco Corradini, e dà ad esse let- tere questa interpretazione: FeanciscvS KorradinI. Pictor. FeciT. ^ E che questa medaglia sia fattura di un altro artefice, il suddetto sig. Lenormant lo deduce ancora da una certa differenza di lavoro eh' è tra questa e le altre medaglie autentiche del Pisanello. Ora, per venire al secondo capo del nostro discorso, è da considerare un altro punto controverso, e più importante per le notizie di questo artefice, cioè il tempo della sua morte; sulla quale il Vasari nuli' altro ci dice, che assai ben vecchio passò a miglior vita. Ma per farci strada a questa ricerca è d' uopo , imma di tutto , prendere in esame alcune asser- zioni degli scrittori. Il commendatore Dal Pozzo, autore delle Vite degli artefici veronesi, in quella di Vittore Pisano ci fa sapere che egli pos- sedeva una tavola con in mezzo Nostra Donna col Divino Infante ed ai lati san Giovan Batista e santa Caterina, e che in essa tavola si leggeva a lettere romane : opera di vittor pisanello de san vi veronese, mccccvi. ' Il sig. Lenormant è autore delle illustrazioni che accompagnano la splen- dida opera intitolata : Trésor de numismatique et de glyptique, cu Recueil general de médailles , monnaies , pierres gravées, bas-reliefs, etc, tant anciens que modernes, les j^lus intéressans sous le rapport de l'art et de l'iiistoire; grave par les procédés de M. Achille Collas. Médailles coulées et ciselées en Italie aux XF et X.YI siécles. Paris 1834. Quest'opera ci ha ser- vito d'ajuto pel nostro Commentario. Essa poi è degna d'esser veduta per la nuova ed ingegnosa industria, colla quale sono imitati fedelissimamente gli ar- chetipi, mediante il processo del sig. Collas, di cui l'Arte non poteva trovare uno più proprio e più adatto a ritrarre questa maniera di bassorilievi. ^ Il Bellini, citato da G. MajT (Monete e Medaglie Ferraresi. Ferrara 1845), riferisce una medaglia di bronzo d'Ercole I, duca di Ferrara, coli' anno 1472, e nel rovescio colle parole opus coradini m. Il Cicognara {Stor. della Scult., V, 410) riporta una medaglia d'Ercole I d'Este, fatta dallo stesso artefice, col- r anno 1473. Vi ha chi lo dice ferrarese ; ma con qual ragione non sappiamo. Noi congettureremmo volentieri ( qualora la iniziale m. non volesse dire magister ) che essa additasse la patria sua, che potrebbe esser Mantova; città che dette la cuna anche ad altri valenti gettatori di medaglie, come abbiamo veduto. E DI VITTORE PISANELLO 31 Marcello Gretti lasciò scritto di aver posseduto una medaglia del sultano Maometto II fatta dal Pisanello nel 1481. Ora, uno che dipingeva nel 1406, poteva fare una medaglia nel 1481? Quindi, o nel Dal Pozzo o nell' Oretti debb' essere errore. Esaminiamo. La scritta della tavola del Dal Pozzo me- rita fede, a senso nostro, appunto perchè chi rifece questa scritta sulle tracce dell'antica, se avesse avuto intenzione d'ingannare, si sarebbe stu- diato di falsificarla perfettamente, usando il carattere e lo stile epigrafico proprio del tempo. Ad abbattere poi l' asserto dell' Oretti contrapponghiamo queste ra- gioni. Dell'imperatore Maometto II, oltre quella coniatagli da Bertoldo, scolare di Donatello, noi conosciamo altre tre medaglie: l'una, fattagli coniare da Jehan Tncaudet de Selongey , come dice la scritta del rovescio ; ma non se ne conosce l'artefice : l'altra, lavorata da Gentile Bellini, vene- ziano, che scrisse il suo nome nel giro del rovescio. La terza coli' anno 1481, appunto come in c[uella citata dall' Oretti col busto di Maometto nel di- ritto, e la figura dell'imperatore stesso a cavallo nel rovescio, ma questa pure porta il nome dell'artefice; che non è il Pisanello, perchè precisa- mente tra le gambe del cavallo è scritto : opus constanti!. Qui v' è intera probabilità, che l' Oretti sia caduto in grossolano abbaglio. E quanto sa- remo per dire in progresso, non lascerà dubbio alcuno di questo. n prof. Rosini, nella tav. xlix della sua Storia, dette incisa, sotto il nome di Vittore Pisanello, una delle belle tavolette che si conservano in San Francesco di Perugia, nelle quali sono espressi i fatti di san Bernar- dino da Siena. Gli scrittori perugini le hanno attribuite a questo pittore.' In essa è rappresentato uno dei miracoli del santo senese; e fa bell'orna- mento del fondo un magnifico arco trionfale , dove si legge questa scritta : S. P. Q. R. DIVO • TITO • DIVI • VESPASIANI • FILIO ■ VESPASIANO ■ AUGUSTO • A. D. M. ecce. LXXIII. F. (fuctus) FINIS. ^ Il prof. Resini, non volendo negar fede all' Oretti, come fece il Lanzi, ne ai perugini scrittori, rifiuta l'asserto del Dal Pozzo; e con una serie ' Sono otto pezzi, che formavano parte d'una nicchia, in cui si riponeva la statua di san Bernardino. (Vedi Orsini, Guida di Perugia; Makiotti, Lettere Perugine ). ^ t I quadretti della vita di San Bernardino sono stati trasportati dalla sa- grestia di San Francesco alla Galleria pubblica di Perugia. Essi non possono essere del Pisanello non solo per l'età, ma ancora per la maniera. Oggi è opi- nione ricevuta per vera dagl' intendenti che quelle pitture sieno della mano di Fiorenzo di Lorenzo pittore perugino, le cui memorie vanno dal 1472 al 1521. Nel Museo del Louvre è un libro di disegni appartenuto a Giuseppe Vallardi di Milano, nel quale il signor Reizet (La Galerie Nationale de Londres) crede di riconoscerne alcuni del Pisanello. 32 COMMENTARIO ALLA VITA DI GENTILE DA FABRIANO di argomentazioni pone la morte del Pisanello dopo l'anno 1481.' E dal- l' età segnata nella tavoletta eh' ei mostra e dal tipo suo vorrebbe dedurre che il Pinturi echio, prima di entrare nella scuola di Pietro Perugino, ap- prendesse i rudimenti dell' arte dal Pisanello, quando lavorava in Perugia quelle tavole. Su questo vagare in congetture e supposti noi ci asterremo dal far commenti. Ma tanto l'asserzione dell' Gretti, intorno alla medaglia, quanto cjuella degli scrittori perugini sulle tavolette di san Bernardino, vengono distrutte da un prezioso documento che il prof. Rosini avrebbe potuto vedere nella raccolta del Gaye, e così si sarebbe risparmiato la fatica di aggirarsi in fallaci congetture. Questo documento è una lettera di messer Carlo de'Me- dici a Giovanni de' Medici, scritta da Roma il 31 ottobre, senz'anno, ma certamente nel 1451; perchè, oltre a trovarsi nell'Archivio Mediceo in- filzata insieme con altre di quest'anno, concorre ad assicurarcene gue- st' altro riscontro storico. Monsignor di San Marco , in questa lettera no- minato, è il cardinale Pietro Barbo, veneziano, che fu creato papa col nome di Paolo II nel 1464 e regnò sino al 1471, nel quale anno morì. Ecco la lettera: « Spectabilis vir et honor. major etc. Quando i^artiste di qua, lasciasti « vi dovessimo mandare quelle figure vi fece avere maestro Bernardo : ^ « fassene ogni diligentia di mandarvele. « Io aveva a questi dì comprate circa di 30 medaglie di ariento, « multo buone, da uno garzone del Pisanello, che inori a questi dì. Non G4 • COMMENTARIO ALLA VITA Marco, soprannominato Melozzo o de'Melozzi, ' nacque in Forlì agli 8 di giugno 1438.^ Leone Cobelli, pittore anch' egli e contemporaneo di Me- lozzo, nella sua Cronaca manoscritta lo dice degli Ambrosi:' e questo è il suo vero cognome. Da chi apprendesse i rudimenti dell' arte , gli storici non sono concordi. Alcuni lo vogliono scolare del forlivese Baldassarre Carrari il vecchio ; il Lanzi inclina a credere che possa avere avuto a mae- stro l'Anso vino da Forlì; altri, Pier della Francesca. Il Reggiani tiene per più probabile , eh' egli frequentasse la fioritissima scuola dello Squarcion^ padovano: lo Scanelli dice, che per imparar l'arte studiò su i migliori antichi; e questa, come la più generica, è ancora la più probabile opi- nione. ' L' opera sua più vasta fu la tribuna della chiesa de' Santi Apostoli di Roma, dipinta per ordine del cardinal Riario, nipote di Sisto IV, nel 1472; la descrizione della quale dataci dal Vasari è , come abbiam veduto , cj^uel tanto che di lui ci ha fatto conoscere. Effigiò in essa l'Ascensione di Cri- sto, con un coro d'angeli attorno, e più in basso gli Apostoli maravigliati € riverenti per la partita del Divino Maestro. Sventuratamente, di questa pittura non ci fu salvato che il Cristo risorgente, varj angeli e varie teste d'apostoli, quando nel 1711 si ampliò la tribuna suddetta. Quella figura del Redentore, così lodata e ammirata, fu posta nel primo ripiano della scala regia del Quirinale, con appropriata iscrizione.' Gli altri fi-ammenti, in tutto quattordici pezzi, dopo varie vicende, ora sono collocati nell'aula capitolare annessa alla canonicale sagrestia della Basilica Vaticana. Di questi frammenti diede un infelice intaglio il D'Agincourt nella tav. cxlii della Pittura. Similmente è di sua mano il grande affresco fatto dopo il 1475, esprimente Sisto IV che al Platina genuflesso dà in custodia la Biblioteca Vaticana. Oltre i ritratti di questo pontefice e del Platina, vi sono quelli dei cardinali Pietro Riario e di Giuliano della Rovere, poi Giulio II, e dei loro fratelli , Girolamo Riario e Giovanni della Rovere ; tutti nipoti di Sisto IV. Questo aflfresco, un tempo attribuito a Pier della France- ' Così è scritto nella sua tavola in Matelica presso Fabriano (Vedi a p. 65), ■e nell'altra della chiesa del Carmine di Forlì. - Cosi il Reggiani, loc. cit. Lo Zani {Enciclopedia metodica), invece, lo dice nato nel 1436. * Il Baruffaldi {Vite degli Artefici ferraresi) nomina un Marco Ambrogio, ■detto Melozzo da Ferrara. Ma questi non può essere ciie il forlivese, che che ne dica il Lanzi. ' Microcosmo della Pittura. * La iscrizione latina, che si crede dettata dallo stesso papa Clemente XL dice: Opus Melotii Farolivensis , qui summos fornices pingendi artem miris opticae legihus vel primus invenit vet illustravit , ex apside veteris templi san- ctorurn XII Apostolorum huc translatum, anno salutis MDCCXI. DI BENOZZO GOZZOLI 65 sca,' esisteva nella muraglia in faccia alla porta dell'antica Biblioteca Vaticana, dove oggi è la Floreria, o guardaroba del Palazzo ; e sotto il pon- tificato di Leone XII, da Domenico Succi, imolese, fu trasportato in tela e messo nella Pinacoteca. La incisione e la descrizione di questa pittura fu pubblicata dal Melchiorri neìVApe italiana di Belle Arti. ^ Nella chiesa degli Zoccolanti in Matelica presso Fabriano esiste una tavola che si crede fatta fare dal cardinal Pi^ro Riario. Rappresenta la Ver- ' Pier della Francesca non poteva fare il ritratto di Sisto IV, eletto papa nel 1471, quando quel pittore era già cieco. Che veramente quell'affresco sia di Melozzo, se ne ha una testimonianza, sebbene con parole confuse, nella Cronaca del Cobelli, dove dice, che il Melozzo fé' molte dipintorie al papa Sisto , magne e belle, et fé' la Libreria al detto papa, et certo quelle cose pareano vive. Que- sta libreria non può esser altro che l'affresco sopra descritto. Il volterrano Raf- faello Maffei poi lo dice più chiaramente con queste parole: eius opus (Melotii forolivensis) in bibliotheca Vaticana Sixlus in sella sedens, familiaribus nonnul- lis domesticis adstantibus. (Anthropologia pictorum sui teìnporis, Basileae, 1530, lib. 21, pag. 245). t Nella Vita di Piero della Francesca (t. II, p. 500, n. 2) abbiamo messo in dubbio il fatto della cecità di questo artista, e che qualora si volesse ammettere, bisogna riportarla ad un tempo posteriore a quello assegnatole dal Vasari e da altri. Fra le opere che si attribuiscono a Melozzo, sono due tavole, nelle quali sono rappresentate, come si crede, la Rettorica e la Musica, colla scritta dux URBINI MONTIS FERETRIl AC ECCLESIE C0i"FAL0NERIUS. Vuoki clie quCSte pitture sieno due delle sette tavole che un tempo erano nel palazzo d' Urbino. Esse pas- sarono in proprietà del principe Conti, dal quale le acquistò il signor Guglielmo Spence che le vendè nel I86G alla Galleria Nazionale di Londra. Parimente si è voluto credere che Melozzo fosse l'autore di alcuni de' ritratti d'uomini illu- stri, che il detto duca aveva raccolti nel suo studio. Questi ritratti, ricordati dal Baldi nella Descrizione del Palazzo d'Urbino, passarono per eredità, parte ne' Barberini, e parte negli Sciarra. Quelli di quest'ultimi furono acquistati dal march. Campana, ed oggi sono nel Museo Napoleone III. Essi rappresentano Pla- tone, Solone, Pier d'Abano, san Tommaso, il Bessarione, Virgilio, Solone, Dante, sant'Agostino, san Girolamo, Vittorino da Feltre, Aristotile, Sisto IV e Tolomeo. Di dieci di questi ritratti l'Accademia di Venezia possiede i disegni che gl'in- tendenti sono concordi a giudicarli di Raffaello giovane. I signori Crowe e Ca- valcasene riconoscono nelle dette pitture in parte la mano d' un maestro ita- liano, in parte quella d'un fiammingo. Il signor Reizet nel catalogo del Museo Napoleone III li registra tra le opere fiamminghe. 2 Voi. I, tav. I, anno 1835. t Dai registri delle spese fatte da papa Sisto IV per la Biblioteca Vaticana tenuti dal Platina, che si conservano nell'Archivio di Stato in Roma, si rileva che Melozzo cominciò questo dipinto nel 1477, e che fece altri lavori per il detto papa e per il suo successore, ne' quali fu ajutato da Antoniasso pittore romano ricordato dal Vasari nella Vita di Filippino, dove ci riserbiamo a dare quelle maggiori notizie che potremo. (Ved. Eugéne MufiTZ, Les Peintures de Melozzo da Forlì et de ses contemporains (>, la Bibliothèque du Vatican, nella Ga- zette des Beauoo-Arts del 1875. ViSAHi, Opere. — Voi. III. 5 QQ COMMENTARIO ALLA VITA crine seduta in trono, col Divin Figliuolo ritto in pie sulle ginocchia di lei: a destra, san Francesco; a sinistra, santa Caterina vergine e naartire. Al di sopra, in una lunetta, Cristo morto in grembo della Vergine madre, colla Maddalena ai piedi; da un lato san Giovan Batista, e dall'altro un santo vescovo, che alcuni credono san Lodovico, insieme con san Buona- ventura cardinale. Intorno a questa tavola sono undici storiette , colla Cena degli Apostoli, le Stimate di san Francesco, San Buonaventura contem- plante il Crocifisso, la fine cristiana dei protomartiri della Chiesa, ecc. ecc. Questa tavola iDorta due iscrizioni: l'una con alcuni versi di san Buona- ventura, allusivi alla passione di Cristo; l'altra ci dà il nome del pittore, così scritto : marcus de melotiis foroliviexsis faciebat. al tempo de frate ZORZO GrARDIANO, 1491. ' La chiesa del Carmine, nella patria sua, possiede una tavola certificata dal suo nome, nella prima cappella a sinistra entrando. In essa è figurato Sant'Antonio Abate seduto con im libro aperto, in atto di benedire: ai lati stanno in pie ritti i santi Giovan Battista e Sebastiano. La scena e figurata in un atrio con bei pilastri, su fondo d'oro. Nel mezzo del pie- distallo, sul quale siede il santo, è lo stemma della famiglia Ostoli for- livese; e più sotto, un cartelletto con la iscrizione: jiarcus de melotius ( Melotiis ? ) PICTOE FOROLIVIENSIS FACIEBAT. Altre opere, non però autenticate da veruna scritta, vengono assegnate a Melozzo; fra le eguali, una figura conosciuta sotto il nome òx pestapepe , dipinta a fresco sopra una bottega di spezieria in Forlì; della quale il Rosini ha dato un intaglio a iiag. 167 del tomo III della sua Storia. Più altri, oltre il Vasari, lodano il nostro Melozzo pel merito delle prospettive e del sottinsù. Il Serlio lo chiama, insieme col Mantegna, dot- tissimo e impareggiabile. Giovanni Santi dice di lui « — Melozzo a me sì caro, Che in prosiaettiva ha steso tanto il passo ». Fra Luca Paciolo scrisse, " ch'egli col suo caro allievo Marco Palmezzani, setnpre con circina (compasso) e libella loro opere piroporzionando conducono in modo, che non umane, ma divine agli occhi nostri si rappresentano , e a tutte loro figure lo spirito solo par che manchi. La stessa lode di dottrina vien data a Melozzo, e insieme a ' Il Melchiorri legge invece 1501, che starebbe in contradizione coiranno della morte di Melozzo, ch'è il 1494. Forse, egli dice, la parte volgare di quella scritta fu fatta dopo. [Notizie cit., pag. 30). t La iscrizione veramente dice cosi : Marchus de Melotius Foroliviensis fatiehat al temp. de frate Zorzo guardiano del mccccci. Tanto questa tavola di Matelica, quanto quella della chiesa del Carmine di Forlì, è provato, non tanto dalle loro scritte quanto dalla maniera, che sono opere di Marco Palmez- zani scolare di Melozzo. (V. Crowe e Cavalcaselle, op. cit., II, 569 e seg. ). - Sionma de arithmetica et geometria. • DI BENOZZO GOZZOLI 61 Pietro della Francesca, dai Ricordi di Fra Saba da Castiglione, dove parla degli ornamenti della casa. Un manoscritto posseduto dal Melchiorri, dove sono notate tutte le pitture pubbliche e ^Drivate di Forlì, ci dice die il di- segno della Cattedrale sia di Marco degli Atiibrogi, esimio pittore e architetto di quei tempi. ' ^ Morì Melozzo in patria, e fu sepolto nella chiesa della Santissima Tri- nità. Lo storico Marchesi ci ha tramandato la iscrizione del sepolcro di lui, che a' suoi tempi, benché mutilato, esisteva.^ Essa èia seguente: D. S. ■ MELOCII FOROLIVIENSIS PICTORIS EXIMII OSSA VIXIT A. rVI. M. V. GB. AN « Il resto che manca (egli soggiunge) si perde per la rottura della pietra ». Ma, fortunatamente, alla mancanza della i^arte più importante della iscri- zione supplisce il cronista Cobelli con queste parole : « In questi dì me- « desimi, a dì 8 di novembre nell'anno mille quattrocento novantaquattro, « morì un illustre peritissimo dipintore, dotto in prospettiva, chiamato « Milocio degli Ambrosi da Porli vio ». ' Fu Melozzo ben affetto al conte Girolamo Riario, il quale lo volle per suo scvidiero e lo creò gentiluomo, con grossa provvisione, parendogli il più solenne maestro di prospettiva e di pittura che avesse l'Italia. Per favore di esso conte, egli fu annoverato tra i familiari di papa Sisto, e noumnaio pittore papale. Ciò , oltre la testimonianza del Bonoli,' è provato dal famoso codice membranaceo esistente nell'Archivio della pontificia Accademia di San Luca. Ivi è registrata la costituzione data da Sisto IV all'Università dei pittori, e vi è la pubblicazione ufficiale fatta all'Uni- versità stessa. Tra i nomi dei pittori ]oresenti all'atto, e che sono sotto- scritti di proprio pugno, trovasi un Melotius Pi. Pa.; il qual nome dal Missirini {Storia dell' Accad. di San Luca, -pag. 7), vien tradotto Melozio Pipa, mentre è chiaro doversi leggere Melotius Pictor Papae, o Papalis. * ' Melchiorri, Notizie cit., pag. 3L ^ Nel rifabbricarsi da' fondamenti la detta chiesa della SS. Trinità, circa l'anno 1780, andò dispersa la lapide tra gli altri rottami, insieme con quella di Francesco Menzocchi, altro pittore forlivese. (Reggiani, Biografia di Marco Melozzo cit., pag. 51). ' Gorelli, Cronaca manoscritta, citato dal Reggiani, loc. cit. ' Storia di Forlì. ^ Melchiorri, Notizie cit., pag. 29. 68 COMMENTARIO ALLA VITA DI BENOZZO GOZZOLI A detto del Reggiani,' Melozzo ritrasse se stesso, in compagnia del suo scolare Marco Palmezzani, nella lunetta della prima cappella di San Gi- rolamo in Forlì; e il Palmezzani, in ricambio di reciproco affetto, ritrasse Melozzo accanto a quella figura col compasso in mano , e se stesso di pro- filo, nella parte inferiore del dipinto di quella cappella. ' Log. cit., pag. 46-47. 69 FRANCESCO DI GIORGIO SCULTORE ED ARCHITETTO SANESE (Nato uel 1439; morto nel 1502) E LOREN^ZO VECCHIETTO SCULTORE E PITTORE SANESE (Nato nel 1 tl2 ?; morto nel 1180) Francesco di Giorgio sanese,' il quale fu scultore ed architetto eccellente,' fece i due Angeli di bronzo che sono in su l'aitar maggiore del duomo di quella città; i quali furono veramente un bellissimo getto, e furon ' Neir edizione del Torrentino la Vita di Francesco di Giorgio comincia nel seguente modo: « Lo ornamento della virtù di chi nasce non può esser maggiore « nel mondo, che quello della nobiltà e quello dei buoni costumi; i quali hanno « forza di trarre al sommo, di qual si voglia fondo, ogni smarrito ingegno et « ogni nobile intelletto. Onde coloro che praticano con questi tali , invaghiscono « non solamente delle parti buone, che in essi veggano oltre la virtù; ma si « fanno schiavi del suggetto bello di vedere in un sol ramo inestati tanti sapo- « riti frutti; l'odore e '1 gusto de' quali recano gli uomini a esser ricordati dopo « la morte, e che di essi di continuo si seri vino memorie: come veramente me- « rita lode e scritte siano le azioni di Francesco di Giorgio ecc. ». - *Dai registri dei battezzati si ha, che Francesco nacque a' 23 settembre del 1439 da un Giorgio di Martino pollajuolo. Nondimeno al signor Carlo Promis, il quale nel 1841 pubblicò il Trattato d' architettura civile e militare di quest'ar- tefice, parve, nella bella e copiosa Vita che vi premise, che fosse da anticiparne la nascita di 16 anni incirca: perchè a lui era difficoltà intendere come Francesco di Giorgio nel 1447, e cosi secondo il nostro computo alla età di 8 o 9 anni, potesse essere ai servigj della Fabbrica del Duomo d'Orvieto, come afferma il Padre Della Vaile nella Storia di quel magnifico tempio. Ma noi possiamo togliere in tutto questa difficoltà, avendo avuto comodità di esaminare per due volte, e con molta dili- genza, i libri dell'archivio di quel duomo, dai quali raccogliemmo che in quei tempi lavorasse in Orvieto un Francesco da Siena, figliuolo di Stefano. Onde è da concludere, che il Della Valle abbia errato, confondendolo col nostro Fran- cesco di Giorgio. 70 FRANCESCO DI GIORGIO poi rinetti da lui medesimo con quanta diligenza sia possibile immaginarsi. ' E ciò potette egli fare commoda- mente, essendo persona non meno dotata di buone fa- cultà che di raro ingegno;' onde non per avarizia, ma per suo piacere lavorava, quando bene gli veniva, e per lasciare dopo se qualche onorata memoria. Diede anco opera alla pittura, e fece alcune cose; ma non simili alle sculture.^ Neir architettura ebbe grandissimo giudizio, e mostrò di molto bene intendere quella professione : e ne può far ampia fede il palazzo che egli fece in Urbino al duca Federigo Feltro;* i cui spartimenti sono fatti con ' * Furono da lui incominciati nei 1-197, e due anni dopo dati finiti e rinetti coirajuto di maestro Giovanni di Stefano, scultore, e di Mariano di Domenico orafo. Essi stettero dapprima appesi alle colonne che sono presso l' altare mag- giore; poi furono collocati su questo, ai lati del tabernacolo del Vecchietta, per dar luogo a quelli che nel 1550 aveva gettati il Beccafumi. Gli angeli di Francesco sono di stile secco, d'un panneggiare tagliente e frastagliato, duri nelle movenze, e di forme ineleganti. Aveva fatto ancora pel Duomo, nel 1489, altri due mezzi Angioletti che sono appiccati ai fianchi del detto altare: e per le colonne, fece il modello di un Apostolo, che doveva servire a Giacomo Cozzarelli per gettare di bronzo i restanti. ^ t Qui il Vasari la sbaglia, perchè Francesco dice nel suo Trattato: « Non mi « determinavo a quello che la natura me inclinava, ma più volte mosso dalla « ragione fui per esercitarmi in qualche più vile e meccanica arte: sperando in « quella con minore peso di animo, se non di corpo, poter supplire alla necessità « del vitto mio ». ' *Dipinse per la chiesa dello Spedale, nel 1470, una storia nella tribuna; e nel 1471, una Incoronazione di Nostra Donna sul muro della cappelletta a capo dell'aitar maggiore. Pei monaci di Montoliveto, nella loro chiesa di San Benedetto, fuori di porta Tufi (monastero rovinato) fece, nel 1475, una tavola col Presepio, ctie ora è nella Galleria dell'Istituto di Belle Arti: nella quale è scritto: fran- ciscus GEORGii piNxiT. Essa fu pagata 50 fiorini. (V. Lettere Senesi, III, 505). Parimente si vede nella detta Galleria un'altra tavola molto grande, già nel monastero di Montoliveto di Chiusuri, che si dice di lui; nella quale è l'Incoro- nazione della Vergine, con moltissime figure. Queste pitture, di maniera secca ed alquanto crudetta, si risentono di quelli stessi difetti che abbiamo notati nelle sue sculture. ' * Questa opinione è stata contraddetta dai moderni scrittori con tanta forza di ragioni e di prove, che ormai non è alcuno che non la stimi falsa. Imper- ciocché certa cosa è che il palazzo d'Urbino fu incominciato nel 1447, cioè quando il nostro Francesco aveva otto o nove anni di età. Chiaro altresì è, che il duca Federigo, nell' innalzarlo, si servisse del disegno e del consiglio di maestro Luciano di Martino da Laurana nella Dalmazia, morto nel 1482, al quale ben si può conghietturare che succedesse Baccio Pontelli, già fin dal 1480 presso E LORENZO VECCHIETTO 71 belle e commode considerazioni; e la stravaganza delle scale, che sono bene intese e piacevoli più che altre che fussino state fatte insino al suo tempo. Le sale sono grandi e magnifiche; e gli appartamenti delle camere, utili ed onorati fuor di modo: e, per dirlo in poche pa- role, è così bello e ben fatto tutto quel palazzo, quanto al- tro che insin a ora sia stato fatto giammai. Fu Francesco grandissimo ingegnere,* e massimamente di macchine da. quel duca, (t Intorno alla parte che può avervi avuto il Pontelli vedi il Com- mentario alia Vita di questo artefice, nel tom. II, pag. 651). Oltre a ciò, non sono da tralasciare due altri argomenti in contrario: cioè, che Francesco di Giorgio non venne alla corte di Urbino se non intorno al 1477; e che lo stesso Francesco descrivendo nel suo Trattato le opere fatte da lui a quel duca, di que- sta del palazzo, che pure era magnifica cosa, e tale da acquistargli grandis- sima fama, non fa ricordo nessuno. Lo stesso è da dire del palazzo di Gubbio, che il Reposati, senza appoggio di prove, afferma per suo. Nel suo Trattato nes- suna opera d'architettura civile è ricordata, se non una stalla grandissima: ma il luogo suo è incerto. E che il Martini non fosse ai servigj del Montefeltro se non come ingegnere ed architetto militare, appare dal sapersi, che nel tempo della dimora di Francesco alla corte del duca Federigo, questi ordinasse molti ediflcj di fortificazione militare ; molta parte dei quali può ben essere che fossero disegnati e diretti dal Martini. Questi quattro sono certamente suoi; cioè: le ròcche di Cagli, del Sasso di Montefeltro, del Tavoleto e della Serra di Sant'Abbondio; le quali egli descrive nel suo Trattato. ' *Quanto valesse Francesco nell'arte dell'ingegnere, mostrò nel suo Trat- tato d'architettura civile e militare, e nell'abbondanza de'disegni di fortezze, di macchine, di edificj e di molti argomenti di guerra. Varj sono i codici di questo Trattato; tra i quali sono avuti in gran pregio il Magliabechiano, il Saluzziano ed il Senese, che alcuni hanno creduto autografo, quantunque di scrittura diffe- rente da quella che senza dubbio è di mano del Martini. Un libro di disegni d'architettura militare e di macchine guerresche, è nella Libreria Magliabechiana; e forse è quello che possedeva Cosimo de' Medici. Un altro è nella pubblica Li- breria di Siena. Il prof. Carlo Promis, compiendo il desiderio di molti insigni uomini del passato e del presente secolo, pubblicò in Torino, nel 1841, questo Trattato con un atlante di tavole; premettendovi la Vita dell'Autore cavata dai documenti trovati da Ettore Romagnoli senese, e pubblicati dal Gaye. Oltre a ciò, lo corredò di cinque importantissime Memorie, nelle quali con molta eru- duzione discorre: l'' Degli scrittori italiani di architettura militare, dal 1385 al 1560. 2^ Dello stato dell'artiglieria circa il 1500. 3^ Dello stato dell'architet- tura militare circa il 1500. 4^ Dell'origine de' moderni baluardi. 5^ Dell'origine delle moderne mine. Il signor Promis in queste ultime Memorie rivendica al no- stro Francesco di Giorgio il merito di essere stato il primo a ideare il baluardo, sebbene non avesse occasione di fabbricarlo: desumendolo da'suoi disegni, ove se ne veggono di più forme e maniere. Rispetto al terribile trovato della mina, lo stesso Promis, confermando il detto da altri, opina che molto probabilmente 72 rRANCESCO DI GIORGIO guerra; come mostrò in un fregio che dipinse di sua. mano nel detto palazzo d'Urbino, il quale è tutto pieno di simili cose rare appartenenti alla guerra/ Disegnò anco alcuni libri tutti pieni di così fatti instrumenti; il miglior de' quali ha il signor duca Cosimo de' Medici fra le sue cose più care.^ Fu il medesimo tanto curioso in cercar d' intender le macchine ed istrumenti bellici degli antichi, e tanto andò investigando il modo degli antichi anfiteatri e d'altre cose somiglianti,' ch'elleno furono cagione che mise manco studio nella scultura; ma non però gli furono ne sono state di manco onore, che le sculture gli potessino essere state. Per le quali tutte cose fu di maniera grato al detto duca Federigo; del quale fece il ritratto e in medaglia e di pittura; che quando se ne tornò a Siena sua patria, si trovò non sia da farsene autore il nostro Francesco. Ma noi in questo procediamo più riso- lutamente, affermando, colP appoggio d'una lettera scritta nel 1495 da Antonio Spannocchi oratore senese al papa, che senza dubbio Francesco di Giorgio fosse primo ad operare la moderna mina nel Castel dell'Uovo di Napoli; dove tornerà a molti nuovo che si trovasse, appunto in quell'anno 1495, il nostro Martini, t Dopo il Promis, il fu prof Antonio Pantanelli di Siena pubblicò una bella, diligente e copiosa Memoria intorno a questo artefice, intitolata Di Fran- cesco di Giorgio Martini pittore, scultore e architetto senese del secolo XV e dell'arte de' suoi tempi in Siena (Siena, Gati, 1870). * *I1 fregio rappresentante macchine militari ed edifirj meccanici non è, come dice il Vasari, dipinto, ma sibbene scolpito. Fu lavorato da Ambrogio Barocci da Milano, avolo di Federigo, chiaro pittore. Consta di 72 bassorilievi di marmo bianco che ornavano il murello in facciata, e furono nel 1756, per cura del le- gato cardinale Stoppani, tolti e collocati ne' corridoj superiori del palazzo. Monsignor Bianchini, che.illustrollo con 72 tavole, e con lunghe spiegazioni dettate in latino e poi voltate in italiano per uniformarle all'opera del Baldi, stabilisce autore della maggior parte delle figure espresse in quei bassorilievi Roberto Valturio, contemporaneo di Francesco. Ma il signor Promis prova che solamente la tredicesima figura è del Valturio : che cinque sono comuni a lui ed a Francesco; e che, infine, le altre sessantasei sono con sicurezza di que- st'ultimo. - *Vedi la nota 1, pag. antecedente. ' Egli stesso ne' suoi scritti assicura d' avere studiato in Roma i monumenti antichi, confrontando con questi i precetti di Vitruvio; e d'essere stato inoltre a Capua, a Perugia e in altri luoghi d'Italia. t Nella Magliabechiana è un ms. del volgarizzamento di Vitruvio, che si dice d'anonimo, ma che è scritto senza dubbio, e forse tradotto, dal Martini. E LORENZO VECCHIETTO 73 meno essere stato onorato che beneficato. Fece per papa Pio II tutti i disegni e modelli del palazzo e vescovado di Pienza/ patria del detto papa, e da lui fatta citta e del suo nome chiamata Pienza, che prima era detta* Corsignano; che furono, per quel luogo, magnifici ed onorati quanto potessino essere: e cosi la forma e la fortificazione di detta città; ed insieme il palazzo e loggia pel medesimo pontefice : ^ onde poi sempre visse onora- tamente, e fu nella sua città del supremo magistrato de' Signori onorato.' Ma pervenuto finalmente all' età di anni quarantasette, si morì.* Furono le sue opere in- torno al 1480. ' ' *Pio II dichiara apertamente ne' suoi CommentarJ, che architetto delle fab- briche di Pienza fu un Bernardo fiorentino. I più, tra' quali il Rumohr, hanno che il pontefice intendesse parlare del Rossellino. Me* il vedere che lo stile del palazzo di Pienza rassomiglia molto alle fabbriche che Niccolò V e Paolo II eressero in Roma, le quali è opinione che sieno architettate da un Bernardo di Lorenzo fiorentino, persona diversa dal Rossellino, ha fatto credere che anche quelle di Pienza sieno di questo. A Francesco di Giorgio attribuiscono gli eru- diti senesi quanto di meglio si fece di edifizj in Siena nell'ultima metà del se- colo XV : come il palazzo delle Papesse, ora Nerucci; quello de'Piccolomini, nipoti di Pio II, ora del Governo; quello degli Spannocchi; la chiesa di Santa Caterina in Fontebranda; quella della Madonna delle Nevi, e la Loggia di Pio II; ma senza nessun fondamento. Ed in quanto alla Loggia, sebbene il Vecchietta ne fa- cesse un modello, pur è certo che fu architettata da Antonio Federighi, scultore senese. t Per chiarissimi documenti è oggi provato che le fabbriche di Pienza fu- rono inalzate col disegno di Bernardo Rossellino, come meglio dichiareremo nelle note alla Vita di questo artefice. ^ In Siena. Senza una tale aggiunta, il Palazzo e la Loggia si crederebbero in Pienza. — t Ma forse è da credere degli edifizj di Pienza. ' *Per onorare le sue virtù, fu ammesso egli e la sua famiglia a godere i supremi onori della repubblica. Così, fu de' Priori nel 1485 e nel 1493. ' *La morte sua accadde nell'età di 66 anni, nel gennajo del 1502, ad un suo poderetto detto Volta Fighille; dove passò gli ultimi anni della sua vita mo-lta quietamente, spesso onorato e confortato dalla presenza di Pandotfo Petrucci , di Vannoccio Biringucci e del suo carissimo Cozzarello. Di Agnese Laudi lasciò quattro femmine, due delle quali maritate in Urbino, una in Siena, e la quarta vestita monaca tra le Gesuate; e tre maschi, Federigo che gli premori. Guido che poco stette a seguirlo e Lorenzo, il quale solo ebbe discendenza in una figliuola per nome Girolama, che noi crediamo ultima della sua casa, (t Vedi l'Alberetto de' Martini, a pag. 80). " *Era tanta la fama di Francesco nell'architettura militare, che i principi e signori d'Italia facevano a gara di richiederlo di consiglio, e di servirsi del- 74 FRANCESCO DI GIORGIO Lasciò costui suo compagno e carissimo amico, Iacopo Cozzarello, il quale attese alla scultura e all'architettura, e fece alcune figure di legno in Siena; e d'architettura Santa Maria Maddalena fuor della porta a Tufi, la quale l'opera sua ne'loro bisogni. Cosi, nel 1430, fu chiamato dal Prefetto di Roma, € da Virginio Orsino, pel quale disegnò tarocca di Campagnano: nel 1491, dai Lucchesi; e nel 1462, da Alfonso duca di Calabria. Parimente, volendo voltare la cupola del Duomo di Milano, fu con lettera dei fabbriceri e di Gian Galeazzo Sforza chiamato colà nel 1490; ed il consiglio suo, in quella difficile impresa, fu seguito in molta parte. Di un edifico certamente architettato da Francesco di Giorgio parla il Vasari nella Vita di Antonio da Sangallo : vogliamo dire (Iella chiesa della Madonna del Calcinajo, fuori di Cortona. Essa fu cominciata nel 1485. (Vedi Pinucci P. Gregorio, Mem. istor. della Madonna del Calci- najo presso Cortona). Nella sua città, prima che si portasse alla corte del duca d'Urbino, ebbe, dal 1469 al 1473, il carico di operajo delle acque e delle fonti: e ritornato in patria, fu con pubblico stipendio dichiarato architetto ed ingegnere del Comune. t Per conto della cupola del Duomo di Milano, Francesco di Giorgio andò colà alla fine del maggio 1490. Egli fece un modello di queir edifizio, che fu pre- sentato ed esaminato insieme con quelli di Giovanni Antonio Amedeo (o Omodeo), di Gio. Jacopo Dolcebono e di Simone de'Sirtori, nell'adunanza de' Consiglieri della Fabbrica tenuta il 27 luglio di quell'anno, e la conclusione fu che alla co- struzione della cupola dovessero intendere l' Omodeo, il Dolcebono e il Mar- tini. Ma il Martini a' 4 di luglio parti da Milano avendo avuto in premio delle sue fatiche 100 fiorini del Reno, una veste per sé ed una per il suo servitore. (Ved. Girolamo Calvi, Notizie de' Professori di Belle Arti che fiorirono in Milano sotto il (/overno de'Visconti e degli Sforza, "phvte II, p. 159-160). Mentre per questa cagione Francesco si trovava iu Milano, egli andò a Pavia insieme con Lionardo da Vinci a consigliare sopra l'edificazione della nuova cattedrale di quella città. Ritornato in patria, mandò un suo disegno nel celebre concorso aperto in Firenze nel 1491 per la facciata di Santa Maria del Fiore. Quanto alla cupola della chiesa del Calcinajo, essa fu architettata da Pietro di Dome- nico di Nozzo (e non di Norbo, come si legge nel Pinucci), legnajuolo ed inta- gliatore fiorentino nato nel 1451. Di questo artefice sappiamo che nel 1494 stimò il prezzo del lavoro dell'armario fatto ai canonici di San Lorenzo di Perugia da maestro Mariotto di Paolo detto Terzuolo da Gubbio, e che nel 1499 promise a' canonici di San Florido di Città di Castello di fare di legname il soffitto di tutta la navata della loro chiesa fino all'arcone della tribuna, ed ornarlo con rosoni a somiglianza di quello della sala del Consiglio nel Palazzo della Signoria di Fi- renze, per il prezzo di 500 ducati. (Ved. Giornale d' Erudizione Artistica: Fé- ragia, Boncompagni, 1872 a pag. 100). Tra gli edifizj civili fatti col disegno di Francesco di Giorgio noi possiamo aggiungere il palazzo del Comune di Jesi in- nalzato nel 1486, che si diceva architettato da Bramante; ed ancora quello del Comune di Ancona, che il Barnabei nella sua Cronica anconitana pubblicata dal prof. Ciavarini dice essere stato edificato col disegno avuto da un ingegnere del duca d'Urbino, che in quel tempo era Francesco di Giorgio, e non, come ha ■creduto il cav. Angelucci, Baccio Pontelli, il quale nel 1484, quando fu comin- E LORENZO VECCHIP]TIO 75 rimase imperfetta per la sua morte/ E noi gli avemo pm* qtiest'obligo, che da lui si ebbe il ritratto di Francesco sopradetto, il quale fece di sua mano." Il quale Francesco merita che gli sia avuto grande obhgo per aver facili- tato le cose d' architettura e reca^tole più giovamento che alcun altro avesse fatto da Filippo di ser Brunellesco insino al tempo suo. Fu sanese, e scultore similmente molto lodato, Lo- renzo di Piero Vecchietti: ^ il quale, essendo prima stato ciato questo palazzo, aveva da due anni abbandonato i servigj de' signori di Mon- tefeltro, e postosi sotto quelli di papa Sisto IV, e poi di Innocenzo Vili, come ingegnere ed architetto militare. (Vedi a questo proposito il Commentario alla Vita del Pontelli nel tom. II; Antonio Gianandrea, Il Palazzo del Comune di Jesi: Jesi, Ruzzini, 1877, in-8; e Angelo Angelucci, Il Palazzo del Co- mune di Jesi: Ancona, successori BalafS, 1860). Ma poi il cav. Angelucci con- fessò francamente d'essersi ingannato, e riconobbe che quel palazzo dovesse es- sere stato architettato da quel medesimo maestro che diede il disegno dell' altro di Jesi, tanta è l'eguaglianza che si riscontra in alcune parti tra questo e quello. (Vedi La Cria'ca, giornale di Torino, anno iv [1878], n° 35). Nella prima edi- zione si trova aggiunto quanto segue: «Ed acquistonne questo epitafBo: Quae struxi TJrbini acquata palatia coelo ; Quae sctclpsi et manibus plurima signa meù : III" fldem faciuntj ttt novi condere teda Affabre, et scivi seulpere signa bene. » ' * Giacomo di Bartolommeo di Marco Cozzarelli nacque in Siena il 20 di novembre del 1453, e vi mori nel 23 di marzo del 1515. Fu scolare e compagno di Francesco di Giorgio, e si ha memoria che egli lo seguisse, allorché andò ai servigj del duca d'Urbino. Fu valente nella scultura e nell'arte fusoria. Archi- tettò per Pandolfo Petrucci la chiesa ed il convento di Santa Maria Maddalena fuori della porta Tufi, distrutto nel 1526, ed ingrandì la chiesa dell'Osservanza e quella di Santo Spirito. Sue sono le bellissime campanelle di bronzo nella fac- ciata del palazzo del magnifico Pandolfo Petrucci. Nella scultura, citano gli scrit- tori senesi le statue poste al sepolcro del Petrucci, nella sagrestia della chiesa dell'Osservanza; che sono di terra: e il monumento di marmo di Jacopo Tondi, nell'atrio dello Spedale. Intagliò anche in legno; ed in Santo Spirito fece un San Vincenzo Ferreri, ed un San Sigismondo nella sagrestia della chiesa del Carmine. Fu architetto della Repubblica, e dell'Opera del Duomo, dalla quale, dopo la morte di Antonio Federighi, ebbe il carico d'istruire nel disegno alcuni giovanetti. ^ *I1 ritratto di Francesco di Giorgio non può il Vasari averlo avuto dal Cozzarelli, ma sibbene da' suoi eredi. ^ *Lorenzo di Pietro di Giovanni di Landò, detto il Vecchietta, nacque in- torno al 1412 in Castiglione di Valdorcia, terra dello Stato senese. Fu artefice universale. Dapprima pittore, poi orafo, quindi scultore ed architetto. I suoi la- 7G FRANCESCO DI GIORGIO orefice molto stimato, si diede finalmente alla scultnra ed a gettar di bronzo: nelle quali arti mise tanto studio, che, divenuto eccellente, gli fu dato a fare di bronzo il tabernacolo dell'aitar maggiore del duomo di Siena sua patria/ con quelli ornamenti di marmo che ancor vi si veggiono.' Il qual getto, che fu mirabile, gli acquistò nome e riputazione grandissima per la proporzione e grazia eh' egli ha in tutte le parti. E chi bene considera questa opera, vede in essa buon disegno, e che l'arte- fice suo fu giudizioso e pratico valentuomo. Fece il me- desimo, in un bel getto di metallo, per la cappella dei vori di oreficeria non sono più: come sarebbero alcune statue d'argento, che egli fece per la cattedrale. In quanto all' architettura, sebbene di lui non esista edifizio nessuno, nondimeno sappiamo dai documenti che la Repubblica senese 1» impiegò come ingegnere militare, e con questo carico fu mandato nel 1467 a Sarteano e nell'anno dopo a Orbetello e a Talamone per rivederne le rocche e a fare il modello di quella di Montacuto; e che nel 1460 fu a Roma per pre- sentare a Pio II un modello della loggia che quel pontefice aveva in animo d'in- nalzare nella sua patria, come dipoi fu fatto col disegno d'Antonio Federighi. (Vedi pag. 73, nota 1). Nella prima edizione, la Vita del Vecchietto è separata da quella di Francesco di Giorgio; e comincia cosi: « Egli si vede assai chia- « ramante per tutte le età passate, che in una patria non fiorisce mai uno artefice, « che molti altri, o minori o pari, non concorrano poco appresso; dando la virtù « di colui cagione di insegnare gli esercizj molto lodati a chi viene dipoi, e a quegli « stessi che adoperano di guardarsi dagli errori: essendo assai più che certo, che i « giudizj degli uomini sono quelli che dimostrano la bontà e la eccellenzia delle « cose, e conoscono il vero esser loro: per il che agevolmente si può ricevere da « essi cosi biasimo degli errori, come onore del portarsi bene. Questo adopera « la concorrenza: della utilità delia quale non intendo più ragionare: solamente « dirò, che i Sanesi ebbero in un tempo medesimo concorrenti assai loro artefici « molto lodati; infra i quali fu Lorenzo ». * *I1 tabernacolo di bronzo, che pesa 2245 libbre, e costò allo Spedale 1650 lire, fu cominciato dal Vecchietta nel 1465 e compito nel 1472, come di- cono queste parole scolpite nel suo piedistallo: opus • laurentii • petri • pictoris • ALIAS • VECCHIETTA DE SENis • MCCccLXXii. Qucsto tabernacolo stette nell' altare maggiore delia chiesa dello Spedale fino al 1506; nel qual anno Pandolfo Pe- trucci fecelo trasportare in Duomo, e mettere sul nuovo aitar maggiore, che di sotto alla cupola, dove era per 1' avanti, fu in quel tempo traslocato dove al presente si vede. Alcuni anni sono, fu dallo Spedale portata alla Galleria del- l' Istituto di Belle Arti di Siena una tela, nella quale, di mano dello stesso Vecchietta, è dipinto il detto tabernacolo, della stessa grandezza, ed a colori imitanti il bronzo. ^ *L' aitar maggiore del Duomo fu fatto nel 1532, col disegno di Baldas- sarre Peruzzi, com'è opinione di alcuni scrittori. E LORENZO VECCHIETTO 77 pittori sanesi nello spedale grande della Scala, un Cristo nudo, che tiene la croce in mano, d'altezza quanto il vivo: la qual opera come venne benissimo nel getto, cosi fu rinetta con amore e diligenza/ Nella medesima casa, nel Peregrinarlo, è una storia dipinta da Lorenzo, di colori;^ e sopra la porta di San Giovanni, un arco con figure lavorate a fresco.^ Similmente, perchè il battesimo non era finito, vi lavorò alcune figurine di bronzo; e vi finì, pur di bronzo, una storia cominciata già da Dona- tello. Nel qual luogo aveva ancora lavorato due storie di bronzo Iacopo della Fonte; la maniera del quale imitò sempre Lorenzo quanto potette maggiormente. Il qual Lorenzo condusse il detto battesimo air ultima perfe- ' *Neir archivio dello Spedale di Siena è una sua petizione del 20 dicembre 147G per costruire, nella chiesa di quel pio luogo, una cappella secondo il suo disegno; alla quale intendeva egli di fare il dono di un suo Cristo di bronzo, e d'una sua tavola da porsi dietro V altare. Il Cristo risorto, che ancora è allo Spedale, ha nello zoccolo questa iscrizione: laurentius petri pictor alias vecchietta de se- Nis MccccLxvi PRO SUA DEVOTiONE FEciT HOC OPUS. La tavola, che levata da quella cappella stette per lungo tempo a pie della scala che introduce alla in- fermeria superiore dello Spedale delle donne, fu alcuni anni fa trasportata, in molto cattivo stato, all' Istituto delle Belle Arti. Si legge in essa: opus laurentii PETRI ALIAS VECCHIETTA OB SUAM DEV0TI0NEM. i La petizione è pubblicata nel voi. II, pag. 368 de' già citati Documenti per l'Arte senese, insieme col suo testamento del 10 di maggio 1479. Ebbe il Vecchietta un fratello pittore chiamato Giovanni, che era già morto nel 1504. ^ *Le pitture fatte da lui allo Spedale della Scala sono le seguenti. Nel 1441, fece nel Pellegrinalo una storia, a capo dell'uscio comune, cioè una Madonna che piglia sotto la sua guardia varj fanciulli; e tre altre storie dei fatti di Tobia, sopra l'arco: opere già da molto tempo imbiancate: e nella chiesa, in sagrestia, 'un Crocifisso con san Giovanni e una Nostra Donna. Dipinse, nel 1445, nello stesso luogo, l'altare e l'armadio delle reliquie, tuttora esistente; nel 1446 le volte della detta sagrestia, una Nostra Donna di Misericordia ed un gonfalone per i fanciulli dello Spedale; e finalmente nel 1448 nelle pareti di detta sagre- stia fece dieci storie che più non sono. t Queste dieci storie nella sagrestia dello Spedale, detta la cappella del Sacro Chiodo, furono pochi anni fa liberate dal bianco che le ricopriva, e sono forse le migliori cose del Vecchietta. ' *I1 Vecchietta fu condotto nel 1450 a dipingere nella pieve di San Gio- vanni le faccie, le volte e le pareti. Ma delle sei volte di questa chiesa egli di- pinse solamente quella che è sopra la porta di mezzo, e gli archi corrispondenti; dove fece i dodici apostoli. Degli autori delle altre pitture abbiamo discorso nel Commentario alla Vita di Gentile da Fabriano a pag. 18. 78 FRANCESCO DI GIORGIO zione, ponendovi ancora alcune figure di bronzo gettate già da Donato, ma da se finite del tutto, che sono te- nute cosa bellissima/ Alla loggia degli Ufficiali in Banchi fece Lorenzo, di marmo, all'altezza del naturale, un San Pietro ed un San Paolo, lavorati con somma gra- zia, e condotti con buona pratica.^ Accomodò costui tal- mente le cose che fece, che ne merita molte lodi così morto come fece vivo.' Fu persona maninconica e soli- ' *Noi crediamo che del Vecchietta non sia nessuna opera nel fonte batte- simale di San Giovanni; perchè, come abbiamo detto alle Vite di Giacomo della Quercia, del Ghiberti e di Donatello, le storie e le statuette di ottone dorato furono fatte in parte da quelli artefici, ed in parte da Turino di Sano, da Gio- vanni suo figliuolo, e da Goro di ser Neroccio, orafi senesi. Solamente si trova che nel 1478 il Vecchietta racconciasse il pie ad uno dei putti d' ottone dorato che aveva gettati Donatello. E neppure crediamo che egli finisse alcune figure di quest'artefice fiorentino, perchè ne'libri dell'Opera del Duomo leggiamo pa- gamenti fatti a Donatello di lavori già finiti. t Le opere di oreficeria, fatte dal Vecchietta pel Duomo di Siena e non ricordate dal Vasari, furono nel 1474 le figure d'argento di San Bernardino e di Santa Caterina; nel 1475 quella di San Paolo, e nel 1478 l'altra di San Se- bastiano. ^ *Di queste due statue della Loggia degli Ufficiali della Mercanzia o di San Paolo, poi detta il Casino de' Nobili, quella del San Paolo fugli allogata nel 1458, e l'altra del San Pietro nel 1460; sotto la quale è scritto: opus laurentii petri picTORis. E queste statue furono poste colà, in luogo di quelle che poco innanzi aveva fatte Antonio Federighi; altro valente scultore senese, del quale sono le figure dei santi Vittore ed Ansano, che si veggono in quella loggia. ° * Altre opere del Vecchietta vogliono esser qui ricordate. Nel duomo di Pienza, all'altare del Sacramento, è la più bella opera di pittura che di lui si conosca, fatta nel 1461. In questa tavola è rappresentata l'Assunzione di Nostra Donna, circondata da un coro di angeli graziosissimi, che volando si compongono a un concerto musicale. Alla destra, san Pio papa e sant'Agata; sant'Agostino e santa Anastasia, a sinistra. In basso della tavola è una scritta col nome del pittore e l'anno, che essendo nascosta dal ciborio di marmo non potemmo leg- gere, ma che riportiamo cavandola dalle Biografie degli artisti senesi di Ettore Romagnoli (ms. nella Libreria pubblica di Siena), la quale dice: opus ■ lavrentii • PETRI • scvLPTORis • DE ■ SENis. Nel palazzo pubblico di Siena fece in fresco, nelle pareti laterali dell'arco che dalla sala grande mette nell'atrio della cap- pella, la figura di san Bernardino da Siena; sotto la quale si legge: opvs • lav- rentii- PETRi • SENENSis. In Firenze, la R. Galleria degli Uffizj ha una tavola alquanto deperita, primitivamente in forma di trittico, ora ridotta quadrata con moderna cornice. Oltre la Vergine col Bambino, sono alla destra sua san Bar- tolommeo e san Giacomo in piedi, ed uno de' re Magi in ginocchio: alla sinistra, sant'Andrea e san Lorenzo in piedi, san Domenico in ginocchio. Nei pilastri sono altri quattro santi, di piccole figure. In basso si legge questa scritta, ri- E LORENZO VECCHIETTO 79 tana, e che sempre stette in considerazione: il che forse gli fu cagione di non più oltre vivere, conciosiachè di cin- quantotto anni passò all'altra vita. Furono le sue opere circa r anno 1482. ^ dipinta sulle tracce antiche, quando si pretese di racconciare il quadro: opvs • LAVRKNTU • PETRI • SENENSIS MCCCCLVI. QUESTA TAVOLA LHA FATTA FARE GIA- COMO DANDRBUccio SETAIUOLO p. SUA DIVOZIONE. Questa tavola fu donata al granduca nel 1798 dalla signora Francesca Petrucci, senese. Nella chiesa della pieve di San Niccolò allo Spedaletto di Valdorcia, nel Senese, è una tavola cen- tinaia; nel mezzo della quale è una Nostra Donna seduta, col Divino Fanciullo in collo ; a sinistra, san Niccolò e san Floriano ; a destra san Giovan Batista e san Biagio. Nel gradino, in varj spartimenti, è 1' Annunziata, un miracolo di san Niccolò ed il martirio di san Biagio. A pie della tavola si legge : opus • LAURENTU • PETRi • DE • sENis. — Nella Galleria suddetta, nella stanza de' bronzi moderni, è di bronzo una molto bella figura giacente del senese giureconsulto Mariano Sozzino il vecchio, che fu data a fare al Vecchietta nel 1467, a spese della città, per porla sul sepolcro che a lui volevasi erigere in San Domenico. (Vedi Panciroli, De claris juris interpr elibus). Lavorò il Vecchietta anche di terra cotta. Così le antiche Guide ricordano una sua Pietà, nella chiesa dell' ab- badia di San Michele; riella quale era scritto: noe opus fecit laurentius d. VECCHIETTA PRO SUA DEV0TI0NE. t Ricorderemo ancora tra le opere del Vecchietta che in Narni è nella se- conda cappella del Duomo una statua sedente, scolpita in legno che rappresenta Sant'Antonio abate, nella cui base si legge : Opvs Laurentii Petri, alias Vec- chietta de Senis A- mcccclxxv; e nella chiesa di San Bernardino della medesima città, un' altra statua parimente di legno, figurante san Bernardino, colla scritta nella base: Opus Laurentii Petri pictoris Senensis. (Ved. M. Guardabassi, Indice-Guida ecc., pag. 134 e 138). ' *Fece testamento, come è detto, ai 12 di maggio del 1479. Pongono i pas- sati scrittori la sua morte nel 1482. Ma noi coU'ajuto di certissimi documenti possiamo affermare essere avvenuta il 6 di giugno del 1480. Onde manifesta- mente erra il Vasari, non tanto dicendo le opere di lui essere state circa il 1482, quanto ancora coli' affermare che la morte lo cogliesse a cinquant'otto anni. Im- perciocché, dato per sicuro, come difatto è, che nel 1480 il Vecchietta morisse, si troverebbe, risalendo per cinquant'otto anni, che egli fosse nato nel 1422. La qual cosa è falsa, per la ragione che il suo nome è nel ruolo dei pittori senesi ascritti all'arte nel 1428. Non veggiamo, dunque, miglior modo a comporre que- sta difficoltà, che congetturare, molto ragionevolmente, al nostro vedere, che i cinquant'otto anni assegnati alla vita del Vecchietta siano un errore di stampa; il quale debba emendarsi sostituendovi il sessant' otto: e cosi, invece del 1422, si troverebbe il 1412 essere l' anno della nascita del Vecchietta. 80 "o O o CESCO ) ì 1502 nel 1169 i Antonio etto Lane o 3 FRAN n. 113 moglie Agnese t di Bened o m H p:; p; p rt =.S R^S a tì. o o a) S S'È -E e 5 fi 5 <- t; K o o es t O e Q) o ce z O 3 H cSc? 2 r T o ORENZO detto ECCHIET e. scultore e 412 (?) t MS mogli , d'Angelo di da Tocchi . di maestro ( ole legnajuol O Sa| g , 5 a o S g J ^ SS- 1—* ^ ri rf'^ ,o u 2 ri fe fe ^ ° - lEO ento e pedale la. tó ti ri o ?5 _ r7) o H ARTOL prete fa tesi 3de lo la di 1 a o Ser B :1 1507 icia eri Ila Sca ^ zJ-S H tó O K^ ViSABi, Opere. — Vul. IH. 83 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI FRANCESCO DI GIORGIO 1439, 23 settembre. Nasce in Siena da Giorgio di Martino poUajuolo. 1464. È operajo, con Paolo d'Andrea, de' bottini o condotti sotterranei delle acque. 1464. Per la Compagnia di San Giovan Battista della Morte fa di rilievo la figura di quel Santo. 1467. Sposa Cristofana di Cristofano da Campagnatico. 1468. Piglia per seconda moglie Agnese d'Antonio Landi dal Poggio Mala volti, nobile senese. 1469-70. È tuttavia operajo de' bottini. 1469. ottobre. Disegna e dipinge la veduta di Monte Vasone. 1471, 19 febbrajo. È multato di venticinque lire per essere entrato di nottetempo violentemente insieme con altri nel fortilizio di San Lio- nardo di Lecceto. 1471. Dipinge una storia nella tribuna della chiesa dello Spedale di Santa Maria della Scala. 1471. Per Montoliveto Maggiore, o di Cliiusuri, dipinge la tavola della Incoronazione, ora nella Galleria dell'Istituto di Belle Arti. 1472, 23 giugno. Cessa dall'ufficio d' operajo de' bottini. 1475. Dipinge una tavola col Presepio per la chiesa di San Benedetto de' monaci Olivetani fuori della Porta a Tufi. 1475, 6 luglio. Avendo disputa esso e Neroccio Landi pittore nel dividere la loro compagnia all'arte, si rimettono all'arbitrato di Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, e di Sano di Pietro, pittori senesi. 1476, 23 maggio. In compagnia del detto Sano di Pietro loda alcuni la- vori di pittura, fatti da Neroccio Landi a Bernardino Nini, cioè un tabernacolo con una Nostra Donna, un pajo di cofani con storie messi a oro, e una lettiera. 84 PROSPETTO CRONOLOGICO ecc. 1477. Va ai servigj di Federigo duca d'Urbino. 1477, 8 novembre. Sua petizione alla Signoria di Siena per fare un ponte 0 cavalcavia tra la sua casa in contrada San Giovanni e una ca- setta nel chiasso di Ghiacceto. 1478. È nel campo de' collegati all' assedio de' castelli del Chianti. 1478, 26 luglio. Federigo duca d' Urbino lo manda dal campo alla Signoria di Siena. 1480, 26 luglio. Il duca lo raccomanda con sua lettera alla Repubblica. 1481, 21 giugno. Altra lettera dello stesso per il medesimo effetto. 1481, Denunzia de' suoi beni e della sua famiglia. Aveva cinque femmine ed un maschio. 1482, 2 settembre. Manda da Urbino il disegno dell'armatura per rial- zare il tetto della chiesa di San Francesco di Siena. 1483, 7 settembre. Scrive alla Repubblica di Siena per discolparsi d' un'ac- cusa calunniosa. 1484, giugno. Da Gubbio va a Cortona per fare il modello della chiesa del Calcinajo. 1484. Disegna il nuovo palazzo del Comune di Ancona. 1485, 21 ottobre. Va con Antonio Barili a rivedere il ponte di Macereto. 1485, 19 dicembre. È richiamato in patria con deliberazione pubblica. 1485, 26 dicembre. È condotto come ingegnere agli stipendj della Re- pubblica di Siena. 1486. Risiede tra i Priori per il Terzo di San Martino ne' mesi di gen- najo e di febbrajo. 1486. Dà il disegno del nuovo palazzo, del Comune di Jesi. 1487, 10 maggio. È eletto potestà di Portercole, ma se ne scusa per mezzo del duca Guidubaldo da Urbino. 1487, 30 luglio. È chiamato a fortificare Casole. 1487, 8 ottobre. Va a Chianciano mandato dalla Repubblica di Siena IDcr comporre le liti tra i Chiancianesi e i Montepulcianesi. 1487, novembre. Sono approvati i lavori fatti fare da lui e dal Barili al Ponte a Merse. 1487. È mandato commissario in Maremma con Paolo Salvetti. 1487. Nuova denunzia de' suoi beni. Ha sei figliuoli, due maschi e quattro femmine. 1487. Il Comune di Siena gli concede la fonte di Follonica con le sue ragioni. 1489, 28 gennajo. Sua lettera alla Balìa di Siena, ragguagliandola delle pratiche segrete di Lorenzo il Magnifico con papa Innocenzo VIII. 1489, 10 luglio. Gli sono allogati per l'aitar maggiore del Duomo due mezzi angioletti di bronzo per bracciali. DI FRANCESCO DI GIORGIO 85 1489. Domanda di sgomberare il lago della Bruna in Maremma, dopo la rovina del gran muraglione innalzatovi. 1490, 20 marzo. È richiesto alla Balìa di Siena, per fortificare la terra di Liicignano nella Val di Chiana. 1490, 19 aprile. Il duca Gian Galeazzo Sforza scrive alla Signoria di Siena, perchè conceda a Francesco di andare a consigliare circa il voltare la cupola di quel Duomo. 1490, maggio. Va a Milano, e presenta un modello di quell'opera. 1490, giugno. Da Milano va a Pavia con Lionardo da Vinci per consi- gliare sopra la nuova cattedrale di quella citta. 1490, luglio. Torna da Milano a Siena ricolmato di elogj e di doni dal duca e dai Consiglieri del Duomo. 1490, 22 agosto. La Repubblica di Siena prega il duca d'Urbino a ri- mandarlo in patria. 1490, 24 ottobre. Da Giovanni della Rovere è richiesto alla Signoria di Siena, che glielo nega. 1490, 4 novembre. Virginio Orsini lo domanda alla Repubblica per for- tificare il suo castello di Campagnano e gli è concesso. 1491, 5 gennajo. Manda un disegno al concorso aperto in Firenze per la nuova facciata di Santa Maria del Fiore. 1491, febbrajo-maggio. A richiesta del duca di Calabria va nel Regno. 1491, 31 maggio. Ritorna a Siena. 1491, 13 agosto. Va a Lucca, richiesto da quegli Anziani alla Signoria di Siena. 1492, gennajo. La Repubblica di Siena si scusa di non poterlo mandare al duca di Calabria, per essere occupato negli acquedotti della cittk e nel lavorìo del lago della Bruna. 1492, 18 marzo. Dal duca Guidubaldo d' Urbino è richiesto alla Signoria di Siena. 1492, 7 luglio. La Signoria gli scrive a Napoli, che ritorni a Siena per provvedere alle acque nella festa di Santa Maria d'agosto. 1492, 14 settembre. Istanze della Signoria al duca di Calabria, perchè sia rimandato a Siena. 1492, 25 novembre. Il duca scusa il Martini dell'indugio a ritornare, e prega che non gli sieno tolti l' ufficio e la provvisione. 1492, 4 dicembre. La Signoria scrive a Francesco che torni x^er provve- dere alla rovina del lago suddetto. 1493, marzo. Richiesto dal duca di Calabria si scusa di non andare per una indisposizione. 1493, aprile. Nuovamente pregato dalia Signoria, si ostina di non voler partire. 86 PROSP. CRONOL. ECC. DI FRANCESCO DI GIORGIO 1493. Risiede nel supremo magistrato pei mesi di settembre e di ottobre, 1493, 18 dicembre. E mandato a Montepi^lciano per rassettare la joianta de' confini. 1494, 14 febbrajo. Ha licenza d'andare a Napoli. 1495, Essendo nel campo degli Aragonesi, mette in opera la prima volta la mina nell'assedio del castello dell'Uovo di Napoli. 1497, 24 febbrajo. Gli è ordinato di non uscire dallo Stato, pena l'arbi- trio, ed è mandato a rivedere le fortezze di Val di Chiana. 1498, 7 gennajo. È eletto capomaestro del Duomo. 1498, agosto. Gli è pagato il px-ezzo degli angioletti di bronzo fatti per l'aitar maggiore del Duomo di Siena. 1499, 10 aprile. È rimborsato delle spese fatte nella sua andata a Monte- pulciano per l'accordo tra i Fiorentini e i Senesi, e per la distru- zione della bastia di Valiano. 1499, 30 aprile. Gli sono rifatte le spese del suo ritorno a Siena da Ur- bino , dove era andato per fortificare quello Stato contro il Va- lentino. 1499, 2'8 settembre. Altro pagamento fattogli per i suddetti angioletti. 1501, 27 maggio. Gli è concesso di star fuori di Siena presso il Prefetto del Patrimonio. 1501, 13 novembre. La Balìa gli stanzia una somma per sua xorovvisione e per essere stato in campo. 1502, febbrajo. Muore. 87 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI LORENZO DETTO IL VECCHIETTA 1412. (?) Nasce da Pietro di Giovanni di Landò da Castiglione di Valdorcia nel territorio di Siena. 1428. È ascritto alla Compagnia de' Pittori di Siena. 1439. Colorisce le figure di legno dell' Annunziata e dell' angelo per l'ai- tar maggiore del Duomo di Siena. 1441. Per lo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena dipinge una storia a capo dell'uscio comune, un Crocifisso con Maria Vergine e san Giovanni nella cappella della sagrestia, e tre storie di Tobia a capo dell'arco del Pellegrinalo. 1442. Intaglia di legno e colorisce la figura d'un Cristo risorto per l'al- tare maggiore del Duomo di Siena. 1445. Dipinge venticinque piccole storie negli sportelli dell' armario delle reliquie e l' altare della sagrestia grande della chiesa dello Spedale suddetto. 1446. Pitture delle volte della detta sagrestia, d'una Nostra Donna di Misericordia sopra la pila, e d'un gonfalone per i fanciulli dello Spedale predetto. 1449. Compisce le dieci storie del Vecchio e Nuovo Testamento dipinte nelle pareti della suddetta sagrestia. 1449, 18 giugno. Rimette all'arbitrato di maestro Stefano di Giovanni Sassetta pittore ogni vertenza che per le dette pitture della sagre- stia aveva collo Spedale. 1450. Dall' Operajo del Duomo è condotto a dipingere nelle volte, facce e pareti della chiesa di San Giovanni. 88 PROSPETTO CRONOLOGICO ecc. DEL VECCHIETTA 1452, 12 dicembre. In compagnia di Sano di Pietro dà il lodo della pit- tura fatta alla Porta Romana da Stefano di Giovanni Sassetta. 1457. Tavola con la Madonna e vai'j santi nella Galleria degli Uffizj di Firenze. 1460, marzo. Porta a Roma un suo modello per la loggia che Pio II in- tendeva d' innalzare in Siena. 1460, 3 aprile. L'Operajo del Duomo gli alloga le statue di marmo di San Pietro e San Paolo per la loggia degli Ufficiali della Mercanzia, 1460. Dipinge una Santa Caterina ed un San Bernardino da Siena nella sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico. 1461. Tavola dell' Assunzione nella cattedrale di Pienza. 1465. Statua di legno d'un Sant'Antonio seduto, nella cattedrale di Narni, e d' un San Bernardino nella chiesa di questo nome in detta città. 1467-68. Fa i modelli delle fortezze di Sarteano , di Orbetello e di Mon- taguto. 1467. Statua di bronzo giacente di Mariano Sozzino il vecchio, ora nel Museo Nazionale di Firenze. 1471. Croce d'argento per la chiesa di Montoliveto Maggiore. 1471. Dà il lodo in una controversia tra Urbano di Pietro da Cortona, scul- tore, e Bastiano di Francesco scarpellino da Siena. 1473. Statua d'argento di Santa Caterina per l'altare maggiore del Duomo. 1475. Altra statua di San Paolo pel detto luogo. 1476, 20 dicembre. Supplica, perchè gli sia concesso di fare una cappella nello Spedale di Siena. 1476. Figura di bronzo del Cristo risorto per la cappella predetta. 1478. Statua d'argento di San Sebastiano per l' aitar maggiore del Duomo. 1478. Acconcia un bambino d'ottone del fonte battesimale di, San Gio- vanni. 1479. Tavola di Nostra Donna e varj santi, già nello Spedale ed ora nell'Istituto di Belle Arti di Siena. 1479, 10 maggio. Fa testamento, e lascia erede lo Spedale della Scala di Siena. 1480, 6 giugno. Muore ed è sepolto nello Spedale. 89 GALASSO GALASSI PITTORE FERRARESE ' ( N'ato circa il 1423 ; morto nel 1473 ) Quando in una città, dove non sono eccellenti arte- fici, vengono forestieri a fare opere, sempre si desta l'in- gegno a qualcuno, che si sforza di poi, con l'apprendere quella medesim'arte, far sì che nella sua città non ab- biano più a venire gli strani per abbellirla da quivi in- nanzi e portarne le facultà; le quali si ingegna di me- ritare egli con la virtù, e di acquistarsi quelle ricchezze che troppo gli parsono belle ne' forestieri. Il che chia- ramente fu manifesto in Galasso ferrarese:^ il quale, ' Questa Vita di Galasso trovasi soltanto nella prima edizione, ed è posta, come qui, tra quelle di Francesco di Giorgio e del Rossellino. Nella seconda il Vasari la omise, avendo riCerite le cose più importanti, che in questa si leg- gono, alia fine della Vita di Niccolò aretino scultore; ove, secondo l'ordine cro- nologico, son meglio collocate. Noi, peraltro, abbiamo creduto di non doverla tralasciare, perchè abbiamo finora riportato molti preamboli di Vite e altri pezzi che s' incontrano nella prima e non nella seconda edizione. ^ ' Vuole il Tiraboschi che Galasso e Gelasio possano essere una sola per- sona: con che verrebbe a confondere un Gelasio di Niccolò, vivente nell'anno 1242, col nostro Galasso Galassi, vissuto due secoli dopo. Né, come osserva il Frizzi (Meni, per la Stor. di Ferrara), è da confondere il nome di Galasso, alterato di Galeasso, con quello di Gelasio. Resta poi a sapere con qual ragione, da alcuni scrittori, questo antico pittore fosse chiamato Galasso Alghisi, quando nessuna memoria lo attesta. Una tavola recentemente acquistata dalla Pinacoteca di Fer- rara, dov'è figurato il Padre Eterno, ha nel fondo la marca G. G., ed un'altra tavoletta nella raccolta Constabiliana, colla Visita de' Re Magi, porta scritte nella coscia di un cavallo le lettere G. G. : opere ambedue che han tutti i caratteri 90 GALASSO GALASSI veggendo Pietro dal Borgo a San Sepolcro rimunerato da quel duca dell'opere e delle cose che lavorò, ed oltre a ciò onoratamente trattenuto in Ferrara; fu per tale esempio incitato, dopo la perdita di quello, di darsi alla pittura talmente, che in Ferrara acquistò fama di buono ed eccellente maestro. La qual cosa lo fece tanto più grato in quel luogo, quanto nello andare a Vinegia im- parò il colorire a olio, e lo portò a Ferrara:* perchè fece poi infinite figure in tal maniera, che sono per Fer- rara sparse in molte chiese. Appresso venutosene a Bo- logna, condottovi da alcuni frati di San Domenico, fece ad olio una cappella in San Domenico: e cosi il grido di lui crebbe insieme col credito.^ Perchè appresso que- sto lavorò a Santa Maria del Monte, fuor di Bologna, della maniera di Galasso. (Vedi le Annotazioni alle Vite degli Artefici Fer- raresi del Baruffaldi, edite per cura di G. Boschini. Ferrara, coi tipi di D. Tad- dei, 1844-48). t Galasso fu figliuolo d'un Matteo calzolajo. Il suo nome apparisce ne'libri di spese della casa d'Este dal 1450 al 1453, nel qual tempo egli dipingeva nel palazzo di Belriguardo: nel 1455 fece il ritratto del cardinale Bessarione e di- pinse per lui una tavola coH'Assunzione nella chiesa di Santa Maria in Monte di Bologna. Quanto alla tavoletta della Visita de' Magi, essa dalla Galleria Gon- stabili passò in Inghilterra, ed oggi è nella raccolta Bromley. (Vedi Groavb e Cavalcasblle, History of painting in North Italy , voi. I, pag. 514). ' *In Ferrara pare che introducesse il colorire a olio Ruggiero di Bruggia, e lo insegnasse a varj, e, tra questi, a Galasso e ad Angelo Parrasio, senese; del quale si legga quello che dice il Lanzi, riportando il testimonio di Ciriaco Anconitano. Il Vasari però, nella Vita di Niccolò di Piero d'Arezzo, mostra di dubitare se veramente Galasso lavorasse a olio. t Angelo pittore senese, che Ciriaco Anconitano chiama Parrasio con uno de'soliti epiteti laudatorj e pomposi de'suoi tempi, fu figliuolo di Pietro Macagnini, orefice. Costui per avere ammazzato nel 1439 uno da Camerino, corse pericolo d'essere impiccato; ed in suo favore vi sono lettere caldissime della Repubblica di Siena al cardinale Vitelleschi legato di Viterbo e ad altri cardinali. Andato poi a Ferrara, fu alla corte di que' Signori, e lavorò per loro varie cose del- l'arte sua, tra le quali ricorda Ciriaco le nove Muse nel palazzo Belfiore, di- pinte a olio secondo la maniera fiamminga. Mori maestro Angelo in Ferrara a' 5 d'agosto del 1456. (Ved. G. Milanesi, Scritti varj sulla Storia dell'Arte Toscana. Siena, tip. de' Sordo-Muti, 1873, pag. 53). - *Pietro Lamo, che scrisse una Guida di Bologna nel 1560, non nomina pitture di Galasso nella chiesa di San Domenico di Bologna. (Lamo, Graticola di Bologna, ossia descrizione delle pitture, sculture e architetture di detta città ecc. Bologna, 1844, in-8). GALASSO GALASSI 91 luogo de' Monaci neri, e fuor della porta di San Mammolo, molte pitture in fresco:* e così alla Casa di Mezzo, per questa medesima strada, fu la chiesa tutta dipinta di man sua ed a fresco lavorata; nella quale egli fece le storie del Testamento vecchio.^ Visse sempre costuma- tissimamente, e si dimostrò molto cortese e piacevole; nascendo ciò per lo essere più uso fuor della patria sua a vivere e ad abitare, che in quella.^ Vero è che, per non esser egli molto regolato nel viver suo, non durò molto tempo in vita; andandosene, di anni cinquanta* ' *i< Di tutto il tempio della Madonna del Monte non rimane che la rotonda, « dipinta da Giovan Batista Cremonini di Cento, non visibile all'esterno, perchè ■ « dal cav. Antonio Aldini, ministro segretario di Stato sotto il Governo Italiano, « venne compresa nel superbo palazzo ch'egli fece innalzare colla intenzione di « farne un presente all'Imperatore Napoleone. Galasso aveva dipinto in una cap- « pella fatta erigere dal cardinal Bessarione nel 1450, e della quale ora non ri- « mane vestigio ». (Annotazioni alle Vite del Baruffaldi sopra citate). In essa era dipinta un'Assunzione di Maria Vergine, con i ritratti del cardinal Bessarione Legato a Bologna in quell'anno, e di Niccolò Perotto, suo segretario. Lo Sgarzi però vuole che quelle pitture fossero di un Gelasio. {Memorie storiche della chiesa del Monte. Bologna, 1841). ^ *La Casa di Mezzo oggi si chiama la Madonna di Mezzaratta. Qui il Vasari dice che fu dipinta in fresco tutta di mano di Galasso ; mentre nella Vita di Nic- colò di Piero dice che, insieme con Galasso, vi lavorarono più altri artefici. Ma Galasso ne debb' essere escluso; perchè, morto nel 1488 (V. qui sotto la nota 4), non poteva lavorare a concorrenza degli altri nel 1404. Quel Galam, che nel 1390 operava in quella chiesa, non può esser certamente Galasso Ferrarese. * * Altre opere in Ferrara e in Bologna sono a Galasso attribuite ; delle quali chi volesse far riscontro e certificarsene, potrà vederle enumerate dal BarufFaldi e dai moderni suoi annotatori. ' *I1 Baruffaldi conghiettura che l'età sua non fosse minore di 65 anni, fat- tone il computo dall'anno 1404, quando dipinse in Santa Maria di Mezzaratta, nel qual tempo non poteva avere meno di 20 anni, fino all'anno 1455, quando lavorava in Santa Maria a Monte pel cardinal Bessarione. Ma noi abbiamo ve- duto più sopra (nota 2) che Galasso non solo non dipingeva nel 1404, ma non era neppure nato. Quando Galasso cessasse di vivere, si ha preciso dal Lamo stesso; il quale ci dice che egli mori di morbo l'anno 1488. Questa notizia, ve- nutaci da un autore che scriveva, per lo meno, nei medesimi tempi del Vasari, è degna di fede; tanto più che non contrasta coi fatti. {Graticola di Bologna cit. , pag. 16). Tenendo per ferma la età di circa cinquant' anni, come gli assegnali Vasari, e per altrettanti dal 1488 risalendo indietro, si verrà a stabilire la na- scita di Galasso nel 1438 o in quel torno. t Ma oggi è provato che egli mori invece nel 1473. Ved. Luigi Napoleone Cittadella, Ricordi e documenti intorno alla vita di Cosimo di Tura, detto 92 GALASSO GALASSI o circa, a quella die non ha fine: onorato dopo morte, da un amico, di quest'epitaffio:* Galassiis Fekbariensis Sum tanto studio naturam imitatus et arte, Dum pingo rerum quae creai illa parens; Haec ut saeiye qiiidem non pietà putaverit a me, A se crediderit sed generata magis. ^ In questi tempi medesimi fu Cosmè,^ in Ferrara pure; del quale si vedono, in San Domenico di detta città, una cappella, e nel duomo duoi sportelli, che serrano l'organo di quello. Costui fu migliore disegnatore che pittore; e, per quanto io ne abbia potuto ritrarre, non dovette dipinger molto. Cosmè ecc. (Ferrara, Taddei, 1869). Noi dunque diremo che se mori nel 1473, e nella sua età di 50 anni, egli era rato circa il 1423. Che Galasso abbia dipinto nella chiesa di Mezzaratta lo farebbero credere alcuni avanzi di affreschi che cei'- tamente non sono anteriori al 1470, e arieggiano assai la sua maniera. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, op. cit. , I, 514). ' Il Malvasia rimprovera acremente il Vasari per aver parlato si poco di Galasso e di Cosmè, e di averli nella seconda edizione messi in un fascio con altri due pittori ferraresi, per coda e termine della ben lunga Vita dello scul- tore suo paesano ; quasi che quelli fossero artefici di poco conto. Il Bottari però rileva, che il mordace riprensore, cui toccava a supplire al difetto del Vasari, non ha fatto meglio di lui. Le giustificazioni del Biografo aretino contro somi- glianti rimproveri si trovano da esso medesimo dettate al principio e al fine della Vita di Vittore Carpaccio, che leggesi più sotto. ^ *A questo pittore il Bai-uffaldi attribuisce il caso descritto nella satira dell'Ariosto a messer Annibale Malaguzzo, nella quale mostrò quanto sia ma- lagevole il serbare la moglie pudica. Da ciò il prof. Rosini dedusse, che Galasso fosse stato contemporaneo al poeta ferrarese, mentre questi era nato soli quat. tordici anni innanzi la morte di quel pittore. Oltreché, bastava osservare che, per parlar di Galasso, l'Ariosto non aveva bisogno cli'ei fosse vivo: ed in fatti il poeta l'accenna dicendo: Fu già un pittar ecc. ' *Di Cosmè, ossia Cosimo Tura, vedi le notizie nel nostro Commentario alla Vita di Niccolò di Piero d'Arezzo (tom. II, pag. 143-45). 93 ANTONIO EOSSELLINO SCULTORE FIORENTINO ^ (Nato nel 1427; morto circa il 1-179) E BERNAEDO SUO FRATELLO SCULTORE E ARCHITETTO FIORENTINO (Nato nel 1109; morto nel 1161J • Fu veramente sempre cosa lodevole e virtuosa la mo- destia, e l'essere ornato di gentilezza e di quelle rare virtù che agevolmente si riconoscono nell' onorate azioni d' Antonio Rossellino scultore ; * il quale fece la sua arte con tanta grazia, che da ogni suo conoscente fu stimato assai più che uomo, ed adorato quasi per santo, per quelle ottime qualità eh' erano unite alla virtù sua. Fu chiamato Antonio, il Rossellino dal Proconsolo, perchè e' tenne sempre la sua bottega in un luogo che così si chiama in Fiorenza." Fu costui sì dolce e sì delicato nei suoi lavori, e di finezza e pulitezza tanto perfetta, che la maniera sua giustamente si può dir vera e veramente chiamare moderna. Fece nel palazzo de' Medici la fon- tana di marmo che è nel secondo cortile; nella quale sono alcuni fanciulli che sbarrano delfini che gettano acqua ; ed è finita con somma grazia e con maniera di- ' Fu da Settiguano e detto anche del Borra. Egli era di cognome de'Gambe- l'elii, e figliuolo di Matteo di Domenico. Nacque nel 1427, come si ritrae dalla sua denunzia del 1457, pubblicata dal Gaye (I, 188); dalla quale abbiamo ca- vato l'Alberetto genealogico posto a pag. 105. ^ L'uffizio del Proconsolo, ossia dell'Arte de' Giudici e de'Notaj, era sul canto formato dalia via di questo nome e da quella de'Pandolfini. 94 ANTONIO ROSSELLINO ligentissima/ Nella chiesa di Santa Croce, alla pila del- l' acqua santa, fece la sepoltura di Francesco Nori, e sopra quella una Nostra Donna di bassorilievo:' ed un'altra Nostra Donna in casa de' Tornabuoni; ^ e molte altre cose, mandate fuori in diverse parti ; siccome a Lione di Fran- cia una sepoltura di marmo. A San Miniato a Monte, monasterio de' monaci bianchi,* fuori delle mura di Fio- renza , gli fu fatto fare la sepoltura del cardinale di Por- togallo; la quale sì maravigliosamente fu condotta da lui, e con diligenza ed artifizio così grande, che non s'imagini artefice alcuno di poter mai vedere cosa al- cuna, che di pulitezza o di grazia passare la possa in maniera alcuna. E certamente a chi la considera pare impossibile, non che difficile, ch'ella sia condotta così; vedendosi in alcuni angeli, che vi sono, tanta grazia e bellezza d'arie, di panni e di artifizio, che e' non paiono ' Quesla fontana non è più nel cortile del palazzo Medici, ora detto Ric- cardi; e non sappiamo ove sia stata trasportata. t Noi crediamo che questa fonte sia ora nella R. Villa di Castello, nel mezzo d'un piccolo prato al lato destro del palazzo. Essa è formata da un'ampia tazza rotonda, sotto il cui labbro gira un fregetto composto da putti e da delfini in schiacciato rilievo, ed è sorretta da un fusto elegantissimo, terminante in un piede triangolare. I putti che sbarravano delfini, sorgenti dal mezzo della tazza, non vi sono più; nel luogo loro è stato sostituito modernamente un altro gruppo. Neil' annotare la Vita di Donatello ( tom. II, pag. 407, nota 4) l'attribuimmo a lui, non bene considerando che la fontana fatta da Donatello e posta in mezzo al primo cortile del palazzo Medici era di porfido, mentre l'altra scolpita da Antonio Rossellino era di marmo di Carrara, e nel secondo cortile di quel palazzo. ^ *É nel pilastro di faccia al monumento di Michelangelo. Dentro una man- dorla, posta sotto un padiglione, siede Maria Vergine col Bambino sulle ginoc- chia. Francesco Nori fu ucciso in Duomo da Giovanni Bandini il 1478, nella congiura de' Pazzi ; ma egli s'era ordinato il monumento da vivo. (Vedi a pag. 97 la nota 1). All'arme di bronzo, che fu rubata insieme con tant' altre, ne fu sostituita una di marmo. Il Fantozzi e il Moisè danno questa scultura a Bernardo Rossellino: ma erroneamente, che il Vasari dice chiaro esser opera d'Antonio; e ne abbiamo una testimonianza più antica nel più volte citato Ale- moriale dell' Albertini. ' Di questo non possiamo dare notizia veruna. ' I monaci non vi son più, e la chiesa non è uffìziata regolarmente, stando gran parte dell'anno chiusa. La sepoltura del cardinale di Portogallo è ottima- mente conservata. Se ne vede il disegno nell'opera del dottor Giuseppe Gon- nelli : Monum. Sepolc. della Toscana, tav. xxiii. E BERNARDO SUO FRATELLO 95 più di marmo, ma vivissimi. Di questi Tmio tiene la corona della verginità di quel cardinale, il quale si dice che morì vergine; l'altro, la palma della vittoria che egli acquistò contra il mondo. E fra le altre cose arti- fiziosissime, che vi sono, vi si vede un arco di macigno che regge una cortina di marmo aggruppata tanto netta, che, fra il bianco del marmo ed il bigio del macigno, ella pare molto più simile al vero panno che al marmo. In su la cassa del corpo sono alcuni fanciulli veramente bellissimi, ed il morto stesso; con una Nostra Donna in un tondo , lavorata molto bene. L*a cassa tiene il garbo di quella di porfido che è in Roma sulla piazza della Ritonda. Questa sepoltura del cardinale fu posta su nel 1459;' e tanto piacque la forma sua e T architettura della cappella al duca di Malfi, nipote di papa Pio II, che dalle mani del maestro medesimo ne fece fare in Napoli un'altra per la donna sua, simile a questa in tutte le cose, fuori che nel morto.' Di più, vi fece una tavola di una Natività di Cristo nel presepio, con un ballo d'angeli in su la capanna, che cantano a bocca aperta in una maniera, che ben pare che, dal fiato in fuori, Antonio desse loro ogni altra movenza ed affetto, ' Questo è Tanno, nel quale mori il cardinale ( non già nel 1415, come asserì il Ciacconio, I, ii, p. 990, Vilae Pontif.); ond'' è più verisimile che fosse messa su nell'anno 1466, come accenna l'iscrizione ch'ivi pose il vescovo Alvaro, che fece fare la cappella e il sepolcro. L'urna di porfido nominata poco sopra, che era sulla piazza della Rotonda, fu trasportata in San Giovanni Laterano per la sepoltura di Clemente XII, e vi fu aggiunto il coperchio della stessa materia. (BoTTARl). t La sepoltura del cardinale di Portogallo fu data a fare ad Antonio Ros- sellino r anno 1461 per il prezzo di 425 fiorini d' oro. ^ La moglie del duca di Malfi, ossia d'Amalfi (Antonio Piccolomini), per cui Antonio replicò le sculture fatte pel cardinale di Portogallo, era figlia na- turale di Ferdinando re di Napoli. t II sepolcro per la moglie d'Antonio Piccolomini duca d'Amalfi e conte di Celano non fu compiuto dal Rossellino, per essere stato colto dalla morte, mentre vi lavorava. V'è uno strumento • del 1481, nel quale il duca richiede 50 fiorini d'oro agli eredi del Rossellino, in restituzione di quel di più che aveva pagato all'artefice pel detto lavoro. (Vedi tra le carte del monastero di San Bar- tolommeo di Montoliveto di Firenze nel Diplomatico dell'Archivio di Stato). I 96 ANTONIO ROSSELLINO con tanta grazia e con tanta pulitezza, che più operare non possono nel marmo il ferro e l' ingegno/ Per il che sono state molto stimate le cose sue da Michelagnolo e da tutto il restante degli artefici più che eccellenti. Nella pieve d'Empoli fece di marmo un San Bastiano, che è tenuto cosa bellissima:^ e di questo avemo un disegno, di sua mano, nel nostro Libro; con tutta T architettura e figure della cappella detta di San Miniato in Monte, ed insieme il ritratto di lui stesso.* ' * Questo Presepio si vede nella cappella di tal titolo, nella chiesa di Santa Maria di Monte in Napoli. Il Cicognara ne ha dato un intaglio nella ta- vola XVI, parte ii. Nelle pareti laterali sono gli evangelisti Matteo e Marco in piedi; e sopra a questi i busti di san Luca e san Giovanni. ^ Conservasi tuttora nella Collegiata d'Empoli, t Della statua di San Sebastiano per la Compagnia della Nunziata parla il Rossellino nella sua denunzia del 1457 citata. Tra le opere di Antonio è da re- gistrare il magnifico sepolcro del vescovo Lorenzo Roverella, che è nel presbi- terio della chiesa suburbana di San Giorgio di Ferrara. Il Baruffaldi nella Vita di Cosimo Tura lo dice lavorato nel 1475 da Ambrogio da Milano, valente scul- tore, e lo stesso ripete modernamente il cav. Luigi Napoleone Cittadella ( No- tizie ì-eladve a Ferrara ecc., pag. 660) affermando che l'artefice vi mettesse il proprio nome cosi: Anibrosii mediolanensis opus 1473. Il Pungileoni {Elogio di Giovanni Santi) crede che questo artefice sia lo stesso che Ambrogio di Antonio Baroccio da Milano, che scolpi il fregio del palazzo d'Urbino. Noi per restituire questo lavoro, o almeno la sua parte principale, al Rossellino, abbiamo la testimonianza de' libri d'amministrazione del detto monastero di San Barto- lommeo. Infatti, dal libro di Debitori e Creditori dal 1470 al 1476, segnato di numero 23, si cava che la detta sepoltura fu commessa a scolpire al Rossellino da Fra Niccolò Roverella abate generale dell' ordine di Montoliveto, e pagatagli 50 fiorini d'oro. Abbiamo già notato nella Vita di Michelozzo (tom. II, p. 433) che il San Giovannino che già era sulla porta dell' uffizio dell' Opera di San Gio- ■ vanni, ed ora si vede nel Museo Nazionale, non è di Michelozzo, come dice il Vasari, ma di Antonio Rossellino. ' Nel Museo Nazionale veggonsi due opere d'Antonio ( già nel corridore delle sculture moderne della Reale Galleria di Firenze) non mentovate dal Vasari. Una è il busto di Matteo Palmieri, in età senile, avente nell'incavo interno la seguente iscrizione: Opus Antonii Ghamberelli. - Mathaeo Palmerio sai. an. MccccLxviii. La superficie del marmo è alquanto corrosa per essere stato molti anni esposto all' intemperie sulla porta di casa Palmieri in Pianellaja dal Canto alle Rondini. L'altra è un tondo di circa due braccia di diametro, ov'è espressa la Madonna che adora il nato Gesù. L' esecuzione di questo bassorilievo è tale da giustificare tutti gli elogi dati dagli scrittori a questo artefice. — *L'Albertini, nel suo Memoriale, attribuisce al Rossellino il lavatojo o lavamani di marmo, nella sagrestia di S-ui Lorenzo, che il Vasari e le Guide moderne danno a Donatello. E BERNARDO SUO FRATELLO 97 Antonio, finalmente, si mori in Fiorenza, d'età d'anni quarantasei : ' lasciando mi suo fratello architettore e scultore, chiamato Bernardo: il quale in Santa Croce fece di marmo la sepoltura di niQgser Lionardo Bruni aretino, che scrisse la storia fiorentina,^ e fu nelle cose ' 'Abbiamo veduto che Antonio nacque nel 1427 ( nota 1, pag. 93). Ora. tenendo per veri i quarantasei anni di vita che il Vasari gli dà, sarebbe morto nel 1473. Ciò non osta a riconoscerlo per autore della sepoltura di Francesco Nori, ucciso nel 1478; attesoché egli si ordinò il monumento quand'era in vita, come dice la seguente iscrizione, nella base della pila dell'acqua santa: ^ntoneo^jairz ^ibi posterisque Franciscus Norus posuit : e forse è per non aver fatto consi- derazione a questo, che alcuni l'hanno attribuito a Bernardo suo fratello. Con tutto ciò,' noi incliniamo a credere che il Vasari sbagliasse nell'età del Rossel- lino, piuttostochè nell'autore del detto monumento; e in ciò ci rafferma il leg- gere sulla fine di questa Vita, che Antonio lavorò le sue sculture circa l'anno 1490. 1 Si può credere che Antonio Rossellino morisse poco dopo il 1478, che è l'ultimo anno, nel quale egli pagò la tassa all'Arte de' Maestri di pietra e di le- gname, come si vede nel libro della detta Arte chiamato Rosso, che si conserva nell'Archivio di Stato di Firenze, e perciò sarebbe morto della età di anni 51 in circa. ^ *Se ne ha l'intaglio nella tavola ii àe' Monumenti sepolcrali della To- scana, e nella tavola xxv, tom. II, della Storia della Scultura del Cicognara. Il Vasari non fa menzione di altre sculture di Bernardo; ma è da aggiungere il sepolcro della Beata Villana in Santa Maria Novella, da lui attribuito a Desi- derio di Settignano, come vedremo più sotto; e l'elegantissimo monumento di Filippo Lazzari, gran legista, in San Domenico di Pistoja, che fu allogato a Bernardo di Matteo il 27 ottobre 1464, pel prezzo di 220 fiorini d'oro di sug- gello, colla mallevadoria di Giovanni e d'Antonio suoi fratelli. (Vedi la Guida di Pistoja del Tolomei, pag 112 e nota 3). Allo stesso Bernardo vuoisi attri- buire anche il pregevole ritratto in bassorilievo del vescovo Donato Medici, nella cappella Pappagalli del Duomo pistojese. (Tolomei, loc. cit., pag. 30). Del mo- numento Lazzari è un intaglio nel Gonnelli, Monunienti sepolcrali ecc., tav. xliv. Nel 24 di giugno del 1446, a Bernardo di Matteo da Firenze allogò la Repub- blica di Siena l'ornamento di marmo della porta delia sala del Concistoro nel palazzo pubblico; il qual lavoro egli non fece altrimenti. (Vedi i più volte citati Documenti per la storia dell'arte senese, II, 235). t È certo che a Bernardo fu allogata dagli Operaj di Sant'Iacopo di Pi- stoja la sepoltura del Lazzari con contratto del 20 aprile 1463, rogato da ser Fran- cesco Giannotti da Pistoja. L'artefice si obbligò di dare compita l'opera nello spazio di 18 mesi, e per il prezzo di 220 fiorini d'oro. Fu ancora pattuito che la detta sepoltura fosse fatta secondo il disegno dato dall'artefice, con quelle figure ed ornamenti ed oro che in esso apparivano; e di più che fosse tenuto a farvi due spiritelli o putti di marmo che reggessero il padiglione di sopra, a dipingerne il fondo d'azzurro della Magna, e farvi una mezza figura di marmo che rap- presentasse una Maestà. Questa sepoltura non potè esser fatta da maestro Ber- Vasjri, Opere. — Voi. IH. 7 98 ANTONIO ROSSELLINO d'architettura molto stimato da papa Niccola V; il quale ramò assai, e di lui si servì in moltissime opere che fece nel suo pontificato; e più avrebbe fatto, se a quel- l'opere, che aveva in animo di far quel pontefice, non si fusse interposta la morte.' Gli fece dunque rifare, se- condo che racconta Giannozzo Man etti," la piazza di Fa- briano, Tanno che per la peste vi stette alcuni mesi; e dove era stretta e malfatta, la riallargò e ridusse in buona forma, facendovi intorno intorno un ordine di botteghe utili e molto comode e belle. Bistaurò appresso e rifondò la chiesa di San Francesco della detta terra, che andava in rovina. A Gualdo rifece, si può dir di nuovo, con l'aggiunta di belle e buone fabbriche, la chiesa di San Benedetto. In Ascesi, la chiesa di San Fran- cesco, che in certi luoghi era rovinata ed in certi altri nardo, per la morte sopravvenutagli; onde gli Operaj suddetti adunatisi il 27 di ottobre del 1464, la soprallogaróno ad Antonio Rossellino per lo stesso prezzo, meno 20 fiorini già sborsati a. Bernardo, e colie medesime condizioni e patti. Ed Antonio diedela finita nel 1468, e fu stimata da Matteo Civitali scultore luc- chese. Il Tolomei, e dopo di lui il Tigri, nelle loro Guide di Pistoja, non avendo bene inteso il tenore di quella deliberazione del 27 ottobre 1464, credettero che vi si parlasse dell'allogazione di quell'opera a Bernardo Rossellino, mentre vi si trattava della soprallogazione di essa al suo fratello Antonio. ' 'Niccolò V mori a' 23 marzo 1455. Non mancano autori, i quali queste fab- briche ordinate da papa Niccolò attribuiscono non a Bernardo Rossellino, ma sibbene a Bernardo di Lorenzo, architetto fiorentino. t Nel Commentario alla Vita di Giuliano da Majano ( tom. II, pag. 481 ) ab- biamo mostrato che quel Bernardo di Lorenzo non apparisce che veramente avesse mano nelle fabbriche di Roma di Niccolò V, e neppure in quelle di Paolo II, massimamente a proposito del palazzo di San Marco. Invece è certo che a' servigi di Niccolò fu come architetto Bernardo Rossellino. Ma le ricerche fatte modernamente negli. Archivj di Roma, hanno solamente provato che Ber- nardo soprintendesse nel 1453 ai lavori fatti in San Stefano Rotondo. E rispetto alle altre chiese nominate dal Vasari sono ricordati come architetti e scultori altri maestri, fra i quali è principale Domenico di Francesco fiorentino, che noi crediamo essere una stessa persona con Domenico di Francesco detto il Capitano, muratore e legnajuolo, al quale fu allogata la costruzione della nuova fortezza di Sarzana nel 1487 insieme col Francione e con Francesco d'Angelo detto la Cecca. (Vedi Eugenio Muntz, Les anciennes lasiliques et églises de Rome au XV"'^'^ Siede nella Reme Archéologique). ^ * Nella Vita di Niccolò V, stampata daLMua.vTORi, Rer. Ital. Sanpt., Ili, Par. H E BERNAEDO SUO FRATELLO 'Jl> minacciava rovina, rifondò gagliardamente e ricoperse. A Civitavecchia fece molti belli e magnifici edifizj. A Ci- vita castellana rifece meglio che la terza parte delle mura, con buon garbo. A Narni rifece ed ampliò di belle e buone muraglie la fortezza. A Orvieto fece una gran fortezza, con un bellissimo palazzo ; opera di grande spesa e non minore magnificenza.' A Spoleti, similmente, ac- crebbe e fortificò la fortezza ; facendovi dentro abitazioni tanto belle e tanto comode e bene intese, che non si poteva veder meglio. Rassettò i bagni di Viterbo, con gran spesa e con. animo regio; facendovi abitazioni, che non solo per gli ammalati che giornalmente andavano a bagnarsi sarebbono stati recipienti , ma ad ogni gran principe.' Tutte queste opere fece il detto pontefice, col disegno di Bernardo, fuori della città. In Roma ristaurò ed in molti luoghi rinnovò le mura della città, che per la maggior parte erano rovinate; aggiugnendo loro al- cune torri, e comprendendo in queste una nuova forti- ficazione che fece a Castel Sant'Angelo di fuora, e molte stanze ed ornamenti che fece dentro. Parimente aveva il detto pontefice in animo , e la maggior parte condusse a buon termine, di restaurare e riedificare, secondo che più avevano di bisogno, le quaranta chiese delle stazioni già instituite da San Gregorio I, che fu chiamato, per soprannome, Grande. Così restaurò Santa Maria Traste- vere, Santa Prasedia, San Teodoro, San Pietro in Vincula, e molte altre delle minori. Ma con maggior animo, orna- mento e diligenza fece questo in sei delle sette maggiori e principali; cioè San Giovanni Laterano, Santa Maria Maggiore, Santo Stefano in Celio monte, Sant'Apostolo, ' Avverte il Della Valle, che la fortezza cV Orvieto è opera di qualche secolo anteriore a quest'artefice, e che .1 palazzi magnifici ivi in essere furono diretti dall'emulo del Buonarroti, Ippolito Scalza, orvietano; ond' ei non saprebbe qual palazzo vi avesse fabbricato Bernardo. - Questa fabbrica è andata in malora. ( Bottarì ). 100 ANTONIO ROSSELLINO San Paolo e San Lorenzo extra mwos: non dico di San Pie- tro, perchè ne fece impresa a parte. Il medesimo ebbe animo di ridurre in fortezza, e fare come una città ap- partata, il Vaticano tutto: nella quale disegnava tre vie che si dirizzavano a San Pietro ; credo dove è ora Borgo vecchio e nuovo; le quali copriva di logge di qua e di là, con botteghe comniodissime; separando l'arti più no- bili e più ricche dalle minori, e mettendo insieme cia- scuna in una via da per se : e già aveva fatto il torrione tondo, che si chiama ancora il torrione di ISTiccola. E so- pra quelle botteghe e logge venivano case magnifiche e commode, e fatte con bellissima architettura ed utilis- sima; essendo disegnate in modo, che erano difese e co- perte da tutti que' venti che sono pestiferi in Roma, e levati via tutti gl'impedimenti o d'acque o di fastidj che sogliono generar mal aria. E tutto averebbe finito, ogni poco più che gli fusse stato conceduto di vita, il detto pontefice; il quale era d'animo grande e risoluto, ed intendeva tanto, che non meno guidava e reggeva gli artefici, ch'eglino lui: la qual cosa fa che le imprese grandi si conducono facilmente a fine, quando il padrone intende da per se, e come capace può risolvere subito; dove uno irresoluto ed incapace, nello star fra il sì e il no, fra varj disegni e openioni, lascia passar molte volte inutilmente il tempo senza operare. Ma di questo disegno di Mccola non accade dir altro, dacché non ebbe effetto. Voleva, oltre ciò, edificare il palazzo papale con tanta magnificenza e grandezza, e con tante commodità e va- ghezza, che e' fusse per l'uno e per l'altro conto il più bello e maggior edifizio di Cristianità: volendo che ser- visse non solo alla persona del sommo pontefice, capo de' Cristiani ; e non solo al sacro collegio de' cardinali, che, essendo il suo consiglio ed aiuto, gli arebbono a esser sempre intorno; ma che ancora vi stessino commo- damente tutti i negozj, spedizioni e giudizj, della corte: E BERNAEDO SUO FRATELLO 101 dove ridotti insieme tutti gli uffizj e le corti , arebbono fatto una magnificenza e grandezza, e, se questa voce si potesse usare in simili cose, una pompa incredibile: e, che è più infinitamente, aveva a-ricevere imperadori, re, duchi ed altri principi cristiani, che, o per faccende loro 0 per divozione, visitassero quella santissima apo- stolica sede. E chi crederà che egli volesse farvi un teatro per le coronazioni de' pontefici? ed i giardini, logge e acquidotti, fontane, cappelle, librerie; ed un conclavi appartato, bellissimo? Insomma, questo (non so se pa- lazzo, castello 0 città debbo nominarlo) sarebbe stata la più superba cosa che mai fusse stata fatta dalla crea- zione del mondo, per quello che si sa, insino a oggi. Che grandezza stata sarebbe quella della santa Chiesa ro- mana, veder il sommo pontefice e capo di quella avere, come in un famosissimo e santissimo monasterio, rac- colti tutti i ministri di Dio che abitano la città di Roma ! Ed in quello, quasi un nuovo paradiso terrestre, vivere vita celeste, angelica e santissima; con dare esempio a tutto il cristianesimo, ed accender gli animi degl'infe- deli al vero culto di Dio e di Gesù Cristo benedetto! Ma tanta opera rimase imperfetta, anzi quasi non co- minciata, per la morte di quel pontefice: e quel poco che n'è fatto, si conosce all'arme sua, o che egli usava per arme; che erano due chiavi intraversate, in campo rosso. La quinta delle cinque cose che il medesimo aveva in idea di fare, era la chiesa di San Pietro; la quale aveva disegnata di fare tanto grande, tanto ricca e tanto ornata, che meglio è tacere che metter mano, per non poter mai dirne anco una minima parte; e massima- mente essendo poi andato male il modello, e statone fatti altri da altri architettori. E chi pure volesse in ciò sapere interamente il grand' animo di papa Niccola V, legga quello che Giannozzo Manetti, nobile e dotto cit- tadin fiorentino, scrisse minutissimamente nella vita di 102 ANTONIO ROSSELLINO (letto pontefice; il quale, oltre gli altri, in tutti i soprad- detti disegni si servì, come si è detto, dell'ingegno e molta industria di Bernardo Eossellini. ' Antonio fratel del quale (per tornare oggimai donde mi partii, con sì bella occasione) lavorò le sue sculture circa Tanno 1490.' E perchè quanto più T opere si veg- giono piene di diligenza e di difficultà, gli uomini re- stano più ammirati; conoscendosi massimamente queste due cose ne' suoi lavori, merita egli e fama e onore, come esempio certissimo, donde i moderni scultori hanno potuto imparare come si deono far le statue che, me- diante le difficultà, arrechino lode e fama grandissima. Conciossiachè, dopo Donatello, aggiunse egli all' arte della scultura una certa pulitezza e fine, cercando bucare e ritondare in maniera le sue figure, ch'elle appariscono per tutto e tonde e finite: la qual cosa nella scultura infino allora non si era veduta sì perfetta; e perchè ' t Bernardo Rossellino, nato nel 1409, mori di anni 55 dopo lunga infer- mila, e fu sepolto in Santa Maria del Fiore a' 23 di settembre 14G4, come si legge nel Libro de' Morti di Firenze ad annum. Nel 1442 è uno degli artefici chia- mati a consigliare sul fare di vetri colorati o no gli occhi grandi della cupola e gli armadj della sagrestia del Duomo di Firenze, del quale fu capomaestro dal 14G1 al 1464 (V. C. Guasti, La Cupola di Santa Maria del Fiore cit. ); fu ancora architetto di papa Pio II, come dice il Vasari, e per lui innalzò in Pienza dal 1460 al 1462 la cattedrale e il campanile, il palazzo Piccolomini e quello del Comune { Ved. Gìodi. d'Erudiz. artistica, Perugia, an. 1877, p. 138 e seg. ); e in Siena diede il disegno del palazzo Piccolomini presso la piazza del Campo, e dell'altro detto delle Papesse, oggi Nerucci. Nella Vita di Leon Battista Alberti abbiamo già detto che c'è qualche scrittore antico che attribuisce al Rossellino l'architettura del palazzo de'Rucellai nella Vigna Nuova, che il Vasari dà al- l' Alberti. Nel 1433 scolpi un tabernacolo per il corpo di Cristo nella chiesa del monastero delle Sante Flora e Lucilla d'Arezzo, enei 1436 un altro tabernacolo simile per la Badia di Firenze.. - * Nella prima edizione leggesi mcccclx. Ma dobbiamo crederla errata; sì perchè il Rossellino sopi'avvisse a Donatello suo maestro, morto nel 1466; si perchè trovansi monumenti con data posteriore, come è provato a pag. 95, nota 2 e pag. 96, nota 2. Nella prima edizione è quest'aggiunta: « Non mancò dopo morte chi l'onorasse di quest'epitaffio: en viator: fotin'est pr^tereuntem NON compatì nobis? charites qu^ manui antonii rossellini, dum vixit, semper ADFUIMUS HILARES, E.EDEM EJUSDEM MANIBUS HOC MONUMENTO CONDITIS CONTINUO NUNC ADSUMUS ADERIMUSQUE LUGENTES ». E BERNARDO SUO FRATELLO 103 egli primo T introdusse, dopo lui, nell'età seguenti e nella nostra, appare maravigliosa. * ' *I1 Vasari dà tutto a Mino da Fiesole il pergamo di marmo della Catte- drale di Prato; ma più diligenti ricerche e documenti autentici ci scoprono che a quel lavorio ei non fu solo, e che la parte da lui fatta in quello non è la mi- gliore. L'altro scultore è appunto Antonio Pvossellino. Sappiamo infatti che a' 23 d'agosto del 1473 furono pagati sessantasei fiorini larghi ad Antonio di Matteo, scarpellatore di marmi, da Firenze, per la monta di tre pezzi di marmo di scarpello per fare il pergamo, dove si predica, nei quali òitaglio due storie di San Stefano e quella dell' Assunta. Le sculture di Antonio ope- rate in questo pergamo sorpassano di gran lunga in merito quelle di Mino. Queste notizie ci sono somministrate dalla più volte lodata Descrizione della chiesa cattedrale di Prato, del canonico Ferdinando Baldanzi. t Di questo artefice è nel Museo di Kensington a Londra il ritratto in busto di Giovanni da San Miniato medico, col nome d'Antonio e l'anno 1456. (Ved. C. Perkins, Italian sculpiors ecc. London, Longman, 1864, in-4, voi. I, pag. 207). 105 1 " - " ^mi ì ni T inni fliUk. <: o e A ^ ^ 5 tMnl tu II al li M ,- Bened mari Luca di Ciò da Setti 1 2 ° ?! ... 'S t« " o o co a ^ 1 pilH !■ I '1 PI ' — LlJJLUliJiMl Il Il Jj/ S t, . c 0) rt S c s« " ' M ^S'».-. 'O o OJ H E- 5 O o j '-' \ le o <5 g -< i 3 < \ z -Ss tD o z .-, =s ii <* • l Giova mari 2tto di ì a Setti, 1— 1 ^ S a — a O 2;^--;^ S i CI) — ci ~ f^ '^ ;= = S^ ci O o Jacopo Ben AN 0 s n. 1 mogli di Berto Girolamo n. 1154 t 1509 1 _ Francesco moglie Camilla di Matteo Carducci o H Domenico dott moglie I.npa Matteo n. 1373 moglie Mea BERNARDO 3u!tore e architett n. 1109 t 1161 moglie Mattea Gio. Batt. dott. di leggi n. 1140 t 1513 moglie Lisa di Batista Talani 1 Domenico a tto Niccolò do a) *j oj fr- .;;. ^ < o •- -t.^ TTi M r.i F Checc hesi oco sS 1 Gili mogi Lisabe i Benei i Lion: filatoji o " -co oj .-. 9 § .5-^ Si ic HH GlLIO moglie lesca di Gio. da Montereg °3t~ zi55 ^ V O » a H Uh 1 Ser Bebnau notajo moglie Alar d' Jacopo De J a t < o 'e " => § o J fc, - ^ > N ( O — Si; o o Eh H e % z IS H a 2 5—^ H -1- -^ ^ a, e. z lO ^r ti a Oh cq = H Giovan: a testam nel 143 ANNI architet t 1-196 (( igli evra erina di Luca lajo m 0 fc S'^t-g.Srioc 1 ^"2^5 2 g <: ^ .LA ito Sto enic irin: gna ulto n. 1 1. 2. di ~Ì p ^.„ ^^Sr i o ir^ /- ^^^b > 6 ^M. \ ^m 1 o Cd 1 1 M 1 -^ o o o; <^ ■-^ 1 _o "o 3 "5° a tu — O 5§ e 3 i^ £ o o o D Il u o o - .- £= M _- tr-i S O- P^ C5 o s zsfi^ag 0.-3- > 1— 1 ^ o a b <3 fc. ~ - ^O • co rt ^r o — • r-^ M-a •-0 c e a d s < . fcO N s rtOi i§.i O £4 '^ -7- s a '^ i* C/D ■TS -' .S O Pi^ H ^ 1— H ^12 ^ l fc 55 -1 -H < . 6 '^ prj 2 s P i H j o og> M ^ H fi H o"^ < Q o 1 ^ Z co HH PS ^ s« 129 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI MINO DA FIESOLE 1431. Nasce in Poppi da Giovanni di Mino. 1461. Scolpisce il busto di Rinaldo della Luna. 1463. Lavora con altri maestri il pergamo per la benedizione papale in San Pietro di Roma. 1463. (?) Fa il tabernacolo dell' altare di San Girolamo in Santa Maria Maggiore di Roma per il cardinale d' Estouteville. 1464, 28 di luglio. È matricolato all'arte de' maestri di pietra e di le- gname di Firenze. 1464. Scolpisce il busto di Dietisalvi Neroni. 1466. Fa il sepolcro del vescovo Salutati nella cattedrale di Fiesole. 1466. Dà sepoltura in S. Maria in Campo a Giuliano suo primo figliuolo. 1468. (?) Lavora la sepoltura di Bernardo Giugni nella chiesa di Badia in Firenze. 1469. Piglia a fare per la suddetta chiesa la sepoltura del conte Ugo. 1469. (?) Scolpisce la tavola commessagli da Dietisalvi Neroni per la chiesa di San Lorenzo, ora in quella di Badia. 1469-70. Sua prima portata al Catasto. 1471. (?) Comincia la sepoltura di papa Paolo II in Roma. 1471. Fa il tabernacolo pel Duomo di Volterra. 1471, 15 giugno. Nuova convenzione per la sepoltura del conte Ugo. 1473. Tavola per messer Baglione Vibi in San Pietro di Perugia. 1473. Lavora nel pergamo della cattedrale di Prato. 1474. Fa due pile di marmo per la chiesa di San Martino di Firenze, una per quella di Casaglia, e tre teste nell'acquajo della sagrestia di Badia. Vasabi, Opere. — Voi. III. 9 130 PliOSP. CRONOL. ECC. DI MINO DA FIESOLE 1480. Sua seconda portata al Catasto. 1481. Dà finita la sepoltura del conte Ugo. 1481, 22 agosto. Gli è allogato il tabernacolo per la cappella del Mira- colo in Sant'Ambrogio di Firenze. 1484, 10 luglio. Fa testamento. 1484, 11 luglio. Muore ed è sepolto in Sant'Ambrogio. 131 LOEENZO COSTA PITTORE FERRARESE (Nato nel 1460; morto nel 1535). I Se bene in Toscana , più che in tutte V altre Provincie d'Italia, e forse d'Europa, si sono sempre esercitati gli uomini nelle cose del disegno ; non è per questo che nel- r altre provincie non si sia d' ogni tempo risvegliato qual- che ingegno, che nelle medesime professioni sia stato raro ed eccellente; come si è fin qui in molte Vite di- mostrato , e più si mostrerà per l' avvenire. Ben è vero che dove non sono gli studj e gli uomini per usanza incli- nati ad imparare, non si può ne così tosto ne cosi ec- cellente divenire, come in quei luoghi si fa, dove a concorrenza si esercitano e studiano gli artefici di con- tinuo. Ma tosto che uno o due cominciano, pare che sempre avvenga che molti altri ( tanta forza ha la virtù ) s' ingegnino di seguitargli con onore di se stessi e delle patrie loro. Lorenzo Costa, ferrarese,' essendo da natura ' *Sino ad ora erano incerti gli anni della nascita e della morte di Lorenzo Costa. Dobbiamo alle cure e alle ricerche del conte Carlo D'Arco l'averne oggi la certezza per via di certi preziosi registri necrologici della città di Mantova, da lui spogliati; dove, fra le altre notizie necrologiclie di artefici mantovani, si trova la seguente memoria: « 5 marso 1535. Magister Laurenzio Costa in contrata Unicorno : morite de fibra et catarro, et fuit infirjnus dies 5 , de età de anni 75 ». Era dunque nato nel 1460. (Vedi Carlo D'Arco, Delle Arti e degli Artefici di Mantova ecc.; Mantova, Agazzi, 1857, in-4, pag. 62). ì^ó'^ LORENZO COSTA inclinato alle cose della pittura, e sentendo esser celebre e molto reputato in Toscana Fra Filippo, Benozzo, ed altri, se ne venne in Firenze per vedere T opere loro; e qua arrivato, perchè molto gli piacque la maniera loro,* ci si fermò per molti mesi, ingegnandosi quanto potette il più d'imitalrli, e particolarmente nel ritrarre di naturale: il che così felicemente gli riuscì, che, tor- nato alla patria (sebbene ebbe la maniera un poco secca e tagliente), vi fece molte opere lodevoli; come si può vedere nel coro della chiesa di San Domenico in Ferrara, che è tutto di sua mano ; dove si conosce la diligenza che egli usò nell'arte, e che egli mise molto studio nelle sue opere.^ E nella guardaroba del signor duca di Ferrara si veggiono di mano di costui, in mo-lti quadri, ritratti di naturale, che sono benissimo fatti, e molto simili al vivo.' ' *I1 Costa, naio nel 1460, non poteva essere stato sotto la disciplina di Fra Filippo Lippi, morto nel 1469. Poteva, peraltro, aver conosciuto Benozzo, e da lui ascoltato precetti e consigli. Alcuni tengono che fosse scolare del Francia, desumendolo dalle parole Laurentius Costa Franciae discipuliis scritte nel ri- tratto di Giovanni Bentivoglio, nella raccolta Isolani. Il Lanzi dubitò della sin- cerità di questa scritta, e non seppe indursi a credere che veramente il Costa fosse scolare del Francia. Con questo scrittore stanno gli annotatori del Baruf- faldi, e rafforzano il dubbio con nuove ragioni. Noi crediamo con loro, che il pittore ferrarese fosse legato con sensi d' amicizia e di stima verso il bolognese maestro, tale da avere in pregio di chiamarsi suo discepolo. t Altri veggono in lui lo scolare di Cosmè di Tura e di Francesco Cossa. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, Hisiory of Painting in North Italy, voi. I, pag. 538). ^ Le pitture del coro, divenute col tempo invisibili per l'oscurità del luogo, furono imbiancate ; e in appresso fu atterrato il coro stesso per far la nuova chiesa. ' *I1 Vasari è solito chiamar tavole i quadri mobili. In questo passo, se col nome di quadri intende compartimenti in fresco sul muro, sembra che l'Autore abbia equivocato nel nome del luogo, e che questo sia piuttosto la gran sala di Schifanoja, ove appunto tanta quantità di ritratti si vede. (Ved. pag. 143-45 del tom. II di questa edizione). Ciò non ostante, il Costa potrebbe aver dipinti bel- lissimi ritratti nella guardaroba ducale; con il qual nome il Vasari intendeva la privata galleria del duca, come si può dedurre dal senso che ha la stessa pa- rola nella Vita di Donatello. Cosi gli annotatori delle citate Vite degli Artefici ferraresi scritte dal Baruffaldi. Più sotto, il Vasari stesso usa la parola quadri appunto nel significato di compartimenti in fresco. t Nella sala superiore del palazzo di Schifanoja due facce contengono fre- schi che debbono essere stati compiti tra il 1471 e il 1493, ma è incerto il nu- I I ì LORENZO COSTA 133 Similmente, per le case de' gentiluomini sono opere di sua mano, tenute in molta venerazione. A Ravenna, nella chiesa di San Domenico, alla cappella di San Bastiano, dipinse a olio la tavola, e a fresco alcune storie, che fu- rono molto lodate.' Di poi condotto a Bologna, dipinse in San Petronio nella cappella de'Mariscotti, in una ta- vola , un San Bastiano " saettato alla colonna , con molte altre figure: la qual opera, per cosa lavorata a tempera;, fu la migliore che infino allora fusse stata fatta in quella città. Fu anco opera sua la tavola di Sant' leronimo nella cappella de' Castelli; ^ e parimente quella di San Vincenzio, che è similmente lavorata a tempera, nella cappella de' Gri- foni; la predella della quale fece dipignere a un suo creato,* mero de' maestri e garzoni che vi hanno lavorato. Pare certo bensì che vi aves- sero mano Galasso, Marco Zoppo, Cosmè di Tura, il Cossa e il Costa, ma è diffi- cile assegnare la parte che vi ha avuta ciascuno. Le pareti di detta sala sono divise in tre ordini: il lato più stretto del rettangolo ha tre compartimenti, e quello più lungo quattro. Nell'ordine di mezzo sono i segni dello Zodiaco, sopra i quali è il Dio o la Dea che vi presiede. Sotto ciascun segno sono rappresen- tati fatti pubblici e privati della vita del duca Borso. I signori Crowe e Caval- casene (op. cit., voi. l, p. 537) credono di veder la mano del Costa e di Cosmè in tutte le pitture dell'ordine inferiore, eccetto in quelle sotto il segno del Cancro; come pure in quelle dell'ordine di mezzo che sono sotto il segno dell'Ariete e forse l'altre sotto quelli del Toro e della Libra. Delle altre opere del Costa in Ferrara ricordate dal Baruffaldi e dal Laderchi, la maggior parte è perduta. Resta in casa de' marchesi Strozzi una tavola d'altare, un tempo nella chiesa di San Cristofano degli Esposti, con Maria Vergine in trono, e ai lati i santi Gu- glielmo e Giovanni Battista, e negli spazj che restano presso l'arco che è sopra il trono si veggono tondi, dentrovi l'Annunziata e l'Angelo, il Giudizio di Sa- lomone, il Sacrifizio d' Abramo, sopra fondo dorato imitante il mosaico. Nello zoccolo del trono sono, a chiaroscuro. Adamo ed Eva, la Strage degl' Innocenti, la Presentazione, la Fuga in Egitto ecc. (Crowe e Cavalcaselle, I, 546). ' * Questa chiesa fu rifatta nel 1693, col disegno di Giovan Batista Contini romano. Allora furono rinnovate le pitture, e la tavola si smarrì. ^ Evvi chi opina, che l'opera qui nominata non sia di Lorenzo Costa, ma bensì di Francesco Cossa, pittore anch'esso ferrarese. Nella cappella vi sono, peraltro, del Costa, l'Annunziazione e i santi Apostoli; figure di grandezza natu- rale, belle per grandiosità di stile e per vigore di colorito. t La tavola di questa cappella fondata dal canonico Donato Vaselli e finita di fabbricare nel 1495, è certamente del Costa. ' ì Nella medesima chiesa di San Petronio. — Fu guastata dai ritocchi. * Questi fu Ercole Grandi, ferrarese, la cui Vita leggesi immediatamente dopo la presente. La tavola del Costa e la predella furono trasportate in casa 134 LORENZO COSTA che si portò molto meglio che non fece egli nella tavola , come a suo luogo si dirà. Nella medesima città fece Lo- renzo, e nella chiesa medesima alla cappella de' Rossi, in una tavola, la Nostra Donna, Sant'Iacopo, San Giorgio, San Bastiano e San Girolamo : la qual opera è la migliore e di più dolce maniera di qualsivoglia altra che costui facesse giammai. * Andato poi Lorenzo al servigio del signor Francesco Gonzaga, marchese di Mantoa,^ gli dipinse nel palazzo di San Sebastiano, in una camera lavorata péirte a guazzo e parte a olio, molte storie. In una è la marchesa Isabella ritratta di naturale, che ha seco molte signore che con varj suoni cantando fanno dolce armonia. In un' altra è la Dea Latona che converte, secondo la favola, certi vil- lani in ranocchi. Nella terza è il marchese Francesco condotto da Ercole, per la via della virtù, sopra la cima d'un monte consecrato all'eternità. In un altro quadro si vede il medesimo marchese sopra un piedistallo, trion- fante con un bastone in mano ; e intorno gli sono molti signori e servitori suoi con stendardi in mano, tutti lie- tissimi e pieni di giubbilo per la grandezza di lui : fra i quali tutti è un infinito numero di ritratti di naturale. ^ Aldovrandi. Ciò rilevasi a pag. 243 del libretto intitolato Pitture, Sculture e Architetture delle chiese ecc. di Bologna, ivi impresso nel 1782. La tavola di San Vincenzo che vedesi tuttora in San Petronio, è di Vittorio Bigari. ' * Questa bellissima tavola porta scritto in basso : lavrentivs costa ■ p • 1492. Essendo molto guasta, fu restaurata, quando, nel 1832, la cappella Rossi venne in possesso del principe Felice Baciocchi. '■^ * Visse il Costa molto tempo alla corte dei Gonzaga. Francesco gli assegnò l'annuo stipendio di lire seicento sessantanove e dieci solili, dal 1509 fino al 1535, in cui mori ; con più una casa in Mantova, un regalo di dodici mila scudi e il dono di 250 bifolche, ossia jugeri, di terra. (Ved. la nota 1 alla Vita di Lorenzo Costa nel Baruffaldi, ediz. cit. ). ' Nel sacco dato dai Tedeschi alla città di Mantova, nel 1630, fu devastato il palazzo di San Sebastiano, e in conseguenza distrutto ciò che vi aveva dipinto il Costa. Il detto palazzo fu in appresso ridotto a uso di carceri. — *I1 Resini, nella tav. ccx della sua Storia, ha dato l'intaglio di una tavoletta del Museo del Louvre, rappresentante la Incoronazione della marchesa Isabella per mano d'Amore, in mezzo a una pompa musicale, che vuoisi una ripetizione fatta dallo LORENZO COSTA 135 Dipinse ancora nella sala grande, dove oggi sono i trionfi di mano del Mantegna, due quadri, cioè in ciascuna testa uno. Nel primo , che è a guazzo , sono molti nudi che fanno fuochi e sacrifizj a Ercole : ed in questo è ritratto di na- turale il marchese con tre suoi figliuoli, Federigo, Ercole e Ferrante, che poi sono stati grandissimi ed illustrissimi signori. Vi sono similmente alcuni ritratti di gran donne. Nell'altro, che fu fatto a olio molti anni dopo il primo, e che fu quasi dell'ultime cose che dipignesse Lorenzo, è il marchese Federigo fatto uomo, con un bastone in mano, come generale di Santa Chiesa sotto Leone X; ed intorno gli sono molti signori, ritratti dal Costa di naturale. ' In Bologna, nel palazzo di messer Giovanni Bentivogli, dipinse il medesimo, a concorrenza di molti altri maestri, alcune stanze: delle quali, per essere andate per terra con la rovina di quel palazzo, non si farà altra menzione." Non lascerò già di dire, che dell'opere che fece per i Bentivogli rimase solo in piedi la cappella che egli fece a messer Giovanni in Sant' Iacopo ; dove in due storie di- pinse due trionfi, tenuti bellissimi, con molti ritratti.^ stesso Costa Ji quella storia dal Vasari descritta in primo luogo. Forse questa è quella Incoronatione di mano di Lorenzo Costa, che trovasi registrata in un Inventario di cose d'arte possedute dalla marchesa Isabella, fatto verso la metà del secolo xvi. (Vedi Ardi. St. Ital., Appendice, tom. II, pag. 324). ' *Si l'uno come l'altro quadro, o compartimento, in questa sala dipinti, sono perduti. Federigo Gonzaga fu creato generale delle arnai pontificie nel 1521. Sicché questo secondo quadro dovette esser dipinto poco dopo quegli anni. Da un documento inedito del 1512, scoperto da pochi anni dal prelodato conte D'Arco nell'antico archivio dei duchi Gonzaga, si viene a sapere che nello stesso pa- lazzo di San Sebastiano fu posto, nella caìnera appresso a quella del jmpa, un, quadro di un tal maestro Costa pittore, colle nove Muse che cantano, e Apollo che suona, con V illustrissimo signor nostro (il marchese di Mantova) che ascolta, et de più a paesi connubi. (Vedi M. Gualandi, Memorie originali di Belle Arti; Bologna, Sassi, serie III, pag. 10-11). ^ Ciò avvenne nel 1507, allorché per furia di popolo rimase atterrato quel bellissimo palazzo, del quale trovasi una descrizione storica nel n° 2, pag. 145, àeW Almanacco statistico di Bologna, impresso nel 1831 pel Salvardi. ' *Gli affreschi dipinti dal Costa nella chiesa di Sant' Jacopo Maggiore, tut- tavia conservati, sono i seguenti: 1° Un grand' affresco, dov'è figurata Maria Ver- 136 LORENZO COSTA Fece anco in San Giovanni in Monte, V anno 1497, a Iacopo Ghedini,' in ima cappella, nella quale volle dopo morte essere sepolto, una tavola dentro vi la Nostra Donna ^ San Giovanni Evangelista, Sant'Agostino ed altri Santi. ^ In San Francesco dipinse, in una tavola, una Natività^ Sant' Iacopo e Sant'Antonio da Padova/ Fece in San Piero, per Domenico Garganelli, gentiluomo bolognese, il prin- cipio d'una cappella bellissima: ma, qualunque si fusse la cagione, fatto che ebbe nel cielo di quella alcune figure^ la lasciò imperfetta e a fatica cominciata. * In Mantoa, oltre l'opere che vi fece per il marchese, delle quali si è favellato di sopra, dipinse in San Salve- stro, in una tavola, la Nostra Donna; e da una banda San Salvestro che le raccomanda il popolo di quella città, dall'altra San Bastiano, San Paulo, Santa Lisabetta e gine seduta in un trono magnifico con Gesù Bambino nelle braccia. Ai lati dì essa sono genuflessi e ornati, Giovanni Benti voglio e la sua moglie. In basso, stanno in pie gli undici loro figliuoli, sette femmine da un lato, e qiiattro ma- schi dall'altro. Nel piedistallo del trono, dentro una cartelletta, si legge: Me patriam et dulces cara curri coniuge natos — Commendo precibus , Virgo beata, tuis. MCCCCLXXXVIII augusti, lavrentivs costa faciebat. Il Litta, nella famiglia Bentivoglio, dà un intaglio di quest'affresco; come pure il Rosini nella tav. Lxxxix della sua Storia. 2° I due trofei dal Vasari menzionati, in faccia alla muraglia, i quali rappresentano il Trionfo della Vita e quello della Morte: il carro del primo è tirato da elefanti; il secondo da bufali. ' t Oggi Hercolani e Segni. - * Questa tavola è ora all'altare Hercolani e Segni già Ghedini. Un'altra ta- vola, dipinta dal Costa, sul disegno (si dice) del Francia, è nell' aitar maggiore di essa chiesa, e rappresenta Maria Vergine seduta in mezzo a Dio Padre e al Divino Figliuolo, coi santi Giovanni Evangelista, Agostino, Vittore e tre altri santi. t Nella stessa chiesa è, all'aitar maggiore, un'altra sua tavola con Maria Vergine tra Dio Padre e Cristo e sette angeli, uno de' quali, sopra la testa della ^Madonna, tiene la croce. Ai lati sono i santi Sebastiano, Giovanni Evangelista, Giovanni Battista, Agostino, Vittore e un altro santo. ' La chiesa di San Francesco, ridotta a dogana al cominciare del corrente secolo, venne da pochi anni in qua ridonata al culto; ma la tavola del Costa andò smarrita. La lunetta nondimeno, che era sopra a questa, rappresentante Cristo morto in mezzo a due angeli, opera del medesimo, è ora nella Pinacoteca dell'Accademia di Belle Arti di Bologna. ' Di questa cappella torna a parlare il Vasari nella Vita d'Ercole Ferrarese; ed ivi nella nota 2, p. 143, si rende conto delle pitture che erano nella mede- sima. — t Tra le opere fatte in Bologna dal Costa il Vasari non ricorda gli af- LORENZO COSTA 137 Sant' leronimo : e per quello che s'intende, fu collocata, la detta tavola in quella chiesa dopo la morte del Costa : il quale avendo finita la sua vita in Mantoa, nella quale città sono poi stati sempre i suoi discendenti, volle in questa chiesa aver per se e per li suoi successori la se- poltura.* Fece il medesimo molte altre pitture; delle quali non si dirà altro, essendo abbastanza aver fatto memoria delle migliori.^ Il suo ritratto ho avuto in Mantoa da freschi nell'oratorio di Santa Cecilia fondato nel 1481 da Giovanni Bentivoglio col disegno di Gaspare Nadi e decorato dal Francia, dal Chiodarolo, dall'Asper- tini, da Cesare Tamaroccio e dal Costa, il quale vi dipinse due storie, che rappresentano l'una la Conversione di Valeriane al cristianesimo, e l'altra Santa Cecilia che distribuisce le sue facoltà a' poverelli. (Vedi Gustavo Friz- zoNi, Gli affreschi di Santa Cecilia in Bologna, nel giornale 11 Buonarroti, fascicolo di luglio 1876). ' 'Questa tavola fu dall'artefice donata a quella chiesa, come apparisce dalla scritta ch'è in basso: costa fecit et doxavit mdxxv (Baruffaldi, Vite degli artefici ferraresi). Distrutta la chiesa di San Silvestro nel 1788, questo dipinto fu posto in quella di Sant'Andrea. - Il Baruflfaldi nomina più opere del Costa, le quali vedevansi allora in varie chiese di Bologna: ma la Madonna coi santi Procolo e Bartolommeo in San Tom- maso di Strada maggiore è smarrita; egualmente che la Risurrezione in Santa Mari a della Mascarella, e la Madonna con san Lorenzo, san Girolamo e alcuni angeli in San Lorenzo de'Guerrini. Perduta è altresì la tavola ch'era in Santa Maria della Vita. Tra quelle tuttavia in essere deesi far menzione dell'Assunta cogli Apostoli nella cappella Fantuzzi, ora Malvezzi, in San Martino maggiore, la quale è dalle Guide di Bologna erroneamente attribuita a Pietro Perugino. — * L'ano- nimo Morelliano ricorda, in casa di Girolamo Marcello, i ritratti di Isabella marchesana di Mantova, e di Eleonora sua figliuola, dì mano del Costa, oggi perduti. Essi dovettero esser dipinti nel 1509, quando il marchese Francesco II fu fatto prigione guerreggiando contro i Veneziani. (Vedi M.OB.Ehv.i , Note all' Ano- nimo ecc. cit. ) A queste opere aggiungeremo la notizia di altre tuttora esistenti e certificate dal nome del pittore. Nella Pinacoteca di Bologna si conserva un San Petronio vescovo seduto in trono, che tiene in mano la città di Bologna, in mezzo ai santi Francesco d'Assisi e Tommaso d'Aquino ambidue in piedi, colla iscrizione lavrentivs costa mcccccii. Nel peduccio del trono è la stò- ria de' Magi. Il fondo della tavola è dorato. Essa stava nella cappella già della famiglia Canobi della Santissima Annunziata, fuori di porta San Mammolo. — (t Esistono tuttavia nella detta chiesa dell'Annunziata due tavole del Costa, l'una collo Sposalizio di Maria Vergine e la scritta: lavrentivs • costa • mcccccv; e l'altra, che è nella sagrestia, con la Deposizione nel sepolcro, nella quale sono sei figure secondo la maniera del Costa, che imita il Francia). — Nel R. Museo di Berlino è una Presentazione al Tempio, dove è scritto lavrentivs COSTA -F. 1501. Similmente, nello stesso Museo è un Deposto di Croce, colla iscrizione lavrentivs • costa • mccccciii. Nella Galleria Hercolani di Bologna st vedeva una tavola, divisa in cinque compartimenti, che stava un tempo suU' aitar 138 LORENZO COSTA Fermo Ghisoni/ pittor eccellente, che mi affermò quello esser di propria mano del Costa; il quale disegnò ragio- nevolmente, come si può vedere nel nostro Libro, in una carta di penna in cartapecora, dove è il giudizio di Sa- lomone, e un San Girolamo di chiaroscuro, che sono molto ben fatti. Furono discepoli di Lorenzo, Ercole da Ferrara, suo compatriota,'' del quale si scrìverà di sotto la Vita; e maggiore delle Grazie di Faenza: in quello di mezzo era espresso Nostra Donna seduta in trono, col Bambino sulle ginocchia adorato da due angeli, e due putti che suonano varj strumenti. In due altri pezzi, i santi Apostoli Pietro e Filippo ; « negli ultimi due, più piccoli, san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista, mezze figure. Sotto l'imiiiagine principale era scritto lavrentivs • costa • f • 1505. Quest'opera dalla detta Galleria passò venduta a Roma nel 1837. L'Inventario, citato in fine della nota 3, pag. 134, registra del Costa eziandio un quadro in lo qital è dipinto un archo triumphale e molte figure che fanno musica, con xina fabula di Leda. {Ardi. Stor. Ital., Appendice, II, 324). i La tavola della Galleria Hercolani venduta a Roma al signor Wigram passò al signor Van Cuyck, poi al signor Reiset, ed in ultimo alla Galleria Na- zionale di Londra. Nel Louvre è un quadro che rappresenta in allegoria la jioe- tica corte della marchesa Isabella, colla scritta: l . costa, f- Di questa pit- tura, che fu rubata nel sacco di Mantova e portata in Francia nel castello Kichelieu, si vede un'incisione nel voi. I, p. 548, àe\Y Hist. of Painting in North Italy. Nella Galleria de' Pitti in Firenze è un ritratto d'ignoto ma ragguarde- vole personaggio, con capelli lunghi, berretta in testa e collana d'oro, colla scritta: lavrentivs • costa • f • E dato inciso nel voi. I della Galleria de' Pitti illustrata pubblicata da L. Bardi. Nella Galleria degli Uffizj si attribuisce al Costa un ritratto di donna, che si vuole della marchesa Isabella di Mantova. Alcuni però lo credono della mano di Francesco Buonsignori. In Sant'Andrea di Man- tova è una tavola con Maria Vergine, Gesù Bambino, san Sebastiano, san Sil- vestro, san Rocco e due altri santi, la quale porta la scritta: a • d • mdxxv • L • COSTA • FEciT • ET • DONAviT. Si Congettura anche che il Costa avesse parte in certi affreschi del Mantegna nella detta cappella a Sant'Andrea, e in quelli del palazzo di Scalcheria a Mantova. Nella Galleria Nazionale di Londra è una Madonna col putto e quattro angeli, colla sottoscrizione: lavrentivs • costa. F • 1505. Nella Galleria di Brera a Milano è una tavoletta con Maria Vergine seduta e presso di lei san Giuseppe che si appoggia a un bastone. Sotto vi si legge: lavrentivs • costa • f • 1499. Nella chiesa del Collegio del Gesù di Fer- rara era una Madonna col Figliuolo in braccio seduta in trono, con due angeli ai lati di esso che suonano, e due altri presso di loro. Questa tavola, che fu già fino dal 1502 posseduta dal duca di Ferrara, passò poi nella Galleria Consta- bili, ed in ultimo in Inghilterra nelle mani di Sir Ivor Guest. ' Il Ghisoni fu mantovano, e scolaro di Giulio Romano, che si valse di lui in molte opere. (Bottari). — t Mori in Mantova a' 27 di gennajo 1575 nell'età di 70 anni. (Ved. D'Arco, op. cit., pag. 268). ^ 'Rispetto al maestro d'Ercole da Ferrara, vedi la nota 1, pag. 141. LORENZO COSTA 139 Lodovico Malino, similmente ferrarese, del quale sono molte opere nella sua patria ed in altri luoghi: ma la migliore che vi facesse fu una tavola, la quale è nella chiesa di San Francesco di Bologna, irfun cappella vicina alla porta principale; nella quale è quando Gesù Cristo, di dodici anni, disputa co' dottori nel tempio.' Imparò ' Lodovico Mazzolino, dal Vasari detto per accorciamento (se pur non è error di stampa) Malino, fu figliuolo, come il Cittadella scopri {Cat. de' Pittori Ferraresi, tom. VI, pag. 310) di un Giovanni Bastardo Mazzuoli, e fu detto Mazzolino per vezzo. Una delle maggiori opere che di lui si conoscono, è la ta- vola qui citata dal Vasari, che Francesco Caprara fece fare per l'altare della sua cappella in San Francesco di Bologna. ELssa porta scritto il nome del pittore e Tanno in che fu fatta, cosi: mdxxiii zrnar lvdovicvs • mazzolinvs • ferua- RiENSis. Questa tavola da Bologna passò nel R. Museo di Berlino; e solo la predella, colla Natività di Gesù Cristo di piccete figure bellissime, e la figura del Padre Eterno che stava al di sotto dell'ornato, si conserva nella Pinacoteca di Bologna. Questa è quella pittura tanto lodata da Baldassar Peruzzi. Il Baruf- faci fa menzione di una tavola esistente, ai suoi tempi, nella chiesa di San Bar- tolo de' monaci Cistercensi, fuori un miglio della città; nella quale dipinse la Natività di Nostro Signore. Oltre la Madonna e il Santo Bambino, sostenuto ritto in pie sur una stoja da un angelo, si vede più indietro san Giuseppe in piedi, ed a sinistra due santi dell'ordine Cistercense; e fa l'ornamento del quadro un arco corintio, con bellissimi ornati dipinti a bassorilievo. Il fondo è un bel paese, dove alla destra di chi guarda è una colonna, nel cui plinto leggesi : lvdovicvs • MAZZOLINVS. La pubblica Pinacoteca di Ferrara si fregia oggi di questa tavola. La stessa città di Ferrara ha altre opere del Mazzolino; e la Galleria Constabili si dice possegga sette quadretti, fra i quali faremo particolare ricordo di un solo, perchè autenticato dal nome suo. É una tavoletta di una Santa Famiglia, con san Rocco e san Sebastiano saettato. Il fondo è un paese. La scritta dice : LODOVICO MAZzoLii 1511. Sebbene le opere di questo pittore siano scarse, tuttavia varie se ne citano in Ferrara, in Bologna e in Roma, che troppo lungo sarebbe enumerare. Solamente toccheremo, perchè sotto i nostri occhi, di un Presepio e di una Circoncisione composta di molte piccole figure, che nella Galleria degli Uffizj di Firenze si attribuisce al Mazzolino; e dell'altra tavola con la Donna Adultera, che è nella Galleria de' Pitti, data incisa dal Rosini nella tav. xciv. Scarsissime altresi sono le notizie di Lodovico Mazzolino : il BarufFaldi dice che cessò di vivere circa l'anno 1540, quarantanovesimo dell'età sua. t Del Mazzolini si hanno ora maggiori notizie, mercè le ricerche del cav. L. N. Cittadella, pubblicate ne' suoi DocKrrfnti ed ilhistrazioni riguardanti la storia artistica ferrarese (Ferrara Taddei, 1868, in-8). Il Cittadella non crede che il Mazzolino fosse chiamato Malino dal Vasari sia per un vezzeggiativo sia per errore di stampa, né che fosse veramente di cognome Mazzoli, ma Mazzolini; ed il leggersi nella tavoletta della galleria Constabili: Ludovicus Masolii, non può essere stato scritto cosi invece di Ma:olini, se non per abbreviatura. Quanto al pittore, egli nacque da Giovanni di maestro Querino, ebbe per moglie Gio- vanna figliuola di Bartolommeo Vacchi pittore da Venezia, che aveva già spo- 140 LORENZO COSTA anco i primi principj dal Costa il Dosso vecchio da Fer- rara, dell'opere del quale si farà menzione al luogo suo. E questo è quanto si è potuto ritrarre della vita ed opere di Lorenzo Costa ferrarese. * sata nel 1521, e fece testamento il 27 di settembre 1528, essendo colto dalla peste, che allora appunto infieriva in Ferrara, della quale infermità pare che non molto dopo morisse. Certo è che nel dicembre del 1530 era defunto. Fu sepolto in San Gregorio, lasciando dopo di sé due figliuole. ' *Lorenzo Costa morì nel 1535, a di 5 marzo (Vedi la notai, pag. 131); fu sepolto in San Silvestro di Mantova, nella qual città aveva trapiantata la sua famiglia, che divenne poi mantovana, e mantenne nei discendenti la gloria del- l'arte, cioè: Ippolito Costa, nato nel 1506 e morto nel 15G1, nominato dal Vasari nella Vita di Benvenuto Garofolo; Girolamo, nato nel 1529 e morto nel 1595; Lorenzo, di cui parimente fa menzione il Vasari nella Vita di Taddeo Zuccheri, morto di quarantasei anni nel 1583; e Luigi suo fratello, pittore ragionevole. Lo Zani rammenta un Francesco pittore e incisore. Un Fermo si trova nominato tra coloro che lavorarono nel palazzo del Tè a Mantova nel 1531, nel 1543 e 1564, nei quali anni operava per una certa suor Giulia Castiglioni. Queste notizie sono cavate dai documenti rinvenuti dal citato conte D'Arco, e pubblicate dal Gua- landi nelle Memorie originali di Belle Arti ecc., serie IH, p. 341. Il prof. Ro- sini, a pag. 251 della, seconda parte del toro. VII della sua Storia, dà l'intaglio d'una Nostra Donna seduta in trono, col putto sulle ginocchia e i santi Fran- cesco e Bernardino ai lati; opera di un tale Annibale Costa, che vi pose il nome e l'anno cosi scritto: anibal costa • f • mcccccii. Forse potrebbe questo pittore appartenere al ceppo del Costa ferrarese ? 141 ERCOLE FERRARESE Nato circa il 1462 ; morto nel 1531 ) Sebbene molto innanzi che Lorenzo Costa morisse, Ercole Ferrarese, suo discepolo, era in bonissimo credito,' e fu chiamato in molti luoghi a lavorare; non però (il che di rado suole avvenire) volle abbandonar mai il suo maestro, e piuttosto si contentò di star con esso lui con mediocre guadagno e lode, che da per se con utile o cre- dito maggiore. La quale gratitudine quanto meno oggi ' *Fu di cognome Grandi; e il primo a dirlo fu Daniello Fini, suo coetaneo, nell'elegia latina scritta in lode di questo pittore. (Ved. Gualandi, Meni. orig. ital. di Belle Arti., Serie V, pag. 67-69). Egli nacque da Giulio Cesare; ma in qua! anno non si sa con precisione. Sin qui, seguendo il Vasari e il Baruffaldi, si tenne comunemente che fosse il 1491 ; ma un prezioso documento rinvenuto da quel benemerito signor Gualandi nei libri battesimali di Bologna {Meni, cit., Serie V, pag. 203) ci dà modo di correggere il vecchio errore. A pag. 16 di quel registro si trova questa memoria: « Anno 1483. Johannes Baptista filius Bartholomej Garganelli et ejus coningis Margarite , cure Sancte Marie de Ca- stelli natus die 9 madij et haptizatus die 16 ejusdem: campar hercules fe- RARiENSis piCTOR, et Tonimcs ». In un altro volume, nota il prelodato signor Gua- landi, leggesi di nuovo la fede medesima: ma in quello sarebbe riferita non più all'anno 1483, sibbene al 1482. Da questo documento importantissimo si trag- gono le seguenti considerazioni, cioè che Ercole Grandi non solo era nato innanzi al 1491, ma era già pittore avanzato nell'arte nel 1482 e 83; e perciò contem- poraneo di Lorenzo Costa, il quale, giovane anch'esso, dipingeva in quegli anni pei Bentivoglio. (Vedi le note alla Vita del Costa): che in quel tempo dovesse avere almeno venti anni: quindi essere nato intorno al 1462; e che essendo perciò contemporaneo del Costa medesimo, non poteva esser suo discepolo, ma 142 ERCOLE FERRARESE . negli uomini si ritrova, tanto più merita cV esser perciò Ercole lodato; il quale, conoscendosi obbligato a Lorenzo, pospose ogni suo commodo al volere di lui , e gli fu come fratello e figliuolo insino all'estremo della vita. Costui, dunque, avendo miglior disegno che il Costa, dipinse sotto la tavola da lui fatta in San Petronio, nella cap- pella di San Vincenzio, alcune storie di figure piccole a tempera, tanto bene e con si bella e buona maniera, che compagno ed amico. Finalmente, che, stando all' epitaffio che il Baruffaldi volle copiar di sua mano dalla sepoltura, il Grandi invece di sopravvivere al Costa, sarebbe morto quattro anni innanzi a lui. ( Ved. nota 2, pag. 147). Del rimanente quanto al maestro del Grandi, il Lamo, antico scrittore bolognese già da noi citato, ci dice che fu quel Francesco Cossa (da alcuni confuso talora con Lo- renzo Costa, suo compatriota), del quale la chiesa della Madonna detta del Ba- racano in Bologna ha un affresco segnato del suo nome e dell'anno mccccl.... (cioè Lxxii), fatto pei Benti voglio. Questa stessa opinione si afforza delle con- getture degli eruditi annotatori delle citate Vite del Baruffaldi. t Vissero in Ferrara nel medesimo tempo due pittori di questo nome, de' quali l'uno fu figliuolo di Antonio de' Roberti chiamato ancora de' Grandi, e l'altro di Giulio Cesare de' Grandi. Il primo era già morto nel 1513, ed il se- condo, come vedremo, nel 1531. I signori Crowe e Cavalcasene hanno potuto stabilire per via di confronti che il Grandi fosse scolare del Costa ed il Roberti del Mantegna, e che di quest'ultimo artista intenda di parlare il Vasari, regi- strandone le opere, come gli affreschi fatti intorno al 1483 nella cappella Gar- ganelli in San Pietro, la predella della tavola del Costa in San Giovanni in Monte di Bologna, oggi conservata nella Galleria di Dresda, e l'altra sotto a quella dipinta dal medesimo per i Grifoni in San Petronio. La prima memoria che si conosca di lui è del 1479. Fu tra i salariati del duca di Ferrara, ed adoperato spesso ad ornare cassoni. Costruì un carro trionfale, dipinse la loggia del giardino defila duchessa, fece la veduta di Napoli, e ritrasse il duca Ercole I per la marchesa Isabella di Mantova. Di Ercole di Giulio Cesare Grandi, che fu parimente stipendiato de' duchi di Ferrara dal 1492 al 1499, credono i suddetti essere la tavola del Martirio di san Sebastiano in San Paolo di Ferrara, e l'altra della galleria Corsini di Roma con San Giorgio che combatte il dragone. (Op. cit., voi. I, pag. 530 e seg.) — Di P'rancesco di Cristofano del Cossa, pittor fer- rarese, il primo ricordo che abbiamo è del 1456, nel quale anno coloriva a marmo tutto intorno l'altare maggiore della cattedrale di Ferrara, e tre mezze figure di pietra. (Vedi L. N. Cittadella, Notizie relative a Ferrara ecc., pag. 52). Nella Pinacoteca di Bologna è una sua tavola dipinta nel 1474 per commissione di Alberto de'Catanei e di Domenico degli Amorini. In essa è rappresentata Nostra Donna seduta in trono col Bambino Gesù sulle ginocchia. Siede alla sua destra san Petronio che porta in mano l'immagine della città di Bologna, e die- tro di lui è inginocchiato e pregante il Catanei suddetto, alla sinistra siede pa- rimente un altro santo: questa tavola si vede incisa nel voi. I, pag. 523, della citata opera de' signori Crowe e Cavalcasene. ERCOLE FERRARESE 14^ non è quasi possibile veder meglio, ne imaginarsi la fa- tica e diligenza che Ercole vi pose:' laddove è molto miglior opera la predella che la tavola; le quali amendue fm'ono fatte in un medesimo tempo, vivente il Costa. Dopo la morte del quale, fu messo Ercole da Domenico Garganelli a finire la cappella in San Petronio,^ che^ come si disse di sopra , aveva Lorenzo cominciato e fat- tone piccola parte. Ercole, dunque; al quale dava perciò il detto Domenico quattro ducati il mese, e le spese a lui ed a un garzone, e tutti i colori che nell'opera ave- vano a porsi; messosi a lavorar, finì quell'opera per si fatta maniera, che passò il maestro suo di gran lunga ^ cosi nel disegno e colorito, come nella invenzione. Nella> prima parte, ovvero faccia, è la Crocifissione di Cristo^ fatta con molto giudizio; perciocché, oltre il Cristo che vi si vede già morto, vi è benissimo espresso il tumulto de'Griudei venuti a vedere il Messia in croce: e tra essi è una diversità di teste maravigliosa ; nel che si vede che Ercole con grandissimo studio cercò di farle tanto dif- ferenti l'una dall'altra, che non si somigliassino in cosa alcuna. Sonovi anche alcune figure che, scoppiando di dolore nel pianto, assai chiaramente dimostrano quanto egli cercasse d' imitare il vero. Evvi lo svenimento della Madonna, eh' è pietosissimo: ma molto più sono le Marie verso di lei; perchè si veggiono tutte compassionevoli e nell'aspetto tanto piene di dolore, quanto appena è pos- ' Fu la predella tolta di là e trasportata in casa Aldovrandi, come si è detto- alla nota 4, pag. 133-34. ^ *Non in San Petronio, ma in San Pietro, come l'Autore dice e nella prima edizione e nella Vita di Lorenzo Costa. La cappella fu distrutta quando nel 1605^ fu ricostruita la chiesa. Pochi avanzi di queste pitture furono salvati dalla pietà del marchese Tanari, facendo segare la muraglia, e trasportarne i pezzi dipinti nel suo palazzo di Galliera. Poi la famiglia Tanari li donò alla pontificia Acca- demia delle Belle Arti, dove stettero nascosti e murati in luogo recondito; e so- lamente nel 1844 furono tratti fuori per tentar di trasportarli dal muro sulla tela: ma ciò non ebbe effetto; ed ora sono da deplorarsi perduti per sempre tra le- macerie. (Ved. Gual.^ndi, Memorie cit. , Serie V, pag. 203; Serie VI, 192). 144 ERCOLE FERRARESE sibile imaginarsi, nel vedersi morte innanzi le più care cose che altri abbia, e stare in perdita delle seconde.' Tra l'altre cose notabili, ancora, che vi sono, vi è un Longino a cavallo sopra una bestia secca, in iscorto, che ha rilievo grandissimo; e in lui si conosce la impietà neir avere aperto il costato di Cristo, e la penitenza e con- versione nel trovarsi ralluminato. Similmente in strana attitudine figurò alcuni soldati che si giuocano la veste di Cristo, con modi bizzarri di volti ed abbigliamenti di vestiti. Sono anco ben fatti e con belle invenzioni i la- droni che sono in croce : e perchè si dilettò Ercole assai di fare scorti; i quali, quando sono bene intesi, sono bel- lissimi ; egli fece in queir opera un soldato a cavallo che , levate le gambe dinanzi in alto, viene in fuori di ma- niera che pare di rilievo: e perchè il vento fa piegare una bandiera che egli tiene in mano, per sostenerla fa una forza bellissima. Fecevi anco un San Grio vanni che, rinvolto in un lenzuolo, si fugge. I soldati, parimente, che sono in quest'opera, sono benissimo fatti, e con le più naturali e proprie movenze, che altre figure che insino allora fussono state vedute : le qusTi tutte attitu- tudini e forze, che quasi non si possono far meglio, mo- strano che Ercole aveva grandissima intelligenza e si affaticava nelle cose dell'arte.^ Fece il medesimo, nella facciata che è dirimpetto a questa, il transito di Nostra Donna, la quale è dagli Apostoli circondata con attitudini bellissime; e fra essi ' Nella prima edizione, questo periodo è scritto nel seguente modo : « Evvi lo svenimento della Madonna, che è pietosissimo: ma molto più compassionevole lo ajuto delle Marie in verso di quella, per vedersi ne' loro aspetti tanto dolore, quanto è appena possibile imaginarsi, nel morire la più cara cosa che tu abbia, e stare in perdita della seconda ». ^ Dopo questa vivissima descrizione, chi potrà dire che il Vasari è un ma- ligno scrittore che cerca d' occultare il merito degli artisti non toscani ? Certa- mente Ercole ferrarese non comparisce si grande sotto la penna del Baruffaldi e del Malvasia, i quali tutto ciò che han detto d'importante intorno a questo pittore, l'han tolto di peso dal Biografo aretino. ERCOLE FERRARESE 145 sono sei persone ritratte di naturale tanto bene, che quelli che le conobbero affermano che elle sono vivis- sime. Ritrasse anco nella medesima opera se medesimo e Domenico Garganelli, padrone della cappella; il quale per l'amore che portò a Ercole e per le lodi che sentì dare a quell'opera, finita che ella fu, gli donò mille lire di bolognini. Dicono che Ercole mise nel lavoro di que- sta opera dodici anni; sette, in condurla a fresco, e cinque in ritoccarla a secco. Ben è vero che in quel mentre fece alcune altre cose, e particolarmente, che si sa, la pre- della dell'aitar maggiore di San Giovanni in Monte; nella quale fece tre storie della Passione di Cristo.* E perchè Ercole fu di natura fantastico , e massimamente quando lavorava, avendo per costume che ne pittori ne altri lo vedessino, fu molto odiato in Bologna dai pittori di quella città; i quali, per invidia, hanno sempre portato odio ai forestieri che vi sono stati condotti a lavorare : ^ ed il me- desimo fanno anco alcuna volta fra loro stessi, nelle con- correnze: benché questo è quasi particolar vizio de' pro- fessori di queste nostre arti, in tutti i luoghi.^ S'accorda- ' *Da Pietro Lamo, che scriveva una Guida di Bologna nel 1560, ci sono descritte le tre storie di questa predella; cioè: Cristo tradito da Giuda; Cristo quando va al Calvario, e in quella di mezzo, la Madonna con Cristo morto in braccio. ( Graticola di Bologna , pubblicata per la prima volta in Bologna nel 1844, a pag. 13). A' tempi del Baruffaldi, questa predella fu appesa nella minor sa- grestia della chiesa medesima. Essa però dovette sparire prima del 1732, imper- ciocché la Guida Bolognese di quell'anno non ne fa più menzione. Il signor Gua- landi (Note alla Vita d'Ercole ferrarese del Baruffaldi) crede che due delle tre storie eh' erano dipinte in essa predella, cioè il tradimento di Giuda e l'andata al Calvario, sieno quelle della R. Galleria di Dresda, vendute al re di Polonia per opera del canonico Luigi Crespi, nel 1749. (V. Lettere pittoriche, voi. IV, pag. 380, edizione milanese del 1822). ^ L'asserzione è temeraria, perchè avventata senza restrizione alcuna. Chi sa che questa non abbia procacciate al Vasari le aspre censure del Malvasia e le virulenti postille del Caracci? ' Se dunque un tal vizio è universale, perchè farne un distintivo dei Bo- lognesi? Forse quando ciò scriveva, tornavano in mente al Vasari le molestie dategli dal Trevisi, e da maestro Biagio Papini, nel tempo ch'egli era a lavo- rare a Bologna. Questo, peraltro, diciamo per ispiegare il motivo dell'indebita accusa, non per iscusarla. Solamente aggiugneremo la seguente avvertenza del- VÀS4RI, Opere. — Voi. HI. 10 146 ' ERCOLE FERRARESE rono, dunque, una volta alcuni pittori bolognesi con un legnaiuolo, e per mezzo suo si rinchiusero in chiesa, vicino alla cappella che Ercole lavorava: e la notte seguente entrati in quella per forza, non pure non si contentarono di veder l'opera; il che doveva bastar loro; ma gli ru- barono tutti i cartoni, gli schizzi, i disegni ed ogni altra cosa che vi era di buono. Per la qual cosa si sdegnò di maniera Ercole, che, finita l'opera, si partì di Bologna senza punto dimorarvi; e seco ne menò il Duca Taglia- pietra, scultore molto nominato; ' il quale in detta opera che Ercole dipinse, intagliò di marmo que' bellissimi fo- gliami che sono nel parapetto dinanzi a essa cappella; ed il quale fece poi in Ferrara tutte le finestre di pietra del palazzo del duca, che sono bellissime.^ Ercole, dunque, infastidito finalmente dallo star fuori di casa, se ne stette poi sempre in Ferrara, in compagnia di colui, e fece in quella città molte opere/ Piaceva a Ercole il vino stra- le autor della Storia pittorica: «Se racconta (il Vasari) le invidie degli esteri, non tace sicuramente quelle dei Fiorentini; delle quali nella Vita di Donatello e nella sua, e più di proposito in quella di Pietro Perugino, scrive con una li- bertà Gioviana ». ' *Secondo lo Zani {Enciclopedia metodica di Belle Arti, yo\.l^'Vll\),(\}i&?,\X è Iacopo detto il Duca, modenese scultore e architetto. Ebbe un figliuolo in Paolo, suo degno successore nell'arte; dal quale discesero Silvio ed Ambrogio, artefici anch'essi. Da loro vengono i Tagliapietra trevigiani, il veneto Arduino, ed altri noti sotto il nome di Tagliapietra, che divenne appunto cognome. t Tutto quel che dice lo Zani circa alla provenienza de' Tagliapietra tre- vigiani e degli altri nominati dallo scultore modenese, è mero parto della sua immaginazione. Tagliapietra era nome col quale in alcune parti d'Italia si chia- mavano non solo gli scarpellini, ma talvolta anche gli scultori. Modernamente è stato scoperto che il cognome del Duca tagliapietra, ossia scultore, da Modena fu Foscardi, ma non si ha nessuna prova che egli avesse la discendenza che gli dà lo Zani. ^ * Questo palazzo del duca può intendersi (dicono gli annotatori della re- cente edizione del Baruffaldi) per l'antico palazzo estense in faccia al Duomo, imperciocché nel castello non si vedono finestre con belli ornati di marmo. ' *Il Baruffaldi rammenta del Grandi due altre opere: l' una nella chiesa di Sant'Agostino di Cesena, dove fece alcune storie nella cappella di San Sebastiano; l'altra nella chiesa di Santa Maria in Porto di Ravenna, che fu una tavola con Nostra Donna in trono, sant'Agostino, e il beato Pietro Onesti, primo padre e fondatore de' Canonici Portuensi. Altre opere di questo pittore si citano in Fer- rara ed in Roma dagli annotatori delle Vite del Baruffaldi, che troppo lungo ERCOLE FERRARESE 147 ordinariamente; perchè, spesso inebriandosi, fu cagione di accortarsi la vita; la quale avendo condotta senza alcun male insino agli anni quaranta/ gli cadde un giorno la gocciola di maniera, che in poco tempo gli tolse la vita. ^ Lasciò Guido Bolognese, pittore, suo creato; MI quale, l'anno 1491, come si vede dove pose il nome suo sotto il portico di San Piero a Bologna, fece a fresco un Cro- cifisso con le Marie, i ladroni, cavalli ed altre figure ra- gionevoli.* E perchè egli disiderava sommamente di ve- sarebbe il descrivere: tanto più che noi non abbiam ragioni sufficienti per cre- derle d' incontrastabile autenticità. Solamente faremo ricordo di una tavoletta nella Galleria Corsini a Roma, con San Giorgio che uccide il dragone; dove nella co- scia del cavallo è la cifra E G, che si può sciogliere per Ercole Grandi, avendo essa tavola tutta la maniera delle pitture sue. * *I1 Grandi, nato circa il 1462, come abbiamo congetturato nella nota 1, a pag. 141, stando a quel che dice il Vasari, sarebbe morto nel 1503, quarante- simo appunto dell'età sua: peraltro la iscrizione più genuina del suo sepolcro non dice quanti anni egli avesse, ma solo registra che egli mori nel 1531: cioè nel sessantesimo anno della sua vita, secondo il nostro computo. - * Nella prima edizione si legge: «Et da un amico, non molto dopo, gli fu fatto questo epitaffio : Hercules Ferrarien. Ingenium fuit acre mihi, similesqu^ figiiras Naturae effinxit nemo colore magis ». A tempo del Baruffaldi nella chiesa di San Domenico, dove Ercole ottenne onorata sepoltura, si leggeva un epitaffio che questo scrittore riportò nelle sue Vite, dopo averlo trascritto di sua mano dalla sepoltura medesima : Sepulcrum egregii viri Herculis Grandi pictoris- de Ferraria qui obiit de mense julio MCCCCCXXXI Hercules heu quantum doluerimt morte colores ! En tibi prò rubro pallor in ore jacet. Quello che il Bottari cavò dal secondo autografo del Baruffaldi, e stampò in fine della Vita di Alfonso Lombardi del Vasari, forse dal Baruffaldi stesso fu tenuto per falsato nella lezione ; imperocché nell' ultimo autografo ei non ne fece conto e vi sostituì quello da noi riportato. La variante iscrizione è la seguente: Se- pulcrum egregii Herculis Grandii pictoris de Ferraria qui obiit mense julio quadragenarius anno MCCCCCXXXV cuius anima requiescat in pace. Lau- rentia Manarda uxor fidelissima et Julius filius obsequentiss. cum lacrymis p. p. e. e. {ponere curarunt) eodem anno. Il figlio Giulio, in questa ultima iscri- zione nominato, fu vescovo d'Anglona nel regno di Napoli. ' Fu questi Guido Aspertini, di cui è una tavola rappresentante l'Adorazione de'Magi, nella bolognese Pinacoteca. (Vedine il Catalogo ecc. al n° 9). — *Guido fu fratello d'Amico Aspertini, del quale il Vasari dà notizia nella Vita del Ba- gaacavallo ed altrove. ' Il portico della chiesa di San Pietro, che si dice architettato da Bramante, fu distrutto nel rifabbricare la chiesa stessa colla nuova facciata; e allora venne pur distrutta la pittura delTAspertini. 148 ERCOLE FERRARESE nire stimato in quella città, come era stato il suo mae- stro, studiò tanto e si sottomise a tanti disagi, che si mori di trentacinque anni. E se si fusse messo Guido a imparare Tarte da fanciullezza, come vi si mise d'anni diciotto, arebbe non pur pareggiato il suo maestro senza fatica, ma passatolo ancora di gran lunga: e nel nostro Libro sono disegni di mano di Ercole e di Guido molto ben fatti, e tirati con grazia e buona maniera. 149 IACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI riTTOEI VINIZIANI { Nato circa il 1400 ; morto circa il 1464 — Nato circa il 1428 ; morto nel 1516 Nato circa il 1426; morto nel 1507) Le cose che sono fondate nella virtù, ancorché il prin- cipio paia molte volte basso e vile, vanno sempre in alto di mano in mano ; ed insino a che elle non son arrivate al sommo della gloria, non si arrestano ne posano giam- mai: siccome chiaramente potette vedersi nel debile e basso principio della casa de' Bellini, enei grado in che venne poi mediante la pittura. Adunque Iacopo Bellini, pittore viniziano, essendo stato discepolo di Gentile da Fabriano,^ nella concorrenza che egli ebbe con quel Do- menico, che insegnò il colorire a olio ad Andrea dal Ca- ' *Una prova irrefragabile di ciò si può vedere a pag. 20, nei Commentario alla Vita di Gentile da Fabriano. t Ora sodisfacendo alla promessa fatta in quel Commentario daremo intorno al caso successo a Jacopo Bellini in Firenze maggiori e più precisi particolari, desumendoli da una petizione presentata alla Signoria di Firenze a' 3 d'aprile 1425 (Arch. di Stato : Provvisioni del Gran Consiglio, voi. 116, carte 8), nella quale si narra prò parte Jacobi Petri pictoris de Venetiis (Jacopo Bellini) faìnuli et discipuli magistri Gentilini pictoris de Fabriano, habitatoris in populo Sanate Marie Virginia TJgonis de Florentia, che nel 2 di settembre 1423 egli fu condan- nato in lire 450 di fiorini piccoli da messer Romano de'Benveduti da Gubbio, Esecutore degli Ordini di Giustizia in Firenze, perchè aveva assalito e percosso nel braccio sinistro Bernardo figliuolo di ser Silvestro di ser Tommaso notajo e cittadino fiorentino. Dalla qual condanna egli ora si richiama, dicendo che il 150 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI stagno, ancor che molto si affaticasse per venire eccel- lente nell'arte, non acquistò però nome in quella, se non dopo la partita di Vinezia di esso Domenico. Ma poi ri- trovandosi in quella città senza aver concorrente che lo pareggiasse, accrescendo sempre in credito e fama, si fece in modo eccellente, che egli era nella sua profes- sione il maggiore e piti reputato. Ed acciocché non pure si conservasse, ma si facesse maggiore nella casa sua e ne' successori il nome acquistatosi nella pittura, ebbe due figliuoli inclinatissimi all'arte, e di bello e buono ingegno: Tuno fu Giovanni, e l'altro Gentile;* al quale pose così nome per la dolce memoria che teneva di Gentile da Fabriano, stato suo maestro e come padre amorevole. Quando, dunque, furono alquanto cresciuti i detti due fatto andò veramente in questo modo, cioè: che il sopraddetto Bernardo il giorno della festa di san Barnaba, agli 11 di giugno 1423, con altri suoi compagni, co- minciò a scagliare sassi in una corte, dove maestro Gentilino aveva messo alcuni suoi intagli e pitture di grande importanza, onde il detto Jacopo per comando del maestro andò e rimproverò Bernardo, dicendogli: Tu fai una grande vil- lania a gettare, essendo oggimai grande come tin uomo. Alle quali parole Ber- nardo stizzitosi rispose con ingiurie, e facendosi beffe di lui lo sfidò a far seco ai pugni. Il che accettato da Jacopo, vennero tra loro alle mani. Da quel fatto stimando Jacopo che non gliene potesse venire nessuna condanna, sali sulle galee de' Fiorentini che erano per andare al loro solito viaggio di Ponente. Allora ser Silvestro padre del detto Bernardo, ed amico dell'Esecutore, profittando del- l'assenza d' Jacopo, lo fece da lui inquisire e condannare in contumacia. Intanto dopo un £uino ritornarono le galee fiorentine, e Jacopo, non sapendo della sua condanna, se ne venne novaraente a Firenze, dove fu preso a' 24 d'ottobre del 1424 e a petizione del potestà di quel tempo sostenuto nelle stinche di Fi- renze, colla multa di 25 lire da pagarsi per dirittura al detto potestà. Aggiunge Jacopo che a' 28 di novembre del sopraddetto anno ebbe la pace da Bernardo, e che essendo poverissimo non vede il modo di liberarsi da tanta miseria se non v'interviene la Signoria; nella cui clemenza e misericordia confidando, supplica che, considerata la povertà sua, e la poca importanza del fatto, ella si degni di far solennemente deliberare che Jacopo sia offerto alla chiesa di San Giovanni di Firenze, il giorno di Pasqua di Resurrezione, che in quell'anno (cioè nel 1425) cadeva agli otto d'aprile, andando, secondo l'usanza e nell'ore consuete, col capo scoperto, il torchietto in mano e le trombe innanzi. La petizione fu vinta con 151 voti favorevoli, ed uno contrario. ' *Dei due fratelli Bellini, il maggiore era Gentile, essendo nato nel 1421, e Giovanni nel 1426. t Si può congetturare che Jacopo Bellini andasse a stare con Gentile da Fabriano, allorché questi prima del 1421 fu a dipingere in Venezia nella sala JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 151 figliuoli, Iacopo stesso insegnò loro con ogni diligenza i principj del disegno. Ma non passò molto, che l'uno e r altro avanzò il padre di gran lunga: il quale di ciò rallegrandosi molto, sempre gì' inanimava, mostrando loro che disiderava che eglino, come i Toscani fra loro me- desimi portavano il vanto di far forza per vincersi V un l'altro, secondo che venivano all'arte di mano in mano; cosi Giovanni vincesse lui, e poi G-entile l'uno e l'altro; e così successivamente. Le prime cose che diedero fama a Iacopo, furono il ritratto di Giorgio Cornaro e di Caterina reina di Cipri: una tavola che egli mandò a Verona, dentrovi la Pas- sione di Cristo, con molte figure; fra le quali ritrasse se stesso di naturale;* e una storia della Croce, la quale si del Gran Consiglio, e che da Venezia lo seguitasse a Firenze, dove troviamo il suo maestro fino dal 1422; che dopo il 1425, per l'accidente sopravvenutogli in quest'ultima città, del quale abbiamo narrato i particolari nella nota prece- dente, si dividesse dal maestro, ed andasse a Padova, dove fece alcune opere registrate dagli scrittori, e quivi finalmente intorno al 1426 forse si accasasse. La nascita dunque di Gentile suo maggior nato, se queste congetture hanno qualche fondamento, cadrebbe intorno al 1427 e quella di Giovanni un anno dopo, cioè verso il 1428. Jacopo nel 1430 era in Venezia, come apparisce da una me- moria di quest'anno posta da lui in un suo disegno della Deposizione di Cristo nel Sepolcro già posseduto dalla famiglia Cornaro, e di cui si ha un'incisione: il qual disegno forse apparteneva al libro de' suoi disegni, di cui avremo oppor- tunità di parlare più innanzi. Quanto alla nascita di Jacopo, il Bernasconi {Cenni intorno la Vita e le opere di Jacopo Bellini nel giornale l'Adige, numeri 75 e 76 del 1869) l'assegnerebbe all'anno 1400 incirca. ' *I1 Piacenza, nelle Giunte al Baldinucci, opina che il Vasari qui sia ca- duto in errore col credere dipinto in tavola quello eh' è in muro; impercioc- ché neppure il Ridolfi fa menzione di questa tavola: mentre, pel contrario, dalla Ricreazione pittorica di Verona è fatta memoria, che nella cappella di San Niccolò della cattedrale era un Calvario dipinto sul muro, con alcuni pro- fili d'oro, l'anno 1436, da Jacopo Bellini. Questa congettura del Piacenza è av- valorata dal sapersi, che nei contorni di Verona erano altre pitture di lui. Questo affresco fu demolito nel 1750; ma il Rosini potè darne un intaglio nella tav. con della sua Storia, ricavandolo da un ricordo fatto prima che tal pittura fosse distrutta. t Questa bellissima pittura fu distrutta la notte del 25 giugno 1759 d'or- dine di monsignor Memo vescovo di Verona per dar luogo ad un bel muro bianco e ad una sciocca architettura, come scrisse Gian Bettino Cignaroli pit- tore veronese del secolo passato nei margine di un esemplare delle Vite degli artefici veronesi del Dal Pozzo. Ce ne rimase un disegno che si disse tolto dal- 152 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI dice essere nella scuola di San Grio vanni Evangelista: le quali tutte, e molte altre, furono dipinte da Iacopo con l'aiuto de' figliuoli.* E questa ultima storia fu fatta in tela; siccome si è quasi sempre in quella città costumato di fare, usando visi poco dipignere^ come si fa altrove, in tavole di legname d'albero, da molti chiamato oppio e da alcuni gàttice: il quale legname, che fa per lo più lungo i fiumi o altre acque, è dolce affatto e mirabile per dipignervi sopra, perchè tiene molto il fermo, quando si commette con la mastice. Ma in Venezia non si fanno tavole, e facendosene alcuna volta, non si adopera altro legname che d' abete; di che è quella città abbondan- tissima, per rispetto del fiume Adige, che ne conduce grandissima quantità di terra tedesca; senza che anco ne viene pure assai di Schia venia. Si costuma dunque assai in Vinezia dipignere in tela, o sia perchè non si fende e non intarla, o perchè si possono fare le pitture di che grandezza altri vuole, o pure per la commodità, l'originale, e fu inciso da Paolo Cagliari pittore veronese de' primi anni di questo secolo. Sotto la detta pittura era un cartello, dove si leggeva questa iscrizione; Mille quaAringentis , sex et trigenta per annos Jacobus haec pinxit_, tenui quantum alligil arteni Ingenio Bellinus. Idem praeceptor et illi Gentilis veneto fama celeberrimus orbe Quo Fabriana viro praestanll urbs 'patria gaudci. Della detta pittura oltre l'intaglio dato dal Rosini ne abbiamo una fotografia nei citati Cenni del Bernasconi, e nel voi. I, pag. 110 dell'opera dei signori Crowe e Cavalcasene. ' t II Ridolfi, pag. 35-33, parla di queste pitture nella scuola di San Gio- vanni Evangelista, che rappresentavano storie della Vita della Madonna e delia Passione di Gesù Cristo fatte da Jacopo servendogli i figliuoli di alcuno aiuto, e le descrive coìne gli furono riferite da vecchi pittori. Il Sansovino, nel suo libro Venezia descritta, le ricorda eseguite da Jacopo, ma non parla de' figliuoli. (Ved. Bernasconi, Ceniif ecc.) A' nostri giorni per volontà di monsignore Luigi de' marchesi di Canossa, vescovo di Verona, è stato depositato nel Museo Civico di quella città un Crocifisso a tempera grande quanto il vero, segnato opvs iacopi BELLINI. Esso stette ah antico in un armadio del vescovado, ed è tradizione che per ordine del vescovo fosse dipinto da Jacopo al tempo che egli lavorava in fresco la Crocifissione nella cappella del Sacramento della cattedrale veronese nel 1436. (Ved. Bernasconi, Cenni ecc., il quale ne dà ancora una fotografia). JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 153 come si disse altrove/ di mandarle commodamente dove altri vuole, con pochissima spesa e fatica. Ma sia di ciò la cagione qualsivoglia, Iacopo e Gentile feciono, come di sopra si è detto, le prime loro opere in tela; e poi Gentile, da per se, alla detta ultima storia della Croce n'aggiunse altri sette ovvero otto quadri,^ ne' quali di- pinse il miracolo della Croce di Cristo, che tiene per reliquia la detta scuola : il quale miracolo fu questo. Essendo gettata, per non so che caso, la detta Croce dal ponte della Paglia in canale,^ per la reverenza che molti avevano al legno che vi è della Croce di Gesù Cristo, si gettarono in acqua per ripigliarla; ma, come fu vo- lontà di Dio, ninno fu degno di poterla pigliare, eccetto che il guardiano di quella scuola.* Gentile, adunque, figu- rando quella storia, tirò in prospettiva in sul Canale grande molte case, il ponte alla Paglia, la piazza di San Marco, ed una lunga processione d'uomini e donne che sono dietro al clero. Similmente molti gettati in acqua, altri in atto di gettarsi, molti mezzo sotto, ed altri in altre maniere ed attitudini bellissime; e finalmente vi fece il guardiano detto che la ripiglia: nella qual opera in vero fu grandissima la fatica e diligenza di Gentile, considerandosi l'infinità delle figure, i molti ritratti di naturale, il diminuire delle figure che sono lontane, ed i ritratti particolarmente di quasi tutti gli uomini che allora erano di quella scuola ovvero compagnia: ed in ' Introduzione; cap. ix della Pittura. (Vedi tom. I, pag. 166). ^ *Lo Zanotto [Pinacoteca dell' Accad. Veneta di Belle Arti illustrata) ?,6- stiene che non sette od otto, ma tre soltanto furono i quadri dipinti dai Bellini sui miracoli della Santa Croce. ' *I1 Ridolfl dice essere il reliquario della Santa Croce caduto nell'acqua per la calca del popolo; e lo Zanetti avverte, che ciò segui mentre che la pro- cessione passava il ponte vicino alla chiesa di San Lorenzo, non già quello della Paglia. ' * Questi fu Andrea Vendramino. Non si sa l'anno preciso in che accadde il prodigio; ma si può riporre tra il 1370, anno della donazione della Croce fatta alla scuola di San Giovanni Evangelista da Filippo Masceri, e il 1382, nel quale mori il Vendramino. (Zanotto, Pinacoteca ecc. sopra citata). 154 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI ultimo vi è fatto, con molte belle considerazioni, quando si ripone la detta Croce: le quali tutte storie, dipinte ne' sopraddetti quadri di tela, arrecarono a Gentile gran- dissimo nome.' Eitiratosi poi affatto Iacopo da se, e così ciascuno de' figliuoli, attendeva ciascuno di loro agli studj dell'arte. Ma di Iacopo non farò altra menzione; perchè non essendo state l'opere sue, rispetto a quelle de' figliuoli, straordinarie,^ ed essendosi, non molto dopo che da lui si ritirarono i figliuoli, morto; giudico esser molto meglio ragionare a lungo di Giovanni e Gentile solamente. Non tacerò già, che, sebbene si ritirarono questi fratelli a vivere ciascuno da per se, che nondimeno si ebbero in tanta reverenza l'un l'altro, ed ambidue il padre, che sempre ciascuno di loro celebrando l'altro, si faceva in- feriore di meriti; e così modestamente cercavano di so- pravanzare l'un l'altro non meno in bontà e cortesia, che neir eccellenza dell' arte. Le prime opere di Giovanni furono alcuni ritratti di naturale, che piacquero molto, ^ e particolarmente quello ' 'Delle tele dipinte da Gentile Bellini, con istorie della Santa Croce, per la Confraternita di San Giovanni Evangelista, due ne rimangono tuttavia, e si conservano nella Pinacoteca della Veneta Accademia di Belle Arti. Una è quella che qui descrive il Vasari, sebbene molto inesattamente e confusamente, non vi «ssendo ritratta la piazza di San Marco, né quando si ripone la detta Croce. Essa fu dipinta da Gentile nel 1500, come dice questa iscrizione : gentilis • BELLINVS • EQVES • PIO • SANCTISSIME • CRVCIS • AFFECTV ■ LVBENS • FECIT • MCCCCC. La piazza e la chiesa di San Marco si vedono invece nell'altra tela, dov'è rap- presentato il voto fatto alla Santa Croce da Jacopo Salis, bresciano, nel giorno di san Marco, in cui recavasi a processione nella piazza la detta reliquia. Il fatto avvenne nel 1454. I confratelli della scuola di San Giovanni Evangelista ordinarono a Gentile Bellini di dipingere questa tela nel 1496, come testimonia questa iscrizione: mcocc • lxxxxvi • gentilis • bellini • veneti • eqvitis • crvcis • AMORE • INCENSI • opvs. Si l'una come l'altra di queste storie sono date in intaglio dallo Zanotto {Pinacoteca ecc. già citata). - *Le pitture di Jacopo sono presso che tutte perite. Vedi in fine la nota di quelle non citate dal Vasari, delle quali abbiamo potuto raccoglier notizie. ' Il Vasari ha tralasciato di raccontare come Giovanni Bellino apprese il modo di colorire a olio; alla qual mancanza supplisce il Ridolfi, facendoci sapere ■che Giovanni, preso carattere e vestito di gentiluomo veneto, andò nello studio ■d'Antonello messinese col pretesto di farsi ritrarre; e cosi, vedendolo dipingere JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 155 del doge Loredano; sebbene altri dicono essere stato Giovanni Mozzenigo, fratello di quel Piero che fu doge molto innanzi a esso Loredano.* Fece, dopo, Giovanni una tavola nella chiesa di San Giovanni, all'altare di Santa Caterina da Siena; nella quale, che è assai grande, dipinse la Nostra Donna a sedere col putto in collo, San Domenico, Sant'Ieronimo, Santa Caterina, Sant'Or- sola, e due altre Vergini; ed a' piedi della Nostra Donna fece tre putti ritti, che cantano a un libro, bellissimi. Di sopra fece lo sfondato d' una volta in un casamento , che è molto bello: la qual opera fu delle migliori che fusse stata fatta insino allora in Venezia.* Nella chiesa di Sant'Iobbe dipinse il medesimo, all'aitar di esso Santo, una tavola con molto disegno e bellissimo colorito : nella quale fece in mezzo, a sedere un poco alta, la Nostra Donna col putto in collo, e Sant'Iobbe e San Bastiano nudi: ed appresso. San Domenico, San Francesco, San Gio- vanni e Sant'Agostino; e da basso, tre putti che suonano con molta grazia: e questa pittura fu non solo lodata al- lora che fu vista di nuovo, ma è stata similmente sempre dopo, come cosa bellissima.^ Da queste lodatissime opere mossi alcuni gentiluomini, cominciarono a ragionare che sarebbe ben fatto, con l'occasione di così rari maestri, fare un ornamento di storie nella Sala del Gran Consiglio ; scopri tutto l'artifizio del nuovo metodo, e ne profittò. Questa storiella nondi- meno sembra ad alcuni favolosa, sapendosi d'altra parte che Antonello non fa- ceva mistero del suo segreto, e che in Venezia ebbe per ciò una folla di scolari. ' * Giovanni Mocenigo tenne il dogato dal 1478 al 1485 ; Leonardo Loredano,- dal 1501 al 1521. ^ Nella chiesa de' Santi Giovanni e Paolo trovasi al primo altare questo quadro, il quale ha sofferto non poco, ed è stato risarcito. — * Vi scrisse il pro- prio nome. t L' incendio del 16 agosto 1867 accaduto-in San Giovanni e Paolo distrusse questa ed altre preziose pitture, fra le quali la celebre del San Pietro martire di Tiziano. ' * Questa tavola porta scritto in un cartelletto: ioannes bellinvs. Ora si con- serva nella Pinacoteca dell'Accademia di Venezia, e se ne vede la stampa nella citata opera dello Zanotto ed in quella dei signori Crowe e Cavalcasene. 156 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI nelle quali si dipignessero le onorate magnificenze della loro maravigliosa citta, le grandezze, le cose fatte in guerra, l'imprese ed altre cose somiglianti, degne di es- sere rappresentate in pittura alla memoria di coloro che venisseno; acciocché all'utile e piacere che si trae dalle storie che si leggono, si aggiugnesse trattenimento al- l'occhio ed all'intelletto parimente, nel vedere da dot- tissima mano fatte l'imagini di tanti illustri signori, e r opere egregie di tanti gentiluomini dignissimi d'eterna fama e memoria. ^ A Giovanni dunque e Gentile, che ogni giorno anda- vano acquistando maggiormente, fu ordinato da chi reg- geva, che si allogasse quest'opera, e commesso che quanto prima se le desse principio.^ Ma è da sapere che Antonio Viniziano, come si disse nella Vita sua, molto innanzi aveva dato principio a dipignere la medesima sala, e vi aveva fatto una grande storia; quando dall'invidia d'al- cuni maligni fu forzato a partirsi, e non seguitare al- tramente quella onoratissima impresa. Ora Gentile, o per aver miglior modo e più pratica nel dipignere in tela che a fresco, o qualunque altra si fusse la cagione, adoperò di maniera, che con facilità ottenne di fare quel- l'opera non in fresco, ma in tela. E così messovi mano, nella prima fece il papa che presenta al doge un cero, perchè lo portasse nella solennità di processioni che si avevano a fare. Nella quale opera ritrasse Gentile tutto il di fuori di San Marco; ed il detto papa fece ritto in pontificale, con molti prelati dietro; e similmente il doge ' *Le pitture della sala del Gran Consiglio furono descritte, insieme col Palazzo Ducale, da Francesco Sansovino contemporaneo al Vasari, in un opu- scoletto pubblicato oltre due secoli fa, e riprodotto per le nozze Tiepolo-Valier, in Venezia nel 1829, con illustrazioni dell' ab. Pietro Bettio. Lo stesso scrittore novera la lunghissima schiera degli uomini segnalati in quelle storie ritratti, che sommano a un cencinquanta e più. ^ Le maravigliose pitture dei Bellini e degli altri artefici, fatte nell' aula del Palazzo Ducale, oggi Biblioteca, perirono nel funestissimo incendio del 1577. JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 157 diritto, accompagnato da molti senatori. In un' altra parte fece, prima quando T imperatore Barbarossa riceve beni- gnamente i legati viniziani, e di poi quando tutto sdegnato si prepara alla guerra: dove sono bellissime prospettive ed infiniti ritratti di naturale, condotti con bonissima gra- zia, ed in gran numero di figure. Nell'altra che seguita, dipinse il papa che conforta il doge ed i signori veneziani ad armare a comune spesa trenta galee, per andare a combattere con Federigo Barbarossa. Stassi questo papa in una sedia pontificale, in roccetto; ed ha il doge ac- canto, e molti senatori abbasso: ed anco in questa parte ritrasse Gentile, ma in altra maniera, la piazza e la fac- ciata di San Marco, ed il mare, con tanta moltitudine d'uomini, che è proprio una maraviglia. Si vede poi in in un'altra parte il medesimo papa, ritto in pontificale, dare la benedizione al doge, che armatO; e con molti soldati dietro, pare che vada all' impresa. Dietro a esso doge si vede in lunga processione infiniti gentiluomini; e nella medesima parte, tirato in prospettiva, il palazzo e San Marco: e questa è delle buone opere che si veg- giano di mano di Grentile; sebbene pare che in quell'altra, dove si rappresenta una battaglia navale, sia più inven- zione, per esservi un numero infinito di galee che com- battono ed una quantità d'uomini incredibile; ed insomma, per vedervisi che mostrò di non intendere meno le guerre marittime, che le cose della pittura. E certo, l'aver fatto Gentile in questa opera numero di galee nella battaglia intrigate, soldati che combattono, barche in prospettiva,- diminuite con ragione, bella ordinanza nel combattere, il furore, la forza, la difesa, il ferire de' soldati, diverse maniere di morire, il fendere dell'acqua che fanno le galee, la confusione dell'onde, e tutte le sorti d'arma- menti marittimi; e certo, dico, non mostra l'aver fatto tanta diversità di cose, se non il grande animo di Gen- tile, l'artifizio, l'invenzione ed il giudizio; essendo eia- 158 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI scuna cosa da per se benissimo fatta, e parimente tutto il composto insieme.' In un' altra storia fece il papa che riceve accarezzandolo il doge, che torna con la deside- rata vittoria, donandogli un anello d'oro per isposare il mare; siccome hanno fatto e fanno ancora ogni anno i successori suoi, in segno del vero e perpetuo dominio che di esso hanno meritamente. E in questa parte Ottone figliuolo di Federigo Barbarossa, ritratto di naturale, in ginocchioni innanzi al papa : e come dietro al doge sono molti soldati armati, così dietro al papa sono molti car- dinali e gentiluomini. Appariscono in questa storia so- lamente le poppe delle galee , e sopra la capitana è una Vittoria finita d'oro, a sedere, con una corona in testa ed uno scettro in mano. Dell'altre parti della sala furono allogate le storie, che vi andavano, a Giovanni fratello di Gentile: ma per- chè l'ordine delle cose che vi fece, dependono da quelle fatte in gran parte, ma non finite, dal Vivarino; è bi- sogno che di costui alquanto si ragioni. La parte dunque della sala che non fece Gentile, fu data a fare parte a Giovanni e parte al detto Vivarino, acciocché la concor- renza fusse cagione a tutti di meglio operare. Onde il ' * Francesco Sansovino dice che questa storia fu fatta da Giovanni Bellini. Ma Giovanni insieme con Gentile non fecero che restaurarla, come testimonia il Malipiero ne' suoi Anìiali veneti con queste parole: « 1474. È sta principia -a restaurar la depentura del conflitto de l' armada de la Signoria con quella de Ferigo Barbarossa . in sala del Gran Consegio, perchè la era casca del muro, da humiditù e vechiezza. Quei che ha fatto l'opera è Zuane e Zentil Belino, fratelli; i quali ha hàbi'i, in premio delle so fadighe, due sensarie in Fontegho (fondaco ), e ha promesso che la durerà 200 anni ». {Arch. Stor. Ital., tora. VII, pag. 663). t I fratelli Bellini fecero dopo il 1479 le pitture qui descritte dal Vasari. Sì trova che a' 29 d'agosto 1479 la Signoria pone in luogo di Gentile, che do- veva andare a Costantinopoli, Giovanni suo fratello, al quale è assegnata in premio a vita la prima sensaria del Fondaco de' Tedeschi che vacherà. Nel 1483 (st. e. 1484) a' 26 di febbrajo, Giovanni Bellini è esentato da tutti gli ufficj e benefi'cj della sua Scola o Fraglia perchè possa attendere con più libertà ai la- vori della Sala del Gran Consiglio. (Vedi Selvatico e Foucard, Illustrazione del Palazzo Ducale di Venezia. Milano, 1859, 2° Rapporto, pag. 82 e 83). JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 15^J Vivarino, messo mano alla parte che gli toccava, fece accanto air ultima storia di Gentile, Ottone sopraddetto che si offerisce al papa ed a'Viniziani d'andare a pro- curare la pace fra loro e Federigo suo padre, e che ot- tenutola si parte, licenziato in sulla fede. In questa prima, parte, oltre all'altre cose, che tutte sono degne di con- siderazione, dipinse il Vivarino con bella prospettiva un tempio aperto, con scalee e molti personaggi; e dinanzi al papa, che è in sedia circondato da molti senatori, è il detto Ottone in ginocchioni, che giurando obbliga la sua fede. Accanto a questa fece Ottone arrivato dinanzi al padre, che lo riceve lietamente; ed una prospettiva, di casamenti bellissimi; Barbarossa in sedia, e il figliuolo ginocchioni, che gli tocca la mano, accompagnato da molti gentiluomini viniziani, ritratti di naturale tanto bene che si vede che egli imitava molto bene la natura.' Avrebbe il povero Vivarino con suo molto onore seguitato il ri- manente della sua parte ; ma essendosi , come piacque a Dio, per la fatica e per essere di mala complessione^ morto, non andò più oltre: anzi, perchè ne anco questo che aveva fatto aveva la sua perfezione, bisognò che Giovanni Bellini in alcuni luoghi lo ritoccasse. * ' *Per testimonianza del detto Sansovino (op. cit. ), questa storia era stata prima dipinta dal Pisanello. - *I1 nuovo stile della pittura veneta ebbe cuna in Murano. Dai Vivarini, famiglia di quell'isola, per non interrotta serie di artefici si propagò. Di Antonio, di Bartolommeo e di altri Vivarini, avremo luogo di parlare altrove. Quanto a Luigi, due di cotal nome vuoisi che fossero in questa famiglia. Del più antico, che gli storici tengono come stipite di essa, sono ora nella veneta Pinacoteca due tavolette con San Giovan Battista e San Matteo, segnate del suo nome e del- l'anno 1414. Ma il Lanzi stimò apocrifa la iscrizione, e intese provare che le ragioni, per le quali si è voluto ammettere la esistenza di un Luigi Vivarini più antico, non si sostengono. Al contrario, Francesco Zanotto {Pinacoteca Ve- neta illustrata) confuta la opinione del Lanzi, e ammette che vi sia stato un Luigi seniore, coli' autorità del Sansovino, del Boschini, del Ridolfi e dello Za- netti, che videro quelle tavolette innanzi che fossero guaste dai ritocchi e rac- conciate, e colla prova più lucida e conveniente della diversità di stile tra quel- l'opera del vecchio Luigi e le altre del giovane: essendo che quella è maniera più secca, di disegno crudo e molto dintornato, di colore uniforme e senza sfu- 160 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI Aveva, intanto, egli ancora dato principio a quattro istorie che ordinatamente seguitano le sopraddette. Nella prima fece il detto papa in San Marco, ritraendo la detta chiesa come stava appimto, il quale porge a Federigo Barbarossa a baciare il piede: ma, quale si fusse la ca- gione, questa prima storia di Giovanni fu ridotta molto più vivace e, senza comparazione, migliore dall' eccellen- tissimo Tiziano. Ma seguitando Giovanni le sue storie, fece nell'altra il papa che dice messa in San Marco; e che poi, in mezzo del detto imperatore e del doge, con- cede plenaria e perpetua indulgenza a chi visita in certi tempi la detta chiesa di San Marco, e particolarmente per r Ascensione del Signore : vi ritrasse il di dentro di €ssa chiesa, ed il detto papa in sulle scalee che esce mature; a differenza del giovane Luigi, che va esente da quei difetti, perchè vissuto in tempi più avanzati nell'arte. Di Luigi il giovane, nominato qui dal Vasari, abbiamo notizie di varie pitture operate in patria e fuori; ma, a cagione di brevità, faremo ricordo solamente di quelle che sono autenticate dal suo nome. Celebre sopra ogni altro è il quadro eh' egli fece per la Scuola o Confraternita di San Girolamo di Venezia, ove effigiò il santo che cava la spina ad un leone, e alcuni monaci che a quella vista fuggono spaventati. Il D'Agincourt ne ha dato '.in piccolissimo intaglio nella tavola clxii, al n" 4, della Pittura. Fece ancora per la chiesa di San Francesco di Trevigi una tavola con Nostra Donna in trono e il Divin Figliuolo ritto in pie sulle sue ginocchia: san Buonaventura e sant'An- tonio da Padova stanno a destra; san Francesco d'Assisi e san Bernadino da Siena a sinistra. Dietro a loro, e più presso al trono, sant'Anna e san Giovac- ■chino. Il Vivarini condusse questo suo pregiato lavoro nel 1480, come si vede dalla scritta posta nel primo gradino del trono : alvixe vivarin • p • mcccclxxx. — (t La controversia se siano stati due pittori Vivarini di nome Luigi, è chiamata dai signori Crowe e Cavalcasene frivola e ridicola. Essi, confermando l'opinione ■del Lanzi, dicono che l'anno 1414 posto nella sottoscrizione del quadro di Luigi Vivarini rappresentante Cristo che porta la croce, è una falsificazione, e che in quel quadro, sebbene guasto dai ritocchi, vi si vede chiaramente la maniera di Luigi Vivarini, il solo di questo nome, che visse ed operò negli ultimi 50 anni del •secolo XV, nel quale spazio deve essere stato dipinto. Vedi op. cit., I, 58). — Soppressa la suddetta chiesa, quella tavola passò nella Pinacoteca dell'Accademia di Belle Arti di Venezia. Se ne vede l'intaglio e la illustrazione nello Zanotto {La Pinacoteca della Veneta Accademia di Belle Arti illustrata, tom. II). Altra bellissima tavola dipinse l'anno 1501 per la Scuola dei Battuti di Belluno, che nel 1815 possedeva il conte Marino Pagani bellunese. La Galleria di Vienna ha una tavola con Nostra Donna che tiene il putto in braccio, e ai piedi sono ■due angeli che suonano il liuto. Essa porta scritto: alvsivs vivarinus de mv- RiANO. p. MccccLxxxvuii. Anche nel Museo di Berlino si conserva una sua opera JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 161 di coro, in pontificale, e circondato da molti cardinali e gentiluomini; i quali tutti fanno questa una copiosa, ricca e bella storia. Nell'altra, che è di sotto a questa, si vede il papa in roccetto, che al doge dona un'ombrella; dopo averne data un'altra all'imperatore, e serbatone due per se. Nell'ultima che vi dipinse Giovanni, si vede papa Alessandro, l'imperatore ed il doge giugnere a Roma; dove fuor della porta gli è presentato dal clero e dal popolo romano otto stendardi di varj colori e otto trombe d'argento, le quali egli dona al doge, acciò l'abbia per insegna egli ed i successori suoi. Qui ritrasse Giovanni Roma in prospettiva alquanto lontana, gran numero di cavalli, infiniti pedoni, molte bandiere, ed altri segni d' allegrezza sopra Castel Sant'Agnolo. E perchè piacquero rappresentante Maria Vergine seduta dentro un tabernacolo col Divino Infante. A destra stanno i santi Caterina, Pietro e Giorgio; a sinistra, santa Maria Mad- dalena, san Girolamo e san Sebastiano. A pie del trono due angeli che suo- nano, l'uno il flauto, l'altro il liuto. Vi è scritto: alowixe • vivarin ; senz'anno. — (t Questa tavola è quella stessa che stette prima nella chiesa de' Battuti di Belluno). — Quanto poi alle pitture da Luigi Vivarini operate nella sala del Gran Consiglio di Venezia, nella nota di Bepentori della sala de Gran Conseio, del 1495, pubblicata dal Gaye (II, 72) si trova: Maistro Alvise Vivarin, de- pentor in Gran Conseio. comenza a di 24 marzo 1492 : à ducati 5 al mecce, da esser prontadi del suo lavor per termination di Signori: à l'ano ducati 60. t Aveva cominciato a dipingere nella detta sala fin dal 29 di luglio 1488, e il primo quadro che vi fece fu nel luogo dove era la pittura del Pisanello. Il Vivarini nel detto mese ed anno aveva presentato alla Signoria di Venezia una sua supplica nella quale domandava di essere messo a lavorare nella detta sala, dove già dipingevano i fratelli Bellini. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, op. cit., I, 59 e 60; e Selvatico e Foucard, Illustrazione del Palazzo Ducale di Venezia; Milano, 1859, 2° Rapporto, p. 83). Altre opere di Luigi Vivarini sono ricordate da' signori Crowe e Cavalcaselle. In San Giovanni in Bragora di Venezia è il busto del Salvatore dipinto nel 1493 per ornamento della reliquia di san Giovanni Elemosinano. Nella stessa chiesa è un'altra tavola colla Resur- rezione dipinta da lui nel 1498, come è confermato dalle Memorie della chiesa. In Milano in casa Bonomi è un ritratto che porta la scritta: alovisius viva- RiNus DB MURiANO F. 1497; 6 nella Galleria di Brera un altro ritratto colla sot- toscrizione: ALvisius vivARiNUS DE MURiANO PiN. MccccLxxxxviii. Nella chiesa de'Frari di Venezia, alla cappella de' Milanesi, è una pittura coli' Apoteosi di Sant'Ambrogio comunemente attribuita a Bartolommeo Vivarini ; ma veramente essa fu cominciata da Luigi forse- nel 1503 e finita da Marco Basalti. Vi è scritto : Quod Vivarine tua fatali sorte nequisti, Marcus Basitus nobile prompsit opus. VisABl, Opere. — Voi. III. 11 162 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI infinitamente queste opere di Giovanni, che sono vera- mente bellissime, si dava appunto ordine di fargli fare tutto il restante di quella sala; quando si mori, essendo già vecchio. ^ Ma perchè insin qui non si è d'altro che della sala ragionato, per non interrompere le storie'di quella; ora, tornando alquanto addietro, diciamo, che di mano del medesimo si veggiono molte opere. Ciò sono una tavola che è oggi in Pesaro, in San Domenico,^ all'aitar mag- giore: nella chiesa di San Zaccheria di Vinezia, alla cap- pella di San Girolamo, è in una tavola una Nostra Donna con molti Santi, condotta con gran diligenza, ed un ca- samento fatto con molto giudizio;^ e nella medesima città, nella sagrestia de' Frati Minori, dettala Ca grande, ' *Alcuni pongono la morte di Giovanni Bellini nel 1512, altri nel 1514; ma i più accreditati scrittori ne assegnano l'anno 1516. Ciò è confermato da Ma- rino Sanuto, che, di più, ci dice il giorno preciso. Nel voi. XXIII, pag. 184 dei suoi JDiarii Veneti mss., sotto il di 15 di novembre del 1516, egli dice: Se in- tese questa mattina esser morto Zuan Belim, optimo pytor, havia anni ... ; la cui fama è nota per il moìido, et chussì vecchio come l'era dipinzeva per excellentia. Fu sepulto a San Zenopolo { Giovanni e Paolo ) in la soa archa. dove etiam è sepulto Zentil Belim. suo fratello, etiam optimo pytor. (Cico- gna, Iscrizioni veneziane, II, 119). La testimonianza del Sanuto si avvalora dalla scritta ch'era in una tela con Maria Vergine, il Divino Infante e san Gio- van Battista, esistente nel passato secolo nelle stanze del padre abate de' mo- naci Cassinensi di Santa Giustina in Padova; la quale iscrizione diceva: joannes • BELLiNvs • p • 1516. (Ved. Brandolese, Guida di Padova, ediz. del 1795, a pag. 103-4). ^ Questa bellissima pittura non è in San Domenico, ma bensì in San Fran- cesco della stessa città di Pesaro. t Rappresenta l'Incoronazione della Vergine con i santi Piero, Paolo, Girolamo e Francesco. Otto altri santi sono dipinti dentro altrettante nicchie ne' pilastri. Sul gradino del trono è scritto: ioannes • bellinvs. Le storiette della predella rappresentano la Conversione di san Paolo, il Martirio di san Pietro, la Natività, San Girolamo penitente, e le Stimate di san Francesco. ^ Sussiste in detta chiesa, ed è sufficientemente conservata. Nel 1797 fu por tata a Paingi, e nel 1815 restituita a Venezia. Nel coro della stessa chiesa d San Zaccaria vedesi, inoltre, un piccol quadro di Giovanni Bellini, rappresen tante la Circoncisione di Gesù Cristo. — * Nella raccolta del castello Howard in Inghilterra, è un quadro con questo medesimo soggetto della Circoncisione firmato dal nome di Giovanni Bellini, che il Waagen asserisce essere il vero originale di tante copie fatte presso a' tempi del pittore. {Kunstwerhe und Kilnstler in England, II, 409). JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 163 n'è un'altra di mano del medesimo, fatta con bel dise- gno e buona maniera : * una similmente n' è in San Mi- chele di Murano,^ monasterio de' Monaci Camaldolensi : ed in San Francesco della Vigna, dove stanno Frati del Zoccolo, nella chiesa vecchia, era in un quadro un Cristo morto, tanto bello, che que' signori, essendo quello molto celebrato a Lodovico Undecimo re di Francia, furono quasi forzati, domandandolo egli con istanza, sebbene mal vo- lentieri, a compiacernelo : in luogo del quale ne fu messo un altro col nome del medesimo Giovanni, ma non così bello ne così ben condotto come il primo ;"* e credono alcuni, che questo ultimo per lo più fusse lavorato da Girolamo Mocetto , creato di Giovanni.'* Nella Confrater- nita parimente di San Girolamo è un'opera del mede- ' *Questa tavola si vede tuttavia nella sagrestia del tempio di Santa Maria Gloriosa de'Frari, prinaa de' Frati Minori, ora parrocchia. Nel mezzo è seduta la Madre Vergine col Figliuolo. Nel compartimento a destra è san Niccolò e un altro beato; e iu quello a sinistra, san Benedetto e un altro santo. Sui gradi del trono siedono due angioletti che suonano; e sotto vi è scritto: ioannks BELLiNvs • F. 1488. (MoscHiN'i, Guida di Venezia, e Zanot'to, Guida di Venezia pel Congresso del 1847). ^ Questa pittura, ch'era iu San Michele, è oggi appesa alla parete sinistra della chiesa de' Santi Pietro e Paolo di Murano. — "Rappresenta Nostra Donna col putto, seduta in trono, con due angeli che suonano strumenti ad arco. Da una parte è sant'Agostino; dall'altra san Marco, che presenta alla Vergine il doge Agostino Barbarigo inginocchiato. V'è scritto il nome del pittore e l'anno 1488. (MoscHiNi, Guida cit. ). ' * Questa tavoletta esiste tuttavia nella chiesa di San Francesco della Vigna, e rappresenta Maria Vergine seduta in trono col putto nelle braccia, e i santi Giovan Battista, Girolamo, Sebastiano, Francesco d'Assisi e un pellegrino. L'autore vi scrisse : joannes bellinvs • .mdvii. '" * Girolamo Mocetto, dal Vasari nella Vita di Marcantonio Raimondi (che fu suo maestro d'intaglio) detto Mosciano da Brescia, per comune sentenza è creduto veronese. Il Lanzi cita in casa Correr di Venezia un quadro, senza no- tarne il soggetto, soscritto dall'autore e coli' anno 1484. Nella chiesa dei Santi Na- zario e Celso di Verona è una sua tavola coiranno 1493, dov'è espressa No- stra Donna col putto, seduta in mezzo a' due santi Biagio e Giuliana: e il Per- sico {Descrizione di Verona; Verona, 1820) dice del Mocetto anche l'affresco della volta della nicchia, doT'è la suddetta tavola, coU'Adorazione dei Re Magi, e due teste, una del Redentore e l'altra di un monaco. Il D'Agincourt, sotto il numero 9 della tav. clxii della Pittura, ci dà un piccolissimo intaglio di una Strage degl'Innocenti, dov'è scritto: hierolomo Moceto -p.; ma non ci dice dove il quadro esista. Nella parrocchia dei Santi Giovanni e Paolo, è sua opera il 164 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI simo Bellino, di figure piccole molto lodate;' ed in casa messer Giorgio Cornaro è un quadro similmente bellis- simo, dentro Cristo, Cleofas e Luca.^ Nella sopraddetta sala dipinse ancora, ma non già in quel tempo mede- simo, una storia, quando i Viniziani cavano dal mona- sterio della Carità non so che papa; il quale fuggitosi in Vinegia, a,veva nascosamente servito per cuoco molto tempo ai monaci di quel monasterio : '' nella quale storia sono molte figure, ritratti di naturale, ed. altre figure bellissime/ Non molto dopo essendo in Turchia portati gran finestrone di vetri dipinti, con infinita moltitudine di santi, dove scrisse: HiERONYMUS MocETTUs FACiEBAT. (MoscHiNi, Guida di Venezia). t La tavola in San Nazario da Verona porta la scritta: hiers Moceto FACIEBAT. La data del 1493 sulla vicina pittura in fresco fu presa dal Lanzi per quella della tavola. Quanto al gran finestrone di vetri dipinti nella chiesa di Sau Giovanni e Paolo, noi crediamo che il Mocetto facesse il cartone dipinto, sul quale fu lavorato da ignoto maestro di vetri quel finestrone. Nella Galleria di Vicenza è una Vergine che tiene ritto sulle ginocchia il suo Divin Figliuolo: nell'angolo sinistro si legge: hieronimo ■ moceto • p. Parimente è del Mocetto un ritratto d' ignoto nella Galleria di Modena, anticamente al Catajo, colla scritta: HIERS • MOCETTO • p. (V. Crowe E Cavalcaselle, op. cit., I, 505). Il quadretto della Strage degl' Innocenti dato inciso dal D'Agincourt, è oggi a Parigi insieme con altro suo compagno. (V. nella Gazette des Beaux Arts, 1859, un articolo sul Mocetto del signor Galichon). Le memorie che abbiamo del Mocetto vanno dall'anno 1490, segnato nella sua stampa della Calunnia d'Apelle, all'anno 1514, in cui incise quattro piani e vedute di Venezia nella Storia latina di Nola. ' *Nella Descrizione delle pitture di Venezia del 1733, si cita nella Scuola o Confraternita di San Girolamo questo santo che parla con varj frati; opera di Giovanni Bellini. La più recente Guida del Moschini non ne fa parola. ^ *Nel Museo di Berlino è una tavola con questo stesso soggetto, con la sottoscrizione joannes bellinvs; salvo che, invece di Cleofas e Luca, vi sono, oltre la Madonna e san Giovanni, la Maddalena, Giuseppe d'Arimatea e Nico- demo: ed un'altra tavola (non firmata però) con Cristo morto, pianto dalla Vergine Madre e dal discepolo Giovanni. Potrebbe forse uno de' due essere il quadro di casa Cornaro? ' * Questo papa è Alessandro III. La storia testimonia che egli fuggi a Ve- nezia, e rimase nascosto da prete semplice presso i canonici regolari di sant'Ago- stino, nel monastero di Santa Maria della Carità. Ch'ei facesse il cuoco a quei monaci, è mera favola. * *La citata nota dei depintori de la sala de Gran Conseio, riferita dal Gaye (II, 70-71) dice: « maiestro Zuan Bellin depentor in Gran Conseio, co- mema a di 25 mazo 1492 ; à ducati 5 al mexe. a l'anno ducati 60 ». Se è vero, come dice il Vasari, che due volte interpolatamente ei lavorasse nella detta sala, questa sarebbe la seconda. ì JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 165 da un ambasciatore alcuni ritratti al Gran Turco, re- carono tanto stupore e maraviglia a quello imperatore, che, sebbene sono fra loro, per lajegge maumettana, proibite le pitture, l'accettò nondimeno di bonissima vo- glia, lodando senza-fine il magisterio e Tartefice: e, che è più, chiese che gli fusse il maestro di quelli mandato. * Onde considerando il Senato, che per essere Giovanni in età, che male poteva sopportare disagi; senza che non volevano privare di tant'uomo la loro citta, avendo egli massimamente allora le mani nella già detta sala del gran Consiglio ; si risolverono di mandarvi Gentile suo fratello, considerato che farebbe il medesimo che Gio- vanni.' Fatto dunque mettere a ordine Gentile, sopra le loro galee lo condussero a salvamento in Costantino- poli:' dove essendo presentato dal Balio della Signoria a Maumetto, fu veduto volentieri, e, come cosa nuova, molto accarezzato; e massimamente avendo egli presen- tato a quel principe una vaghissima pittura, che fu da ' Marino Sanuto, in uno spoglio di Cronache veneziane, fa ricordanza pre- cisa del fatto con queste parole: « 1479. Adi primo agosto, venne un orator « Judeo del Signor Turco, con lettere. Vuol la Signoria li mandi un buon pit- « tor, e invidò il Dose vadi a onorar le nozze di suo fiol. Li fu resposto rin- « graziandolo, e mandato Zesitil Bellin ottimo pittor; qual andò con le galie di « Romania, e la Signoria li pagò le spese, e parti adi 3 settembre ». (Morelli, Notizia ecc. ,pag. 99). — 'Alla testimonianza del Sanuto s'aggiunge quella del Malipiero, il quale nei suoi Annali Veneti cosi parla: «1479. El signor Turco « ricerca la Signoria per so lettere, presentade da un zudio vegnudo a posta, « che la ghe mandi un bon depentor che sapia retrazer: e per gratificarlo, è « sta manda Gentil Belin, contentanJosse cosi esso; e ghe è sta paga le spése « del viazo ». {Archivio Storico Italiano, tom. VII, pag. 123). - 'Questa seconda ragione soltanto può esser la vera, perchè, quanto alla prima, abbiamo veduto che il più vecchio dei due fratelli era Gentile e non Giovanni. ^ Mise a profitto Gentile la sua dimora a Costantinopoli per prendere il disegno della insigne Colonna Teodosiana, la quale venne intagliata a Parigi in diciotto tavole nel 1702, per cura del P. Menestrier, su i disegni stessi di Gen- tile, i quali si conservano nella parigina Accademia di Belle Arti. Furono poi intagliati di nuovo nel 1711, e inseriti dal P. Bandurr nel tom. II àeW Impero Orientale. Alla fine del passato secolo se ne fece un' altra impressione a Venezia. (Morelli, Notizia cit. ). 166 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI lui ammirata; il quale quasi non poteva credere che un uomo mortale avesse in se tanta quasi divinità, che po- tesse esprimere si vivamente le cose della natura.* Non vi dùnorò molto Gentile, che ritrasse esso imperator Maumetto di naturale, tanto bene che era tenuto un miracolo : ^ il quale imperatore , dopò aver vedute molte sperienze di quell'arte, dimandò Gentile se gli dava il cuor di dipignere se medesimo; ed avendo Gentile ri- sposto che sì, non passò molti giorni che si ritrasse a una spera tanto proprio, che pareva vivo; e portatolo al signore, fu tanta la maraviglia che di ciò si fece, che ' Il Ridolfi, nelle Vite de' Pittori veneti, narra che Gentile presentò a Mao- metto II, tra le altre pitture, un disco colla testa di San Giovan Battista, il quale come profeta è riverito dai Mussulmani : ed aggiunge che quel Turco la lodò assai; ma avverti il pittore «che il collo troppo sopravanzava dal capo; e pa- « rendogli che Gentile rimanesse sospeso, per fargli vedere il naturale effetto, « fatto a sé venire uno schiavo, gli fece troncar la testa, dimostrandogli come, « divisa dal busto, il collo affatto si ritirava ». ^ *Un ritratto di Maometto II, dipinto da Gentile, era a Venezia in casa Zeno; ma nel 1825 fu portato in Inghilterra. (Ved. Zanotto, Pinacoteca ecc.). Un disegno del ritratto dello stesso Maometto fu donato al chiarissimo orien- talista signor cav. Giuseppe di Hammer, aulico consigliere, dall'arcivescovo di Erlau, Giovanni Ladislao Pyrker. Vedesi ora inciso al principio del voi. I della traduzione della Storia dell' hnpero Osmano dello stesso Hammer, pub- blicata in Venezia coi tipi dell'Antonelli. (Ved. Sansovino, Lettera sul Palazzo Ducale ecc. , nota 21 ). Gentile lavorò inoltre una gran medaglia di getto coll'effigie da una parte dell'imperatore dei Turchi, che porta la iscrizione: magni • svl- TANi • MOHAMETi II • iMPERATORis ; nel rovescio tre corone, una sopra l'altra, colle parole : gentilis bellinvs venetvs eqves avratvs comesqve palatinvs f. Essa fu data in intaglio, col metodo Collas, nel Trésor de numismatique et de glyptique ecc. Paris, 1834, par M. Lenormand. t Se il ritratto di Maometto II, un tempo in casa Zeno, è quello che poi passò nella collezione di Lord Northwick, esso non è genuino. In questa colle- zione era un ritratto d' un giovane turco di profilo con un turbante bianco e rosso, e colla destra appoggiata alla spada. Questo ritratto è attribuito senza ragione a Gentile Bellini. Il vero ritratto dipinto da Gentile, e che si può cre- dere abbia fatto parte del Museo Gioviano a Como, è quello che presentemente possiede il signor Layard d'Inghilterra. In esso, Maometto è rappresentato dalla cintola in su, colla testa volta di profilo a sinistra, col turbante in capo, e ve- stito d'una pelliccia. 11 dipinto è assai guasto dai ritocchi, e porta la seguente iscrizione mutila: Terrar. marisq. Victor ac dominator orhis sultan Mahometi. Resultai ars vera Gientilis militis aurati Belini ...aturae — qui cuncta reducit in 'propria ...jam proprio sùnul ere... MCCCCLXXX die XXV mensis novembris. (Vedi Crowe e Cavalo aselle, op. cit, I, 126). l JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 1G7 non poteva se non imaginarsi che egli avesse qualche divino spirito addosso: e se non fusse stato che, come si è detto, è per legge vietato fra' Turchi quell'esercizio, non avrebbe quello imperator mai licenziato Gentile. Ma 0 per dubbio che non si mormorasse, o per altro, fattolo venir un giorno a se, lo fece primieramente rin- graziar delle cortesie usate, ed appresso lo lodò mara- vigliosamente per uomo eccellentissimo : poi dettogli che domandasse che grazia volesse, che gli sarebbe senza fallo conceduta; Gentile, come modesto e da bene, niente altro chiese, salvo che una lettera di favore, per la quale lo raccomandasse al serenissimo Senato ed illustrissima Signoria di Vinezia sua patria: il che fu fatto quanto più caldamente si potesse; e poi con onorati doni e di- gnità di cavaliere fu licenziato.* E fra l'altre cose che in quella partita gli diede quel signore, oltre a molti privilegj, gli fu posta al collo una catena lavorata alla turchesca, di peso di scudi dugento cinquanta d'oro, la qual ancora si trova appresso agli eredi suoi in Vinezia. Partito Gentile di Costantinopoli, con felicissimo viaggio tornò a Vinezia: dove fu da Giovanni suo fratello, e quasi da tutta quella città, con letizia ricevuto; ralle- grandosi ognuno degli onori che alla sua virtù aveva fatto Maumetto. Andando poi a fare reverenza al doge ed alla Signoria, fu veduto molto volentieri e commen- dato, per aver egli, secondo il disiderio loro, molto sodisfatto a quell'imperatore: e perchè vedesse quanto conto tenevano delle lettere di quel principe che l'aveva raccomandato, gli ordinarono una provvisione di dugento scudi l'anno, che gli fu pagata tutto il tempo di sua vita. Fece Gentile, dopo il suo ritorno, poche opere. Fi- nalmente, essendo già vicino all'età di ottanta anni, ' Il Ridolfi assicura, che dopo il fatto dello schiavo decapitato stava molto a cuore a Gentile il tornarsene a Venezia. 168 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI dopo aver fatte queste e molte altre opere/ passò al- l'altra vita; e da Giovanni suo fratello gli fu dato ono- rato sepolcro in San Giovanni e Paolo, Tanno 1501." Eimaso Giovanni vedovo di Gentile, il quale aveva sempre amato tenerissimamente, andò, ancorché fusse vecchio, lavorando qualche cosa, e passandosi tempo: e perchè si era dato a far ritratti di naturale, introdusse usanza in quella città, che chi era in qualche grado si faceva o da lui o da altri ritrarre; onde in tutte le case di Vinezia sono molti ritratti, e in molte de' gentiluo- mini si veggiono gli avi e padri loro insino in quarta generazione, ed in alcune più nobili molto più oltre: usanza, certo, che è stata sempre lodevolissima, ezian- dio appresso gli antichi.'^ E chi non sente infinito pia- ' Delle opere di Gentile dal Vasari non descritte è reso conto nel Commen- tario posto in fine di questa Vita. - *I1 Sanuto, ne" suoi Dfarti FeweJt mss., registra precisamente l'anno della morte di Gentile Bellini con queste parole: Noto ozi (23 febbrajo 1506, stile veneziano, 1507 stile comune) fu sepolto a San Zenopolo (Giovanni e Paolo) Zentil Belin, optimo pytor^ qual alias fo mandato al padre di questo si- gnor Turcho. dil qual ebbe la militia: sì che per esser famoso ne ho fato qui memoria. Havìa ani .... È restato il fratello Zìian Belin, che è pili exce- lente pitor de Italia. (Ved. Cicogna, Iscrizioni Veneziane, III, 119). t Gentile essendo sanus mente et intellectu, licet corpo re languens aveva fatto testamento sei giorni innanzi alla sua morte, cioè ai 18 di febbrajo 1506 (st. e. 1507); nel quale tra l'altre cose elegge la sua sepoltura nella chiesa di San Giovanni e Paolo, nominando suoi fidecommissarj ed esecutori Giovanni suo fratello e la propria moglie Maria. Lascia alla Scuola di San Marco il suo quadro di musaico di Santa Maria: prega Giovanni predetto che gli piaccia di dar fine e perfezione alla tela che il testatore aveva cominciato per la detta Scuola (Ved. a questo proposito la nota 5 a pag. 177), il che facendo, gli dona ^1 libro di di- segni del fu loro padre, oltre la mercede che esso Gentile doveva avere dalla pre- detta Scuola. Vuole che a Ventura e Girolamo suoi garzoni sieno dati tutti i suoi disegni delle cose di Roma, dividendoli fra loro egualmente. Alla chiesa di San Ge- mignano lascia il quadro grande di Santa Maria che era nel portico della sua casa. Questo testamento che si conserva nell'Archivio Notarile di Venula, è ri- ferito nelle sue parti principali dai signori Crowe e Cavalcasene (op. cit., 1, 136, nota 3). ' * Dall' Anonimo Morelliauo sono ricordati alcuni ritratti di gentiluomini veneziani fatti da Giovanni Bellini. Quello in giovane età di messer Leonico Tomeo, insigne filosofo. Un piccolo ritratto di messer Jacopo Marcello, capitano generale dell'armata veneta. Tre piccoli ritratti a guazzo; uno di messer Filippo Vendramin, e gli altri due di giovani gentiluomini, in profilo. Sappiamo altresì JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI 16^ cere e contento, oltre Torrevolezza ed ornamento che fanno, in vedere rimagini de'suoi maggiori; e massima- mente se per i governi delle repubbliche, per opere egre- gie fatte in guerra ed in pace, e per lettere, o per altra notabile e segnalata virtù, sono stati chiari ed illustri? Ed a che altro fine, come si è detto in altro luogo, po- nevano gli antichi le imagini degli uomini grandi ne' luo- ghi pubblici con onorate inscrizioni, che per accendere gli animi di coloro che venivano, alla virtù ed alla gloria ì * Giovanni, dunque, ritrasse a messer Pietro Bembo, prima che andasse a star con papa Leone X , una sua innamo- rata' così vivamente, che meritò esser da lui, siccome fu Simon Sanese dal primo Petrarca fiorentino , da questo secondo viniziano celebrato nelle sue rime, come in quel sonetto : 0 imagine mia celeste e pura, dove nel principio del secondo quadernario dice: Credo che '1 mio Bellin con la figura; e quello che seguita. E che maggior premio possono gli artefici nostri disiderare delle lor fatiche, che essere dalle • penne de' poeti illustri celebrati? Siccome è anco stato che Giovanni ritrasse la magnanima Isabella Estense, moglie di Francesco Gon- zaga di Mantova. ( Ved. Pungileoni, Giornale Arcadico, tom. L, 258). Sull'as- serto del Waagen, direttore del Museo di Berlino, citiamo una tela conservata in quel Museo, dove sono dipinti di mano di Gentile il ritratto suo e quello di Giovanni suo fratello, con una berretta nera in capo e una pelliccia indosso, ( Catalogo della Quadreria del Real Museo di Berlino, edizione tedesca del 1841). ' E perchè mai gli artisti, in generale, non usano di scrivere in qualche parte dei ritratti da loro eseguiti il nome dei personaggi effigiati ? Senza questa cautela, rimangono questi sconosciuti alla posterità; e benché i ritratti ignoti possano essere ammirati pel magistero dell'arte, non producon per questo nessun buon effetto morale in chi gli riguarda. - Non sappiamo che sia avvenuto di questo ritratto della innamorata dei Bembo. 170 JACOPO, GIOVANNI E GENTILE BELLINI r eccellentissimo Tiziano dal ciottissimo messer Giovanni della Casa, in quel sonetto che comincia: Ben veggio, Tiziano, in forme nuove; €d in quell'altro: Son queste. Amor, le vaghe treccie bionde. Non fu il medesimo Bellino dal famosissimo Ariosto, nel principio del xxxiii canto d' Orlando Furioso, fra i mi- gliori pittori della sua età annoverato ? ' Ma per tornare all'opere di Giovanni, cioè alle principali; perchè troppo sarei lungo s' io volessi far menzione de' quadri e de' ri- tratti che sono per le case de' gentiluomini di Vinezia, Crowe e Cavalcaselle, op. cit., I, pag. 285). 176 COMMENTARIO ALLA VITA DEI BELLINI -Ciattamelata la tavola (se ne ignora il subietto), coll'ajuto de'suoi figliuoli; ■come testimoniava la seguente iscrizione, conservataci da Fra Valerio Polidoro,' e riferita dal Morelli nelle note: iacobi • bellini • veneti • patris ■ jic • GENTiLis • ET • ioANNis • NATOKVM • opvs • MccccLx. La tavok è perduta. Si- milmente era di mano di Jacopo una figura a fresco nella chiesa stessa, ■e nel primo pilastro a man manca. Egli cita eziandio due ritratti; l'uno del padre di messer Leonico Tomeo filosofo, a guazzo, e l'altro di Gen- tile da Fabriano; ambidue di profilo, de' quali s'ignora la sorte. E final- mente, in casa di Gabriele Vendramino, in Venezia, un libro grande in ■carta bambagina di disegni de stil de piombo, il quale sembra perduto o disperso. ^ Dal Meschini ' è ricordata una Madonna, già abbandonata in un monastero di Venezia, la quale portava scritto : iacobvs bellinvs. Egli so- spettò che poi passasse a Bergamo. Lo Zanotto' menziona due opere di Jacopo: una immagine di Gesù, in tavola, col nome del pittore, che è danno il non averci detto come sia scritto; dipinto venuto alla veneta Accademia di Belle Arti dalla Galleria di Ascanio Maria Molin. L' altra « una grandiosa tavola, già nel palazzo Cornaro, detto della Regina, ora di ragione degli abati Cavagnis, ed esprimente una battaglia fuori le mura d'assediata città. Il Resini " dà l'intaglio di una Madonna in mezza figura col putto, e una infinita moltitudine di serafini nel fondo. Essa ta- vola porta scritto : opvs • iacobi • bellini • venet. ; ed è quella stessa che il Lanzi vide nello studio del Sasso in Venezia. — t Ora è parimente nella detta Accademia. Essa in origine, secondo lo Zanotto {Guida di Venezia) era nella scuola di San Giovanni Evangelista. ' Metnorie della chiesa del Santo, pag. 25. ^ t Questo prezioso libro di disegni esiste tuttavia. Esso passò, alla morte di Jacopo, in possesso di Giovanni suo figliuolo; il quale lo donò a Gentile suo fra- tello, come questi dice nel suo testamento. In processo si trova che appartenne a Gabbriello Vendramin, e poi alla famosa libreria de' Soranzo. Successivamente lo possedettero il vescovo Marco Corner, il conte Benedetto Corniani, dal quale l'acquistò nel mese di maggio 1802 Gian Maria Tasso detto Sasso, che lo cede all' ab. Girolamo Mantovani, dal quale fu poi regalato al fratello Domenico, i cui «redi lo venderono al Museo Britannico, dove si trova presentemente. In questo iibro è il disegno dell'Adorazione de'Magi, che cita il Rumohr nelle note alla Poesia Cristiana nelle sue forme di A. F. Rio, traduzione italiana; Venezia, 1844, pag. 17. Nel detto libro è una iscrizione che dice: De mano dì tne Jacobo Bellino veneto 1430 in Venetia. Dei soggetti disegnati in esso dal Bellini, che sono circa 100, se ne può vedere la minuta descrizione nell'opera dei signori Crowe •e Cavalcasene voi. I, pag. 104 e seg. ' Guida di Venezia, edizione del 1815. ' Guida di Venezia pel Congresso scientifico del 1847 , voi. I, parte ii, pag. 310. ^ A pag. 63, tom. III della sua Storia. COMMENTARIO ALLA VITA DEI BELLINI 177 Gentile Bellini. Il Moschini * ricorda nella chiesa di Santa Maria del- l'Orto un suo quadro, con San Lorenzo Giustiniani, due cherici e due religiosi in veste azzurra, dove è scritto: mcccclxv. opvs gentilis bellini VENETI. Lo Zanotto però ci avverte,'^ che dal cobite Cicognara esso fu tolto e trtisportato , insieme con un dipinto rappresentante Cristo che porta la croce, nei depositi della R. Accademia Veneta, ove giacciono dimenti- cati, perchè al tutto in rovina. Nella basilica di San Marco, cita due qua- dri appesi ai lati dell' organo. In uno si veggono i santi Marco e Teodoro ; nell'altro, san Francesco e san Girolamo. Sotto le due prime figure si legge: gentilis bellinvs. ' Lo stesso Moschini ci dice, che nel palazzo Gri- mani è una tavola colla Purificazione, sottoscritta: opvs • gentilis ■ bel- lini • EQVITIS • veneti. ^ Degna soprattutto di singolare menzione è la bella e grandiosa pittura, in tela, del San Marco predicante nella piazza d'Alessandria, fatta per r albergo della Confraternita che in Venezia s' intitola dal detto santo ; ' la quale opera al presente adorna la Pinacoteca di Bi'era. Essa merita d' esser descritta colle parole stesse del Ridolfì : « Il santo Evangelista .... ' Guida citata. ' Giada di Venezia ecc., voi. II, parte ii, pag. 158. ^ Moschini, Guida, ecc. — t Ora sono collocati nella galleria superiore che mena al Palazzo Ducale. ' t II Ridolfì descrive una Circoncisione di Gentile nella casa Barbarigo a San Paolo, che probabilmente è la stessa citata dal Lanzi figurante la Presen- tazione al tempio. Forse la tavola, di cui fanno menzione il Moschini e il Lanzi come esistente in casa Griraani, non era che una replica di quella della casa Barbarigo, che ora si dice essere a Pietroburgo. (Ved. Crowe e Cavalcaselle, op. cit., voi. I, pag. 137, n° 3). ' t Nell'Archivio di Stato di Venezia è, a proposito di questa pittura, la parte o deliberazione presa al primo di marzo 1504 (st. e. 1505) dai presidenti della Scuola di San Marco, che noi stimiamo opportuno di stampare testualmente. Essa dice cosi: « Conzió sia che m. Zentil belin nostro fradelo et al prexente « vichario a la bancha se offerischa, moso d'amor et carità ch'el dize aver a « questa nostra Schuola, desideroso maxime de lassar perpetua memoria de suo « virtù in dita Schuola nostra, far in l'albergo de la dita un teler de mestiersuo « de pentura che habia a meterse in testa del dito albergo per mezo la porta- « grande del dito albergo; et habia porto molti partidi sopra di zio che sono al « proposito di dita Schuola nostra; imperò ch'el par voler tuto quelo voremo « tutti nui de la bancha, over la mazor parte de queli che a la dita se atrouerà, « si del priexio, come del tempo, purché una volta el sapia se el se à a faro « no. Imperò l'anderà parte che mete el spetabel M. Marcho Pelegrin guardien « nostro, che dito teler dar se debia al predito M. Zentil, el qual habi a far fra « quel più breve termine far se potrà: tuta volta romagnando in bon achordo « et composition con nui prediti presidenti, altramente la presente parte sia de « nisun valor et vigor, come se fata non fuse. — A 1504 a di primo marzo. — « De la parte 8, e fo presa: de no, 3 ». Vasari, Opere — Voi III. 12 178 COMMENTARIO ALLA VITA DEI BELLINI « i)redica nella piazza d' Alessandria, ov' è rappresentato il tempio di « Santa Eufemid, somigliante a quello di San Marco; dietro a cui uno « sta scrivendo la predica, con molti che l'ascoltano. Sonovi molte turche « dinanzi in ginocchioni, coperte di bianchi veli, che fanno un bel vedere; « gentiluomini e cavalieri ritratti dal naturale : qual fatica è certo inespli- « cabile per le molte figure e per le copiose architetture, ornamenti e « animali che v' intervengono ». ' Una parte di questa tela fu data in in- taglio dal prof. Resini nella tav. lxxi della sua Storia. ^ Avvi però chi dubita se questa pittura sia veramente di mano di Gentile Bellini. Ve- dremo più sotto, che la stessa Pinacoteca di Brera possiede anche tre opere del fratel suo Giovanni , sull' autenticità delle quali non può cader dubbio. Nel Museo di Berlino è una tavola con Nostra Donna ritta in pie, sostenente sulle braccia il Bambino, che benedice i due coniugi patroni. Essa ha l'epigrafe: gentilis bellinvs. i Nello stesso Museo sono due busti virili che si dicono i ritratti di Gentile e di Giovanni Bellini : e vuoisi che sieno forse que' due profili dipinti da Giovanni, e descritti dall'Anonimo Morelliano come esistenti al suo tempo nella Collezione di Gabbriello Vendramin. Giovanni Bellini. Di Giovanni , il più giovane e il più valente de' due fratelli, maggior numero di opere certe, dal Vasari non rammentate, possiamo registrare. E sebbene noi non dubitiamo che molte da' Cataloghi e dalle Guide attribuitegli sieno veramente sue, perciocché si può credere che tali giudizj sieno stabiliti sui confronti di pitture autenticate; tuttavia, fedeli al nostro principio, non faremo ricordo se non di quelle che por- tano scritto il suo nome. Facendoci da quelle che sono nella patria sua Venezia, diremo che la chiesa di San Giovan Grisostomo possiede una tavola, con san Girolamo nel fondo, orante in solitudine, san Cristoforo e sant'Agostino. Un cartelletto, nel mezzo del quadro, porta scritto: jiDxiii • ioANNES BEi.LiNvs p. Neil' Aj^e italiana di Belle Arti se ne vede un intaglio. ' Una Nostra Donna col Putto, segnata del suo nome, è nella parrocchia di San Giovanni in Bragora. " Sappiamo dal Moschini, ^ che nella chiesa di Santa Maria dell' Orto è una Madonna col Putto, segnata ' Vite dei Pittori veneti, parte I, pag. 43. - L'intaglio di tutta intera questa storia, e la sua illustrazione, si ha nel- l'opera intitolata la Pinacoteca del Palazzo Reale delle Scienze e delle Artidi Milano, pubblicata da Michele Bisi incisore, col testo di Rebus tiano Gironi. Milano, 1842, voi. I. ' Tom. V, tav. xxv. ^ Zanotto, Guida di Venezia pel Congresso del 1847. ' Guida di Venezia. COMMENTARIO ALLA VITA DEI BELLINI 179 del suo nome. ' Egli cita, parimente di Giovanni, una tavola, già del Ma- gistrato della Milizia del mare, ora nella Pinacoteca Veneta di Belle Arti, con Nostra Donna che sostiene il Divino Infante dormiente sulle sue ginocchia: opera giovanile, dove scrisse il su«- nome. - L'Anonimo Morelliano, oltre i ritratti da noi già registrati, fa ricordo di parecchie altre opere di Giovanni, eh' esistevano al tempo suo in Ve- nezia. Nella casa di Taddeo Contarini cita un ritratto femminile di gran- dezza naturale. Una mezza figura di Cristo colla, croce sulle spalle; una tavola con San Francesco nel deserto, con un paese finito e ricercato mi- rabilmente. In casa Pasqualigo, una mezza figura di Nostra Donna col Putto in braccio, a tenipera. In casa Venier, una testa di Cristo in maestà, delicata e finitissima. Finalmente nella chiesa della Carità, la tavola a tempera con storie di san Giovanni Evangelista. In Vicenza (per non uscir dalla Venezia) la chiesa di Santa Corona ha un Battesimo di Cristo, segnato parimente del suo nome.' E nel con- vento di San Bernardino di Ferrara era una Madonna col Divino Infante ; piccolo quadro, oggi perduto, che portava scritto il nome di questo pittore. * La Pinacoteca di Brera conta tre opere di Giovanni, certificate dal proprio suo nome ; che sono queste : una Pietà , con mezze figure di poco minori del vivo. ^ Ci fa certi del suo autore la seguente metrica epigrafe, posta sotto la mano sinistra del Redentore : HAEC FERE QVVII GEMITVS TVRGENTIA LV3IINA PROMANT BELLINI POTEKAT FLERE IOANNIS OPVS- L'altra tavola rappresenta Maria Vergine col Divino Infante, il quale fa atto di cogliere una viola da un vaso eh' è dal lato sinistro, dove, da pie, nel campo, è 'scritto: joannes bellinvs. Nella terza tavola è figurata pa- ' t Ora questa tavola è nell'Accademia dì Venezia. Ha il fondo dorato ed è segnata nella base iohannes bellinvs. Lo Zanotto {Pinacoteca Veneziana ecc.), vorrebbe far credere che fosse quella stessa tavola che Giovanni Bellini diede per ornamento della tomba di Luca Navagero, governatore d'Udine, i cui resti furono trasportati in Santa Maria dell'Orto nel 1487; ma lo stile si oppone. (V. Crowe e Cavalcaselle, op. cit., I, 151, n. 1). - t Due altre tavole col nome del pittore sono nella suddetta Accademia per dono Contarini, nella cui casa fu già un altro quadro colla Pietà, che poi passò nel possesso del signor Barbini, ed ora è nel Museo di Stuttgardt. È segnato: IOANNES BELLINUS. ' Piacenza, Note al Baldinucci, II, 92, in nota. ' Frizzi, Gnida del forestiere per la città di Ferrara, ediz. 1787, p. 88. * Fu dono del principe Eugenio, e proviene dalla Galleria Sampieri di Bologna. 180 COMMENTAEIO ALLA VITA DEI BELLINI rimente Nostra Donna seduta col Putto, più che mezza figura. Nella faccia del dado di un" cippo quadrato, sopra il quale sta seduto un cagnolino, è il motto : joannes bellinvs. mdx. ' La Galleria di Firenze iDOssiede di lui (oltre una testa d'apostolo) una tavola, nella quale è dipinto a chiaroscuro, con molto disegno. Cristo morto, in braccio alla Madre, alle Marie ed agli altri pietosi uomini. Essa tavola appartenne già, alla Galleria Aldobi-andini di Eoma; ma nelle luttuose vicende del 1798 dovè andare dispersa. Un gentiluomo veneto, avendola ricuperata, ne fece dono al granduca Ferdinando III. Fu inta- gliata e illustrata nell'opera, non mai compita, della E. Galleria degli Uffizj ecc., edita per cura dei tipografi Molini e Landi; e un altro intaglio è nella tavola lxiv della Storia del Resini. La ricca collezione dei Disegni della Galleria medesima conserva nella quinta cassetta un bello studio a penna della testa di Giuseppe d'Arimatea, che è nel chiaroscuro sopra de- scritto. La raccolta dei ritratti di artefici, esistente nella citata Galleria, ha pur quello di Giovanni, in tavola, dove scrisse ioannes bellinvs; dal quale trasse il Ridolfi quello da lui dato inciso nelle sue Vite dei Pittori Ve- neziani. Un altro stupendo ritratto di lui, veduto per tre quarti di pro- filo, coi capelli lunghi e il berretto in testa, disegnato a lapis rosso, si custodisce nella cassetta di disegni sopra nominata. Neil' alto della carta è scritto IOANNES BELLiNvs. Qucsti duc ritratti , differenti l' uno dall' altro, non si assomigliano gran fatto a quello dato dal Vasari. In Napoli si conserva uno stupendo dipinto di Giovanni Bellini nella pubblica Galleria, e rappresenta la Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor, in piccole figure di maraviglioso colore. In basso della tavola, dentro una cartel- letta, è scritto IOANNES BELLINVS. Sc ne vede un intaglio nella tavola xxxiv del voi. III del Museo Borbonico illustrato. Dall' Italia uscendo e trasportandoci in altre regioni , faremo menzione in prima di quelle pitture di Giovanni che si trovano in Inghilterra. La raccolta di lord Dudley ha una Madonna col Bambino, segnata del nome di questo pittore: opera, che alla pace del sentimento religioso congiunge una particolar trasparenza di colore e una vaghezza rara nelle mani della Vergine.^ La quadreria del signor Beckford poi5siede il riti'atto di profilo del doge Vendramin, segnato del nome di Giovanni e dell'anno, che. ' Queste tre tavole si vedono incise e illustrate nella citata Pinacoteca del Palazzo Reale delle Scienze e delle Arti di Milano, voi. I. t I signori Crowe e Cavalcasene (op. cit., voi. I, pag. 190, in nota) dicono che r iscrizione della seconda tavola è falsa, e che è pittura di un maestro lom- bardo che ha veduto Andrea di Milano. Quanto alla terza, affermano che è cosa più moderna e non di scuola veneziana. ^ Waagen, Kunstwerke und Kiinstler in England, II, 204. COMMENTARIO ALLA VITA DEI BELLINI 181 per quanto il quadro sia collocato molto alto, sembra essere il 1476. Come pure il ritratto di un altro doge , veduto di faccia , colla scritta : ioannes BELLINVS. ' t La Galleria Nazionale, venutale per compra fatta nel 1855 dal barone Galvagna di Venezia, possiede una tavola con Maria Vergine. Una scritta dice : ioannes bellinus. Nella medesima Galleria è il ritratto del doge Lionardo Loredano, dipinto ex officio dal Bellini, che fu in ul- timo nell'eredità della famiglia Grimani. Vi è scritto: ioannes bellinus. In Alnwick-Castle, di proprietà del Duca di Northumberland, dopo esser, passato in parecchie mani, è il celebre Baccanale dipinto dal Bellini nel 1514 per Alfonso duca di Ferrara. Avvi scritto: ioannes bellinus VENETUs piNxiT MDxiiii. DÌ questa pittura è un intaglio a contorno nella citata opera de' signori Crowe e Cavalcasene, voi. I, pag. 192. Anche la Germania, industriosa raccoglitrice d'opere d'arte italiana, ha nei suoi musei pitture di Giovanni Bellini non poche. Il Museo di Berlino mostra, oltre varj quadri che a lui si attribuiscono, il seguente au- tenticato dal suo nome: una Nostra Donna seduta, col Putto, che colla destra benedice, e nella sinistra sostiene una pera; il fondo è di paese. Porta scritto : ioannes bellinvs. La Galleria di Vienna possiede un quadro con un subietto che esce dai comuni argomenti sacri, dipinto da Giovanni un anno innanzi la sua morte. Rappresenta una giovane donzella intenta ad acconciarsi i capelli dinanzi a uno specchio che tiene in mano. Ella sta seduta, e quasi nuda, sopra uno scanno coperto di un tappeto turchesco. A traverso di una fine- stra si vede un fondo di paese. Accanto è un viglietto con cjueste parole : ioannes bellinvs faciebat. mdxv. Giovanni fu anche miniatore. In un codicetto (già appartenuto alla famiglia Cappello, e passato poi in mano dell'abate Tommaso De Luca in Cadore) che contiene una orazione latina di Vittor Cappello, scritta nel 1486, quand'egli era giovinetto, e indirizzata a Marco Barbarigo, doge, è una bella miniatura di Giovanni Bellini; nella quale si vede il giovinetto Cappello, vestito in ducalina di porpora, genuflesso dinanzi al doge Barbarigo. seduto in trono, e in atto di presentargli la detta orazione. In mezzo al Doge e al Cappello è la figura in piedi della città di Venezia. ^ Nel Carteggio pubblicato dal Gaye ' sono alcune lettere dell' anno 1505 e 1506 dal Bembo scritte a Isabella marchesana di Mantova, e da lei stessa al Bellini, dalle quali apparisce che questa insigne protettrice di let- ' Waagen, ibid., pag. 237. - Cicogna, Iscrizioni veneziane, III, 379. » Voi. II, pag. 71-82. 182 COMMENTARIO ALLA VITA DEI BELLINI terati e ci' artisti desiderava avere da lui un quadro per un suo camerino. La invenzione voleva ella che la trovasse il Bembo; ma il dotto uomo voleva lasciarla alla fantasia del pittore più che fosse possibile. Quale si fosse questa inventica 2^oetica non apparisce da quelle lettere ; ne si sa se, dopo avere il Bellini accettato di fare quel lavoro, in ossequio di tanta signora e del Bembo, il quadro fosse i^oi da lui eseguito. ' i Molto maggiore sareblje il numero delle opere che portano il nome di Giovanni Bellini, o che gli sono attribuite, nelle diverse Gallerie e Rac- colte così d'Italia come di fuori. Della più parte di Cj[uestc noi abbiamo tra- lasciato di parlare , non tanto perchè si sarebbe allungato soverchiamente il presente Commentario, quanto ancora perchè le scritte che alcune por- tano del nome del pittore, sono state dalla critica moderna scoperto per una frode ed imj)ostura. ' Isabella aveva intanto accettato dal Bellini un Presepio, che teneva as- sai caro. 1 Pare bensì che dopo altre lunghe pratiche Giovanni finalmente soddisfa- cesse al desiderio della marchesa, alla quale mandò un quadro, che i signori Crowe e Cavalcasene credono essere quello bellissimo colla Morte di san Pietro Mar- tire, che dalle mani di Andrea Schiavone in Venezia passò in quelle del si- gnor Eastlake, (Ved. op. cit., I, pag. 186 e seg. ). I 1S3 COSIMO ROSSELLI riTTORE FIORENTINO ( Nato nel 1439 ; morto nel 1507 ) Molte persone, sbeffando e schernendo altrui, si pa- scono d'uno ingiusto diletto, che il più delle volte torna loro in danno; quasi in quella stessa maniera che fece Cosimo Rosselli tornare in capo lo scherno a chi cercò di avvilire le sue fatiche/ Il qual Cosimo, sebbene non fu nel suo tempo molto raro ed eccellente pittore,^ fu- ' *« Stefano Rosselli, vissuto a' miei tempi, professor di belle lettere, e che « fuor di modo si dilettò delle cose antiche, formò l'albero della sua casa a « segno, che più non si può dire: del quale avendomene fatto parte, ebbi campo « di conoscere da quello, che Cosimo Rosselli, pittore, fu figliuolo di Lorenzo « di Filippo di Rossello, dal quale prese la famiglia il casato de' Rosselli, del « quartiere San Giovanni, Lion d'oro, nato esso Rossello di un Lottieri : e che « di esso Rossello n'uscisse un Matteo, che fu pittore, di cui non fa menzione « l'Autore in cosa alcuna: eppure bisogna che fosse in qualche stima ne' suoi « tempi come uomo di repubblica, commemorato nelle riformagioni in carica « nel 1342 per il gonfalone Lion d'oro, e nel 43 estratto uffìziale di Orsammi- « chele. Trovo anche, che Rossello fu pittore: così leggesi nel Sepolluario di « Santa Reparata : D. Diana iixor Rosselli dipintore. Cosimo predetto ebbe un « figliuolo naturale chiamato Giuliano, e da lui n' usci un che ebbe nome Cle- mente, in cui fini la discendenza di Cosimo pittore ». (Del Migliore, Riflessioyii ed aggiunte alle Vite de' Pittori, di Giorgio Vasari^ ms. nella Biblioteca Ma- gliabechiana). Circa all' anno della nascita e della morte di Cosimo, vedi la nota 5, a pag. 189. t Vedi ancora l'ultima nota della presente Vita, dove si mostra la vanità di questa affermazione del Del Migliore e l'Albero che segue. " *I1 Baldinucci lo dice scolare di Alesso Baldovinetti : ma dal libro àe Ri- cordi di Neri di Bicci appare chiaro che il Rosselli di quattordici anni si mise a 184 COSIMO EOSSELLI rono nondimeno l' opere sue ragionevoli. Costui nella sua giovanezza fece in Fiorenza, nella chiesa di Sant'Am- bruogio, una tavola che è a man ritta entrando in chiesa; ' e sopra l'arco delle monache di Sant'Iacopo dalle Mu- rate, tre figure." Lavorò anco nella chiesa de' Servi, pur di Firenze, la tavola della cappella di Santa Barbara;'' e nel primo cortile, innanzi che s'entri in chiesa, lavorò in fresco la storia quando il beato Filippo piglia l' abito della Nostra Donna.* A' monaci di Cestello fece la tavola imparare l'arte sotto di lui; e dopo tre anni se ne parti, nel 1456. (Vedi tom. II, pag. 87). Dallo stesso Neri di Bicci entrò come discepolo nel 1460 un Bernardo di Stefano Rosselli, cugino di Cosimo. (Loc. cit., p. 88. Vedasi anche l'Albero genealogico posto in fine di questa Vita, a pag. 192-93). ' *Non avendoci il Vasari descritto il subietto di questa tavola, ci ha reso un po' difficile il ritrovarla: ciò non ostante noi crediamo di aver riconosciuto la mano del Rosselli in quella tavola che è nel terzo altare a sinistra entrando nella chiesa di Sant'Ambrogio. In essa è figurata Nostra Donna in mezzo a una corona di cinque serafini assunta in cielo, mentre ai lati quattro angeli in sul volare le presentano quattro gigli : sopra è il Dio Padre: in basso stanno sant'Am- brogio vescovo e san Francesco: il fondo è paese. Nel gradino, staccato dalla tavola, ma che posa sempre sull' altare medesimo, si vedono tre storie : nell' una è quando san Francesco riceve da papa Innocenzo III la regola dell'ordine; nell'altra le stimate; nell'ultima la morte. É opera timida, e veramente giovanile, come dice l'Autore. t A proposito di questa tavola, che non fu fatta da Cosimo nella sua gio- ventù, ma quando era già vecchio di 59 anni, si legge a carte 41 tergo del Libro di Ricordi di Sant'Ambrogio dal 1475 al 1533, quanto segue: « 1498. Ricordo « come a di tre di novembre 1498 allogamo a Cosimo dipintore la tavola dello « altare di Santo Francesco del priore passato a dipignere a tutte sue spese, « salvo che l'oro v'andrà nello ornamento, che l'abbiamo a comperare noi e « lui metterlo, per pregio in tutto di ducati quaranta d'oro in oro larghi, cioè « ducati XL d'oro in oro larghi: et ha affare in decta tavola, in mezo una No. « stra Donna a sedere in una nughola di cherubini e agnoli atorno, et sopra « lei uno Dio Padre, et di sotto uno Santo Ambrogio, et uno Santo Francesco, « secondo uno suo disegno ci lasciò; et più nella predella di decta tavola tre sto- « riette di Santo Francesco ». ^ Son perite. ' *Questa tavola, in vero non bella, nella quale, oltre la figura di santa Bar- bara, che sta ritta calpestando un guerriero, sono san Giovan Batista e san Matteo, fu fatta fare dalla nazione tedesca che era in Firenze. Dalla chiesa dell'Annun- ziata passò poi nella Reale Accademia delle Belle Arti, dove al presente si vede. Ne è un intaglio nella Galleria dell' Accademia suddetta incisa e pubblicata da una Società d'artisti. * *É quella storia che resta l'ultima a sinistra entrando, verso l'angolo della parete. Secondo il Vasari (Vita di Andrea del Sarto) e il Baldinucci sa- COSIMO ROSSELLI ' 185- cleir aitar maggiore; ed in una cappella della medesima chiesa, un'altra:' e similmente quella che è in una chie- setta sopra il Bernardino, accanto all'entrata di Cestello. Dipinse il segno ai fanciulli della compagnia del detto Ber- nardino;^ e parimente quello della Compagnia di San Gior- gio, nel quale è un' Annunziata. ' Alle sopraddette mo- nache di Sant' Ambruogio fece la cappella del miracolo del Sagramento; la quale opera è assai buona, e delle sue che sono in Fiorenza è tenuta la migliore; nella quale rebbe questa l' ultima opera del Rosselli, che non potè terminare, colto dallìi morte; ma se si ha da credere che il Richa attingesse a fonte sincera, questa storia sarebbe stata dipinta nel 1476, e cosi trentanni innanzi che il pittore fa- cesse testamento. (V. Richa, Chiese Fior., Vili, 108; e la nostra nota 5 a p. 189). * *La chiesa elle ai tempi dell'Autore s'intitolava di Cestello, presentemente si chiama Santa Maria degli Angeli, e volgarmente Santa Maria Maddalena de' Pazzi. Delle due tavole qui citate, una al certo è quella Incoronazione di No- stra Donna, con molte figure, collocata nell'altare della seconda cappella a si- nistra entrando, che appartenne alla famiglia del Giglio, che vi appose i propri stemmi; la quale, come- si ha da un ricordo pubblicato dal Richa {Chiese Fior. , I, 320), la fece porre primieramente in una cappella che la stessa famiglia aveva fatta murare nel 1505 nel chiostro primo davanti alla chiesa medesima. Questa tavola con grosso abbaglio fu attribuita a Fra Giovanni da Fiesole dal Richa stesso, dal Lanzi, e da altri moderni scrittori, eccetto il Rosini; il quale, resti- tuendola al Rosselli, ne diede un intaglio nella tav. ccvn della sua Storia. La seconda è, a nostro avviso, quella tavola molto bella che or si vede nella sa- grestia della chiesa medesima, e che noi ragionevolmente sospettiamo fosse quella fatta per l'aitar maggiore; dove è rappresentata Nostra Donna seduta in trono^ in atto di allattare il suo Divin Figliuolo, mentre colla destra accarezza il pic- colo san Giovanni, il quale divotamente le sta dappresso ritto in pie. Dal lato stesso è san Giacomo apostolo; dall'altro, san Pietro. In alto, due angeli che in sul volare reggono la corona della Vergine. Il Fantozzi nella Guida di Firenze, non facendo attenzione alla diversità dei santi, allo stile ed alla maniera del di- pinto, volle riconoscere in questa tavola l'opera di Domenico Puligo citata dat Vasari in una cappella di questa chiesa medesima. t Dalle Memorie mss. della' chiesa di Cestello raccolte dal P. Signorini, che si conservano nell'Archivio di Stato di Firenze tra le carte del monastero- di Settimo, si ritrae che nel 20 dicembre 1505 fu dato compimento alla fabbrica della cappella del Giglio da Cosimo Rosselli e Francesco di Giovanni Arditi,, esecutori testamentarj di Tommaso del Giglio fondatore di detta cappella. La tavola dunque del Rosselli deve essere stata dipinta circa a questo tempo. Quanto alla tavola dell'aitar maggiore, dalle suddette memorie si sa che essa fu fatta dipingere al Rosselli dai Salviati circa il 1492. ^ La Compagnia de' Fanciulli detta del Bernardino fu soppressa molti anni fa; della tavola e del segno rammentati qui dal Vasari non abbiamo alcuna notizia. ' Anche questo segno è perduto. 180 COSIMO ROSSELLI fece una pj'ocessìone, finta in sulla piazza di detta chiesa, dove il vescovo porta il tabernacolo del detto miracolo , accompagnato dal clero e da una infinità di cittadini e donne con abiti di que' tempi. Di naturale, oltre a molti altri, vi è ritratto il Pico della Mirandola tanto eccel- lentemente, che pare non ritratto, ma vivo.* In Lucca fece, nella chiesa di San Martino, entrando in quella per la porta minore della facciata principale a man ritta, quando Mcodemo fa,brica la statua di Santa Croce,' e poi quando in una barca è per terra condotta per mare verso Lucca: ' nella qual opera sono molti ritratti, e spe- cialmente quello di Paulo Guinigi, il quale cavò da uno ' * Il barone di Rumohr {Ricerche italiane, II, 265) dice di aver veduto scritto neir affresco di Sant'Ambrogio Cosimo roselli f. l'anno 1456. La iscri- zione, difficilmente visibile, esiste tuttavia, ma manca l'anno, il quale dubi- tiamo non sia stato letto male, imperciocché ci si fa difficile a credere che Co- simo dipingesse la migliore delle sue opere in età di diciassett' anni. Forse eravi scritto l'anno 1476, che poi, o per mala lettura del Rumohr, o per errore di stampa nel libro suo, fu cangiato in 1456. ì^eWà Raccolta di affreschi del XIV e XV secolo, pubblicata da Niccolò Pagni, si vede un intaglio di questa storia, t Oggi è certo che l'anno di questa pittura fu il 1486. Nel libro de' Debi- tori e Creditori del detto monastero di Sant'Ambrogio dall'anno 1481 al 1487, si trova a carte 125 la seguente memoria: « 1486. Chosimo di Lorenzo dipintore « de' avere oggi questo di 7 daghosto 1486 per chonto fatto con lui, come è chia- « rita Madonna Maria abadessa di detto monastero, di tutto ciò che à dipinto « per l'adornezza del Miracholo. In prima adornare el tabernacholo del marmo « messo d'oro e chosì la faccia di detto tabernacholo, la faccia da lato, la volta « di sopra drento e di fuori chon l'andito e 'l tabernacholo del legnio di drento « dove sta detto miracholo co'dua dossali, l'uno per Tatare del miracholo e « l'altro per Tatare di sa' Lorenzo. Di tutto è chiarito per detta Madonna che « debi avere fiorini cientocinquantacinque larghi d'oro in oro, cioè fiorini 155 « larghi d'oro in oro, chome pare per una scritta di messer Salvino sotto detto « dì e sottoscritta di mano di detto maestro Chosimo dipintore; la quale scritta « è appresso di Madonna ». In altri libri sotto Tanno 1485 sono partite di de- nari pagati a Cosimo per conto di detta pittura, portati da Bartolommeo di Pagalo del Fattorino (Fra Bartolommeo della Porta) che sta con lui. Cosimo dipinse ancora nel 1486 pel detto monastero otto quadri in muro nel dormentorio delle monache pel prezzo d'8 fiorini d'oro. * La statua di Santa Croce, e il celebre Crocifisso di Lucca, chiamato co- munemente il Volto Santo, il quale, secondo la pia tradizione, fu scolpito da Nicodemo discepolo di Gesù Cristo. ' *In questo passo, per trasposizione ed omissione di alcune parole, è con- tradizione ed inesattezza ad un tempo: oltre a ciò evvi descritto quello che xiella pittura non è. A render chiaro il senso basterà ricostruire cosi la sintassi: \ COSIMO ROSSELLI 187 di terra fatto da Iacopo della Fonte, quando fece la se- poltura della moglie.' In San Marco di Firenze, alla cap- pella de' tessitori di drappo, fece in una tavola, nel mezzo Santa Croce, e dagli lati San Marco, San Giovanni Evan- gelista, Sant'Antonino arcivescovo di Firenze, ed altre figure.' Chiamato poi con gli altri pittori all'opera che « E quando in una barca per mare, e poi quando sopra un carro per terra è « condotto verso Lucca ». La inesattezza della descrizione poi si corregge, di- cendo quello che veramente l'affresco rappresenta. La storia contiene principal- mente quattro diversi momenti, cioè: Quando Cristo, deposto dalla croce, è raccolto nelle braccia delle Marie e di Giuseppe d'Arimatea: quando a Nicodemo uscito di Gerusalemme e inginocchiatosi a orare, appare un angelo che gli co- manda di fabbricare la statua della Santa Croce coli' albero del cedro. Poi quando colla scure atterra il cedro della foresta; e finalmente, quando pone mano alla fabbrica del santo simulacro. Il momento quando il legno della Santa Croce è condotto per mare nel porto di Luni, e di li per terra a Lucca, non v'è espresso: e fu error di memoria del Vasari. Per molto tempo la pittura del Rosselli stette mezzo nascosta da una goffa decorazione architettonica del secento. Nel 1834 il pittore Michele Ridolfl s'adoperò, perchè quell'ingombro fosse tolto, e ristauró quell'affresco, che era molto guasto. (Ved. Ridolfi, Scritti varj sulle Belle Arti; Lucca, 1844, pag. 148-154). t In Lucca pare che Cosimo dimorasse qualche tempo; ed oltre gli affre- schi sopra citati, si vogliono della sua mano un Deposto di Croce dipinto sopra la porta della chiesa di San Martino, e in Sant'Agostino, sull'altare della Con- solazione, una Vergine col Figliuolo, con i santi Agostino, Monaca, Niccola e Girolamo, falsamente attribuita a Luca Zaccagna. (Crowe e Cavalcaselle, tom. II, pag. 521 ). ' *Ved. tom. II, pag. 112. ° *Di questa tavola ignoriamo la sorte, t Si crede che oggi sia quella della Raccolta Fuller Maitland a Londra, nella quale è rappresentato Cristo in croce con un calice a' piedi, sostenuto dn angeli e serafini. Sul davanti sono da un lato san Giovan Battista e san Dome- nico inginocchiato, e dall'altro san Pietro martire e san Girolamo inginocchiato. É una delle migliori cose del Rosselli. (Crowe e Cavalcaselle, II, 524). Nella Galleria Nazionale si conserva di lui una tavola con San Girolamo inginocchiato dinanzi al Crocifisso. Sono a' suoi lati a sinistra i santi Damaso ed Eusebio; a destra san Paolo e santa Eustachia sua figliuola. Nella predella sono storiette appartenenti alla vita de' santi dipinti di sopra; alle due estremità sono le armi de'Rucellai. Questa tavola era nell'altare della cappella Rucellai in San Giro- lamo di Fiesole, e nel 1855 fu comprata dai Ricasoli. (V. Wornum, Catalogne of the pictures in the National Gallery; London, 1877, p. 274). Il Museo di Berlino possiede tre opere del Rosselli, cioè una Vergine in gloria con un gran numero di devoti d'ambo i sessi cho l'adorano inginocchiati. Sotto è il busto d' un monaco; una Madonna col Divin Figliuolo, san Giovan Battista e san Fran- cesco; Cristo messo nel sepolcro, con varj santi, e la Strage degl'Innocenti. (Crowe e Cavalcaselle, op. cit. , II, 524). 188 COSIMO ROSSELLI fece Sisto IV pontefice nella cappella del palazzo, in com- pagnia di Sandro Botticelle, di Domenico Ghirlandaio, dell'Abate di San Clemente, di Luca da Cortona, e di Piero Perugino;' vi dipinse di sua mano tre storie, nelle quali fece la sommersione di Faraone nel mar rosso, la predica di Cristo ai popoli lungo il mare di Tiberiade, ^ e r ultima cena degli Apostoli col Salvatore : nella quale fece una tavola a otto facce tirate in prospettiva, e so- pra quella, in otto facce simili, il palco che gira in otto angoli; dove molto bene scortando, mostrò d'intendere quanto gli altri quest' arte.^ Dicesi che il papa aveva or- dinato un premio, il quale si aveva a dare a chi meglio in quelle pitture avesse, a giudizio d'esso pontefice, ope- rato. Finite dunque le storie, andò Sua Santità a vederle, quando ciascuno de' pittori si era ingegnato di far sì, che meritasse il detto premio e l'onore. Aveva Cosimo, sen- tendosi debole d' invenzione e di disegno , cercato di oc- cultare il suo defetto con far coperta all'opera di finis- simi azzurri oltramarini e d'altri vivaci colori, e con molto oro illuminata la storia, onde ne albero, ne erba, ne panno, ne nuvolo vi era che lumeggiato non fusse; facendosi a credere che il papa, come poco di quell'arte intendente, dovesse perciò dare a lui il premio della vittoria. Venuto il giorno che si dovevano l'opere di tutti scoprire, fu veduta anco la sua, e con molte risa e motti ' 'Francesco Albertini, in un suo opuscoletto latino fatto nel 1509, e stam- pato da Jacopo Mazzocchi in Roma nel 1510, e da lui riprodotto nella stessa città nel 1517 col titolo : Opiisculum de mirabilibus novae et veteris urbis Romae, editum a Francisco de AlbertìniSj clerico fiorentino, dedicalumque Ju- Ho secundo Pon. Max., parlando de' pittori che lavorarono nella cappella Sistina, nomina solamente Pietro Perugino, Sandro Botticello, Domenico Ghirlandajo, Cosimo Rosselli e Filippo Lippi. Quest' ultimo è nuovo tra i maestri che lavo- rarono in quella cappella. - In questa dipinse il paese Pier di Cosimo suo scolare, come leggesi più sotto. ' Queste tre storie son sempre in esserenella cappella Sistina; anzi l'abate Francesco Cancellieri, nella descrizione delle cappelle pontifìcie, attribuisce al Rosselli una quarta storia esprimente l'Adorazione del vitello d'oro, della quale il D'Agincourt dà un piccolo intaglio nella tav. clxxiii della Pittura. COSIMO ROSSELLI 189 da tutti gli altri artefici schernita e belata, uccellandolo tutti in cambio d' avergli compassione. Ma gli scherniti finalmente furono essi; perciocché que' colori, siccome si era Cosimo imaginato, a un tratto, cosi abbagliarono gli occhi del papa, che non molto s'intendeva di simili cose, ancoraché se ne dilettasse assai, che giudicò Cosimo avere molto meglio che tutti gli altri operato. E così fattogli dare il premio, comandò agli altri che tutti co- prissero le loro pitture dei migliori azzurri che si tro- vassero e le toccassino d'oro, acciocché fussero simili a quelle di Cosimo nel colorito e neir essere ricche. Laonde i poveri pittori, disperati d'avere a soddisfare alla poca intelligenza del Padre Santo, si diedero a guastare quanto avevano fatto di ì^uono. Onde Cosimo si rise di coloro che poco innanzi si erano riso del fatto suo.' Dopo, tor- nandosene a Firenze con qualche soldo, attese, vivendo assai agiatamente, a lavorare al solito; avendo in sua compagnia quel Piero, che fu sempre chiamato Piero di Cosimo," suo discepolo; il quale gli aiutò lavorare a Roma nella cappella di Sisto, e vi fece oltre all'altre cose un paese, dove é dipinta la predica di Cristo; che é tenuta la miglior cosa che vi sia.^ Stette ancor seco Andrea di Cosimo, ed attese assai alle grottesche.* Essendo final- mente Cosimo vivuto anni sessantotto, consumato da una lunga infirmità si mori l'anno MSi;^ e dalla Compagnia ' * Questo racconto ha pochissimo del verosimile; e sembra piuttosto una di quelle goffe Tavolette, che correvano allora, di molte delle quali il Vasari non sdegnò a quando a quando infiorare il racconto delle sue Vite. ^ Fu maestro di Andrea del Sarto, e se ne legge la Vita nella Parte Terza. ' * Anche queste pitture esistono tuttavia. ' t Questi è il Feltrini, del quale si leggerà più innanzi la Vita. ^ 'Secondo questa asserzione, il Rosselli sarebbe nato nel 1416. Ma tanto la denunzia del 1457, quanto quella del 1469, concordano nel farlo nato nel 1439; imperciocché nella prima denunzia ci dice aver diciott' anni, nella seconda, trenta. Contro l'altro asserto del medesimo Vasari, che Cosimo morisse nel 1484, sta il suo testamento, che è de' 25 novembre 1506. (Gaye, Carteggio, II, 457, in nota), t Oltracciò dal detto testamento si rileva che egli non era poverissimo, e che non abbia fondamento quel che dice il Vasari, che egli attendesse all'alchi- 100 COSIMO ROSSELLI del Bernai;dmo ' fu seppellito in Santa Croce. Dilettossi costui in modo delF alchimia, che vi spese vanamente, come fanno tutti coloro che v'attendono, ciò che egli aveva; intanto che vivo lo consumò, ed allo stremo lo aveva condotto, d'agiato che egli era, poverissimo.^ Di- segnò Cosimo benissimo,^ come si può vedére nel nostro Libro, non pure nella carta dove è disegnata la storia della predicazione sopraddetta che fece nella cappella di Sisto, ma ancora in molte altre fatte di stile e di chiaroscuro. Ed il suo ritratto avemo nel detto Libro di mano d'Agnolo di Donnino, pittore e suo amicissimo: il quale Agnolo fu molto diligente nelle cose sue, com^, oltre ai disegni, si può vedere nella loggia dello spedale di Bonifazio, dove nel peduccio d'una volta è una Tri- nità di sua mano a fresco; ed accanto alla porta del detto spedale dove oggi stanno gli abandonati, sono dipinti dal medesimo certi poveri e lo spedaliere che gli rac- cetta, molto ben fatti, e similmente alcune donne. Visse costui stentando e perdendo tutto il tempo dietro ai disegni, senza mettere in opera; ed in ultimo si morì, essendo povero quanto più non si può essere.* Di Cosimo, mia, vedendo che appunto in quegli anni cadono le maggiori sue opere. La morte di Cosimo è certo che avvenne il 7 di gennajo 1507, come è registrato nel Libro de' morti della città di Firenze ad annvm, ed in quello de' morti di Sant'Ambrogio. • ' Non è quella nominata in principio; poiché due erano in Firenze le Compa- gnie con tal nome : una di fanciulli presso Cestello, e una di adulti in Santa Ci^oce. ^ Nella prima edizione leggesi quanto segue: «Dopo la morte poi, in me- moria dello scorno fatto ai suoi concorrenti nella Cappella, gli fu fatto questo e[)itaffio : Finsi, e pingendo tei Conoscer quanto il bel colore inganna ; Et a' compagni miei , Come tal biasma altiui, che sé condanna ». ' *Qui l'Autore si contradice, avendo detto poco sopra, che Cosimo sentivasi debole di disegno. E si noti pure, come la storia della Predicazione, che qui si vuole disegnata da Cosimo, di sopra è detto che fu dipinta da Pier di Cos'imo suo scolare. ' * Angelo di Domenico Donnini, o di Donnino, è novamente nominato dal Vasari nella Vita di Benedetto da Rovezzano, dove dice che e' disegnò il ritratto COSIMO ROSSELLI 191 per tornare a lui, non rimase altri che un figliuolo, il quale fu muratore e architetto ragionevole. ' (li Benedetto. Fu anche tra quei pittori che il Buonarroti chiamò da Firenze a Roma per imparare da loro il modo di dipingere in fresco. (Vedi la sua Vita). Il Baldinucci ne scrisse una breve Vita, dove il Piacenza riferisce in nota che Angelo di Donnino fece testamento a di 1° maggio 151.3, lasciando eredi Dome- nico e Francesco suoi figliuoli. Dal che pare ch'ei non fosse cosi povero come il Vasari dice. Delle pitture d'Angelo di Donnino non resta nulla. t Angelo di Domenico di Donnino mazziere, onde i suoi discendenti pre- sero il cognome Mazzieri, nacque nel 1466. Ebbe un fratello maggiore di sei anni e parimente pittore, chiamato Donnino. Di Angelo, sappiamo che in compagnia di Domenico di Marco dipinse nel 1503 alcune figure di Nostro Signore e di No- stra Donna e d'altri santi nel Palazzo del Potestà di Firenze e che nell'anno se- guente fece di verde terra nella corte della Compagnia di Gesti Pellegrino cin- que storie della Passione, ed una dello svenimento di Maria Vergine.- Queste pitture furono imbiancate nel 1749. Di Donnino poi e' è ricordo che egli e Dome- nico di Pietro Aghinetti suo compagno colorirono nel 1504 nella camera del Gon- faloniere in un tondo i santi Tommaso apostolo e Tommaso d'Aquino, e che nel 1515 presero a dipingere dagli Uffiziali del Bigallo la tavola per l'altare dello Spedale di Santa Lucia presso la porta di San Frediano, figurandovi Maria Ver- gine in trono col Divin Figliuolo, ed ai lati san Biagio e santa Lucia. ' Il Baldinucci crede ch'ei non lasciasse figli, poiché institui eredi i figli postumi, e in mancanza loro, i propri fratelli. Ma se istituiva i figli postumi , ciò vuol dire ch'era in istato d'averne; e quanti poteva averne avuti dal giorno del testamento a quello della morte! — * Nella prima nota abbiamo veduto, colle pa- role del Del Migliore, che Cosimo ebbe discendenza, e sicuramente questo figliuolo di Cosimo, che fu architetto, è quel Giuliano naturale. Pare che i non pochi pit- tori di casa Rosselli nominati nel Breve dell'Arte pubblicato dal Gualandi (Man. di Belle Arti ecc., Serie VI) possano appartenere alla famiglia di Cosimo. Trovasi nel 1368 un Jacopo di Matteo Rosselli pittore, che può essere lo zio di Cosimo» se questo Jacopo discende da Matteo che fu generato da Rossello pittore. Sono nominati all'anno 146.., Girolamo e Giovanni di Clemente Rosselli, parimente pittori. Nel. 1525 è memoria di Lorenzo (di Lorenzo?) Rosselli, battiloro, e di Francesco e Jacopo di Domenico, pittori. E ricordato in ultimo un Bernardo di Stefano Rosselli da Neri di Bicci nel 1460, e dal Gaye nel 1488 e 1490, Car- teggio ecc., I, 582-83, e tom. II di questa edizione, pag. 88. Ora noi saremmo d'opinione che tutti questi artefici fossero della stessa famiglia di Cosimo Rosselli, t Neil' Albero de' Rosselli, rifatto ed accresciuto sopra autentiche scrit- ture, noi non abbiamo creduto d'innestare i Rosselli pittori dei secoli xni e xiv, perchè appartengono ad altra famiglia. Cosimo nacque da un Lorenzo di Filippo di Rossello muratore venuto ad abitare in Firenze dal popolo di Santa Maria a Quarto, piviere di Santo Stefano in Pane, nel territorio fiorentino ALBERO Di:t ROSSELLI Lorenzo iiunatoio n. ÌXM mogli 2. Tommasa di oio.' difiio,..io •5- Nauna "= JsfOI'O 11. 1125 t 1171 ,iiioplie 'ommasa 11. ll.W COSIMO pittore 11. 1439 t 1507 mogli-; Caterina di Domenico <1' .Jacopo .Massosi Giuliano naturale n. H-1 architetto C'I.KMKNTI.; Oliìmente pittore n. 1116 t M82 mop-lie Brigida di Cristoforo di Giovanni tintore FRANc-itsro miniatore e pittor n. U45 moglie Alessandra Al, i Mar,' iiuflie ssandr )dol 1>, celila Nanna marito Rastiano di Matteo legnajuolo KOSSEI.LO Filippo n. 1313 moglie Filippa Jaooi'o muratore n. 13SU moglie Meciiera Stufano "• H17 t 11S5 moglie Nanna' Hi;P..NAIÌI)0 pittore "■ 1150 t 1.526 moglie :i Antonio di Gio. ■;yo architeiio Ckistoi.'ano pittore n. M39 t 151., moglie Caterina l^RANCEsco Giovanni Stpian ■■•M02 tU COlMMENTARIO ALLA Vita del La Cecca Il Vasari, essendosi disteso nella descrizione delle feste e degli apparati che in certi giorni dell'anno si facevano in Firenze in alcune chiese e Compagnie, non ha certamente ragionato del La Cecca, come ci pare che meritasse un uomo tanto virtuoso, ne detto di lui, se non in minima parte, quel che operasse in benefizio della patria, e come, servendola fedelmente per molti anni, mettesse alfine la vita per lei. Onde noi volendo supplire al difetto suo, abbiamo raccolto nel presente Commentario tutto quello che intorno a questo artefice ci è venuto fatto di trovare. Francesco soprannominato La Cecca (e non il Cecca, come lo chiama il Vasari) nacque nel 1447 da Angelo di Giovanni, galigajo, ossia con- ciatore di cojame, venuto ad abitare in Firenze da Tonda, paesello nel territorio di San Miniato al Tedesco. Mortogli il padre nell' agosto del 1460, egli rimase con tre sorelle maggiori alla cura di monna Pasqua sua ma- dre, la quale, per esser poverissima, aveva fatica grande a governare e tirare innanzi questi suoi figliuoli. Ond' essa, per dare intanto qualche avviamento a Francesco, e scemarsi in parte la spesa, lo mise al le- gna-uolo nella bottega del Francione, che, come si è detto altra volta, era nel lavorare di quadro, nell'intaglio e nella tarsia, de' più reputati di Firenze. Stando dunque Francesco col Francione, ed avendo bonissimo ingegno e gran voglia d'imparare, si fece in pochi anni tanto pratico, che potè ajutare il maestro in tutti gli esercizj dell' arte sua. Ma essendo poi Fran- cesco pervenuto a' suoi venticinque anni, volle partirsi dal Francione e stare sopra di se : perche tolto a pigione da Giovanni Peruzzi un sito nel 206 COMIVIENTARIO ALLA VITA DEL LA CECCA Borgo de' Greci, vi aperse bottega, dove non solo lavorava, ma ancora, per non avere il modo a spendere, mangiava e dormiva. ' Così per cam- pare la vita andò il povero La Cecca stentando ed affaticandosi qualche tempo: finche, essendosi conosciuta la sua virtù, non fu ricercato e ado- perato dai privati e dal pubblico in cose d' imix)rtanza. Ora per raccontare le opere fatte da lui nell'arte sua principale, di- remo che avendo la Signoria di Firenze deliberato di dare ad alcune stanze del Palazzo Pubblico miglior forma ed ampiezza, e di ornarle di pitture e d'intagli, ne commise la cura ad un magistrato detto degli Ufficiali di Palazzo: dai quali fu allogato nel primo di febbrajo 1481 al La Cecca tutto il lavoro di legname che secondo il modello fatto da lui andava nella Sala de' Settanta, di panche, spalliere, fregio ed archi- trave con cornici intagliate e di tarsia; ajutandolo in ciò Bernardo di Marco Renzi, il quale, per essere stato suo discepolo e compagno, era appellato Bernardo della Cecca. E nell'anno dipoi i detti Ufficiali gli diedero a costruire i ponti che dovevano servire per dipingere i quattro quadri del palco della Sala suddetta. Fece ancora nello stesso tempo un altro bellissimo ed ingegnoso ponte ad Alesso Baldovinetti per rassettare i musaici della tribuna di San Giovanni : il che mosse i Consoli della Mer- canzia, per rimeritare le sue fatiche, ad eleggerlo capomaestro di quel- l'Opera, che era sottoposta al loro governo." Parimente nel medesimo anno fece un'aggiunta alla residenza de' Dieci ed un armario per tenervi gli argenti della Signoi'ia; e nel 1486 un uscio di legname alla porta della Udienza de' detti Dieci, che era nella Sala de' XX, e le spalliere della Saletta. Finalmente lavorò il coro della chiesa delle monache di Monticelli fuori della Porta San Frediano ; essendo stato in tutte queste cose ajutato dal detto Bernardo. Ed è danno che di tante opere di legname, d'intaglio e di tarsia che abbiamo ricordate, nemmeno una si sia potuta salvare, la quale ci avrebbe dato il modo di conoscere il valor del La Cecca in quest' arte ; sebbene dalle lodi de' suoi contempo- xanei si possa argomentare che sia stato eccellente e singolare. Detto così delle cose fatte dal La Cecca nell'arte sua di legnaiuolo, resta che ora discorriamo partitamente di quelle da lui operate come in- gegnere ed architetto della Repubblica. Era guerra nel 1479 tra il re Ferdinando di Napoli e i Fiorentini, per le cagioni che si leggono nelle storie; onde egli aveva mandato in To- ' Sua portata al Catasto del 1480, quartiere Santo Spirito, gonfalone Drago. ^ Vedi RiCHA, Chiese fiorentine, tom. V, pag. xxxiv ; dove è riportatala de- liberazione de' Consoli del 26 febbrajo 1482, che elegge il La Cecca capomaestro di quella chiesa, non essendovi vgiiale a lui in simili cose. COMMENTARIO ALLA VITA DEL LA CECCA 207 scana un esercito sotto il governo d' Alfonso duca di Calabria, suo primo- genito; il quale entrato nel dominio fiorentino, dopo aver combattuto e^ preso varie terre della Valdelsa, si era avvicinato a Colle, castello prin- cipale di quella provincia. Della qual cosa avvisata la^Signoria di Firenze, vi aveva spedito in fretta con molte vettovaglie e munizioni, e con buon numero di maestri di muro e d'ascia, il nostro La Cecca, Paolo di Fran- cesco stato capomaestro di Santa Maria del Fiore, e il detto Francione, che si era condotto per compagno Giuliano da Sangallo suo discepolo. Costoro lavorando con gran sollecitudine di dì e di notte, ridussero in pochi giorni con bastie, ripari ed altre difese tanto gagliardo quel castello, che, venuto alle sue mura l'esercito nemico, potè resistere per qualche tempo ai furiosisshni e ripetuti suoi assalti. Aveva Agostino Fregoso occupato per inganno nel 1485 Sarzana: ma poi conoscendo di non poterla tenere, pensò di donarla al Banco di San Gior- gio di Genova. Per il che, parendo a' Fiorentini brutta e vergognosa cosa che un privato gentiluomo fosse stato tanto ardito di spogliarli di quella terra, raccolto un poderoso esercito lo inviarono colà per riprenderla. Anda- rono coir esercito fiorentino per i bisogni del campo, come ingegneri e capomaestri, il Francione e il nostro La Cecca; il quale, entrato nella vicina rocca di Sarzanello, di quivi traeva colle bombarde contro Sarzana palle ripiene di fuoco lavorato, mentre l'esercito la combatteva da ogni parte colle artiglierie. Ma essendosi accorti i Fiorentini che al buon suc- cesso della loro impresa avrebbe dato impedimento Pietrasanta, rimasta nelle mani de' nemici; lasciata per allora Sarzana, rivolsero le loro genti all'assedio di quella terra e la costrinsero ad arrendersi. Avuta Pietra- santa, gli Otto di Pratica volendosene assicurare, deliberarono di farvi una nuova fortezza, la cui edificazione allogarono a' 21 d'aprile del sud- detto anno 1485 al La Cecca e al Francione ; i quali condussero quel la- voro con tanta celerità e diligenza, che in poco più d'un anno l'ebbero dato compiuto. In questo mezzo il La Cecca riattò il campanile e la campana del Palazzo Pubblico di Firenze, e diede il disegno della nuova stanza de' Provisionati nella cittadella di Livorno. Dopo l' impresa di Pie- trasanta, ritornato r esercito fiorentino sotto Sarzana, vi stette a campo parecchi mesi , finche all' ultimo non se ne impadronì. E intendendo la Signoria di renderla più gagliarda , diede a fare il modello di una nuova fortezza al La Cecca, al Francione e a Domenico di Francesco detto il Capitano, muratore ed architetto assai pratico, del Borgo San Lorenzo, e poi con strumento del 19 di dicembre 1487 ne commise a loro la co- struzione. Intorno alla qual fortezza è da sapere che quando già da un anno vi si lavorava, fu da Giuliano ed Antonio da Sangallo presentato agli Otto di Pratica un loro modello, affermando che facendosi secondo 208 COMMENTARIO ALLA VITA DEL LA CECCA quello la detta fortezza, vi sarebbe stata più sicurtà, più risparmio e assai più prestezza-i e che di questo parere erano ancora molti cittadini, ed in specie Lorenzo il Magnifico. Onde gli Otto mandarono Antonio col mo- dello a Sarzana, iDerchè il Francione e il Capitano muratore lo vedessero, ed esaminatolo, dicessero se poteva mettersi in opera in luogo del vecchio. Ma dopo varie dispute da una parte e dall'altra, alfine fu risoluto dagli Otto di continuare in quel lavoro cominciato secondo il primo disegno. Intanto conoscendo la Repubblica che le fatiche durate dal La Cecca e dal Francione meritavano una ricompensa, gli elesse suoi ingegneri a' 17 d'a- prile del 1488, con provvisione di sei fiorini al mese. ' Ma il La Cecca potè godere per poco di questo benefizio, perciocché essendo con l'esercito fio- rentino alla espugnazione della rocca di Piancaldoli, stata occupata per r innanzi dal conte Girolamo Riario signore di Forlì; mentre la mattina del 26 d'aprile attendeva con ingegni e cave a far rovinare una torre, fu ferito d'un passatojo nella testa.* Della qual ferita non fece egli sul principio molto caso, ma poi accrescendosegli il male, ed aggravando sempre più, fu costretto a farsi condurre in Firenze, dove postosi in letto, a' 4 di maggio passò di c[uesta vita ; avendo il giorno avanti fatto testa- mento,^ nel quale elesse la sua sepoltura in Sant'Apollinare; lasciò a Ca- terina sua fante in ricompensa del buon servigio prestatogli fiorini 40, ' La loro condotta è nel voi. 180, a carte 7 delle Provvisioni del Comune del 1488, dalla quale togliamo la parte più importante, che dice così: Intel- lecto - Priores liberlatis et vexillifer iustitiae poimli fiorentini ex relatu Odo- virorum Praticae, qnaemadmodum per ipsorum in officio praecessores , duo artifices fiorentini deputati fuerunt prò certo tempore in magistros ingenieros, %it hello et pace prompti essent rebus oportioiis ad hoardas et machinas et alia ad oppugnationes terrarvm far.ientia et ad aedificaiiones et siite reparationes arcivm. et terrarum , alter ipsorvm cognomine nuncupatus Francione, alter La Ceccha, ambo fabri lignarii, et cupientes ipsorum anirnos stabilire et de ipsorum provider e - ideo - die xvij mensis aprilis anni MCCCCLXXXVIII - deliberaverunt quod praesentes Octoviri Praticae declarent quo die inceperit electio dictoriim Francionis et Cecchae, et quanto tempore duret, non tamen maius tempus sit annorum decem ecc. - Averardo ile' Medici, commissario fiorentino, con lettera di quel medesimo giorno a tre ore di notte così scriveva agli Otto di Pratica : « Stamani pigliamo « el Palazzotto; e benché fusse arso, si fecie una bella scharamuccia. È stato « gran danno che el tristo di questo castellano lo abbi cosi arso e distatto; che « era una bella cosa. Ecci stato disavventura grande; che el povero huomo della « Cecha che di poi fu preso el Palazotto, sendo con messer Ercole e altri cone- « staboli, provedendo dove si potesse meglio offendere, al cavare la torre mae- « stra fu fedito d'uno passatojo nella testa: e parmi abbi male, benché secondo « questi soldati non é mortale ». ( Archivio di Stato: Lettere degli Otto di Pratica dal settembre del 1487 al maggio del 1488, a e. 560). ' Rogato da ser Andrea Rigogli. COMMENTAEIO ALLA VITA DEL LA CECCA 209 ,ed altri dieci alla Compagnia dello Scalzo, colla condizione che gli fosse fatto ogni anno per dieci anni un uffizio da morto. Dei 500 fiorini di sug- gello depositati ad interesse nelle mani d'JacoiDO Ridolfi, parte suoi e parte della dote di monna Piera sua sorella, volle fcjisse divisa la somma che gli apparteneva tra la detta Piera e l'altre sorelle, l'Alessandra e la Ginevra, tutte e tre chiamate alla sua eredità; le quali, contro quel che aveva disposto nel detto testamento, lo fecero seppellire in San Piero Scheraggio, con busto e coli' epitaffio dettato da Angelo Poliziano.' ' Gismondo NaUli, scrivendo in una lettera del 17 maggio 1488 a Benedetto Dei, dice: La Zeccha (La Cecca) ebe d'uno verrettone nella testa a Piancal- iloli. Fenne poco chonto e per mala guardia s'è morto. Valeva 4 Piancaldoli ! Jdio gli perdoni. (Archivio di Stato: Corporazioni religiose; Badia di Firenze; Familiarum, voi. VI, a e. 4). V*s.iR-, Or-re - Voi III. 11 211 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI FRANCESCO D' ANGELO DETTO LA CECCA 14 47. Nasce in Firenze da Angiolo di Giovanni, cnojajo. 1460, 15 agosto. Gli muore il padre. 1469-70. Sua prima portata al Catasto, quartiere Santo Spirito, gonfa- lone Drago. 1479. È mandato a fortificare Colle minacciato dal duca di Calabria. 1479, 9 aprile. Va ad Arezzo per commissione de' Dieci di Balìa. 1480, Seconda sua portata al Catasto. 1481, 1 febbrajo. Dagli Ufficiali di Palazzo gli è allogato tutto il lavoro di legname delle panche e spalliere per la Sala de' Settanta, se- condo il suo modello e di Benedetto di Liica Buchi legna,juolo. 1482, 26 febbrajo. È eletto capomaestro di detta chiesa. 1482. Costruisce ad Alesso Baldovinetti un ponte di legname per rasset- tare i musaici della tribuna di San Giovanni. 1483, 10 dicembre. Gli è allogato il lavoro d' un ponte per le pitture del palco della suddetta Sala de' Settanta. 1483. Fa un'aggiunta alla residenza de' Dieci nella Sala de' Sessanta del detto Palazzo Pubblico. 1483. Lavora per la Camera dell'Arme una spalliera, una cassapanca, un armadio, un uscio per la residenza de' Dieci, ed un desco -per la stanza del. cancelliere. 1485. Riatta il campanile e la campana del Palazzo Pubblico. 1485. È nel campo fiorentino contro Sarzana e Pietrasanta. 1485, 21 aprile. A lui ed al Francione è allogata la edificazione della fortezza di Pietrasanta. 1486. Dà il disegno delle nuove stanze de' Provisionati nella cittadella di Livorno. 212 PEOSP. CRONOL. ECC. DEL LA CECCA 1486, Lavora la i3orta di legname nella Sala dell'Udienza de' Dieci. 1487, 19 diceaibre. Prende a costruire, in compagnia del Francione e di Domenico di Francesco detto il Capitano, la fortezza di Sarzana. 1488, 17 aprile. Egli e il Francione sono eletti architetti e ingegneri della Repubblica sopra le artiglierie e macelline atte alla espugna- zione delle terre e sopra la edificazione e le riparazioni delle fortezze. 1488, aprile. È mandato coli' esercito fiorentino all' espugnazione di Pian- caldoli. 1488, 26 aprile. È ferito da un verrettone nella testa. 1488, 1 maggio. Aggravandosi il suo male, è condotto a Firenze. 1488, 3 maggio. Fa testamento. 1488, 4 maggio. Muore ed è sepolto onoratamente in San Piero Sche- raggio. !13 DON" BAETOLOMMEO ARATR DI SAN CLEMENTE MINIATORE E PITTORE (Nato nel 1103?; morto nel 1191 ?) Racle volte suole avvenire, che chi è d' animo .buono e di vita esemplare non sia dal cielo provveduto d' amici ottimi e di abitazioni onorate, e che per i buoni costumi suoi non sia, vivendo, in venerazione e, morto, in gran- dissimo disiderio di chiunque 1' ha conosciuto : come fu Don Bartolommeo della Gatta, abate di San Clemente d'Arezzo; il quale fu in diverse cose eccellente, e costu- matissimo in tutte le sue azioni. Costui, il quale fu mo- naco degli Agnoli di Firenze dell'ordine di Camaldoli, fu nella sua giovanezza, forse per le cagioni che di sopra si dissono nella Vita di Don Lorenzo, miniatore singo- larissimo e molto pratico nelle cose del disegno; come di ciò possono far fede le miniature lavorate da lui per i monaci di Santa Fiora e Lucilla nella badia d'Arezzo, ed in particolare un messale che fu donato a papa Sisto, nel quale era nella prima Qarta delle segrete una Pas- sione di Cristo bellissima; e quelle parimente sono di sua mano che sono in San Martino, duomo di Lucca.* ' *Delle sue miniature per Santa Fiora e Lucilla, badia di Arezzo, igno- riamo la sorte. Nel Duomo di Lucca abbiamo veduto sette libri corali miniati : i quali se sono del tempo di Don Bartolommeo, sono altresì di maniere diverse; e non possiamo asserire se le miniature di alcuni di essi siano lavoro di questo monaco, non conoscendo di lui nulla di certo in questo genere, per istituirne il confronto. Designiamo alla curiosità degli amatori il Graduale segnato di nu- 214 DON BAETOLOMMEO Poco dopo le quali opere fu a questo padre da Mariotto Maldoli/ aretino, generale di Camaldoli; e della stessa mero 1, e l'altro di numero 10, con parecchie storie, ed una infinità di figure intere e di busti di santi e martiri. Nella Biblioteca Magliabecìiiana è un libro corale che contiene l'uffizio proprio di sant'Egidio, appartenuto alla chiesa di questo nome, addetta allo Spedale di Santa Maria Nuova. Alla carta prima è una storia di minio che rappresenta sant'Egidio che fa la limosina ad un pellegrino. Nella carta 10 una grandiosa figura in abito monastico bianco, col pastorale nella sinistra e un libro aperto nella destra. Bella è l'aria della testa con largo stile disegnata; ed assai ricco di schiette e sottili pieghe il partito della veste. Ma quel che è più notabile in questa figura è la severità dell'atteggiamento, mosso con tanta prontezza e con certo andar di linee, che rammenta l'insieme delle figure di Lorenzo Monaco. Cristo risorgente è alla carta 27. Sant'Egidio in abito da vescovo seduto nel faldistorio, sotto un baldacchino, circondato da sei angeli, due de' quali portano in mano il turibolo e la nave dell'incenso, orna la carta 34. La consecrazione della chiesa di Sant'Egidio, fatta da Martino V, è nella carta 53. Si vede il pontefice, con ai lati due cardinali, e attorno alcuni frati vestiti di bianco, cherici ecc. In basso della storia è segnato a. d. mccccxx, che è l'anno della Sagra. In giro della cornice della iniziale è una scritta allusiva a quella ce- rimonia. A carte 61 si trova scritto in caratteri alternati d'inchiostro nero e rosso quanto segue : Hospilalarius ser Michael disj)ensat. Capellanus fr. guiliel- MUS describit. Pictor bartolomeus ornat. Catnerariiis Andreas signat. Fami- liaris ALEXANDER consuUt. anno domini nostri jhu. xFi. millesimo quadrin- GENTESiMO xxj. — In Una postilla del bibliotecario Pollini, scritta col lapis nel risguardo dell'asse che copre questo codice, si domanda se questo Bartolommeo possa essere £ar«oZommeo della Gatta. Ma noi risponderemo, che a questo dubbio del Pollini si opporrebbero due ragioni: la prima, è l'età troppo tenera, che, stando a quel che dice il Vasari, avrebbe avuto Don Bartolommeo nel 1421, quando il codice fu fatto; la seconda, è la mancanza della qualificazione di frate a questo Bartolommeo. Ciò non ostante, non possiamo del tutto escludere la pro- babilità che questo miniatore possa essere Don Bartolommeo, se si faccia risa- lire la nascita sua qualche anno prima di quello assegnato dal Vasari (che sa- rebbe l'anno 1408), e se si consideri ch'egli fu educato a quest'arte da Lorenzo Monaco; che tra i lavori di Sant'Egidio, donde provenne questo, avvene altri non solo somiglianti, ma altresì uno di mano di Don Lorenzo stesso, da noi descritto nelle illustrazioni della Vita di lui. t Nella prima parte del Commentario che segue noi abbiamo preso a fare un esame critico della presente Vita, col quale crediamo di aver dimostrato ia falsità del racconto vasariano. Il Graduale, dove è l'Uffizio di sant'Egidio, por- tato nella Magliabechiana, si trova presentemente nella sala de' libri corali nel Museo di San Marco. L'autore delle sue miniature fu Bartolommeo di Prosino, nato nel 1366 e morto nel 1441. Egli nel 1404 fece alcuni minj nel Messale del cardinale Angelo Acciajuoli, nel quale lavorarono Bartolommeo e Matteo di Pi- lippo Torelli, e Bastiano di Niccolò. Parimente intorno al 1411 miniò altri libri, e fece alcune cose di pittura per la detta chiesa di Sant'Egidio. ' t II Portunio {Historianmi Camalditlensium; Florentiae, Sermartelli, 1575, in-8) dice invece che Don Mariotto fu della famiglia aretina degli Allegri e che governò dal 1454 al 1478. DON BARTOLOMMEO 215 famiglia che fu quel Maldolo, il quale clonò a San Ro- mualdo institutore di queir ordine il luogo e sito di Ca- maldoli, che si chiamava allora Campo di Maldolo; data la detta badia di San Clemente d'Arezzo: ed egli, come grato del benefizio, lavorò poi molte cose per lo detto generale e per la sua religione. Venendo poi la peste del 1468, per la quale senza molto praticare si stava l'abate, siccome facevano anco molti altri, in casa, si diede a dipignere figure grandi; e vedendo che la cosa secondo il desiderio suo gli riusciva, cominciò a. lavo- rare alcune cose. E la prima fu un San Rocco, che fece in tavola ai rettori della Fraternità d'Arezzo, e che è oggi nell'udienza dove si ragunano; la quale figura rac- comanda alla Nostra Donna il popolo aretino: ed in questo quadro ritrasse la piazza della detta città, e la casa pia di quella Fraternità, con alcuni becchini che tor- nano da sotterrar morti. ^ Fece anco un altro San Rocco, similmente in tavola, nella chiesa di San Piero;'' dove ritrasse la città d' Arezzo nella forma propria che aveva in quél tempo, molto diversa da quella che è oggi* e un altro, il quale fu molto migliore che i due soprad- detti, in una tavola che è nella chiesa della Pieve di Arezzo alla cappella de'Lippi; il quale San Rocco è una bella e rara figura, e quasi la meglio che mai facesse,^ * *Ora sta appeso nella stanza di guardia della detta Fraternità. La figura è grande al vero, e sotto i piedi porta scritto questo ricordo: Tempore • speda- bilium • virornm. • Rectorum • Guidi Antonii de Camajanis • Ser Baptiste Ca- tenaci de Catenaciis • Tome Rinaldi de Gozaris • Ser Pauli Nicolai de Gallis ■ Johannis Vincentii de Jiidicibiis • Ser Baptiste Johannis Colis • Ser Fini Ber- nardini de Azzis • Zacharie Ser Johannis Baptiste de Lam.bertis mcccclxxviiii. t Al presente è nella Pinacoteca del palazzo conriunale d'Arezzo. ' Il San Rocco fatto per la chiesa di San Piero dei PP. Serviti non si trova più in Arezzo. Dicesi che fosse trasportato a Gampriano, e che da un pittor doz- zinale fossegll dipinto il piviale, onde rappresentasse non più san Rocco, ma san Martino. ' t Nella detta Pinacoteca è una tavola con questo medesimo soggetto. Forse è quella dipinta per la cappella de'Lippi nella Pieve d'Arezzo. ( V. Crowe e €avalcaselle, III, 38). 216 DON BARTOLOMMEO e la testa e le mani non possono essere più belle ne più naturali. Nella medesima città cV Arezzo fece in una tavola, in San Piero, elove stanno frati de" Servi, un Agnolo Eaflfaello;' e nel medesimo luogo fece il ritratto del beato Iacopo Filippo da Piacenza.' Dopo, condotto a Roma, lavorò una storia nella cappella di papa Sisto,* in compagnia di Luca da Cortona e di Pietro Perugino : e tornato in Arezzo, fece nella cappella de' Grozzari, in Vescovado, un San Girolamo in penitenza; il quale essendo magro e raso e con gli occhi fermi attentis- simamente nel Crucifisso, e percuotendosi il petto, fa benissimo conoscere quanto Tardor d'amore in quelle consumatissime carni possa travagliare la virginità. E per quell'opera fece un sasso grandissimo, con alcune altre grotte di sassi; fra le rotture delle quali fece, di figure piccole molto graziose, alcune storie di quel Santo.* Dopo, in Sant'Agostino, lavorò per le monache, come si dice, del Terzo ordine, in una cappella a fresco una Coronazione di Nostra Donna, molto lodata e molto ben fatta; e sotto a questa, in un'altra cappella, un' Assunta con alcuni Angeli in una gran tavola, molto bene ab- bigliati di panni sottili: e questa tavola, per cosa la- vorata a tempera, è molto lodata; ed in vero fu fatta con buon disegno, e condotta con diligenza straordina- ' È perito. - *Non da Piacenza, ma da Faenza. Questo ritratto è perduto. I passati com- mentatori ci hanno conservata la seguente mutila iscrizione che leggevasi sotto la pittura: Beatus Jacohus Phitippus de Faentia Messer Belichino Belichini ha fatto fare 148. .. . ^ Rappresenta Gesù Cristo che dà le chiavi a san Pietro. Essa fu fatta dal- l'abate di San Clemente insieme con Pietro Perugino, come si leggerà in ap- presso nella Vita di questo pittore. Vedasi anche il Commentario posto in fine di questa Vita. ' *La cappella Gozzari fu atterrata nel 1796, quando s'innalzò la nuova cap- pella della Madonna del Conforto. Il San Girolamo di Don Bartolommeo fu se- gato dal muro, e collocato nell'aula capitolare, dove tuttavia si conserva. In- nanzi il trasporto, questo affresco aveva qualche altra storiella nella sommità, che fu levata per adattare il resto al nuovo sito. DON BARTOLOMMEO 217 ria/ Dipinse il medesimo a fresco, nel mezzo tondo che è sopra la porta della chiesa di San Donato nella fortezza d'Arezzo, la Nostra Donna col figlio in collo, San Do- nato e San Giovanni Gualberto; che tutte sono molto belle figure/ Nella badia di Santa Fiore, in detta citta, è di sua mano una cappella, all'entrar della chiesa per la porta principale; dentro la quale è mi San Benedetto ed altri Santi, fatti con molta grazia e con buona pra- tica e dolcezza/ Dipinse similmente a Gentile Urbinate,' vescovo aretino molto suo amico, e col quale viveva quasi sempre nel palazzo del vescovado, in una cappella un Cristo morto; * ed in mia loggia ritrasse esso vescovo, il suo vicario, e Ser Matteo Francini suo notaio di banco, che gli legge una bolla: vi ritrasse parimente se stesso, ed alcuni canonici di quella città/ Disegnò per lo me- desimo vescovo una loggia che esce di palazzo e va in vescovado, a piano con la chiesa e palazzo: ed a mezzo di questa aveva disegnato quel vescovo fare, a guisa di cappella, la sua sepoltura, ed in quella essere dopo la morte sotterrato; e cosi la condusse a buon termine: ma sopravvenuto dalla morte, rimase imperfetta; ^ per- chè, sebbene lasciò che dal successor suo fusse finita, non se ne fece altro; come il più delle volte avviene dell'opere che altri lascia che siano finite in simili cose dopo la morte. Per lo detto vescovo fece l'abate nel ' Tutte le pitture in Sant'Agostino son perite. ' Queste pure sono distrutte dal tempo. ' Anche le pitture della cappella di San Benedetto più non esistono. ' Questi è Gentile de' Becchi. Vedi le note alla Relazione sopra lo slato antico e moderno della città d'Arezzo di Gio. Rondinelli, stampata in Arezzo nel 1755. ^ Non è più in essere. * Queste pitture furon distrutte verso la fine del 'secolo xvi, quando dal ve- scovo Pietro Usimbardi fu quasi interamente rinnovato il palazzo vescovile. ' La loggia fu rimodernata e ampliata nello scorso secolo dal vescovo Be- nedetto Falconcini. Il vescovo Gentile, morto nel 1497, fu sepolto nella cattedrale; e dove aveva disegnato di far la cappella per la sua sepoltura, non v'è altro segno / che l'arme di lui. 218 PON BARTOLOMMEO duomo vecchio una bella e gran cappella; ma perchè ebbe poca Vita, non accade altro ragionare.' Lavorò, oltre questo, per tutta la città in diversi luoghi: come nel Carmine tre figure,^ e la cappella delle monache di Santa Orsina: '' ed a Castiglione Aretino, nella pieve di San Giuliano una tavola a tempera alla cappella del- l'aitar maggiore, dove è una Nostra Donna bellissima e San Michelagnolo, figure molto ben lavorate e con- dotte; e massimamente il San Giuliano, perchè avendo affisati gli occhi al Cristo che è in collo alla Nostra Donna, pare che molto s'affligga d'aver ucciso il padre e la madre/ Similmente, in una cappella poco di sotto, è di sua mano un portello che soleva stare a un organo vecchio, nel quale è dipinto un San Michele, tenuto cosa maravigliosa, ed in braccio d'una donna un putto fasciato che par vivo. ^ Fece in Arezzo, alle monache delle Murate, la cap- pella dell'aitar maggiore; ° pittura certo molto lodata: ed al Monte San Savino, un tabernacolo dirimpetto al palazzo del Cardinale di Monte: che fu tenuto bellis- ' Il Duomo vecchio d'Arezzo, fuori della città, fu abbandonato nel 1203. Le pitture ivi fatte eseguire dal vescovo Gentile e da altri, perirono nel 1561. - Il piccol convento del Carmine fu soppresso nel secolo xvii, e le nominate pitture più non esistono. ' Neppure quelle del monastero di Sant'Orsina sono più in essere. ' *Fu dipinta da Don Bartolommeo nel 1486, come si dice in certi ricordi < presso di noi) delle cose d'arte che erano in quella chiesa nel passato secolo. Essa stette sul!' aitar maggiore fino al 1576. La predella con storie di piccole figure trovasi, ridotta in tanti quadretti, nella sagrestia della detta Collegiata. Il Repetti dice invece che questa tavola è tuttavia nell' aitar maggiore. i Rappresenta Maria Vergine in trono con Gesù Bambino, circondata da angeli e serafini, ed a' suoi Iati san Pietro, san Giuliano, san Paolo e san Mi- chele. Vi si legge : Cristiano di Piero di cecJio mariscalcho da Castiglione are- tino. M....CLXXXVI. * * Questa tavola ora è in sagrestia. V'è effigiato San Michele e Teodora Visconti, moglie del Portagioja, castiglionese, che presenta al santo il suo figliuolo. t Vi è scritto: La^crentia fecit fieri. Il che mostrerebbe che la moglie del Portagioja si chiamasse Lorenza e non Teodora. (V. Crowe e Cavalcaselle, voi. Ili, pag. 41, n. 1). * E le pitture nella chiesa delle Murate sono ugualmente perite. DON BARTOLOMMEO 219 Simo: ed al Borgo San Sepolcro, dove è oggi il vesco- vado, fece una cappella che gli arrecò lode ed utile grandissimo/ Fu Don Clemente ^ persona che ebbe l'in- gegno atto a tutte le cose; ed oltre all'essere gran mu- sico, fece organi di piombo di sua mano: ed in San Do- menico ne fece uno di cartone, che si è sempre mantenuto dolce e buono ; ^ ed in San Clemente n' era un altro pur di sua ulano, il quale era in alto, ed aveva la tastatura da basso al pian del coro: e certo con bella considera- zione; perchè avendo, secondo la qualità del luogo, po- chi monaci, voleva che l'organista cantasse e sonasse.' E perchè questo abate amava la sua religione, come vero ministro e non dissipatore delle cose di Dio, bonificò molto quel luogo di muraghe e di pitture; e particolar- mente rifece la cappella maggiore della sua chiesa, e quella tutta dipinse; ed in due nicchie, che la mette- vano in mezzo, dipinse in una un San Rocco, e nell'al- tra un San Bartolomeo; le quali insieme con la chiesa sono rovinate. ° Ma tornando all'abate, il quale fu buono e costu- mato religioso, egli lasciò suo discepolo nella pittura Matteo Lappoli, aretino,^ che fu valente e pratico di- ' *Non esistono più. Oggi in Borgo San Sepolcro si attribuiscono a Don Bar- tolommeo le pitture che si vedono nell'interno del Duomo (allora pieve), dentro una nicchia d' un altare, nella quale sono varj santi che adorano il Crocifisso. - Qui il Vasari dà all'abate il nome dell'abazia. ' L'organo di cartone, come è facile a immaginarsi, non ha resistito alla lima del tempo. ' Non solamente l'organo, ma la stessa chiesa di San Clemente peri. ' Ciò avvenne r^el 1547. La porta della città prossima al luogo, ov'era la detta chiesa, chiamasi tuttavia la porta di San Clemente. i In San Domenico di Cortona è una tavola coli' Assunzione di Maria Ver- gine, molto guasta dai ritocchi, che i signori Crowe e Cavalcasene attribuiscono al Della Gatta. ^ Matteo di ser Jacopo Lappoli, come dice il Vasari nella prima edizione. Egli fu padre di Giovan Antonio Lappoli, del quale è la Vita nella Parte Terza. t Matteo di ser Jacopo di Bernardo Lappoli mori l'anno 1504, dopo aver fatto testamento, nel quale lasciò tutrice de' figliuoli, Gio. Antonio e Maddalena, la Caterina di Guittone d'Ottaviano degli Ottaviani d'Arezzo, sua moglie. 220 DON BAETOLOMMEO pintore, come ne dimostrano l'opere che sono di sua mano in Sant'Agostino nella cappella di San Bastiano: dove in una nicchia è esso Santo, fatto di rilievo dal medesimo; ed intorno gli sono di pittura San Biagio, San Rocco, Sant'Antonio da Padova, e San Bernardino ; e nell'arco della cappella è una Nunziata; e nella volta i quattro Evangelisti, lavorati a fresco pulitamente. Di mano di costui è in un'altra cappella a fresco, a man manca entrando per la porta del fianco in detta chiesa, la Natività, e la Nostra Donna annunziata dall'Angelo; nella figura del quale Angelo ritrasse Giulian Bacci, al- lora giovane di bellissima aria: e sopra la detta porta, di fuori, fece una Nunziata in mezzo a San Piero e San Paulo, ritraendo nel volto della Madonna la madre di Messer Pietro Aretino, famosissimo poeta.' In San Fran- cesco, alla CB.ppella di San Bernardino, fece in una ta- vola esso Santo che par vivo; e tanto è bello, che egli è la miglior figura che costui facesse mai.' In Vescovado fece, nella cappella de'Pietramaleschi, in un quadro a tempera, un Sant'Ignazio bellissimo;^ ed in Pieve, al- l'entrata della porta di ^opra, che risponde in piazza, un Sant'Andrea* ed un San Bastiano; e nella Compa- gnia della Trinità, con bella invenzione fece, per Buo- ninsegna Buoninsegni, aretino, un'opera che si può fra le migliori che mai facesse annoverare : e ciò fu un Cru- cifisso sopra un altare, in mezzo di un San Martino e San Rocco; ed a pie ginocchioni due figure, una figurata per un povero, secco, macilènte, e malissimo vestito, dal quale uscivano certi razzi che dirittamente andavano alle piaghe del Salvatore, mentre esso Santo lo guardava ' Come aljbiamo avvertito poco sopra (nota 1 a pag. 217), tutte le pitture ch'erano in Sant'Agostino non sono più in essere. '^ Non si sa più dove sia. ^ La cappella della casa di Pietramala, nella cattedrale, è da molti anni priva di questo quadro. ' Il Sant'Andrea mancava anco nel passato secolo. DON BARTOLOMMEO 221 attentissimamente; e T altra, per un ricco vestito di por- pora e bisso, e tutto rubicondo e lieto nel volto, i cui raggi, neir adorar Cristo, parea, sebbene gli uscivano del cuore come al povero, che non andassero direttamente alle piaghe del Crucifisso, ma vagando ed allargandosi per alcuni paesi e campagne piene di grani, biade, be- stiami, giardini ed altre cose simili, e che altri si di- stendessino in mare verso alcune ì)arche cariche di mer- canzie, ed altri finalmente verso certi banchi, dove si cambiavano danari : le ciuali tutte cose furono da Matteo fatte con giudizio, buona pratica, e molta diligenza; ma furono per fare una cappella, non molto dopo, mandate per terra. In Pieve, sotto il pergamo, fece il medesimo un Cristo con la croce,* per messer Lionardo Albergotti. Fu discepolo similmente dell'abate di San Clemente un Frate de' Servi, aretino, che dipinse di colori la fac- ciata della casa de' Belichini d'Arezzo,' ed in San Piero due cappelle a fresco, l'una allato all'altra.^ Fu anche discepolo di Don Bartolommeo Domenico Pecori, aretino;* il quale fece a Sargiano in una tavola a tempera tre figure; ' ed a olio per la Compagnia di Santa Maria Maddalena un gonfalone da portare a pro- cessione, molto bello; e per messer Presentino Bisdomini, in pieve, alla cappella di Sant'Andrea, un quadro d'una Sant'Apollonia,^ simile al di sopra; e finì molte cose lasciate imperfette dal suo maestro : come in San Piero la tavola di San Bastiano e Fabiano con la Madonna, ' Fin da quando scriveva il Bottari era andato male qiresto Cristo con la croce. ^ La famiglia Belichini chiamasi ora Guillichini. Le pitture della facciata di questa casa furono guastate dal tempo. ' Nella chiesa di San Piero nulla è rimasto d'antico, eccettuato una lunetta nel chiostro contiguo. * i Fu figliuolo di Pietro di Vanni. '■'' Questa tavola è smarrita. •^ Come pure è smarrita questa Sant'Apollonia. 222 DON BARTOLOMMEO per la famiglia de'Bonucci:^ e dipinse nella chiesa di Sant'Antonio la tavola dell'aitar maggiore, dov'è una Nostra Donna molto devota con certi Santi; e perchè detta Nostra Donna adora il figliuolo che tiene in grembo, ha finto che un Angioletto inginocchiato di dietro so- stiene Nostro Signore con un guanciale, non lo potendo reggere la Madonna che sta in atto d'orazione a mani giunte.^ Nella chiesa di San Giustino dipinse a messer Antonio Eoselli' una cappella de' Magi in fresco; ed alla Compagnia della Madonna, in Pieve, una tavola gran- dissima, dove fece una Nostra Donna in aria, col popolo aretino sotto;* dove ritrasse molti di naturale: nella quale opera gli aiutò un pittore spagnuolo che coloriva bene a olio,^ ed aiutava in questo a Domenico, che nel colorire a oUo non aveva tanta pratica, quanto nella tempera. E con l'aiuto del medesimo condusse una ta- vola per la Compagnia della Trinità, dentrovi la Circun- cisione di Nostro Signore, tenuta cosa molto buona;" e nell'orto di Santa Fiore, in fresco, un Noli me tangere.'^ ' La tavola fatta per la famiglia Bonucci fu nello scorso secolo levata da San Piero, e trasportata alla chiesa di Campriano fuori d'Arezzo. ^ Questa tavola, alquanto guastata dai ritocchi, è adesso nella sagrestia della cattedrale aretina, essendo stata distrutta la chiesa di Sant'Antonio. ' Nel testo per errore di stampa diceva Roteili, che noi abbiamo facilmente corretto nel modo che ora si legge. La pittura dei Magi era già perita quando scriveva il Bottari. ' Sussiste ancora in Santa Maria della Pieve, e distinguesi per la sua ese- cuzione assai diligente. ^ *Potrebb' esser egli quel Giovanni Spagnuolo, detto lo Spagna, che il Vasari stesso ricorda tra' più valenti scolari del Perugino? Oppure quel Ferrando spagnuolo, pittore che nel 1505 ajutava Leonardo da Vinci a dipingere nella Sala del Consiglio del Palazzo Vecchio? (Gaye, II, 89). t Probabilmente il pittore spagnuolo nominato dal Vasari non ha che fare né con l'uno né coli' altro. * * Questa veramente stupenda tavola, che sente molto della scuola Umbra, si vede ora nella chiesa parrocchiale di Sant'Agostino. t Fu allogata al Pecovi il 15 maggio 150G per il prezzo di ottanta ducati d'oro dalla Compagnia di Santa Trin-ita. Il pittore si obbligò di dipingerla in quattro mesi, ma parrebbe che non la desse finita prima di tre anni. ■' Pittura ora assai guasta, perchè la cappella ov' essa trovasi serve adesso a custodire gli arnesi dell'ortolano. DON BARTOLOMMEO 223 Ultimamente dipinse nel Vescovado, per messer Donato Marinelli, primicerio, una tavola con molte figure, con buona invenzione e buon disegno e gran rilievo, che gli fece allora e sempre onore grandissimo: ' nella quale opera, essendo assai vecchio, chiamò in aiuto il Capanna, pittor sanese, ragionevol maestro, che a Siena fece tante facciate di chiaroscuro e tante tavole; e se fusse ito per vita, si faceva molto onore nell'arte, secondo che da quel poco che aveva fatto si può giudicare.^ Aveva Domenico fatto alla Fraternità d'Arezzo un baldacchino dipinto a olio, cosa ricca e di grande spesa; il quale non ha molti anni che prestato per fare in San Francesco una rap- presentazione di San Giovanni e Paulo, per adornarne un Paradiso vicino al tetto della chiesa, essendosi dalla gran copia de' lumi acceso il fuoco, arse insieme con quel che rappresentava Dio Padre; che per esser legato non po- tette fuggire, come fecero gli Angioli; e con molti pa- ramenti, e con gran danno degli spettatori; i quali, spa- ventati dall' incendio , volendo con furia uscire di chiesa, mentre ognuno vuole essere il primo, nella calca ne scoppiò intorno a ottanta; che fu cosa molto compassio- nevole : ^ e questo baldacchino fu poi rifatto con mag- gior ricchezza, e dipinto da Giorgio Vasari. Diedesi poi Domenico a fare finestre di vetro; e (Ji sua mano n'erano tre in vescovado,* che per le guerre furon rovinate dal- l' artiglieria. ' Alla cappella Marinelli, restaurata col disegno del Vasari, vedasi oggi l'immagine della Madonna di Loreto. '■' *Del Capanna fa nuovamente menzione il Vasari in fine della Vita del Peruzzi, dove ci riserbiamo a darne qualche notizia. ' Questo funesto avvenimento accadde il giorno 19 settembre 1556. La rap- presentazione che dette causa all'incendio, era tratta dalla Storia di Nabucco donosor, non da quella dei santi Giovanni e Paolo. Quegli che rappresentava Dio Padre, e che rimase arso, fu un religioso servita chiamato Benedetto. Le persone morte in tale occasione furon sessantasei. Tutto ciò si raccoglie dal libro de' morti segnato di lettera L, conservato nella cancelleria della Fraternità d'Arezzo. (Da una nota dell'edizione di Firenze del 1771). '' *Vedi nella Vita di Guglielmo da Marcilla. 224 DON BARTOLOMMEO Fu anche creato del medesimo , Angelo di Lorentino pittore/ il quale ebbe assai buono ingegno. Lavorò Tarco sopra la porta di San Domenico ; ' e se fusse stato aiu- tato, sarebbe fattosi benissimo maestro. Morì r abate d'anni ottantatre, e lasciò imperfetto il tempio della Nostra Donna delle Lacrime, del quale aveva fatto il modello, ed il quale è poi da diversi stato finito.^ Merita dunque costui di esser lodato per minia- tore, architetto, pittore e musico. Gli fu data dai suol monaci sepoltura in San Clemente, sua badia; e tanto sono state stimate sempre l'opere sue in detta città, che sopra il sepolcro suo si leggono questi versi: * Pingebat clocte Zensis, condehat et aedes Nicoli; Pan ccq^ripes, fìstiila priina tua est. Non tamen ex vobis mecum certaverit ullus: Quae tres fecistis, unicus lutee facio. Morì nel 1461," avendo aggiunto all'arte della pittura nel miniare quella bellezza che si vede in tutte le sue cose, come possono far fede alcune carte di sua mano che sono nel nostro Libro: il cui modo di far ha imitato ' Nella Vita di Giottino ha il Vasari fatto menzione di quest'artefice, chia- mandolo Angiolo di Lorenzo. Nella Vita poi di Pier della Francesca ha nominato un Lorentino d'Angelo, pittore anch'esso, scolaro del detto Piero. ^ Questo è ancora in essere. ' *Di Don Bartolommeo sono architettura le parti principali. Antonio da San Gallo fece i modelli delle navate, e Andrea del Monte San Savino il disegno di alcune sculture. ' Il sepolcro fu distrutto colla demolizione della Badia. ' In questo millesimo è corso certamente errore. Don Bartolommeo stava rinchiuso in casa per timore delia peste nel 1468: dipinse per Sisto IV, creato pontefice nel 1471; sussiste una tavola (V. sopra, nota 1 a pag. 215) coli' anno 1479; sotto il ritratto del B. Jacopo da Faenza leggevasi 148 Questo disegno non potette essere ordinato pi'ima dell'anno 1490, in che avvenne il miracolo che ri- svegliò tanta devozione per quella sacra immagine. Crederemmo pertanto d'ac- costarci al vero, sostituendo il 1471 all'anno stabilito dal Vasari — *Lo sbaglio, a parer nostro, è di stampa in ambedue le edizioni : nella prima è scambiato un G con un L; nella seconda, il 9 è posto a rovescio, e fa da 6. DON BAUTOLOMMEO 225 poi Girolamo Padoano * ne'minj che sono in alcuni li- bri di Santa Maria Nuova di Firenze ^ Gherardo minia- tore fiorentino, e Attavante che fu anco chiamato Vante ; ^ del quale si è in altro luogo ragionato ,* e dell' opere sue che sono in Venezia particolarmente, avendo puntual- mente posta una nota mandataci da certi gentiluomini da Venezia; per sodisfazione de' quali, poiché avevano durata tanta fatica in ritrovar quel tutto che quivi si legge, ci contentammo che fusse tutto narrato, secondo che aveano scritto; poiché di vista non ne potevo dar giudizio proprio. ' t Questo Girolamo Padovano miniatore, che operava, secondo il Vasari, a' tempi di Don Bartolommeo della Gatta, è chiaro che deve essere stato artefice diverso da Girolamo Cesarò detto del Santo, che fu solamente pittore, e visse un mezzo secolo dopo. Facilmente il miniatore di questo nome è Girolamo Cam- pagnola, padre di Giulio scolare dello Squarcione. Quello poi che possiamo affer- mare con sicurezza è che nel!' archivio dello Spedale di Santa Maria Nuova non si trova ricordato questo Girolamo Padovano tra i miniatori de' libri corali di quel pio luogo. ^ *Piii d'una volta abbiamo avuto occasione di rammentare i libri miniati che ora si custodiscono nella chiesa dello Spedale di Santa Maria Nuova. Ma per la stessa ragione che allora non si potè affermare se tra que' libri (la cui di- versità di mano non solo si trova tra l'un codice e l'altro, ma apparisce tal- volta ne'minj contenuti in un medesimo codice) ve ne fossero dei miniati da Don Bartolommeo della Gatta, e quali; non c'era ora dato di poter determinare se in quella raccolta se ne trovino eziandio di Girolamo Padovano. ' Nell'edizione de' Giunti, e nelle posteriori, leggesi questo passo mutilato cosi: « Gherardo miniatore fiorentino, che fu anco cliiamato Vante ». Il qual passo fece confondere il Bottari per la contradizione contenutavi. L'emenda da noi fatta al testo è suggerita dalla prima edizione del Torrentino a pag. 473, ove, a proposito dei libri miniati, leggesi: « e in quelli di Gherardo miniatore suo creato, come ancora si vede per un Vante miniatore fiorentino»; e da ciò che leggerassi più sotto nella seguente Vita, nella quale il Vasari pone tra gli amici di Gherardo, Attavante altrimenti Vante. ' *Nella Vita di Fra Giovanni Angelico da Fiesole, e in quella di Gherardo miniatore che viene immediatamente dopo questa. Nella nota 1 a pag. 523 del tom. II, cioè alla Vita del detto Fra Giovanni, promettemmo dare in questa quel più di notizie che intorno al miniatore Attavante ci era avvenuto di raccogliere : e noi le abbiamo consegnate al Commentario che segue. Vasabi, Opere. — Voi. IH. ■ 15 227 COMMENTARIO ALLA Vita di Don Bartolommeo ABATE DI SAN CLEMENTK * PARTE PRIMA Nella quale si esamina quel che ne scrive il Vasari. È cosa manifesta che nessuno innanzi al Vasari aveva ricordato Don Bartolommeo della Gatta tra gli artefici toscani, e che tutti coloro i quali ne scrissero dopo di lui, non fecero che andare passo passo dietro le sue orme. Infatti i Padri Costadoni e Mittarelli,' ragionando di questo loro correligioso, si contentano di riferire testualmente quel tanto che se ne legge nel Fortunio, ^ semplice abbreviatore del Vasari; e Don Gregorio Tarulli, al certo curioso ricercatore di archi vj, se non sempre storico giu- dizioso, appena lo nomina.' Ne diversamente adoprano gli scrittori della storia dell' arte , i quali al medesimo fonte attingono le principali notizie che danno di questo monaco camaldolense. La fede adunque delle cose che si dicono di Don Bartolommeo della Gatta, è tutta riposta nel solo Vasari. Ora, essendo pervenuti colla nostra fatica alla illustrazione della Vita che egli ne scrisse, ci è accaduto, leggendola con molta attenzione, che ci nascessero fin sul principio fortissimi dubbj circa la verità del suo racconto, i quali, a mano a mano che andavamo innanzi, accrescendosi, ci hanno condotto, mediante ripetuti studj e ricerche, e dopo lunga rifles- sione, a quell'ultima conclusione che diremo più avanti. Volendo procedere con ordine nell'esame critico della presente Vita, noi ci faremo in prima dalle cose che riguardano la persona di Don Bar- tolommeo, per venire dipoi alle opere che gli sono attribuite. ' Vedi Annales Camaldulenses, tom. VI, p. 270. - Historiarum Camaldulensium. libri tres. Florentiae, Sermartelli, 1575, in-8. ' Istoria Cronologica del nobile e antico monastero degli Angioli di Fi- renze ecc. In Lucca, Frediani, 1710. 228 COMMENTARIO ALLA VITA Dicendo il Vasari che costui fu monaco degli Angeli di Firenze , siamo ricorsi, per accertare questo fatto, all'antico libro manoscritto, dove per alfabeto e secondo i tempi sono registrati i religiosi vestiti in quel mo- nastero, ed abbiamo trovato sotto la lettera B un Don Bartolommeo di Matteo del popolo di San Romeo; del quale si dice che, essendo di quin- dici anni, e già nei quattro primi ordini minori, fece professione a' 26 di febbrajo 1436 nelle mani di Don Luca, priore; che uscito poi del mona- stero nel 1439, fu fatto abate di Montemuro nella diocesi di Fiesole, dove morì, senza che siavi dichiarato in qual anno. Ma che questo Don Bartolommeo di Matteo sia persona diversa dal Della Gatta, ci pare dimostrato chiaramente dal vederlo abate di un mona- stero che non è quello di San Clemente. Altri del medesimo nome si trovano registrati più innanzi nel detto libro , ma essi vi entrarono nel tempo , in cui il Della Gatta doveva da parecchi anni essere in quella religione. Perciò non trovandosi il Della Gatta tra i religiosi degli Angeli, si può inferire che il Vasari , dicendolo vestito in quel monastero , abbia affermato cosa contraria alla verità. Ne diverso giudizio si può fare di lui , quando lo chiama abate di San Clemente d' Arezzo ; perchè de' due abati di San Cle- mente, incontrati da noi scorrendo le carte de' Camaldolensi di Toscana e i protocolli de'notaj aretini di quel tempo, è notabile che nessuno porti il nome di Don Bartolommeo e che siano ricordati come investiti di quel grado nel detto monastero, appunto dentro i medesimi anni, ne' quali, secondo il Vasari, esso era sotto il governo del Della Gatta. Vediamo ora se il Vasari abbia avuto miglior fondamento di fare del suo Don Bartolommeo vm artefice. E cominciando dalle miniature de' libri corali di San Martino di Lucca, esse, a giudizio di chi le ha vedute ed esaminate, non si possono credere di sua mano, scoprendo visi una maniera troppo diversa da quella delle tavole d' Arezzo che si dicono dipinte da lui. Ed a proposito di quelle mi- niature, noi vogliamo arrischiare una congettura; cioè che due sieno stati i probabili loro autori , de' quali l' uno fu un Bartolommeo miniatore luc- chese, il cui nome, con la detta qualità, ricordiamo di aver letto in uno strumento di quel tempo, e l'altro quel Don Giuliano Amidei, vestito monaco camaldolense l'anno 1446 nel monastero di San Benedetto fuori delle mura di Firenze, il quale fu abate di Val di Castro e di Santa Ma- ria d'Agnano, e miniatore e pittore di qualche nome a' suoi giorni. E questa congettura si afforza, sapendosi che Don Giuliano, ridottosi ad abi- tare in Lucca, vi morì nel 1496; essendo verosimile che dai canonici di San Martino fosse adoperato nel miniare i loro libri. E di questa opinione è ancora il Ridolfi nella recente Guida di Lucca. Forse il Vasari, sen- tendo dire che gli avessero lavorati un Bartolommeo ed un monaco di Ca- DI DON BARTOLOMMEO 229 maldoli, e per giunta abate, per una confusione invero assai strana, ma in lui non rara, avrà preso dall'uno de' due artefici il nome, dall'altro la qualità e il grado, e da ambedue la professione, e fattone un solo che egli chiama Don Bartolommeo della Gatta. Ma di ■q^uesto Don Giu- liano torneremo a parlare più innanzi : solamente ci pare qui da aggiun- gere che egli ottenne, con Breve di papa Innocenzo Vili del 1491, di potere uscire del monastero per attendere a miniare , e co' suoi guadagni rimediare a' molti debiti che aveva fatti, essendo abate d'Agnano. Quanto poi al Messale donato a papa Sisto, essendo da gran tempo perduto, ci manca il modo di giudicarne. Delle molte opere di pittura, così in tavola come in muro, attribui- tegli dal Vasari, oggi per fortuna ne rimangono alcune, le quali sarebbero sufficienti a farci conoscere che Don Bartolommeo tenne nel suo dipingere due maniere assai differenti tra loro. Della prima ne avremmo dije esempj nelle tavole con San Rocco nella Pinacoteca Comunale d'Arezzo, quivi trasportate dalla Fraternità e dalla Pieve; nelle quali si scoprirebbe uno scolare e seguace di Pietro della Francesca ; mentre in quelle della Pieve di Castiglion Fiorentino, che apijarterrebbero alla seconda maniera, è ma- nifesta la imitazione di Luca Signorelli, ed in parte della scuola umbra. I signori Crowe e Cavalcasene, che hanno fatto un esame e confronto diligentissimo tra le une e le altre, si argomentano di spiegare questa loro diversità colla ragione dell' andata a Roma di Don Bartolommeo per dipingere nella Sistina, dove, lavorando con Luca e col Perugino, essi credono che gli venisse fatto di abbandonare la vecchia maniera per se- guire quella de' detti suoi compagni. Questo loro argomento, che talvolta potrebbe avere qualche valore, in questo caso noi stimiamo non ne abbia •nessuno: perchè in primo luogo ci pare quasi impossibile, che un uomo, dopo aver per parecchi anni praticato un' arte secondo gì' insegnamenti avuti nella sua giovanezza, possa e voglia in un subito dismetterla nel- r età matura; ed in questa appunto sarebbe stato il Della Gatta, quando fu a Roma; per andar dietro ad un'altra, sebbene migliore e più lodata: ed in secondo luogo è da ricordare che nel Commentario alla Vita di Fra Filippo Lippi noi abbiamo dimostrato che la pittura di Cristo che dà le chiavi a san Pietro, nella Sistina, attribuita a Don Bartolommeo, deve esser tolta a lui, e restituita a Fra Diamante prima carmelitano e poi vallombrosano, che, secondo i documenti, n' è il vero autore. Anche Don Giuliano Amidei, ricordato indietro, dipinse in Roma nel palazzo Vaticano per papa Sisto IV, ed in quello di San Marco per il cardinal Barbo, che poi fu papa Paolo II. E ritornando alle suddette tavole d'Arezzo e di Castiglion Fiorentino, a noi i)are più da credere che, vista la grande loro differenza, sieno state 230 COMMENTAKIO ALLA VITA dipinte, piuttostochè da im solo e medesimo artefice, almeno da due, di temilo e di scuola diversi; l'uno de' quali, se volessimo in alcuna parte seguitare il Vasari, dovrebbe essere il Della Gatta ; restando però sempre impossibile il risolvere quali, o le aretine o le castiglionesi, si avessero ad assegnare a lui. Ma come noi, non trovandosi memoria di Don Barto- lommeo nelle antiche scritture, abbiamo negato fede al racconto vasariano circa alla sua persona, così gliela neghiamo rispetto alle opere, le quali è più verosimile di attribuire a qualcuno de' pittori aretini che furono in quel tempo, come Lorentino d'Andrea Lorentini, morto nel 1506, An- gelo suo figliuolo, Domenico Pecori e Matteo Lappoli, che il Vasari dice essere stati discepoli di Don Bartolommeo, e noi crediamo invece che al- cuni di essi abbiano appreso l'arte da Pietro della Francesca ed altri dal Signorelli. Ora considerando che tutte queste cose dette dal Vasari del suo Don Bar- tolommeo, non solamente non sono confermate, ma ancora scoperte false, è naturale il domandare da qual fonte dunque egli le attinse, o quale fu la tradizione che seguì? Possibile che quel fonte si fosse turbato, o quella tradizione giungesse a lui già corrotta appena dopo cinquant' anni, e quando delle cose che egli narra, vivevano ancora molti vecchi, che ne potevano essere credibili testimonj ? In che allucinazione di mente egli era, allorché pigliava a scrivere questa Vita o per quale inganno ed er- rore affermava ciò che le presenti nostre ricerche hanno chiarito del tutto falso? A queste domande noi confessiamo che c'è impossibile di trovare una risposta che soddisfaccia. Recapitolando adunque l'esposto sin qui, diremo: se è certo che in- nanzi al Vasari nessuno ha ricordato questo Don Bartolommeo della Gatta, e che gli scrittori dopo di lui non fecero che ripetere le sue parole ; se tra i religiosi vestiti nel monastero degli Angeli di Firenze il suo nome non si trova, e quel Don Bartolommeo di Matteo che vi fece professione nel 1436 è da credere che fosse persona diversa; se nelle carte de' mo- nasteri carnai dolensi in Toscana, e ne' protocolli de'notaj aretini contem- poranei, none dato d'incontrarsi in un monaco di quell'Ordine, e molto meno in un abate di San Clemente, col nome di Don Bartolommeo; se finalmente le opere attribuite dal Vasari al Della Gatta ci sono ragioni bonissime per tenerle invece di due o tre pittori vissuti in Arezzo in quel tempo , o lisciti dalla scuola di Pietro della Francesca o seguaci della maniera del Signorelli; è giuocoforza, dopo tutto ciò, che noi veniamo a questa ultima conclusione, cioè: che nel secolo decimoquinto un religioso miniatore, pittore ed architetto, chiamato Don Bartolommeo della Gatta, non sia mai esistito fuorché nella fantasia del Vasari, e che perciò un arte- fice di questo nome debba esser cancellato dalla storia dell'arte italiana. DI DON BARTOLOMMEO 231 Noi prevediamo che questa conclusione così nuova, così contraria alla comune credenza, apparirli a molti tanto ardita, che difficilmente vor- ranno acconciarsi ad accettarla per ragionevole e vera. Ma dal giudizio loro noi appelliamo a quello della Critica, confidando che' essa, udite ed esaminate le nostre ragioni, sarà per dare una sentenza conforme a quello che abbiamo voluto dimostrare. PARTE SECONDA Notizie di Attavanie miniatore, e di alcuni suoi lavori Attavante miniatore fu figliuolo di Gabbriello di Vante di Francesco degli Attavanti ; ' e che tale fosse il suo cognome , ne avremo un' altra prova più sotto. Dei molti lavori di minio da lui cicerati, due soli cono- sciamo, su' quali non cade dubbio, perchè autenticati del suo nome. L'uno è il codice della Marciana, che contiene, oltre gli scritti De Niiptiis Mer- curii et Philologlae, e De septem Artibus liberalihus di Mineo Marziano Felice Capella, altre opere di Fortunaziano , di Alano, di Albuldo vescovo, di Fra Vittore, d'Abacio, e di Beda. Nell'ultima nota alla Vita di Fra Gio- vanni Angelico dicemmo quanto la brevità del luogo consentiva intorno a questo codice. Ed ora, se non fosse l'obbligo impostoci di non far ecce- dere le note in soverchia lunghezza, noi ben volentieri avremmo stampato qui la minuta e diligentissima descrizione che l'ab. Giuseppe Valentinelli , prefetto della Marciana, cortesemente e con amorevolezza impareggiabile ci mandò in una lettera, sotto il dì 30 gennajo 1849, diretta al nostro amico Tommaso Gar, che si fece intei-prete presso il dotto bibliotecario de' nostri desiderj. Ma chi volesse leggere alcun che di stampato su quel veramente magnifico codice, può trovarlo abbondevolmente nella descri- zione artistica che ne pubblicò Tullio Dandolo nei numeri 10 e 11, anno 1837, del Gondoliei-e , giornale veneziano.' Innanzi al Dandolo però avevano parlato di questo codice il Padre Berardelli a pag. 102-105 del tomo XXXVIII della Raccolta di Opuscoli del P. Calogerà, e l'ab. Morelli a pag. 32-5-338 della Bihliotheca manuscripta graeca et latina. Ma perchè le descrizioni del Berardelli e del Morelli riguarda,no più che altro la X^arte filologica; e la descrizione artistica del Dandolo, per la rarità sua, non va per le mani di tutti; spenderemo volentieri alcune parole per ren- dere informati i nostri leggitori di questo preziosissimo gioiello. ' Del Migliore, Spogli mss. nella Magliabechiana, R. 1° pag. 386. ^ Fu stampata anche a parte, in un opuscolo di 12 pagine in-8 col titolo: D'una preziosità della Biblioteca Marciana, e d' un' arte in cui furono prin- cipi gV Italiani. 232 COMMENTARIO ALLA VITA Tutto il codice si compone di 267 carte. L'arte del minio vi è ado- perata profusamente e con tutta la maggior varietà d'invenzione e di pennello. Novereremo le capitali stoi-ie e più ragguardevoli che adornano questo bel monumento d'arte italiana. La prima carta, non numerata, presenta, nel suo verso, le Deità mag- giori e minori dell'Olimpo, raccolte intorno a Giove che siede in mezzo a loro. Un fàuno, un satiro ed un centauro passeggiano nel piano infe- riore che rappresenta una campagna. Questa storia vien racchiusa da una cornice, quadrata al disopra, circolare al disotto, ricchissima di minuti ornati fatti di squisito stile , con putti e cammei. Sotto la detta storia e un tondo, dove con lettere lapidarie messe a oro si legge questo titolo: Li hoc volumine continentur: marzianus capella, de nuptiis Mercurii et Philologie, et alanus, de pianto nature; consultus, de Eethorica; albul- Dus, de minutiis. Questa è la carta che fa da frontespizio. La prima carta del testo e ornata da una zona azzurrina che scende lungo il margine con un festone di foglie parimente messe a oro, dal quale a quando a quando pendono medaglioni di varie grandezze, con figure di donne, di nereidi, di genj, stemmi ed animali di più maniere, e la giraffa che si dice mandata in dono dal re d' Egitto a Lorenzo il Magnifico. A similitu- dine di questa sono ornate eziandio anche molte altre carte, dove la inven- zione e lo spartito degli ornati sono a un dipresso gli stessi , variati nei colori, e nelle teste e figure, stemmi e animali ed altre siffatte cose espresse dentro que' medaglioni, che sono sempre frammisti ai fregi che ricorrono di tanto in tanto ne' margini del codice. Designeremo alla cu- riosità de' leggitori le carte, dove sono ripetuti questi ornati: al recto della 25, 26, 27, 40, 45, 47, 67, 90, 91, 116, 131, 135, 150, 169, 205, 246; al verso della 113. Il trattato del medesimo Capella Sulle sette Arti liberali ha in cia- scuiio de' sette libri, in che esso trattato si divide, la rappresentazione di ciascuna di esse Arti, con gli emblemi ed attributi proprj. La Gram- matica e alla carta 24 verso; la Dialettica, alla 46 verso; la Oratoria, alla 66 verso; la Geometria, alla 89 verso; l'Aritmetica, alla 115 verso; l'Astronomia, alla 134 verso; la Musica, alla 149 verso. A render compiuto il lavoro, tutte le iniziali de' libri, de' capitoli, de' paragrafi, sono iscritte di varie grandezze., a oro brunito, in rettangoli, ornati di vario gusto e colore, e accompagnati spesso da figure di varie maniere. Le più ricche e preziose si trovano a carte 1, 12, 25, 26, 45, 47, recto; 61 verso; 67, 90, 91, recto; 118 verso; 116 recto; 131, 135, 150, 154, 169, 205, 246 recto. L' altro codice illustrato dai minj di Attavante è un Messale Romano che si custodisce nella Biblioteca R. di Brusselle, e faceva parte di quella DI DON BARTOLOMMEO 233'- di Borgogna. Esso fu fatto per Mattia Corvino re d'Ungheria. Maria. d'Austria, sorella di Carlo V, vedova di Luigi re d'Ungheria, e gover- natrice de' Paesi Bassi, lo portò nel Belgio. Dai tempi d'Alberto e di Isabella, sino all' arciduchessa Cristina e il duca di Sassonia-Teschen ( 1785 ),. fu sopra di esso prestato il giuramento nei fausti avvenimenti dei prin- cipi e governatori generali. Oberto Le Mère , bibliotecario degli Arciduchi,, ha scritto di proprio pugno sopra uno dei fogli di risguardo, che gli Arciduchi avevano prestato giuramento su questo Messale. Questa ceri- monia è stata cagione di xin danno notabile alle miniature del Calvaria e del Giudizio Finale; imperciocché nel giorno della inaugurazione di Alberto e d'Isabella, cadendo la pioggia, alcune gocce d'acqua, stese sul codice dalle mani degli augusti personaggi, lo hanno qua e Ta guastato. Tra i ministri che si sono sottoscritti di poi, si trova il piemontese Turinetti, marchese di Prie. Questo Messale è in foglio di bellissima pergamena, composto di 215 carte, ossia 430 pagine, compresevi le dodici del calendario ecclesiastico. Sul principio del libro, nel verso della prima pagina è una grande mi- niatura di squisita bellezza. Nel fregio si vedono molti piccoli cammei e liste colorate con alcuni graziosissimi putti. In mezzo a questi orna- menti è una specie d'altare con una cornice di bianco marmo con basso- rilievi di mirabile finezza. Nel quadro che occupa il mezzo dell'altare medesimo si legge a lettere d' oro : incipit ordo misalis ( sic ) secundum coNSUETDDiNEM cuKiAE KOMAKAE ; c Hcl froutone appajoHO le armi reali di Ungheria. In basso dell'altare è segnata la seguente scritta: ACTAVANTES DE ACTAVANTIBUS DE FLORENTIA HOC OPUS ILLUMINAVI!. A. D. MCCCCLXXXV. A pie del fregio dipinto sono le armi di Borgogna, Austria e Spagna , fatte sur un pezzo di pergamena, appiccatovi piìi tardi. Nel foglio di fronte a questo è rappresentato il santo re David in- ginocchiato: figura di bellissimo carattere. Al principio del canone della Messa è un' altra miniatura che occupa tutta la carta , e rappresenta Cristo ■ in croce in mezzo ai ladroni , colle Marie e san Giovanni in basso. La in- venzione, il disegno e il colorito di questa storia, sono bellissimi. Nel fregio sono espressi i misteri della Vita del Salvatore, ed in basso si legge: Actum Florentiae A. D. MCCCCLXXXVil : il che prova che Atta- vante spese almeno due anni Dell'eseguire questo capolavoro. Nella pagina che segue, la parte superiore rappresenta il Giudizio Finale; e nel fregio che ne ricinge i margini, continuano i misteri della. Vita di Gesù Cristo e della Madonna. 234 COMMENTARIO ALLA VITA Alcune grandi vignette, rappresentanti i santi e i martiri dei diversi giorni dell'anno, e nn gran numero di ornamenti a fiorami ed arabeschi ricorrono in quasi tutti i fogli del libro, e si distinguono per la purezza del disegno, la splendidezza e finezza dei colori ed il fulgore dell'oro; per il che c^uesto manoscritto, in rispetto alle sue miniature, è tenuto per il gioiello più prezioso della Biblioteca Reale. L'abate Chevalier ne stampò una descrizione nel tomo quarto delle Mémoires de V ancienne Académie de Bruxelles, 1783, in-é", pag. 491-502, e M»". Florian Frocheur, addetto alla sezione dei manoscritti della detta Biblioteca, nel Messager des sciences liistoriques, pubblicato a Gand. I ragguagli su questo lavoro di Attavante ci furono cortesemente man- dati dal barone di Reiffemberg, dotto bibliotecario della Reale di Brus- selle, al cui amore per le cose italiane è del pari dovuta la pubblicazione di alcuni documenti storici risguardanti l' Italia medesima. Due lettere di Attavante pubblicate fra le pittoriche (tomo III, p. 328- 329, ediz. di Milano ), una a Taddeo Gaddi da Firenze de' 7 febbrajo 1483, 1' altra a Niccolò Gaddi del 1484, parlano di un Messale miniato ordinatogli da un vescovo di Dole nella Brettagna, che aveva già fatto e consegnato al medesimo vescovo, di cui tace il nome. Altra memoria di Attavante € in un documento riferito dal Gaye [Carteggio ecc., II, 455). In esso si legge che Vante fu uno de' maestri chiamati nel 1503 a giudicare dove fosse da collocare il David di Michelangiolo. L' Albertini ( Memoriale più volte citato ) dice che Vante fece le palle della Terra, cioè la sfera terrestre, nel famoso orologio di Lorenzo della Volpaja, del quale è parlato nella Vita di Alesso Baldovinetti e nelle sue note. t Di Attavante, nato nel 1452 da Gabbriello di Vante di Francesco di Bartolo, e da Brigida sua donna e figliuola naturale di messer Stoldo de' Rossi, pievano di Castelfiorentino , oggi si conoscono molte altre opere, €d alcune tanto belle, che se non vincono, certamente pareggiano quella sopra descritta. Noi daremo delle principali una sommaria notizia ; perchè se volessimo distenderci sopra questo argomento, avremmo alle mani ma- teria tanto abbondante, che soverchierebbe di troppo i limiti di questo Commentario. Sono in Firenze di mano d' Attavante quattro ricchissime storie di minio in due Antifonarj del Duomo, fatte nel 1508. Altre non meno belle e ricche, del 1505, si veggono in un Graduale che fu già nel monastero degli Angeli, ed oggi si conserva nella Mediceo-Laurenziana ; ed altre in un codice de' Trionfi e delle Rime del Petrarca nella Nazionale, proveniente dalla Palatina. In due Antifonarj segnati di lettere A e B, nella Cattedrale di Prato, fece Attavante nel 1500 parecchie miniature assai gentili e graziose. La celebre Bibbia urbinate, nella Vaticana, in DI DON BARTOLQMMEO 235 due volumi membranacei in-folio, scritta e miniata in Firenze dal 1476 al 1488 nella bottega di Vespasiano da Bisticci, celebre cartolaio e bio- grafo, di commissione del duca Federigo da Urbino, ha 70 miniature a figure, la più parte di Attavante, d'una ricchezza e splendore straordi- nario. Nella stessa Biblioteca si conserva il Messale detto di Mattia Cor- vino re d'Ungheria, miniato dallo stesso nel 1488, non meno bello e ricco della Bibbia. Nella Estense sono di lui le miniature poste nella prima cai'ta di sette volumi in-4 membranacei, che furono lavorati in Firenze per la libreria del detto re: nel diritto della carta di risguardo, nella maggior parte di essi libri, si legge di mano del miniatore: Attavantes 2)iìisit (sic). Nella Gambalunga di Rimìni è un codice di i^ergamena in-8, che contiene II Commentario de' gesti e de' detti di Federigo duca d' Ur- bino, composto dal suddetto Vespasiano da Bisticci. Nella prima carta, dentro la lettera iniziale , è di mano d' Attavante il ritratto di profilo del Duca, e ne' margini sono fregi elegantissimi a girali di fogliami e di fio- rellini tramezzati da varj tondi colle imprese del Duca. In basso è lo stemma dei Montefeltro. Tutti questi lavori sono stati da noi veduti ed esaminati. Tra i molti altri dello stesso autore che saranno nei Musei d' oltremonte e d'oltremare, abbiamo notizia della bellissima Bibbia in sette grossi vo- lumi col commento di Fra Niccolò de Lira, che Giulio II mandò in dono a Emanuele re di Portogallo, il quale la fece riporre nel monastero di Belem da lui fabbricato, dove anche oggi si vede. Questa Bibbia noi cre- diamo che sia quella medesima che Clemente Sernigi allogò a miniare, insieme col Libro del Maestro delie sentenze, ad Attavante con strumento del 23 d'aprile 1494, rogato da ser Giovanni Carsedoni notajo fiorentino. Nel Museo Nazionale ungherese, dei trentacinque codici donati recente- mente dal sultano Abdul Amid II, dieci appartennero senza dubbio a Mattia Corvino, i quali furono scritti in Firenze nella bottega di Vespa- siano da Bisticci, e parte miniati, come noi crediamo, da Attavante. 237 GHEEARDO MINIATORE FIOKENTINO (Nato nel 1445; morto nel 1497) Veramente, che di tutte le cose perpetue che si fanno non colori, nessuna più resta alle percosse de' venti e del- l'acque, che il musaico. E ben lo conobbe in Fiorenza, ne' tempi suoi, Lorenzo veccliio de' Medici;' il quale, come persona di spirito e speculatore delle memorie antiche, cercò di rimettere in uso quello che molti anni era stato nascoso:' e perchè grandemente si dilettava delle pit- ture e delle sculture, non potette anco non dilettarsi del musaico. Laonde, veggendo che Gherardo allora minia- tore, e cervello sofistico, cercava le difficultà di tal ma- gistero; come persona che sempre aiutò quelle persone, in ehi vedeva qualche seme e principio di spirito e d'in- gegno; lo favorì grandemente. Onde, messolo in compa- gnia di Domenico del Ghirlandaio, gli fece fare dagli Operai di Santa Maria del Fiore allogazione delle cap- ' Per Lorenzo il vecchio, intende qui il Vasari Lorenzo il Magnifico; non ^ià il fratello di Cosimo Pater Patriae. ^ *Come può dir qui il Vasari che il musaico era stato molti anni nascoso, quando nella Vita d'Alesso Baldovinetti descrive i nuovi lavori di musaico che, oltre al restauro degli antichi, egli fece in San Giovanni? e dopo che sappiamo che quei restauri furon fatti nel 1483, cioè al tempo stesso, almeno, in cheope-' rava Gherardo? L'arte del musaico, oltreché in Firenze, si esercitava contem- peraneamente con molto buon successo in Venezia, in Orvieto ed altrove. 238 GHERAEDO pelle delle crociere; e per la prima, di quella del Sa- gramento, dov'è il corpo di San Zanobi.' Per lo che Gherardo, assottigliando V ingegno , arebbe fatto con Domenico mirabilissime cose, se la morte non vi si fasse interposta; come si può giudicare dal principio della detta cappella, che rimase imperfetta. Fu Gherardo, oltre al musaico, gentilissimo miniatore; e fece anco figure grandi in muro: e fuor della porta alla Croce è in fresco un tabernacolo di sua mano;' e un altro n'è in Fiorenza, a sommo della Via Larga, molto lodato.^ E nella facciata della chiesa di San Gilio, a Santa Maria Nuova, dipinse sotto le storie di Lorenzo di Bicci, dov'è la consegrazione di quella chiesa fatta da papa Martino V, quando il medesimo papa dà l'abito allo spedalingo e molti privilegi : nella quale storia erano molto meno figure di quello che pareva ch'ella richie- desse, per essere tramezzate da un tabernacolo; dentro al quale era una Nostra Donna, che ultimamente è stata levata da Don Isidoro Montaguto, moderno spedalingo di quel luogo, per rifarvi una porta principale della casa; e statovi fatto ridipingere da Francesco Brini, pit- ' t L'allogazione del musaico della cappella di San Zanobi nel Duomo di Firenze fatta a Domenico e David del Ghirlandajo, a Sandro Botticelli ed a Ghe- rardo miniatore, è del 18 maggio 1491. A questi artefici fu poi anche aggiunto, il 23 dicembre del medesimo anno. Monte fratello di Gherardo suddetto. Dopo tre anni, cioè al 31 dicembre del 1493, fu allogato ai detti Gherardo e Monte a fare di musaico uno degli spicchi della suddetta cappella. La cagione, per cui questo lavoro non andò più innanzi, pare che fosse principalmente, come dice anche il Vasari, la morte di Lorenzo il Magnifico e quella di Domenico Ghir- landajo, accadute l'anno dopo. Ora nella cappella di San Zanobi non resta più nulla del detto musaico. - t Dipinselo nel 1487 in compagnia di Monte suo fratello, per commissione de' Capitani del Bigallo. Questo tabernacolo colla Madonna e varj santi era detto della Madonna del GaruUo. Fu gettato a terra a' nostri giorni per la costruzione della nuova Piazza Beccaria, alla porta alla Croce. Della pittura fu solamente salvata la figura della Vergine, che ora è stata incastrata sul muro d'una casa nella prossima via Settignanese. ' Quello che vedesi all'estremità di via Larga, presso la piazza di San Marco, è stato assai sfigurato dai ritocchi. GHERARDO 239 tore fiorentino giovane, il restante di quella storia.' Ma, per tornare a Gherardo, non sarebbe stato quasi possi- bile che un maestro ben pratico avesse fatto,. se non con molta fatica e diligenza, quello che egli fece in quel- r opera benissimo lavorata in fresco. Nel medesimo spe- dale miniò Gherardo, per la chiesa, un'infinità di libri, e alcuni per Santa Maria del Fiore di Fiorenza, ed al- cuni altri per Mattia Corvino, re d'Ungheria:' i quali. ' *Di questo Francesco Brini, da non confondere con altro pittore del me- desimo nome, vissuto nel secolo xvii, in un ricordo tra' fogli manoscritti posse- duti da Pietro Bigazzi, si trova registrato un quadro con Madonna in trono. Bambino in braccio, san Giovan Batista e san Jodoco , 1573. t Noi conosciamo un solo pittore di nome Francesco, e di cognome Brini 0 del Brina, del quale poco delle opere e meno della persona ci hanno traman- dato gli scrittori. Nocque alla sua fama l'essersi morto, come crediamo, ancor giovane, perchè se più gli fosse durata la vita, non è dubbio che avrebbe la- sciato maggiori e migliori prove dell'arte sua. Costui fu figliuolo di un Mattia del Brina, e nacque intorno al 1540. È ignoto da chi fosse introdotto nello studio del disegno e della pittura, se non forse da Michele detto del Ghirlandajo. Nella prima gioventù Francesco rifece parte della storia dipinta da Gherardo a lato della porta di Sant'Egidio, come dice qui il Vasari; nel 1566 colori alcune cose pel magnifico apparato nelle nozze di Don Francesco de' Medici con Giovanna d'Austria. Erano in San Pancrazio di sua mano la tavola dell'altare Del Vigna dipinta nel 1570, ed alcune figurette fatte nel 1574 pel ciborio di legname del- l'aitar maggiore. Le quali opere andarono perdute nella rovina di quella chiesa. Una sua Adorazione de' Magi è nella Galleria dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze, quivi trasportata dalla chiesa di Santa Maria sul Prato; e nella far- macia di Santa Maria Novella si vede una Santa Famiglia dentro una tribunetta. In San Michele Bisdomini è nell'altare de'Buontalenti un'altra sua tavola colla Concezione. La qual tavola il Borghini, e dopo lui tutti gli scrittori di Guide^ attribuiscono al Morandini detto il Poppi: ma che invece sia di Francesco si conosce dalla iscrizione posta in basso della detta tavola, che dice: fr: brini • p: a: d: mdlxx, cioè Franciscus Brini pinxit Anno Domini 1570. In casa Capponi è una Madonna, e un'altra ancora presso i Corsini. Anche nella gal- leria Rinuccini era dipinto di sua mano un Salvatore, stato venduto cogli altri quadri di quella nobile casa. Dopo il 1577 andò Francesco a Volterra, dove si crede che morisse sulla fine di quel secolo, lasciandovi alcune sue opere di pit- tura. Ebbe il Brini un fratello chiamato Giovanni, parimente pittore, che fu uno dei molti ajuti del Vasari nelle pitture del Palazzo Vecchio, e del quale è un quadro coU'Annunziazione nel monastero delia Nunziatina in Firenze, con la scritta : ioa. de brina faciebat. Mori Giovanni in Pisa nel dicembre del 1599. La pittura nella parete sinistra esterna della chiesa di Sant'Egidio fu fatta da Gherardo nel 1474. - * Mattia Corvino, emulo di Lorenzo il Magnifico nel proteggere le lettere e gli uomini d'ingegno, raccolse un numero ragguardevole di codici per la bi- 240 GHERARDO sopravvenuta la morte del detto re, insieme con altri di mano di Vanto e d'altri maestri che per il detto re lavorarono in Fiorenza, furono pagati e presi dal ma- gnifico Lorenzo de' Medici, e posti nel numero di quelli tanto nominati che preparavano per far la libreria;* e poi da papa Clemente VII fu fabricata, ed ora dal duca Cosimo si dà ordine di pubblicare.^ Ma di maestro di minio divenuto, come si è detto, pittore, oltre T opere dette, fece in un gran cartone alcune figure grandi per i Vangelisti che di musaico aveva a fare nella cappella di San Zanobi. E prima che gli fusse fatta fare dal ma- gnifico Lorenzo de' Medici l'allogazione di detta cappella, per mostrare che intendeva la cosa del musaico, e che sapeva fare senza compagno, fece una testa grande di San Zanobi quanto il vivo ; la quale rimase in Santa Ma- ria del Fiore, e si mette ne' giorni più solenni in sul- r altare di detto Santo, o in altro luogo, come cosa rara. ' Mentre che Grherardo andava queste cose lavorando, furono recate a Fiorenza alcune stampe di maniera te- desca, fatte da Martino* e da Alberto Duro: perchè pia- cendogli molto quella sorte d'intaglio, si mise col bulino a intagliare, e ritrasse alcune di quelle carte benissimo; come si può vedere in certi pezzi nel nostro Libro, in- sieme con alcuni disegni di mano del medesimo/ Dipinse blioteca da lui fondata a Buda; e teneva a' suoi stipendj molti che gli copias- sero in Firenze, Roma, ed altrove, i manoscritti più preziosi. La sua biblioteca, •che ascendeva a cinquantamila volumi, fu depredata dai Turchi nel 1527. ' t La Libreria Mediceo-Laurenziana. ^ Cioè d' aprire a benefizio del pubblico. Parlasi qui della insigne biblioteca Laurenziana, la quale tra l'immenso numero di codici, cui contiene, ne ha pa- recchi adorni di preziosissime miniature. ' Continua l'uso d'esporla sull'altare ch'erigesi in mezzo di chiesa il giorno della festa di San Zanobi. t Nel Commentario che segue si vedrà chi veramente fosse l'autore della testa di san Zanobi. ' Martin Schòn, o Schongauer, detto comunemente Buon Martino. Trovasi il nome suo variato dagli scrittori in più di trenta maniere, che tutte son regi- strate dall' ab. Zani nella sua. Enciclopedia metodica, parte I, t. XVII, nota 34. ' *Vedi l'ultima nota di questa Vita. GHERARDO 241 Gherardo molti quadri, che furono mandati di fuori; de' quali uno n'è in Bologna, nella chiesa di San Dome- nico, alla cappella di Santa Caterina da Siena, dentro vi essa Santa benissimo dipinta.' E in San Marco di Firenze fece, sopra la tavola del Perdono, un mezzo tondo pieno di figure molto graziose.^ Ma quanto sodisfaceva costui agli altri, tanto meno sodisfaceva a se in tutte le cose, eccetto nel musaico; nella qual sorte di pittura fu più tosto concorrente che compagno a Domenico Ghirlandaio. E se fusse più lungamente vivuto, sarebbe in quello di- venuto eccellentissimo: perchè vi durava fatica volen- tieri, e aveva trovato in gran parte i segreti buoni di queir arte. Vogliono alcuni che Attavante, altrimenti Vante, mi- niator fiorentino, del quale si è ragionato di sopra in più d'un luogo, ^ fusse, siccome fu Stefano, similmente miniatore fiorentino j* discepolo di Gherardo ; ma io tengo ' *0ra è nella Pontificia Pinacoteca di Bologna. Rappresenta lo Sposalizio della serafica senese, alla presenza di Nostra Donna, e dei santi Giovanni Evan- gelista, Antonio abate, Domenico, e re David. (Ved. Catalogo della Pontificia Pinacoteca di Bologna di Gaetano Giordani, al n° 101, ediz. del 1844). t Questa tavola non è di Gherardo, né del suo tempo, e neppure di scuola fiorentina, ma lombarda. * ^ Questo mezzo tondo è smarrito. * Nella Vita del B. Gio. Angelico e in quella di D. Bartolommeo della Gatta. ' 'Questo Stefano miniatore nel 1508 stimò alcuni minj fatti da Attavante di Gabbriello per la sagrestia di Santa Maria del Fiore. (Ved. tom. II, pag. 523, nota 1 ). Abbiamo poi ragione di credere, che egli sia una stessa persona con Stefano di Tommaso miniatore, da Firenze, il quale fu uno degli esecutori del testamento fatto dal pittore Lorenzo di Credi nel 1531; essendoché questo Ste- fano di Tommaso ha comuni collo Stefano qui rammentato dal Vasari il nome, la patria, la professione e il tempo in che viveva. (Ved. Gayk, Carteggio ecc., tom. I, pag. 376). t Stefano che fu di cognome Lunetti, nacque intorno al 1465 da un Tom- maso di Giovanni, e stette ne' primi suoi anni al miniatore nella bottega di Bar- tolommeo, Gherardo e Monte di Miniato del Fora, co' quali poi s'imparentò, avendo pigliato per sua donna nel 1487 la Ginevra figliuola di Bartolommeo suddetto. Delle opere sue di minio oggi non si conoscono che quelle fatte nel 1504 in un Antifonario che fu della Badia di Firenze, ed ora è tra i libri corali nel Museo di San Marco. Fu Stefano anche pittore, trovandosi che nel 1518 dipinse i drappelloni per l'esequie di Lorenzo de' Medici duca d'Urbino. Avendo poi di- smesso il miniare, si diede all'architettura, e nel 1509 fece il disegno della nuova Vis»Ri, Opere - Voi IH. 16 242 GHERARDO per fermo, rispetto all'essere stato l'uno e l'altro in un medesimo tempo, che Attavante fusse piuttosto amico, compagno e coetaneo di Gherardo, che discepolo. Morì Gherardo essendo assai ben oltre con gli anni, lassando a Stefano suo discepolo tutte le cose sue dell'arte. Il quale Stefano, non molto dopo datosi all'architettura, lasciò il miniare e tutte le cose sue appartenenti a quel mestiere al Boccardino vecchio, il qual miniò la mag- gior parte de' libri che sono nella Badia di Firenze. * Compagnia detta della Purificazione o di San Zanobi, che innanzi aveva la sua residenza in San Marco. Disegnò nel 1516 il nuovo convento di Santa Maria del Sasso presso Bibbiena, dell'ordine domenicano, e il coro della chiesa. Nella edifi- cazione della nuova sagrestia di San Lorenzo, Michelangelo Buonarroti si servi di lui, ma, come si conosce da alcune sue lettere, con non intiera sua soddis- fazione. Fu Stefano dall'aprile al dicembre del 1529 capomaestro ed ingegnere de' Nove d'Ordinanza e di Milizia, e diede disegni de' nuovi bastioni che allora si fecero in Firenze per cagione dell'assedio. Mori ai dieci di dicembre de) 1534, lasciando un figliuolo di nome Tommaso, che fu pittore ed architetto, e del quale parla altrove il Vasari. ' *Due furono i Boccardini, ed ambidue miniatori. Il vecchio qui nominato dal Vasari si chiamò Giovanni di Giuliano; l'altro fu Francesco suo figliuolo. Si l'uno come l'altro si trovano registrati nel vecchio libro o ruolo dell'Arte con l'anno 1525, cosi: Giovanni di Giuliano Bochardini miniatore e Francesco di Giovanni Bochardini miniatore. { Ved. Memorie di Belle Arti italiane, pubblicate dal Gualandi, Serie VI, pag. 176-190). t Giovanni detto il Boccardino vecchio nacque in Firenze nel 1460 da Giu- liano di Giovanni di Tommaso Boccardi vinattiere, e da Caterina di Bartolommeo Busini, di famiglia nobile fiorentina, sua moglie. Nella prima sua gioventù andò ad apprendere l'arte nella bottega di Zanobi di Lorenzo cartolare e miniatore. Delle "fepere di minio fatte dal Boccardino noi abbiamo queste memorie. Nel 1486 pose otto minj nel nuovo Salterio di Sant'Egidio, e lavorò nel 1509 in compa- gnia di Francesco suo figliuolo ne' libri corali di Montecassino e nello stesso tempo in quelli di San Severino di Napoli, parte de' quali si veggono nella Bi- blioteca Nazionale di quella città. Nel 1514 miniò pel Duomo di Firenze un Evan- gelistario, un Epistolario ed un Libro da Morti, e fece per la sagrestia di San Lo- renzo due principi ad un Epistolario e ad un Evangelistario : codici che non esi- stono più. Nel 1518 lavorò alcuni minj nei corali di San Pietro di Perugia, e nel 1519 ornò per la Cattedrale di Siena un Antifonario con cinque minj di storie e con bellissimi fregi e lettere di pennello. Oltracciò mise due principj a due Diurni ed una iniziale con San Paolo ad un Manuale. Nel 1526 la Signoria dì Firenze gli allogò a miniare la copia in tre volumi in pergamena delle Pandette, che egli, per esser morto nel 1529, non potè condurre a fine. Queste Pandette sono presentemente nella Magliabechiana. Ebbe il Boccardino un figliuolo di nome Francesco, detto il Boccardino giovane, che fece la medesima arte, e mori il 12 dicembre del 1547. ì GHERARDO 243 Morì Gherardo d'anni sessantatrè; e furono le opere sue intorno agli anni di nostra salute 14:70.* ' *É stato osservato, che l'anno, circa il quale il Vasari" dice che furon le opere di qualche artefice, per lo più è Tanno della sua morte, o in cui cessò di lavorare. Qui per altro non può ammettersi tal supposizione, imperocché il musaico della cappella di San Zanobi fu cominciato forse venti anni dopo il 1470; e le stampe di Martino Schòn e d'Alberto Durerò, che, secondo il Vasari, Gherardo prese a copiare, non comparvero in Italia prima che cominciasse il secolo XVI. t Gherardo, come vedremo nel Commentario che segue, nacque nel 1445 e mori nel 1497, essendo d'anni 52. 245 AKDO IATO Talans GHER Min iioglie Z. ^ fi 5 -- co te © o 5 . '-'»» 0 0 Q H H < 3 0 tó < -3l PQ Cd M <: o e _ ci ^£ 0 a •= - M ^ § 5 c5o-il e e _rt f- e 3 3 3 e == _ O w a> i/j. rt '^" S3 .t; S a £ 5 -.ir^ -a in e b -^ 5 -e a • 'O g ^ cs ^ g«°<« o o *» 2S. > S« C O 2 J5 t- o §- S Z!^ 45 '^ o 5 o o « ^^ ce U D t. si tiincM;:3.5'T;— ■<* "5 1 'S e li di Gio.B co Deti (o Cosa lomineo lio Mei ci flnliu notiami lANDRO glie po Sanca :lici tìgli si fecero imitano e lenicano hi notian « ««1 n .. "' r> r- OC Sprilli '5 ;5 S ic.~ -j; ■*- K i o = ° ^ ff) 2 0. -< T = aa n 01 d lA 5 ♦• o o 1 e. Fi o j g ( •< > o 5 > * I 285 ANTONIO E PIERO POLLAIOLI PITTOKI E SCULTORI FIOBENTINI (Nato nel 1429; morto nel 149S — Nato nel 1413; nel 1496 era già morto) Molti di animo vile cominciano cose basse, ai quali crescendo poi l'animo con virtù, cresce ancora la forza ed il valore, di maniera che, salendo a maggiori imprese, aggiungono vicino al cielo co' bellissimi pensier loro; ed inalzati dalla fortuna, si abbattono bene spesso in un principe buono, che, trovandosi ben servito, è forzato remunerare in modo le lor fatiche, che i posteri di quelli ne sentino largamente ed utile e comodo : laonde questi tali caminano in questa via, con tanta gloria alla fine loro, che di se lasciano segni al mondo di maraviglia; come fecero Antonio e Piero del Pollaiolo, molto sti- mati ne' tempi loro, per quelle rare virtù che si ave- vano con la loro industria e fatica guadagnate. Nacquero costoro nella città di Fiorenza pochi anni l'uno dopo l'altro, di padre assai basso e non molto agiato ; ' il quale conoscendo per molti segni il buono ed ' Antonio e Piero erano figli d'un certo Jacopo d'Antonio di cognonae Benci, pollajuolo; onde essi e i loro discendenti furono detti Del PoDajuolo. Essi ap- partenevano all'ordine dei cittadini: perciò la loro origine non pare che fosse tanto bassa, quanto le parole del Vasari e il loro stesso cognome farebbero cre- dere. Ciò si raccoglie dalle seguenti parole d'una scritta di locazione citata dal Manni nelle note al Baldinucci : Franciscus de Cavalcantibus .... locatadpen- 3Ìonem Antonio olim Jacobi del Pollajolo civi fiorentino unum apothecam ad 286 ANTONIO E PIERO POLLAJOLI acuto ingegno de' suoi figliuoli, ne avendo il modo a in- dirizzargli alle lettere, pose Antonio all'arte dell'orefice con Bartoluccio Ghiberti,' maestro allora molto eccel- lente in tale esercizio, e Piero mise al pittore con An- drea del Castagno, che era il meglio allora di Fiorenza. Antonio, dunque, tirato innanzi da Bartoluccio, oltra il legare le gioie e lavorare a faoco smalti d'argento, era tenuto il più valente che maneggiasse ferri in quell' arte. Laonde Lorenzo Ghiberti, che allora lavorava le porte di San Giovanni, dato d'occhio alla maniera d'Antonio, lo tirò al lavoro suo, in compagnia di molti altri gio- vani; e postolo intorno ad uno di que' festoni che allora aveva tra mano, Antonio vi fece su una quaglia che dura ancora tanto bella e tanto perfetta, che non le manca se non il volo.^ Non consumò, dunque, Antonio molte settimane in questo esercizio, che e' fu conosciuto per il meglio di tutti que' che vi lavoravano di disegno e di pazienzia, e per il più ingegnoso e più diligente che vi fusse. Laonde, crescendo la virtù e la fama sua, si partì da Bartoluccio e da Lorenzo, ed in Mercato Nuovo, in quella città, aperse da se una bottega di orefice, ma- gnifica ed onorata; e molti anni seguitò l'arte; dise- gnando continuamente, e facendo di rilievo cere e altre fantasie, che in brieve tempo lo fecero tenere, come egli era, il principale di quello esercizio.^ Era in questo tempo usuni aurificis in populo Sanctae Ciciliae in via di Vacchereccia. — *Dei due fratelli, Antonio era il maggiore; e nacque nel 1431, stando alla denunzia ch'egli stesso lece de' suoi beni, ovvero nel 1429, se vogliam credere alla denunzia di Jacopo suo padre del 1430, nella quale dice che Antonio suo figliuolo è di un anno e mezzo; e a questa ci attenghiamo. Piero poi, secondo la denunzia dello stesso Jacopo del 1457, apparisce nato nel 1443. (Gaye, Carteggio ecc., voi. I, pag. 265,206). Dal che si vede che costoro non nacquero, come dice il Vasari, pochi anni l'uno dopo l'altro. ' *I1 patrigno di Lorenzo Ghiberti. - Si vede posata sopra un mazzo di spighe nell' ornamento della porta di mezzo, circa alla metà dello stipite a man sinistra di chi entra in chiesa. ' 'Ci piace riferire qui le parole di lode che Benvenuto Cellini, nel Proemio •al Trattato dell'Orificeria, dà ad Antonio del Pollajuolo, come quelle che hanno ANTONIO E PIERO POLLAJOLl 287 medesimo mi altro orefice chiamato Maso Finiguerra,' il quale ebbe nome straordinario, e meritamente; che per lavorare di bulino e fare di niello non si era veduto mai chi in piccoli o grandi spazj facesse tanto numero di figure, quante ne faceva egli; siccome lo dimostrano ancora certe Paci lavorate da lui, in San Giovanni di Fiorenza,^ con istorie minutissime della Passione di Cristo, Costui disegnò benissimo e assai ; e nel Libro nostro v' e di molte carte di vestiti, ignudi, e di storie disegnate di acquerello.' A concorrenza di costui, fece Antonio alcune istorie, dove lo paragonò nella diligenzia e superollo nel disegno. Per la qual cosa i consoli dell'Arte de' Merca- tanti, vedendo la eccellenza di Antonio, deliberarona tra loro, che avendosi a fare di argento alcune istorie un'autorità sopra ogni altra maggiore: «Antonio figliuolo di un pollajuolo, it « quale cosi sempre fu chiamato. Questo fu orefice, e fu si gran disegnatore, che « non tanto che tutti gli orefici si servivano de' sua bellissimi disegni, i quali « erano di tanta eccellen«ia, che ancora molti scultori e pittori (io dico dei mi- « gliori di quelle arti) si servirno de' sua disegni, e con quegli ei si feciono « grandissimo onore. Quest'uomo fece poche altre cose; ma solo disegnò mira- « bilmente, e a quel gran disegno sempre attese ». ( V. I Trattati dell' Oreficeria e della Scultura di Benvenuto Cellini, pubblicati secondo il codice originale Mar- ciano, per cura di Carlo Milanesi. Firenze, Le Mounier, 1857). ' Del Finiguerra ha già fatto menzione il Vasari nell' Introduzione, at cap. XIX della Pittura, e torna poi a ragionare nella Vita di Marcantonio Rai- mondi.— *In questa raccoglieremo quante più notizie abbiamo di lui e dei suoi lavori. - * Della più bella di queste Paci, colla Incoronazione della Madonna, che si conserva nella R. Galleria degli Uffizj, ed è attribuita al Finiguerra, terremo proposito nella Vita di Marcantonio Raimondi. ' * Nella raccolta de' disegni della R. Galleria degli Uffizj si additano per di mano del Finiguerra varie carte di figure nude e vestite, disegnate d'acque- rello, appunto come dice il Vasari. Nella stessa raccolta, e precisamente nella cassetta di n° 1, è una carta del Pollajuolo disegnata da ambe le facce, dove in quella dinanzi è fatto a penna un bellissimo turibolo, e di dietro la navicella dell'incenso; e si nell'una come nell'altra faccia l'autore scrisse: « Antonio del Polaiuolo horafo ». Un libro di disegni del Pollajuolo da casa Alessandrini' passò in casa Marzimedici, ove lo vide il diligentissimo antiquario Dei nel 1756. Aveva in fronte questo ricordo: Antonio di Iacopo del Pollaiuolo orafo' e M. Tommasa sua madre donò un libretto di disegni di mano di detto Antonio a Francesco di Antonio dell' Avaccliia gioielliere, quando stava per fattorino dì esso Antonio. Questo libro probabilmente dai Marzimedici sarà passato nei Tempi ed ora ne' Vettori. 288 ANTONIO E PIERO POLLAIOLI nello altare di San Giovanni, siccome da varj maestri in diversi tempi sempre era stato usanza di fare, che Antonio ancora ne lavorasse; e così fu fatto: e riusci- rono queste sue cose tanto eccellenti, che elle si cono- scono fra tutte V altre per le megliori : e furono la Cena ■d'Erode e il ballo d'Erodiana;* ma sopra tutto fu bellis- simo il San Giovanni che è nel mezzo dell'altare, tutto di cesello, e opera molto lodata.^ Per il che gli alloga- rono i detti consoli i candellieri dell'argento, di braccia tre l'uno, e la croce a proporzione; dove egli lavorò tanta roba d'intaglio, e la condusse a tanta perfezione, -che e da' forestieri e da' terrazzani sempre è stata te- nuta cosa maravigliosa.^ Durò iu questo mestiero infi- nite fatiche, sì ne' lavori che e' fece d'oro, come in quelli > o g .-«2 o I— ' "* s J - S CQ 2 3? S-- =* p S '^ "à ^ S «i ■ - 303 COlMMENTARIO ALI..\ VITA DI Antonio e di Piero del Pollajuolo Di Giovanni Turini orafo e scultore senese nato intorno al 13Si, morto nel 1455 Prendendo occasione dal breve ricordo che nella Vita de' due Pollajoli è di Giovanni Turini, orafo senese, noi abbiamo giudicato di far cosa utile, e ad im tempo gradita ai cultori della storia dell'Arte, se, piut- tostochè dentro i brevi confini d'una nota, ci fossimo allargati a dare in un Commentario quelle notizie che la nostra industria avesse saputo rac- cogliere nei ricchi archi vj senesi sópra questo artefice, degno certamente di memoria e di fama maggiore. L'arte dell'orafo, al pari d'ogni altra, antica e fiorente in Siena, ebbe fra i più vecchi maestri un Pacino di Valentino, che nel 1265 ope- rava per Sant' Jacopo di Pistoja, e quel Filippuccio, da cui nacquero i pittori Mimicelo e Memmo, che fu padre di Lippo, cognato e compagno- dei celebre Simone Martini. Il qual Filippuccio pare che fosse artefice di valore, se nel 1273 fu a lui commesso dal Comune senese il lavoro di preziosi oggetti donati a Carlo I d'Angiò, alla regina sua moglie, ed ai- molti baroni del loro seguito. Acquistò nel seguente secolo grande nomi- nanza in questo esercizio Ugolino di maestro Vieri, al quale il maggior tempio di Orvieto deve uno de' suoi più preziosi ornamenti : intendiama il tabernacolo ov' è conservato il Santissimo Corporale. Per farsi ragione a che squisita gentilezza di forme e di lavoro giungesse a quei tempi l'oreficeria, basti quest'uno de' più proprj e più nobili monumenti del- l'arte. Ricorda la storia anche un Giovanni di Bartolo, che nel 1369' lavorò in Roma a smalto le storie della Vita de' santi Pietro e Paolo nei I ■1304 COMMENTARIO ALLA VITA Tousti d' argento che racchiudevano le lor teste ; e quel Landò di Pietro del quale si è parlato nella nota 2/pag. 556 del tom. I. Ma a chi scorresse le carte e le memorie del secolo xiv, apparirebbe maraviglioso il numero degli orafi, della cui opera il culto religioso, il lusso, e gli usi domestici ebbero continua occasione, e bisogno di usare. Ora venendo senza più all'artefice, da cui s'intitola il presente Com- mentario, diremo: che il nostro Giovanni nacque intorno al 1384 da Turino di Sano di Tura da Vignano, orafo senese, e da madonna Tommasa di Giusto di maestro Vanni. Non è dubbio che egli nella bottega del padre -apprendesse l'arte; e già nel 1414 poneva gli smalti alla figura d'argento ■di San Savino fatta pel Duomo da Ambrogio di Andrea, e nel 1416 lavo- rava per la stessa chiesa, in compagnia di Turino suo padre, la statua " ^tt-Sfcco gg^cSo ^3 in Da — > o O S^§2 ■ o « o e o o ^^ — -fri > Antonio tiloro e orafo moglie artolommea ilippo Spigliati 0 o z < Se t •■ 21''^ 5^ « CCi n ^ § h— 1 ■" ;3 CL( O P^ o a Eh H o 3 o Cu 1 a"» r. a — o Eh Ci l-H Ò5 a, m < 1— 1 'Z. 327 COMMENTARIO Vita di Sandro Botticelli Dì altre tavole del Botticelli non descritte dal Vasari Firenze. — Nella chiesa del monastero di Ripoli, nel secondo altare a destra di chi entra, è una tavola, con errore inescusabile dagli scrit- tori attribuita a Domenico del Ghirlandajo; mentre, a chiunque abbia in pratica i maestri fiorentini, non può cader dubbio che essa non sia di Sandro Botticelli, sebbene da' suoi biografi non ricordata. Rappresenta la Incoronazione di Nostra Donna, circondata da una turba di angeli che suonano varj strumenti; ed in basso diciotto santi ritti in pie, poco mi- nori del vivo, tra' quali sant'Antonio da Padova, san Bartolommeo, san Lo- dovico, santa Maria Maddalena, san Pietro, santa Caterina martire, san Fran- cesco, san Bernardino, san Paolo, san Giacomo e san Bastiano. Colla stessa convinzione, colla quale abbiamo creduto di non errare annoverando fra le opere di Sandro la sopra descritta tavola, restituiamo a lui un'altra, anch'essa giudicata e pubblicata come opera di Domenico del Ghirlandajo. Questa tavola, alta poco meno di tre braccia, e più di tre larga, dal convento di Sant' Ambrogio passò nella R. Galleria delle Belle Arti, ed è situata nella sala dei quadri grandi. Rappresenta la Vergine seduta in trono col Divin Figliuolo in grembo. Dinanzi ad essa stanno genuflessi i santi Cosimo e Damiano ; e più indietro, ritti in pie, san Gio- van Battista e santa Maria Maddalena alla sinistra, san Francesco e santa Caterina martire alla destra : figure molto maestrevolmente dispo- ste. È da lamentare che il restauro abbia in molte parti sfiorata ed al- terata la primitiva bellezza di questo vago dipinto. Se ne ha un bello 328 COMMENTARIO ALLA VITA intaglio di Domenico Chiossone nella più volte lodata Galleria di Belle Arti di Firenze, edita per cura di una Società di artisti. Quattro tavolette da noi riconosciute indubitatamente per opera di Sandro si conservano nella raccolta di antiche tavole che adorna l'ora- torio di Sant' Ansano, annesso alla villa che fu già del bibliotecario An- gelo Maria Bandini presso Fiesole. Sono alte, ciascuna, braccia uno e soldi sei, e braccia uno e mezzo larghe. E dentro, di piccole figure, evvì rappresentato, nell'ima il Trionfo dell'Amore, nell'altra quello della. Castità , nel terzo il Trionfo del Tempo , quello della Divinità nel quarto. La invenzione del primo è come segue. Sur un carro quadrato sta in mezzO' un' ara ardente , da cui sorge Amore nudo , il quale con un gesto molto vivo e pronto scocca frecce dall'arco. Appiè dell' ara giacciono avvinti un vecchio , un guerriero, una donna. Ai quattro angoli del carro stanno ritti sopra un globo altrettante statuette dorate di Genj alati. Fanno ala al carro, eh' e tratto da quattro bianchi corsieri, due schiere di persone d'ogni età, d' ogni sesso e d' ogni condizione. — Nel secondo è parimente un carro tirato da due unicorni, sopra il quale sta la figura della Castità; e innanzi a lei Amore legato, cui quattro donne fanno oltraggio, l'una rompendo l'arco,, l'altra spennandogli le ale, la terza tenendolo avvinto, la quarta straccian- dogli la benda. Precede il carro una donzella che porta un gonfalone con gigli d'oro in campo rosso, e nel mezzo un armellino. Altre donzelle leg- giadrissime tengono il freno degli unicorni. La vestale Tuccia portante l'acqua nel crivello è tutta sola al fianco del carro; seguono a due a, due altre donzelle. — Nel terzo, sur un carro messo di fronte e tratto da- due cervi, due Genj alati sorreggono la mostra di un orinolo circolare, nel cui disco è il sole in mezzo, e sotto ad esso un cane bianco ed una nero ( simboli del giorno e della notte ) ; e al disopra il Tempo , vecchio con le grucce, alato, e coli' orinolo a polvere nella destra, sta coi piedi sur un'asta orizzontale, bilicata sul perno verticale che esce dall' orinolo, ossia sul pendolo, in atto di regolare il tempo. Intorno al carro, sul ter- reno, stanno anche quivi ai lati persone d'ogni età, d'ogni sesso e d'ogni condizione. Qua e là sono sparsi rottami di antichi edifizj, a significare le rovine del tempo, il quale tutto abbatte e consuma, e a nulla per- dona né a uomini né a cose. — Nel quarto, che è quello della Divinità, Cristo siede in gloria con quattro angeli ai lati, in ginocchio adoranti. Sotto i piedi del Cristo, la sfera mondiale ed altri sei angeli intorno. Sul carro posto di fronte, stanno in ginocchio la Fede, la Speranza e la Carità, figure di bellezza divina. 11 carro è tirato dai quattro animali sim- boleggianti i quattro Evangelisti. Fanno corona al carro , una moltitudine di sinti e sante vergini e martiri della Fede. In queste composizioni si vede sempre la gran maestria e la feconda novità del Botticelli nel com- DI SANDRO BOTTICELLI 329 porre. Si vede altresì eh' egli aveva arricchito la vivacissima sua fantasia collo studio della classica letteratura. Il Borghini, nel suo Riposo, dice che « Due quadretti insieme (nel- « l'uno de' quali è dipinto Oloferne nel letto, colla testa tronca, e co' suoi « baroni intorno che si maravigliano ; e nell' altro Giuditta colla testa nel « sacco) aveva, non ha molto, niesser Ridolfo (Sirigatti), e esso li donf> « alla Serenissima signora Bianca Cappello de' Medici, gran duchessa nostra j « intendendo che S. A. ... voleva adornare uno scrittoio di pitture e dì « statue antiche, giudicando degna quella operetta del Botticelli di com- « parire colle altre ecc. ». Queste due tavolette, di piccole e graziose figure, si conservano (ora divise) nella Reale Galleria degli Uffizj ; e si vedono intagliate nelle tavole n" xxiv e e xxiv f della Reale Galleria di Firenze illustrata. Nella stessa Galleria è un tondo bellissimo , perfettamente conservato, del diametro di braccia due e otto soldi, con Nostra Donna, il Putto e sei angeli grandi quanto il vivo. Esso venne in quella raccolta nel di- cembre del 1780 dalla guardaroba de' Pitti. — Un altro tondo, alquanto più piccolo, pervenne alla detta Galleria nel 1784, per compera fattane da un certo Ottavio Magherini. In esso è figurata Nostra Donna col Di- vino Infante e cinque angeli. Sì l' uno come l' altro tondo sono «intagliati nelle tavole n*» xxiv e e xxiv r dell' opera sopra citata. — In casa degli eredi del senatore Alessandri si conserva un tondo similissimo a quest' ul- timo descritto. Non sarebbe improbabile che uno di questi due tondi, tra loro simili, fosse quello fatto da Biagio creato di Sandro, che dette mo- tivo alla burla dal Biografo raccontata; ove si volesse ammettere che il Vasari abbia sbagliato nel numero degli angeli : congettura fondata sopra. il non aver trovato ancora nessun tondo di questo pittore, dove sieno otto angeli. La Reale Galleria de' Pitti possiede un altro tondo con Nostra Donna accarezzata dal Divino Figliuolo, corteggiata dal fanciullo san Giovanni e- dagli arcangeli Michele e Gabbriello. — Nella stessa Galleria è pure una tavola rettangolare, dov'è figurata, in un vago giardino, la Vergine ritta in pie, che inchinata sostiene il Divin Pargoletto, il quale con atto Icg- giadrissimo abbracciando il piccolo san Giovanni , riceve il bacio d' addio, prima di partire per il deserto. Sì di questa tavola come del tondo sopra, descritto si ha un intaglio nel volume III della citata opera. Nella Galleria Corsini, camera dell'alcova sull'Arno, e un tondo dì più di due braccia e mezzo di diametro, dentro il quale è Nostra Donna, (più che mezza figura, grande quanto il vivo) seduta in atto di abbrac- ciare il Divino Figliuolo, che ritto sulle ginocchia di lei si slancia a ba- ciare la madre. Nel fondo sono due angeli che coli' una mano sorreggono 330 COMMENTARIO ALLA VITA la cortina, coli' altra sul capo della Vergine una corona aurata con un bianco giglio. Piìi innanzi altri due angeli da ciascun lato portano i sim- IdoIì della Passione. Similmente, nel pìccolo gabinetto sìil cortile della Grotta della stessa Galleria, una tavola quadrilunga, che sembra un avanzo d'un cassone da camera, dove sono figurate in fondo di cielo cinque leggiadre donne, con splendori d'oro intorno al capo, sedute sulle nuvole, con sotto i piedi altre nuvolette, che fanno loro da soppedano. Sono ef- figiate tutte variamente, con gesti diversi; ma che cosa abbia il pittore voluto in esse rappresentare, non è facile il dirlo, perchè nessun simbolo o verun segno ci ajuta;nè possiamo andar d'accordg col Catalogo di essa Galleria, che denomina quelle donne le Cinque Grazie, e le dice di ma- niera di Fra Giovanni Angelico. Nella raccolta dei fratelli Metzger è pure una Santa Famiglia, tavola molto bella e conservata; e un'altra Vergine col Putto e due angeli fa parte della bella collezione Lombardi e Baldi. Finalmente un altro tondo del Botticelli si trova tra i quadri posseduti dal signor Giuseppe Volpini. È una Nostra Donna col Putto che, gettate le braccia al collo della ma- dre, le si stringe amorosamente al seno. Alla destra della Vergine, un angioletto vestito di bianco tiene un libro aperto, dove è scritto Ma- gnificat anima mea Dominuni ecc. t In casa de' signori Mannelli sulla piazza dell'Annunziata, è una tavola un po' quadrilunga, con figure alte poco meno di due braccia, nella quale è dipinto Tobia condotto dall' arcangelo Gabbriello in compagnia di altri due arcangeli. — Nella casa de' signori Digerini-Nuti in via Ghibellina, era un tondo bellissimo colla Madonna, il Putto, e varj angeli. Esso è stato venduto a un forestiero l' anno passato (1878). — Nella villa che è ora di proprietà del signor dott. cav. Petronio Lemmi, presso il Chiasso Macerelli sotto Careggi, sono state scoperte da qualche anno nella parete d'una stanza due pitture, a cui era stato dato di bianco. Nell'una è rap- presentata una giovane donna della famiglia degli Albizi, alla quale da quattro graziose fanciulle che figurano per alcune Virtù sono presentati dei fiori che essa riceve in un panno che tiene raccolto con ambedue le mani. Nell'altra è un giovane in abito alla civile, della famiglia Tornabuoni, condotto da una figura di donna innanzi alle sette Arti liberali che seg- gono sotto le sembianze di femmine. Queste pitture sono assai guaste: l^eccano alquanto nel disegno, ma sono piene di grazia nelle movenze e nell'aria de' volti. 11 codice della Mediceo-Laurenziana segnato di nu- mero 33 (pluteo XLi), cartaceo, in-8, scritto nel principio del secolo xvi, contenente molte rime di Lorenzo il Magnifico, del Machiavelli ed altri autori, ha di quando in quando nel margine inferiore bellissimi tocchi in penna allusivi ai soggetti di alcuni componimenti scritti nel detto codice. DI SANDRO BOTTICELLI 331 Questi tocchi in penna e' è molta ragione di crederli della mano del Bot- ticelli, tanto ricordano il suo stile e certe particolarità caratteristiche delle opere di quel maestro. Questa credenza sarebbe anche appoggiata dalle lettere che si leggono dentro un ornamento nel primo foglio del codice, e che sono queste : le quali possono spiegarsi così : Alexander Filìpepius ( o Filipex>i ) arti f ex de Florentia pinxit. Lucca. — Un piccolo tondo di graziosissime figure, di Sandro, noi abbiamo riconosciuto nella raccolta del marchese Mazzarosa in Lucca, additato erroneamente, al solito, per di mano del Ghirlandajo. In esso è figurata Nostra Donna seduta col Bambino sulle ginocchia, santa Bar- bera e sant' Elena in ginocchio, ai lati: indietro, due angeli che tengono aperto e sospeso il ricco cortinaggio. Ed in Lucca stessa, vogliamo che sia restituita al Botticelli quella tavola, che sta nel primo altare a de- stra entrando nella chiesa di San Michele, dove sono i santi Rocco, Ba- stiano, Girolamo ed Elena: tavola dalle Guide e dagli scrittori tenuta sin qui di Fra Filippo Lippi; ma ripetiamo doversi invece riporre tra le pili stupende opere del nostro Sandro. Delle altre tavole del Botticelli che si citano in varj Cataloghi di gallerie straniere, ricorderemo solamente un tondo con Nostra Donna, il Putto e quattro angeli, che sappiamo essere stato trasportato a Parigi nel 1812, e conservarsi nel Museo del Louvre. t A Manchester nella raccolta Fuller Maitland è un'Adorazione dei Pastori nel mezzo, con la Vergine genuflessa che adora il Divin Figliuolo. Alcuni angeli con rami d' olivo conducono dei pastori ; altri cantano sopra la capanna, altri esprimono la loro allegrezza abbracciando i i^astori. Dal- l' altro lato del fondo è il diavolo che si nasconde. Al di sopra si legge una iscrizione greca, dalla quale parrebbe che Sandro dipingesse questa tavola nel 1500. Altri credono invece di leggervi il 1460 ed altri il 1511. Appartenne prima alla raccolta del signor Joung Ottley. 333 BENEDETTO DA MAIANO SCULTORE E ARCHITETTO FIORENTINO (Nato nel 1442; morto nel 1497) Benedetto da Maiano, scultore fiorentino,* essendo ne' suoi primi anni intagliatore di legname, fu tenuto in quello esercizio il più valente maestro che tenesse ferri in mano ; e particolarmente fu ottimo artefice in quel modo di fare, che, come altrove si è detto, fu introdotto al tempo di Filippo Brunelleschi e di Paulo Uccello, di commettere insieme legni tinti di diversi colori e farne prospettive, fogliami, e molte altre diverse fantasie. Fu, dunque, in questo artifizio Benedetto da Maiano, nella sua giovanezza, il miglior maestro che si trovasse; come apertamente ne dimostrano molte opere sue, che in Fi- renze in diversi luoghi si veggiono, e particolarmente tutti gli armarj della sagrestia di Santa Maria del Fiore, ' Nella prima edizione leggesi in principio di questa Vita il seguente pream- bolo: « Gran dote riceve dal Cielo colui che, oltre la grandezza della natura, « nelle azioni della virtù e in ogni cosa si mette considerato, animoso e pru- « dente; onde perciò ne gli viene maggioranza sopra tutti gli artefici, e, oltre « a questo, utilità perpetua. Ma coloro che mossi dal genio loro imparano una « scienza e in quella si conducono perfetti, e condotti e guadagnato il nome, « inanimati per la gloria salgono poi da una imperfetta a una perfetta, da una « mortale a una eterna. Questo certamente è gran lume , in tal vita conoscere « della fama che i mortali si lasciano, la più immortale; e quella operando, far » di sé vita eterna nelle cose del mondo; come certamente conobbe e fece il « non meno prudente che virtuoso Benedetto da Maiano, scultor fiorentino, ecc. ». 334 BENEDETTO DA MAJANO finiti da lui la maggior parte dopo la morte di Giuliano suo zio;* che son pieni di figure fatte di rimesso, e di fogliami, e d'altri lavori fatti con magnifica spesa ed artifizio.^ Per la novità, dunque, di quest'arte venuto in grandissimo nome, fece molti lavori, che furono man- dati in diversi luoghi ed a diversi principi; e fra gli altri, n'ebbe il re Alfonso di Napoli un fornimento d'uno scrittoio, fatto fare per ordine di Giuliano, zio di Bene- detto, che serviva il detto re nelle cose d'architettura;* dove esso Benedetto si trasferi : ma non gli piacendo la stanza, se ne tornò a Firenze; dove avendo, non molto dopo, lavorato per Mattia Corvino re d'Ungheria, che aveva nella sua corte molti Fiorentini e si dilettava di tutte le cose rare,* un paio di casse con difiicile e bel- lissimo magisterio di legni commessi; si deliberò, essendo ' *Clie i fratelli Da Majano avessero uno zio col nome di Giuliano, eser- citante la stessa arte, non e' è noto per documenti. Forse qui il Vasari prese equivoco da Giuliano fratello di Benedetto; e in questa opinione ci conferma il vedere come anche nella Vita di Giuliano da Majano egli cada nel medesimo sbaglio. (Vedi il tom. II, a pag 471). t Che Giuliano fosse fratello e non zio di Benedetto è cosa chiarissima, come si può vedere ancora dall'Albero de' Da Majano da noi pubblicato nel se- condo volume a pag. 477. ^ Sussistono nella sagrestia delle Messe, eccettuati pochi pezzi che or sono nella prima stanza dell' uf&zio dell'Opera, come abbiamo già avvertito. (Vedi nota 3, pag. 469 del tom. II). — *Già nella Vita di Giuliano da Majano aveva il Vasari dato a lui tutta la lode delle tarsie degli armarj di Santa Maria del Fiore. I documenti confermano questo. In fatti il barone di Rumohr, nel voi. 2 delle sue Ricerche italiane, riferisce il contratto di allogazione passato fra gli Operaj di Santa Maria del Fiore e Giuliano predetto nel 19 di aprile del 1465. i Vedi ancora quel che a questo proposito abbiamo detto nel Commentario alla Vita di Giuliano, a pag. 480 dello stesso tom. II. ' *Vedi a questo proposito nella Vita di Giuliano e nelle sue note (voi. cit. ). ' Fine dal principio del secolo xv, tutti i Fiorentini forniti di qualche va- lore, o intellettuale o manuale, i quali capitavano in Ungheria, trovavano da far bene i fatti loro, per la protezione ad essi conceduta da Filippo Scolari detto Pippo Spano. ( t Abbiamo già detto che Masolino da Panicale stette per qualche anno colà, sicuramente ai servigi dello Spano.) Tra i manifattori di tarsie vi avevano già incontrato fortuna, prima un maestro Pellegrino di Terma, poi il noto Ammannatini detto il Grasso legnajuolo — t ed ultimamente Chimenti Ca- micia, Baccio e Francesco Gellini zìi di Benvenuto, ed altri che sarebbe troppo lunga faccenda il nominare. BENEDETTO DA MAJANO 335 con molto favore chiamato da quel re, di volere andarvi per ogni modo: perchè, fasciate le sue casse e con esse entrato in nave, se n'andò in Ungheria; là dove, fatto reverenza a quel re, dal quale fu benignamente rice- vuto, fece venire le dette casse, e quelle fatte sballare alla presenza del re, che molto desiderava di vederle, vide che l' umido dell' acqua e '1 mucido del mare aveva intenerito in modo la colla, che nell' aprire gl'incerati quasi tutti i pezzi che eranc^i alle casse appiccati cad- dero in terra; onde se Benedetto rimase attonito ed am- mutolito per la presenza di tanti signori, ognuno se lo pensi. Tuttavia, messo il lavoro insieme il meglio che potette, fece che il re rimase assai soddisfatto. Ma egli nondimeno recatosi a noja quel mesti ero, non lo potè più patire, per la vergogna che n'aveva ricevuto. E così, messa da canto ogni timidità, si diede alla scultura; nella quale aveva di già a Loreto, stando con Giuliana suo zio, fatto per la sagrestia un lavamani con certi An- geli di marmo: nella quale arte, prima che partisse d'Un- gheria, fece conoscere a quel re, che se era da principio rimaso con vergogna, la colpa era stata dell'esercizio che era basso, e non dell'ingegno suo che era alto e pellegrino. Fatto, dunque, che egli ebbe in quelle parti alcune cose di terra e di marmo, che molto piacquero a quel re, se ne tornò a Firenze: dove non si tosto fu giunto, che gli fu dato dai Signori a fare l'ornamento di marmo della porta della lor Udienza; dove fece alcuni fanciulli che con le braccia reggono certi festoni, molto belli. Ma sopra tutto fu bellissima la figura che è nel mezzo, d'un San Giovanni giovanetto, di due braccia; la quale è tenuta cosa singolare.' Ed acciocché tutta quel- l'opera fusse di sua mano, fece i legni che serrano la ' *I1 ricchissimo e bellissimo lavoro della porta di marmo della sala del- l'Udienza, il solo che fosse fatto, almeno secondo i documenti, da Benedetto in compagnia di suo fratello, doveva esser finito nel 1481; perchè in quest'anno 336 BENEDETTO DA MAJANO detta porta egli stesso; e vi ritrasse, di legni commessi, in ciascuna parte una figura; cioè in una Dante, e nel- l'altra il Petrarca: le quali due figure, a chi altro non avesse in cotale esercizio veduto di man di Benedetto, possono far conoscere quanto egli fosse in quello raro e eccellente.' La quale Udienza, attempi nostri, ha fatto di- pignere il signor Duca Cosimo da Francesco Salviati, come al suo luogo si dirà. Dopo, fece Benedetto in Santa Maria Novella di Fiorenza, dove Filippino dipinse la cappella, Tina sepoltura di marmo nero, in un tondo, una Nostra Donna, e certi Angeli, con molta diligenza, per Filippo Strozzi vecchio : il ritratto del quale, che vi fece di marmo, ■è oggi nel suo palazzo.' Al medesimo Benedetto fece fare ne ricevettero essi il prezzo finale. I putti più non vi sono, ne sappiamo qual sorte abbiano avuto. La statuetta, nel 1781, passò nella Galleria degli Uffizj, dove fino a' nostri giorni fu tenuta erroneamente per opera di Donatello. Ma ■dobbiamo al signor Montai vo, direttore della Galleria medesima, la scoperta dell'errore, e lo avere restituita quest'opera a Benedetto, al quale veramente appartiene. É intagliata nell'opera La Galleria ecc., pubblicata coi tipi del Batelli e Comp. t Oggi questa statuetta si vede nel Museo Nazionale. ' * Queste imposte di legname intarsiate furono finite nel 1480 da Giuliano da Majano e da Francesco di Giovanni, alias il Francione: ciò si ritrae dagli ■stanziamenti degli Operaj del Palazzo pubblicati in estratto dal Gaye, dai quali non apparisce che Benedetto avesse mano in questo lavoro. La porta, essendo alquanto guasta, è stata adesso restituita alla sua primiera bellezza dai fratelli Falcini stipettaj. Dante tiene aperto il libro della Divina Commedia, accennando colla destra il primo verso della cantica dell'Inferno. Il Petrarca mostra il suo Canzoniere. Sotto ciascun poeta sono, parimente di tarsia, i libri delle opere loro. Queste cose sono nella parte dinanzi della porta. La posteriore ha ornati di varie maniere. ^ La sepoltura col tondo di marmo ecc. sussiste ancora in Santa Maria Novella nella cappella qui indicata, ad eccezione del busto di Filippo Strozzi, «ome appunto dice il Vasari. Relativamente al detto medaglione di marmo, ecco come si esprime il Cicognara, il quale ne dà il disegno alla tav. xxiii, serie II: « Questo marmo è lavorato con tanto amore e pastosità, che potrebbe esser « r ornamento di qualunque galleria o cappella reale ». Il disegno di tutto il monumento vedesi alla tav. xxiv dell' opera del Gonnelli, Monum. Sepolc. della Toscana. — *Nel 1491, quando Filippo fece testamento (Gaye, I, 359 e seg. ), questa sepoltura era già incominciata; e per disposizione del testatore doveva esser finita dopo due anni dal di della sua morte. Lo Strozzi mori nel medesimo anno 1491 : dunque intorno al 1493 quel lavoro dovette essere in pronto. t 11 busto di Filippo Strozzi scolpito da Benedetto, dopo essere stato per quasi quattro secoli per memoria ed ornamento di famiglia nel palazzo Strozzi, ■ BENEDETTO DA MAJANO 337 Lorenzo vecchio de' Medici, in Santa Maria del Fiore, il ritrattò di Giotto, pittore fiorentino, e lo collocò sopra l'epitaffio, del quale si è di sopra nella Vita di esso Giotto abbastanza ragionato; la quale scultura di marmo è te- nuta ragionevole.* Andato poi Benedetto a Napoli," per esser morto Giu- liano suo zio , del quale egli era erede ; oltre alcune opere che fece a quel re, fece per il conte di Terranuova, in una tavola di marmo, nel monasterio de' monaci di Monte Olivete, una Nunziata, con certi Santi e fanciulli in- torno belhssimi, che reggono certi festoni; e nella pre- della di detta opera fece molti bassirilievi con buona maniera.' In Faenza fece una bellissima sepoltura di fu venduto nel 1878 al Museo del Louvre di Parigi. Essendo il detto busto vuoto alia sua base, l'autore vi scolpi dentro questa iscrizione : philippvs • stroza • ma- THEI • FILIVS. BENEDICTVS ■ DE • MAIANO • FECIT. ' Questo pure è sempre nella Metropolitana fiorentina, a principio della chiesa a man destra. — *Daila iscrizione appostavi si cava però che non Lorenzo dei Medici, ma sibbene i Fiorentini fecero fare quel busto nel 1490. t Fece Benedetto anche la testa di maestro Antonio Squarcialupi detto maestro Antonio degli Organi, che fu posta nella detta chiesa, come pure nel medesimo anno 1490 scolpì un Crocifìsso di legno per l'aitar maggiore, colorito da Lorenzo di Credi. ^ 'Dalle note cronologiche, che noi abbiamo in parte raccolto dai documenti, €d in parte conghietturato, apparirebbe che Benedetto una sola volta andasse a Napoli; e questa non in compagnia di Giuliano suo fratello, come si raccoglie dal Vasari nella Vita di questo artefice, ma sibbene dopo la morte sua accaduta nel 1490. A questa opinione ci conduce il vedere che Benedetto, o in quel tempo o innanzi, ebbe a fare altrove diversi lavori, come nel 1474 il ritratto di Pietro Mellini, quello di Giotto nel 1490, e la sepoltura di Filippo Strozzi non ancóra finita, quando Filippo morì nel 1491. Onde ne seguirebbe che lo scrittojo e le altre opere condotte da Benedetto per Alfonso allora duca di Calabria, e re di Napoli solamente nel 1495, e la tavola di marmo in Montoliveto pel conte di Terranuova, dovessero riferirsi ad un tempo posteriore almeno del 1492. Pari- mente è da tenere per sicuro che le opere di tarsia per Mattia Corvino, morto nel 1490, fossero innanzi a quelle di Napoli. ' 'Queste sculture, che sono incise nell'opera del Cicognara, furon forse commesse a Benedetto da Alfonso, allora duca di Calabria; e debbono essere state incominciate dopo il 1492. Marino Curiale da Sorrento, conte di Terra- nuova, mori nel 1490, come si raccoglie dalla iscrizione posta alla sua sepoltura, t Benedetto, come già congetturammo nella Vita di Giuliano suo fratello, deve avere avuto commissione di scolpire alcune cose per ornamento della porta -dell'arco del Castelnuovo di Napoli. La qual cosa è provata dall'Inventario degli Vasab> Onere. - Voi. 'II. 22 338 BENEDETTO DA MAJANO marmo per il corpo di San Savino; ed in essa fece di bassorilievo sei storie della vita di quel Santo , con molta invenzione e disegno, così ne' casamenti come nelle figure; di maniera che, per questa e per l'altre opere sue, fu conosciuto per uomo eccellente nella scultura.' Onde, oggetti esistenti nelle sue botteghe dopo la sua morte, pubblicato da G. Baroni nei Cenni storici della parrocchia di San Martino a Majano (Firenze, tipo- grafìa del Vocabolario, 1875, a pag. lxvii de' Documenti). Infatti in quell'Inven- tario si legge che fra gli oggetti di scultura si trovavano un Don Federigo boz- zato, un pezzo di marmo colla bozza del duca, forse del duca di Calabria, che fu poi re Alfonso II, un vescovo, un re, un ludiere o buffone, un sonatore e molti pezzi di cornici e fregi ed altre statue. Il detto Baroni trovando rammentato in quell'Inventario un tabernacolo finito pei Corpus Domini, di tre braccia incirca, sospetta che possa essere quel tempietto o ciborio che era in San Pier Mag giore, attribuito dal Vasari a Desiderio da Settignano. Il lavoro pel conte di Terranuova era finito nel 1489, come si può accertare per una lettera che la regina di Napoli scrive al magnifico Lorenzo de' Medici ai 16 di settembre del detto anno: nella qual lettera essa prega il Magnifico che procuri d'ottenere dalla Signoria di Firenze che sia dato licenza di cavar dalla città senza spesa di gabella le due tavole di marmo fatte pel detto conte. (Vedi Archivio di Stato (li Firenze. Carteggio privato de' Medici, filza 47, e. 174). ' * Questo altare è sormontato da un bellissimo sepolcro di marmo di Car- rara, nel quale si custodiscono le ossa del santo. Nella prima delle sei storie è rappresentato il santo in orazione nella solitudine presso Fusignano, mentre ri- ceve ordine da un angelo di recarsi ad Assisi a predicare il Vangelo. Nella se- conda è quando predica nella chiesa di detta città. Nella terza, quando, in com- pagnia di due diaconi, è condotto dinanzi al simulacro di un idolo, il quale vien gettato a terra dal santo. Nella quarta vengon tagliate le mani al santo vescovo sul medesimo piedistallo, dove prima ei-a collocato l'idolo. La quinta rappre- senta il santo martire Savino che restituisce la vista a Prisciano nipote della matrona Serena. Nella sesta finalmente è figurato il martirio del santo lapidato a morte. Quest'opera, d'ordine corintio, è sormontata d'un arco ornato di frutti e fiori, e posa sopra due pilastri con ornati di finissimo lavoro. Un intaglio di tutto questo monumento e delle sei storie si può vedere nell'opera del bene- merito canonico Andrea Strocchi, intitolata: Memorie istoriche del Duomo di Faenza e de'' personaggi illustri di quel Capitolo. Faenza, tip. Montanari e Marabini, 1838, in-4, con xiv tav. in rame. t Quest'urna fu scolpita da Benedetto nel 149.3. Fra le opere del Da Majano quelle che fece in San Gemignano, grossa terra della Valdelsa, non sono ricor- date dal Vasari. Nella chiesa di Sant'Agostino è la cappella intitolata a San Bar- tolo. Dentro la detta cappella di forma quadrata è un altare di marmo, sul quale è posta una base decorata da tre bassorilievi che rappresentano in piccole figure altrettante storie della vita del santo. Sul davanti dell'urna sono due angeletti con la palma e la corona. Nel suo mezzo è un chiusino di bronzo dorato, colle lettere: Ossa divi Barioli Geminianensis malorum genioìnan fugatoris ; e TìegVi angoli sono quattro serafini di bassorilievo. Nel dossale che è sopra l'urna sono BENEDETTO DA MAJANO 339 prima che partisse di Komagna, gli fu fatto fare il ri- tratto di Galeotto Malatesta.' Fece anco, non so se prima 0 poi, quello d'Enrico VII, re d'Inghilterra, secondo che n' aveva avuto da alcuni mercanti fiorentini un ritratto in carta ; la bozza de' quali due ritratti fu trovata in casa sua, con molte altre cose, dopo la sua morte. Ritornato finalmente a Fiorenza, fece a Pietro Mei- lini, cittadin fiorentino ed allora ricchissimo mercante, in Santa Croce il pergamo di marmo che vi si vede; il qual è tenuto cosa rarissima e bella sopra ogni altra che in quella maniera sia mai stata lavorata, per vedersi in quello lavorate le figure di marmo, nelle storie di San Francesco, con tanta bontà e diligenza, che di marmo non si potrebbe più oltre disiderare; avendovi Bene- detto con molto artifizio intagliato alberi, sassi, casa- menti, prospettive, ed alcune cose maravigliosamente spiccate; ed oltre ciò, un ribattimento in terra di detto pergamo, che serve per lapida di sepoltura, fatto con tanto disegno, che egli è impossibile lodarlo abbastanza.^ Dicesi che egli in fare quest'opera ebbe diftìcultà con gli Opera] di Santa Croce, perchè volendo appoggiare sedute dentro nicchie la Fede, la Speranza e la Carità. Vedesi in alto della pa- rete dell' altare, in un tondo formato d' un l'estone di frutta e di foglie, Maria Ver- gine col Bambino Gesù in braccio di alto rilievo, a' cui lati stanno in adorazione due angeli di tutto tondo. Questo lavoro fu commesso a Benedetto nel 1494. Scolpi ancora dal 1490 al 1493 l'altare di marmo della cappella di Santa Fina nella collegiata, nel cui dossale sono tre storie della vita della santa: oltre quattro angeletti di figura intiera. In alto è una Nostra Donna col Divin Figliuolo, circondata da serafini, con due angeli che l'adorano. (Vedi Pecori, Storia di San Gemignano; Firenze, Galilejana, 1853, in-8, a pag. 518 e 544). ' *É questi, se non andiamo errati, quel Galeotto Roberto Malatesta da Rimini avuto in concetto di beato, il quale nacque da Pandolfo nel 1411, e mori nel 1432. Il Clementini racconta che a' suoi tempi era in Sant'Agostino di Cesena un ritratto in piedi, di terra cotta, di Galeotto vestito coli' abito di frate, fatto fare da uno di casa Mori. - Il pergamo di Santa Croce, opera eccellente di questo artefice, è benis- simo conservato.- Il Cicognara dà il disegno di due sole storie di esso (Serie II, tav. XXVI ). Ma una magnifica edizione di tutto il monumento fu fatta nel 1823 a spese d'Alessandro Bernardini, con sette grandi tavole incise da Giovan Paolo Lasinio, e con illustrazioni di Niccola Marzocchi. 340 BENEDETTO DA MAJANO detto pergamo a una colonna che regge alcuni degli archi che sostengono il tetto, e forare la detta colonna per farvi la scala e l'entrata al pergamo, essi non volevano, dubitando che ella non s' indebolisse tanto col vacuo della salita, che il peso non la sforzasse, con gran rovina d'una parte di quel tempio. Ma avendo dato sicurtà il Mellino, che l'opera si finirebbe senza alcun danno della chiesa, finalmente furono contenti. Onde avendo Benedetto spran- gato di fuori con fasce di bronzo la colonna, cioè quella parte che dal pergamo in giù è ricoperta di pietra forte, fece dentro la scala per salire al pergamo, e tanto quanto egli la bucò di dentro, l'ingrossò di fuora con detta pie- tra forte, in quella maniera che si vede; e con stupore di chiunque la vede condusse quest'opera a perfezione, mo- strando in ciascuna parte ed in tutta insieme quella mag- gior bontà che può in simil opera desiderarsi.^ Affermano molti, che Filippo Strozzi il vecchio, volendo fare il suo palazzo, ne volle il parere di Benedetto, che gliene fece un modello, e che secondo quello fu cominciato; sebbene fu seguitato poi e finito dal Cronaca, morto esso Bene- detto, il quale, avendosi acquistato da vivere, dopo le cose dette non volle fare altro lavoro di marmo. Sola- mente finì in Santa Trinità la Santa Maria Maddalena stata cominciata da Disiderio da Settignano,^ e fece il Crucifisso che è sopra l'altare di Santa Maria del Fiore,' ed alcuni altri simili. Quanto all'architettura, ancoraché mettesse mano a poche cose, in quelle nondimeno non dimostrò manco ' La colonna infatti non ha mai dato indizio di cadere. Benedetto da Majano scolpi eziandio il busto di Pietro Mellini, a spese del quale fu fattoli pergamo soprallodato. — * Sotto la grossezza del marmo di questo busto si legge: be- NEDicTvs MAiANvs FECiT; 6 nell'interno della parte posteriore, dentro un car- telletto, è scritto : petri • mellini • filii . imago • hec ; e sopra al detto cartello: AN. 1474. — ì Presentemente è nel Museo Nazionale. ^ Vedi nella Vita di Desiderio da Settignano. ' *È di legno; e sta tuttavia sull' aitar maggiore sotto la cupola. BENEDETTO DA MAJANC 341 giudizio che nella scultura; e massimamente in tre palchi di grandissima spesa, che d'ordine e col consiglio suo furono fatti nel palazzo della Signoria di Firenze. Il primo fu il palco della sala che oggi si dice de'Dugento: sopra la quale avendosi a fare non una sala simile, ma due stanze, cioè una sala ed una audienza, e per con- seguente avendosi a fare un muro non mica leggieri del tutto, e dentro vi una porta di marmo, ma di ragione- vole grossezza : non bisognò manco ingegno o giudizio di quello che aveva Benedetto, a fare un' opera così fatta. Benedetto, adunque, per non diminuire la detta sala, e dividere nondimeno il di sopra in due, fece a questo modo. Sopra un legno grosso un braccio, e lungo quanto la larghezza della sala, ne commesse un altro di due pezzi; di maniera che con la grossezza sua alzava due terzi di braccio ; e negli estremi ambidue benissimo con- fitti ed incatenati insieme facevano accanto al muro ciascuna testa alta due braccia, e le dette due teste erano intaccate a ugna, in modo che vi si potesse im- postare un arco di mattoni doppi, grosso un mezzo brac- cio, appoggiatolo ne' fianchi ai muri principali. Questi due legni adunque erano con alcune incastrature a guisa di denti in modo con buone spranghe di ferro uniti ed in- catenati insieme che di due legni venivano a essere un solo. Oltre ciò, avendo fatto il detto arco, acciò le dette travi del palco non avesseno a reggere se non il muro dell'arco in giù, e l'arco tutto il rimanente, appiccò davvantaggio al detto arco due grandi staffe di ferro, che, inchiodate gagliardamente nelle dette travi da basso, le reggevano e reggono di maniera, che, quando per loro medesime non bastasseno, sarebbe atto l'arco (mediante le dette catene stesse che abbracciano il trave, e sono due, una di qua e una di là dalla porta di marmo) a reggere molto maggior peso che non è quello del detto muro, che è di mattoni e grosso un mezzo braccio: e 342 BENEDETTO DA MAJANO nondimeno fece lavorare nel detto muro i mattoni per coltello e centinato, che veniva a pigner ne' canti, dove era il sodo, e rimanere più stabile. Ed in questa ma- niera, mediante il buon giudizio di Benedetto, rimase la detta sala de'Dugento nella sua grandezza: e sopra, nel medesimo spazio, con un tramezzo di muro vi si fece la sala che si dice dell'Orinolo, e l'Udienza dove è dipinto il trionfo di Camillo, di mano del Salvi ati. ' Il soffittato del qual palco fu riccamente lavorato e in- tagliato da Marco del Tasso, Domenico e Giuliano, suoi fratelli,' che fece similmente quello della sala dell' Orinolo e quello dell' Udienza.' E perchè la detta porta di marmo fu da Benedetto fatta doppia, sopra l'arco della porta di dentro, avendo già detto del di fuori,* fece una Giu- stizia di marmo a sedere, con la palla del mondo in una mano, e nell'altra una spada, con lettere intorno al- l'arco che dicono: Diligite justitiam qui judicatis terram. La quale tutta opera fu condotta con maravigliosa di- ligenza ed artifizio. ^ ' *Gli Operaj del Palazzo stanziarono, con deliberazione del 12 di giugno del 1473, che si dovesse gettare a terra la Sala Grande, e quella dell'Udienza, perchè ambedue fossero rifatte secondo. un nuovo disegno. Che architetto di quest' opera fosse Benedetto, si ha dal Vasari : ma a noi nasce il dubbio non irragionevole che lo storico non sia caduto in errore: imperciocché dagli stanzia- menti degli Operaj suddetti riferiti darl Gaye (I, 571 seg. ) apparirebbe, che se qualche maestro ebbe parte in quel lavorio, fu Giuliano da Majano ed il Fran- cione, ai quali fu poi allogata la porta di legname della Sala dell'Udienza, come più indietro abbiamo detto. - *Dei fratelli Marco, Domenico e Giuliano Del Tasso aveva dato cenno il Vasari sulla fine della Vita del Cecca: di Giuliano parlerà altfesi in quella di Andrea del Sarto, e di Marco in quella del Pontormo. t Avendo raccolto intorno alla famiglia artistica dei Del Tasso notizie piuttosto abbondanti, ci siamo consigliati di dettarne il Commentario che si legge in fine di questa Vita. ' I soffitti qui rammentati sono tuttavia conservatissimi; e sussistono del pari le costruzioni fatte per assicurare il palco della Sala de'Dugento. ' *Vedi la nota 1 a pag. 130. ' *Questa statua della Giustizia non si vede più: in luogo di essa è al pre- sente una figuretta colla testa e le mani di marmo bianco, e il rimanente del corpo di porfido. BENEDETTO DA MA J ANO 343 Il medesimo, alla Madonna delle Grazie, che è poco fuor d' Arezzo , facendo un portico e una salita di scale dinanzi alla porta; nel portico mise gli archi sopra le colonne, ed accanto al tetto girò intorno intorno nn ar- chitrave, fregio e cornicione, ed in quello fece per goc- ciolatoio una ghirlanda di rosoni intagliati di macigno, che sportano in fuori un braccio e un terzo; talmente- chè, fra l'aggetto del frontone della gola di sopra, ed il dentello e uovolo sotto il gocciolatoio, fa braccia due e mezzo, che, aggiuntovi il mezzo braccio che fanno i tegoli, fa un tetto di braccia tre intorno; bello, ricco, utile ed ingegnoso. Nella qual' opera è quel suo artifizio degno d'esser molto considerato dagli artefici; che vo- lendo che questo tetto sportasse tanto in fuori senza modiglioni o mensole che lo reggessino, fece que' la- stroni, dove sono i rosoni intagliati, tanto grandi, che la metà sola sportassi in fuori, e l'altra metà restassi murata di sodo: onde, essendo così contrepesati, po- tettono reggere il resto e tutto quello che di sopra si aggiunse, come ha fatto sino a oggi, senza disagio alcuno di quella fabbrica. E perchè non voleva che questo cielo apparissi di pezzi, come egli era; riquadrò pezzo per pezzo d'un corniciamento intorno che veniva a far lo sfondato del rosone, che incastrato e commesso bene a cassetta, univa l'opera di maniera che, chi la vede, la giudica d'un pezzo tutta. Nel medesimo luogo fece fare un palco piano di rosoni messi d'oro, che è molto lo- bato. ' Avendo Benedetto compero un podere fuor di Prato, a uscire per la porta Fiorentina per venire in verso Firenze, e non più lontano dalla terra che un mezzo miglio; fece in sulla strada maestra, accanto alla porta, ' *I1 portico resta tuttavia in piedi, sebbene alquanto danneggiato dal tempo; ma la salita di scale ch'era dinanzi alla porta, essendo rovinata, fu, nel passato secolo, ridotta in forma più piccola. 344 BENEDETTO DA MA J ANO una bellissima cappelletta, ed in una nicchia una Nostra Donna col Figliuolo in collo, di terra, lavorata tanto bene, che, così fatta senza altro colore, è bella quanto se fusse di marmo/ Così sono due Angeli, che sono a sommo per ornamento, con un candeliere per uno in mano. Nel dossale' dell'altare è una Pietà con la No- stra Donna e San Giovanni, di marmo, bellissimo. Lassò anco alla sua morte in casa sua molte cose abbozzate di terra e di marmo. Disegnò Benedetto molto bene; come si può vedere in alcune carte del nostro Libro. Finalmente, di anni cinquantaquattro, si morì nel 1498, ^ e fu onorevolmente sotterrato in San Lorenzo; * e lasciò che, dopo la vita d'alcuni suoi parenti, tutte le sue fa- culta fussino della Compagnia del Bigallo. ^ Mentre Benedetto nella sua giovanezza lavorò di le- gname e di commesso, furono suoi concorrenti Baccio ' *Di questa cappelletta demmo notizia nella nota 5 a pag. 472, tom. II. ' i Vedi qui un esempio di dossale, del cui significato siamo ora più certi; cioè che con questo nome s'indicasse, ai tempi del Vasari, quel che poi fu detto paliotto. Vero è che in tempi più antichi il dossale era la predella mobile, per lo più dipinta, che si poneva sull'altare e sotto una tavola od una immagine. ' Stando al Vasari, Benedetto da Majano sarebbe nato nel 1444; dalla de- nunzia dei tre fratelli, del 1480, apparirebbe nato nel 1442 ; sicché la differenza tra il Vasari e il documento sarebbe di soli due anni. (Vedi l'Albero genealogico posto in fine della Vita di Giuliano da Majano, a pag. 477 del tom. II). t Benedetto mori a' 24 di maggio del 1497. Fra le cose operate da lui ricocderemo un tabernacolo di legname per la reliquia di San Sebastiano fatto nel 1479 nella chiesa de' Servi, e la lapida della sepoltura di messer Salvino Salvini nella chiesa di Sant'Ambrogio, cominciata nel 1492_e data finita nel 1494 per il prezzo di trentacinque fiorini d' oro. Cosi il tabernacolo come la sepoltura non esistono più da gran tempo. ' *Si veda la iscrizione sepolcrale da noi riferita nella nota 3 a pag. 471 del tom. II. ' *Egli fece testamento nel 1492 a' 19 d' aprile (Gaye, Carteggio ecc., I, 270). Con i denari ritratti dalla eredità di Benedetto, il magistrato de' Capitani del Bigallo nel 1562 fece fare un oratorio allato allo Spedale di San Biagio, presso San Piero a Monticelli. (Moreni, Contorni di Firenze, IV, 188). Alla stessa Compagnia del Bigallo il medesimo Benedetto lasciò eziandio le due statue di San Bastiano e della Madonna, che or si vedono nella sagrestia della Compagnia della Misericordia ; e della Madonna dà un intaglio il Cicognara nella tav. xv. Serie II, della sua Storia. BENEDETTO DA MAJANO 345 Celimi, piffero della Signoria di Firenze; il quale lavorò di commesso alcune cose d'avorio molto belle, fra T altre, un ottangolo di figure d'avorio profilate di nero, bello affatto, il quale è nella guardaroba del Duca.' Parimente Girolamo della Cecca, creato di costui e piffero anch' egli della Signoria, lavorò, ne' medesimi tempi, pur di com- messo molte cose.^ Fu nel medesimo tempo Davit Pisto- iese, che in San Giovanni EvangeUsta di Pistoia fece, all'entrata del coro, un San Giovanni Evangelista di rimesso; opera più di gran fatica a condursi, che di gran disegno: ^ e parimente Geri Aretino, che fece il coro ed il pergamo di Sant'Agostino d'Arezzo de' medesimi ri- messi di legnami di figure e prospettive. Fu questo Geri molto capriccioso, e fece di canne di legno un organo perfettissimo di dolcezza e sua vita, che è ancor oggi nel vescovado d'Arezzo, sopra la porta della sagrestia, man- tenutosi nella medesima bontà; che è cosa degna di ma- raviglia, e da lui prima messa in opera.* Ma nessuno di ' t Questo Baccio di Andrea Cellini nel 1480 era in Ungheria insieme con Francesco suo fratello. Costoro furono Iratelli di Giovanni che fu padre di Benve- nuto. Che Baccio fosse ancora piffero della Signoria, come certamente fu il detto Giovanni, non è provato. ^ t Girolamo della Cecca fu da Volterra e figliuolo di Niccolò. Anch' egli fu piffero della Signoria. Fu detto della Cecca perchè discepolo e poi genero di Bernardo Renzi che fu scolare del celebre Francesco d'Angelo soprannominato La Cecca. ' *In San Giovanni Evangelista (detto fuorcivitas) di Pistoja oggi non si vede più questa figura di rimesso. t Noi crediamo con fondamento che questo artefice pistojese sia David nato nel 1453 da maestro Pietro di Domenico di Pietro da Lucca, eccellente maestro di legname e di tarsia, il quale fino dalla prima metà del secolo xv abitava in Pistoja, dove fece varj lavori, e tra gli altri il coro di legname di San Giovanni fuorcivitas, e indirizzò molti giovani di quella città all'arte sua. ' Il coro e il pergamo di Sant'Agostino rimasero inutili dopo le mutazioni fatte a quella chiesa; e l'organo peri. t Questo Geri fu figliuolo d'Angelo di Geri d'Arezzo. Nel 1466 lavorava di tarsia per la chiesa di San Michele in quella città. Mori nel 1485. Di lui si parla ancora in una lettera di messer Gentile de' Becchi, che poi fu vescovo di Arezzo, come persona assai ingegnosa, che aveva tra l'altre cose fatto un organo di cartone. 346 BENEDETTO DA MAJANO costoro, né altri, fu a gran pezzo eccellente quanto Be- nedetto; onde egli merita fra i migliori artefici delle .sue professioni d'esser sempre annoverato e lodato.' ' *È da notare l'errore del Vasari nella Vita di Andrea da Fiesole, dove dice che a questo artefice, al Bandinello, al Buonarroti ed a Benedetto da Ma jano furono allogate dagli Operaj di Santa Maria del Fiore quattro statue degl Apostoli, governando Firenze il cardinale Giulio de' Medici, poi Clemente VII Perchè, se rispetto agli altri artefici il fatto può stare, non sarà mai vero ri guardo al Da Majano, il quale, al tempo del governo del cardinale, incominciate nel 1519, era morto già da parecchi anni. t Ma questo fu nel Vasari un errore di memoria, scambiando il Da Majano coi Da Rovezzano. 317 COMMENTARIO ALLA Vita di Benedetto da Majano 'Notizia dei Del Tasso intagliatori fiorentini de' secoli xv e xvi^ Nelle citta, dove le arti fiorirono lungamente, non fu raro che un eser- cizio trapassasse come domestica eredita dai padri ne' figliuoli, e da' figliuoli ne' nipoti. E questo accadde massimamente in Firenze fino, da' primi tempi del risorgimento; imperciocché, tacendo de' Rosselli, pittoi-i antichi e meno noti, noi troviamo sul principiare del secolo decimoc[uarto i Gaddi, presso i eguali la pittura andò continuando dal vecchio Gaddo in Taddeo, e da Taddeo in Angelo e in Giovanni suoi figliuoli. Così nella famiglia del- l'Orgagna furono quattro fratelli che tutti seguitarono l'arte; cioè Nardo pittore; Andrea, pittore, scultore ed architetto eccellentissimo; Matteo scultore, e Jacopo, il più giovane, pittore. Benci di Clone e Ristoro di Clone scultori ed architetti contemporanei, non furono, com' è stato cre- duto fino a' nostri giorni, di quella famiglia, e neppure fratelli tra loro. -Lo stesso si può dire che avvenne nel secolo seguente, nel quale si trovano i Rosselli, che per più di cento anni ebbero nella loro discen- denza pittori ed architetti di qualche nome; i Gamberelli, illustrati da Antonio, Bernardo e Giovanni, scultori ed architetti; i Ghirlandaj tanto celebri per Domenico, David e Ridolfo; le due famiglie del Pollajuolo, r una famosa per Antonio e Pietro , l' altra per Simone detto il Cronaca architetto, e per Matteo scultore suo fratello; e tanti altri, che sarebbe troppo lungo il registrare. ' Questa Notizia, stampata la prima volta nel fascicolo d'agosto 1870 del Buonarroti, periodico romano, fu riprodotta corretta e dì molto accresciuta negli Scritti varj sulla Storia dell'Arte Toscana, di Gaetano Milanesi (Siena, Sordo-Muti, 1873, in-8). 348 COIvIMENTARIO ALLA VITA Sul finire di quel medesimo secolo, alcuni della famiglia Del Tasso cominciarono ad acquistare in Firenze assai buona riputazione nell'arte dell'intagliare il legno, e delle tarsie; nella quale erano allora solennis- simi maestri i Da Majano, La Cecca, il Francione e i Da Sangallo, per dire de' più noti. Dal villaggio di San Gervasio a pochi passi dalla porta a Pinti ven- nero i Del Tasso ad abitare presso le mura di Firenze. Dipoi tornarono in citta, ed ebbero casa nel popolo di Sant'Ambrogio, nella qual chiesa Francesco di Domenico nel 1470 fece a se ed a' suoi la sepoltura. L'arme Del Tasso fu in antico un tasso o tassetto da orefici, sopravi una palla o massa d'argento. Poi, partito il campo dello scudo, vi aggiunsero nella parte di sopra due piccoli tassi (animali) ai lati del tassetto, e disotto le chiavi di san Pietro incrociate e tramezzate da quattro rose. E questo fecero non tanto per indicare il popolo di San Pier Maggiore nel gonfa- lone Chiavi del quartiere di San Giovanni, dove i Del Tasso abitavano, quanto per differenziare la propria arme da quella quasi simile di un' al- tra famiglia fiorentina del medesimo cognome. Ora, secondochè ci sarà dato di averne notizia, diremo degli artefici di questa faùiiglia e delle opere loro, correggendo quello che, non senza errore e confusione, ne ha scritto il Manni, e dopo di lui gli ultimi an- notatori del Vasari. Il primo, di cui si abbia ricordo, è Chimenti (Clemente) di Francesco, il quale nel 1483 enei 1484 fece nella chiesa del monastero di Sant'Am- brogio una graticola di legname alla cappella di San Lorenzo; e il dos- sale dell'altare, per adornezza di quella detta del Miracolo, insieme con la predella ed vin tabernacolo degnamente lavorato. Intagliò nel 1488 tutto il coro di noce, profilato di tarsie, per la cappella Minerbetti in San Pan- crazio, statogli allogato da don Innocenzio abate di quel monastero, e pa- gatogli cento fiorini' d'oro, lasciati per questo effetto nel suo testamento da madonna Bartolomea degli Alessandri. Ebbe Chimenti tra gli altri suoi figliuoli, Lionardo e Zanobi, i quali sotto la disciplina di Benedetto da' Majano, e poi di Andrea Sansovino, attesero alla scultura. E in Sant'Ambrogio è di mano di Lionardo un San Sebastiano di legno , figura grande quanto il vivo ed assai ragione- vole.' Nella medesima chiesa aveva egli scolpito nel 1498 la sepoltura di marmo di messer Francesco della Torre, stato priore di Sant'Ambrogio, che da gran tempo non è più in quel luogo. Riattò Lionardo nel 1499, ^ Sotto questa figura è la seguente iscrizione: leonardvs tassivs clementis F. (filius) D. (divi) HVIVS SEBASTIANI FICTOR, HIC CVM SVIS REQVIESCIT. ANNO SAL. 1500. DI BENEDETTO DA MAJANO 349 ajutato da Zanobi suo fratello, nove teste antiche di marmo e di bronzo, che la Repubblica mandò a donare al maresciallo di Gies in Francia. Le quali teste erano state levate, insieme con molte altre cose preziose, dalla casa de' Medici, dopo la cacciata di Piero figliuolo del magnifico Lorenzo, e portate nel Palazzo della Signoria. Fece ancora, secondo il Vasari,' una tavola di marmo con più figure di bassorilievo per la chiesa delle mona- che di Santa Chiara di Firenze : ma oggi non si sa che ne sia stato. Oltracciò sappiamo che Lionardo, in compagnia di Chimenti suo padre, pigliò a lavorare dinanzi al coro della chiesa di San Pancrazio una porta di noce sormontata da un arco, sopra il quale doveva essere intagliato un crocifisso di legno. Furono fratelli di detto Chimenti, e parimente legnajuoli ed intaglia- tori, Cervagio e Domenico. Fu Cervagio uno de' maestri, che nel 1496 lavorarono i quadri del palco della Sala nuova del maggior Consiglio nel Palazzo della Signoria. Del qual Giuliano, stato ancora scultore, e che educò all'arte Giuliano e Michele suoi figliuoli, racconta il Vasari che intagliò il Carro della Zecca, e nell'apparato per la venuta in Firenze di papa Leone X, fece alcune statvie a Santa Trinità, la Meta di Romolo, la Colonna Trajana in Mercato Nuovo, e l'arco presso San Felice in Piazza. Lavorò Michele nel 1512 parecchie cose di legname per la chiesa e per il monastero di Sant'Ambrogio: e nel 1518 per quello di San Salvi fece di quadro e d'intaglio due porte, l'una nella sala, e l'altra nel refet- torio nuovo, per il quale lavorò le spalliere col loro cornicione, fregio ed architrave, il pavimento, le tavole, ed ogni altra cosa che vi bisognava. Quanto a Domenico , che è l' altro fratello del detto Chimenti , egli , secondo r ordine di Francesco d'Angelo, celebre intagliatore ed ingegrrere fiorentino, chiamato La Cecca, fece il primo Carro della Moneta, che i maestri della Zecca cominciarono a mandar fuori ogni anno per la festa di San Giovanni. Erano di sua mano in Perugia le tarsie, i fioroni e i rosoni che nel 1488 furono messi nelle spalliere del refettorio di San Pietro, fatte da Giuliano ed Antonio da Sangallo ; ^ ed una credenza di noce al- logatagli il 20 d' ottobre del 1490 per la mensa de' Priori di quella città, nella quale erano festoni, grifoni ed altre opere di commesso.' Finì Do- menico, l'anno dopo, il coro di quel Duomo ad intagli e tarsie, inco- minciato da Giuliano da Majano, e rimasto per morte sopravvenutagli imperfetto, e gli fu pagato lire 1404, secondo la stima di Crispolto e Po- ' In fine della Vita di Andrea dal Monte San Savino. , ^ Vedi Giornale di Erudizione Artistica stampato in Perugia, fascicolo di marzo 1872, pag. 70. * Giornale e fascicolo detti, pag. 71. 350 COMMENTARIO ALLA VITA limante legnajnoli i^erugini.' Per il qua! coro fece ancora il paramento o tramezzo di legname detto il serraglio, stimato nel 1495 da maestro Mattio da Reggio e da maestro Liberatore da Fuligno, sessanta fiorini. - Da questo Domenico nacquero Chimenti, Francesco e Marco, i quali seguitarono l' arte paterna. Intagliò Chimenti nel I486, pel prezzo di cinquecento lire, il bellis.simo ornamento della tavola dipinta da Filippino Lippi per la Sala del Consiglio nel Palazzo Pubblico di Firenze; e fu .sì gran lavoro, che penò parecchi mesi per condurlo a fine. Parimente fece un altro ornamento, anch'esso intagliato, alla tavola dell' aitar maggiore della chiesa de' Monaci di Badia. Per la Sala nuova del Consiglio mag- giore del detto Palazzo lavorò il palco, e vi fece, tra l'altre cose, un tondo di quattro braccia, che andava nel mezzo, con le armi del popolo ed altri ornamenti intagliati. Intervenne Chimenti nel 1490 a giudicare nel memorabile concorso per la nuova facciata di Santa Maria del Fiore ; e nel 1504 fu tra gli artefici chiamati a dire qual fosse nella Piazza della Signoria il luogo piìi adatto al David di Michelangelo. Marco, l'altro figliviolo di Domenico, fu uno dei più caldi seguaci del Savonarola, e lo difese valentemente nell'assalto dato al Frate da' suoi av- versarj nel convento di San Marco. Intorno al 1491 andato insieme con Francesco suo fratello a Perugia, ajutò il padre ne' detti lavori per r Udienza del Cambio, e nel 1497 prese a fare sopra di se un leggio pel coro del Duomo di quella città.' Lavorò Marco, secondo il Vasari, il nuovo Carro della Zecca, nel quale il Pontormo dipinse alcune storiette bellis- sime; ed in compagnia del detto Francesco fece, tra il 1501 e il 1502, la metà del coro di legname per la chiesa di Badia, che riuscì ricco di prospettive, d'intagli e d'architettura, oltre un lettorino o leggìo orna- tissimo. Quando poi nel 1514 la vecchia Compagnia di San Zanobi in San Marco andò a risiedere nel nuovo Oratorio, riattò il vecchio coro di quello, facendovi ventisei braccia di cornicione di noce. Figliuolo di Marco e di madonna Caterina di Cristoforo dell' Ottonajo sua moglie, e sorella di quel Gio. Battista araldo della Signoria che scrisse alcuni Canti carnascialeschi ed altre poesie che vanno in stampa ; fu Giovambattista, detto ancora Battista del Tasso, o maestro Tasso, il quale ebbe fama sopra tutti gli altri artefici della sua famiglia, essendo stato eccellentissimo nell' intagliare il legno, ed a giudizio del Cellini, il maggiore che fosse mai di sua professione. L'opere del quale noi inten- diamo di registrare con quella maggior diligenza che ci sarà possibile, ' Giornale cit., fascicolo dell'aprile, pag. 98. ^ Giornale e fascicolo citati, pag. 101. ' Giornale di Erudizione Artistica, Perugia, fase, dell'aprile, pag. 105. DI BENEDETTO DA MAJANO 351 affinchè il valor suo nell'arte dell' intaglio sia, meglio che non è stato fino ad ora, conosciuto e pregiato. Fece dunque il Tasso per i monaci di Badia un tabernacolo da te- nervi il Sacramento, fatto ad uso d'arco trionfale, nel quale Francesco del Salviati dipinse tre storiette qoI Sacrificio di Abramo, la Manna, e- quando gli Ebrei nel partirsi d' Egitto mangiano 1' agnello pasquale. Nella venuta di Carlo V in Firenze gli fu dato a fare di legnami intagliati tutto il basamento, sul quale andava la figura a cavallo di quell'imperatore; ma per essersi lasciato fuggire di mano il tempo, ragionando e burlando, dice il Vasari che quel basamento non fu fatto da lui. Vero e che lo stesso Vasari, contraddicendo alle sue parole, afferma il contrario in una lettera a Pietro Aretino, dove descrive tutto l'ordine di quell' apparato. Doven- dosi poi fare pel battesimo del gi-an principe Don Francesco de' Medici un altro sontuoso apparato in San Giovanni, ne fu data la cura princi- pale al Tribolo; il quale, specialmente nei lavori di legname e d'inta- glio, mise in opera il Tasso. In compagnia di Antonio di Marco di Giano detto il Carota, assai valente nella medesima professione, intagliò il ricco palco di legname della Libreria di San Lorenzo, secondo il disegno di Michelangelo, ed i banchi per i libri. Fece nel 1549 e 1550 per il duca Cosimo, e pel principe Andrea d'Oria, alcune bellissime poppe di galee, con figure ed animali scolpiti di tutto tondo e con altri ornamenti dise- gnati da Ferino del Vaga.' Parimente a Benvenuto Cellini fece un let- tuccio di noce lavorato stupendamente." Altri intagli mandò a Venezia, sommamente lodati dall'Aretino. ° Essendosi poi il Tasso dato all'architettura, disegnò la porta della chiesa di San Romolo, e nel 1549 la loggia di Mercato Nuovo, soprin- tendendo alla sua costruzione. La qual loggia, che fu compiuta nel 1551, riuscì magnifica, di belle proporzioni ed assai ricca; onde non ostante che- li Vasari vi scopra alcuni difetti, essa sarà sempre da reputare de' più notabili edifizj di quel secolo in Firenze. Avevano i Capitani di parte Guelfa dato la cura a Giovanni d'Alesso detto Nanni Unghero, intagliatore ed architetto militare molto reputato, di rivedere i conti, e saldare le spese de' lavori di legname che alla gior- ' Altri lavori d'intaglio aveva fatto il Tasso uel 1539 pel detto principe d'Oria, e noi crediamo che appartengano a quei lavori alcuni pezzi di noce squisitamente intagliati che possiede il nostro rispettabile e chiarissimo amico cav. Santo Varni scultore di Genova, nei quali è il ritratto del D'Oria e della Peretta Usodimare sua moglie. - Vedi rinven'tario delle masserizie del Cellini pubblicato tra i Documenti alla sua Vita. ' Lettere Pittoriche, voi. 3, n° xxxi, ediz. Silvestri. 352 COMMENTARIO ALLA VITA •nata si facevano ne' beni appartenenti al loro Uffizio : ma per essersi morto r Unghero nel 1546, i Capitani misero nel siio luogo il nostro Tasso. Il quale, allorché nel 1552 il duca Cosimo, per sospetto della guerra di Siena e di Piero Strozzi, pensò di fortificare Firenze, ebbe il carico di fare ba- stioni ed altre difese alla Porta a Pinti, essendo assegnate le altre a Fran- cesco da Sangallo, al Cellini ed a Giuliano di Baccio d'Agnolo. Era il Tasso assai ben visto dal Duca, avendoglielo messo innanzi e favoritolo straordinariamente messer Pier Francesco Riccio suo maggior- domo, non senza qualche gelosia di chi avrebbe voluto tutta per se la grazia di quel principe. Onde dovendosi fare nel 1548 un' aggiunta al Pa- lazzo Vecchio, allora residenza ducale, dal lato che guarda la Loggia del Grano , volle il Duca che ne fosse architetto il Tasso ; e di più gli com- mise tutto il lavoro di legname che vi andava. Ed egli, oltre gli usci e le finestre delle nuove camere, fece i quadri delli sfondati de'ioalchi, dove poi il Vasari dipinse la Genealogia degli Dei, ornandoli con varj e ricchissimi intagli, quali a falconi, quali a punte di diamanti, e quali a festoni, chiocciole e borchie; e per finimento del tetto condusse parimente di legname la gronda sostenuta da mensoloni di bordoni intieri, lavorati da ogni faccia, la cornice che le girava intorno insieme con la seggiola, e tra l'una e l'altra mensola certe targhe di tiglio intagliate. Mentre il Tasso attendeva a questi lavori, fece per il Dnca il modello del palazzo che egli intendeva edificare in Pisa per sua abitazione. Il qual modello , che posava sopra un piano d' asse d' albero , era lungo tre braccia, e largo due: e l'ingegnoso artefice l'aveva fatto in modo che rappresentava benissimo tutto l'ordine dell' edifizio e delle parti sue; per- chè vi si vedevano le loggie, i cortili colle colonne, le stanze coi loro usci e finestre, la facciata con la porta principale e dieci finestre ingi- nocchiate nel piano terreno, oltre le cornici, le mensole, i frontespizi, il ietto, ed ogni altra cosa conferente a cxuella fabbrica. Fu questo modello mandato in una cassa a Pisa nel 1551 e fatto stimare da Gio. Battista del Cervelliera, eccellente intagliatore ed architetto pisano. Ma non fu messo in opera, perchè per allora del palazzo non si fece altro. E quando Tiel 1592 si pose mano alla sua edificazione, si seguì un altro modello fatto dal Buontalenti. Nella celebre disputa rinnovatasi in Firenze sulla preminenza tra la scviltura e la pittura, anche il Tasso volle dire la sua opinione, la quale, ■com'era naturale in uomo di quella professione, fu tutta favorevole alla scultura. Queste sono le brevi notizie che intorno alle opere fatte dal Tasso ab- biamo potuto raccogliere. Quanto a' suoi costumi, vuole il Vasari che egli spendesse il tempo in baie, in godere più che in lavorare, ed in biasi- DI BENEDETTO DA MAJANO 353 mare l' opere altrui. Questo giudizio non è senza passione ; perche il Va- sari, per essere stato messo in canzone e motteggiato da lui, avrà voluto vendicarsi, scrivendone nel modo che fa. Ma diversa opinione ne ebbero altri suoi contemporanei. Il Cellini lo dice piacevole e lieto ; buono , amo- revole e dabbene il Bronzino , e così Luca Martini che 1' ebbe carissimo. Fu, come abbiamo detto, assai favorito da Pier Francesco Riccio, perii quale fece in Prato nel 1550 l'arme di pietra e il ritratto del duca Cosimo.' Morì il Tasso agli otto di maggio del 1555, e fu sepolto in Sant'Am- brogio nell'avello della sua famiglia. Ebbe per moglie la Caterina di Bernardo di Marco Renzi, buonissimo intagliatore ed architetto , chiamato Bernardo della Cecca. Dalla detta Caterina vedova di Girolamo di Niccolò da Volterra, piffero della Signoria di Firenze, nacquero al Tasso cinque figliuoli, tre maschi e due femmine; l'una, chiamata Margherita, fu ma- ritata a Zanobi di Piero detto l'Uccellino, cimatore; e l'altra, per nome Camilla, ad Antonio di Romolo Crocini, maestro di legname ed intaglia- tore assai pratico. I maschi, che furono Domenico, Marco e Filippo,'' fecero l'istessa arte del padre, e lo ajutarono, insieme col detto Crocino, ne' lavori del Palazzo Vecchio. Di Marco poi sappiamo che nel 1564 fu mandato a Pisa, e poi a Livorno per intagliare le poppe di due galere della Religione di San Ste- fano, chiamate la Capitana e la Elbigina. * Il Lasca scrive di lui una piacevolissima novella, die è l'ottava della prima Cena, nella quale si racconta che essendo capitato in Firenze un abate lombardo dell'ordine di San Benedetto che andava a Roma, volle un giorno an- dare a vedere le figure delle sepolture medicee scolpite da Michelangelo nella sagrestia nuova di San Lorenzo : e che perciò portatosi colà con due suoi com- pagni religiosi, il priore della chiesa commise al Tasso, che allora lavorava il palco della Libreria di San Lorenzo, di mostrare all'abate la sagrestia e la li- breria suddette. Il quale abate, dopo aver veduto le figure della sagrestia, e fat- tone poca stima, s'avviò a vedere la libreria, e mentre saliva adagio adagio per una scala che a quella conduceva, ragionando col Tasso, gli venne fatto di vol- gere gli occhi alla cupola del Brunellesco, e fermatosi a riguardarla, cominciò a dire che sebbene fosse stimata da tutto il mondo, come una maraviglia, pure aveva sentito dire da persone degne di fede che la cupola di Norcia era più bella assai, e fatta con maggiore artifizio. Le quali parole fecero venire al Tasso tanta stizza, che tirato indietro con forza l'abate lo fece tombolare giù dalla scala, ed egli si lasciò a studio cadere addossogli; e gridando che il frate era pazzo, avuto un pajo di funi, lo legò con quelle per le braccia, per le gambe e per tutta la persona, in modo che non poteva muoversi, e poi presolo di peso, lo portò dentro una stanza quivi vicina, e distesolo in terra e al bujo lo lasciò, serrando la camera e portandone seco la chiave. ^ Filippo il primo d' agosto del 1555 andò a stare con Benvenuto Cellini per imparare l'arte. Vedi tra i documenti aggiunti alla sua Vita sotto quell'anno. ViSARi, Opere. — Voi. IH. 23 354 COMMENT. ALLA VITA DI BENED. DA MAJANO I Del Tasso si estinsero in Firenze ne' primi anni del secolo xvii in Zanobi di Zanobi, il quale ai 25 di gennajo del 1615 (st. e), trovandosi senza figliuoli, cede la sepoltura della sua famiglia in Sant'Ambrogio ad un maestro Michele di Giulio Borsi, tessitore, ed a' suoi discendenti. Finalmente, perchè meglio s'intendano le cose dette in questo Com- mentario, abbiamo voluto aggiungere qui a fronte l'albero genealogico dei Del Tasso, con l'arme di famiglia. 355 357 ANDEEA DEL VEEROCCHIO PITTORE, OBEFICE E SCCLTOKE FIOEENTIJJO (Nato nel 1135; morto nel 1488) ' Andrea del Verrocchio," fiorentino, fu ne' tempi suoi orefice, prospettivo, scultore, intagliatore, pittore e mu- sico. Ma in vero, nell'arte della scultura e pittura ebbe la maniera alquanto dura e crudetta, come quello che con infinito studio se la guadagnò, più che col benefizio ' « Molti per lo studio imparano un'arte, die se e' fossero nella maniera di « quella ajutati dalla natura, accozzando il naturale con lo accidentale, supere- « rebbono non tanto quegli che sono stati avanti di loro; ma quegli che dopo « la morte loro arebbono a nascere. Et di quanta importanza sia alle persone « eccellenti questa parte congiunta con essa, ogni di se ne vede lo esemplo in « molti; i quali, mentre che studiano, fanno infiniti miracoli, et mancando « quello studio, per non essere accompagnato con la natura, se stanno pure tre « giorni che non si affatichino, ogni cosa si parte dell'animo loro. Et pigliano « questi tali sempre una maniera cruda e senza dolcezza alcuna; di che è ca- « gione l'asprezza delle fatiche che e' durano malgrado della natura. Et ben si « vede che chi sforza quella, fa effetti contrarj alla voglia sua : et cosi per lo « opposito, seguitandola con piacere, conduce cose maravigliose. Laonde non « debbe certo parere strano, se Andrea del Verrocchio, che ajutato più dallo « studio che dalla natura pervenne tra gli scultori al sommo de' gradi, et intese « l'arte perfettamente, fu tenuto duro e crudetto nella maniera de' suoi lavori: « e sempre tali sono apparite le cose sue, ancora che sieno mirabili nel cospetto « di chi le conosce. Costui per patria fu fiorentino ecc. ». Così nella prima edizione. ^ *« Il chiamarsi Verrocchio o del Verrocchio non fu eh' e' derivasse dalla « famiglia de' Verrocchi, nominata molto nelle scritture di que' tempi : e appresso « di me son molte note di parentadi ed altro in persona di Giuliano, di Ales- « Sandro e di Girolamo (il quale nel 1483 piglia per moglie la Lessandra di 358 ANDREA DEL VERROCCHIO o facilità della natura. La qual facilita sebben gli fussi tanto mancata, quanto gli avanzò studio e diligenzia, sa- rebbe stato in queste arti eccellentissimo, le quali a una somma perfezione vorrebbono congiunto studio e natura; e dove Tun de'dua manca, rade volte si perviene al colmo; sebben lo studio ne porta seco la maggior parte, il quale perchè fu in Andrea, quanto in alcuno altro mai, grandissimo, si mette fra i rari ed eccellenti artefici del- l'arte nostra.* Questi in giovanezza attese alle scienze, e particolarmente alla geometria. Furono fatti da lui, mentre attese all'orefice, oltre a molte altre cose, alcuni bottoni da piviali, che sono in Santa Maria del Fiore di Firenze; e di grosserie,^ particolarmente una tazza; la forma della quale, piena d'animali, di fogliami e d'altre bizzarrie, va attorno, ed è da tutti gli orefici conosciuta; « Pierozzo de' Castellani), figliuoli di Francesco di Luca Verrocchi; essendo egli « de'Cioni ». (Vedi l'epitafRo verso la fine di questa Vita). « .... Stando « Andrea col predetto Giuliano Verrocchi, che fu orefice, prese a dirsi del Ver- « rocchio ». (Del Migliore, Riflessioni al Fiasart ms. Magliabechiano più volte citato). — t Vedi anche l'Alberetto de'Cioni, in fine (pag. 379). t Nacque Andrea nel 1435 come apparisce dalle portate di suo padre al Catasto. Nel libro delle Provvisioni della Repubblica di Firenze dell'anno 1453 a e. 23 tergo, si legge che esso è assoluto dall'omicidio commesso nell'agosto del 1452 nella persona di Antonio di Domenico lavorante di lana, ed accaduto fuori delle mura di Firenze tra la porta alla Croce e la porta a Pinti, dove essendo Andrea una sera a spasso con altri giovanetti suoi compagni, cominciarono fra loro a tirarsi de' sassi, uno de' quali scagliato da Andrea che allora era di quat- tordici anni, colpi nella tempia il detto Antonio, il quale a capo di tredici giorni mori di quella ferita. ' *I1 Vasari non dice di chi fosse scolare; ma il Baldinucci a questo pro- posito afferma: « Ho io visto nell'altre volte nominata libreria de' manoscritti « originali degli Strozzi un manoscritto antichissimo, contenente più Vite di pit- « tori, scultori e architetti, quasi de' tempi dello scrittore di quelli. Fra' disce- « poli di Donatello, del quale pure vi si legge la Vita, dice, che uno de' suoi « primi-, e non il minimo, fu Andrea del Verrocchio. Ed in un altro manoscritto, « annesso a un libro minor del foglio, seg. num. 285, fra diverse memorie di « pittori e architetti di quei tempi, si legge a e. 45 a tergo, fra le cose appar- « tenenti alla Vita di questo Maestro Andrea del Verrocchio fiorentino, eh' egli « fu discepolo di Donatello : il che ancora tanto più si rende certo , quanto che « lo stesso Andrea lo ajutasse a lavorare il lavamani di marmo nella sagrestia « di San Lorenzo ». ^ Di questi bottoni e delle grosserie non abbiamo notizia. ANDREA DEL VERROCCHIO 359 ed un' altra parimente , dove è un ballo di puttini molto bello. Per le quali opere avendo dato saggio di se, gli fu dato a fare dall' Arte de' Mercatanti due storie d' ar- gento nelle teste dell'altare di San Giovanni; delle quali, messe che furono in opera, acquistò lode e nome gran- dissimo. ' Mancavano, in questo tempo, in Roma alcuni di quegli Apostoli grandi, che ordinariamente solevano stare in •sull'altare della cappella del papa, con alcune altre ar- genterie state disfatte; per il che, mandato per Andrea, gli fu con gran favore da papa Sisto dato a fare tutto quello che in ciò bisognava; ed egli il tutto condusse €on molta diligenza e giudizio a perfezione.^ In tanto ve- dendo Andrea che delle molte statue antiche, ed altre cose che si trovavano in Roma, si faceva grandissima stima; e che fu fatto porre quel cavallo di bronzo, dal papa, a San Giovanni Laterano; ^ e che de' fragmenti, non che delle cose intere, che ogni dì si trovavano, si faceva conto; deliberò d'attendere alla scultura: e cosi, abban- donato in tutto l'orefice, si mise a gettare di bronzo al- cune fìgurette, che gli furono molto lodate; laonde, preso maggior animo, si mise a lavorare di marmo. Onde es- sendo morta sopra parto in que' giorni la moglie di Fran- cesco Tornabuoni,' il marito, che molto amata l'aveva, , ' *I1 Verrocchio lavorò circa il 1477 nel dossale d'argento di San Giovanni, in compagnia del Pollajuolo, di Bernardo Cennini e di Antonio di Salvi, trovan- dosi in quell'anno pagati questi quattro orafi per le storie di rilievo del suddetto dossale. (Richa, tom. V, pag. xxxi). t Una sola storia fece il Verrocchio in una delle teste del dossale, ed è ■quella della Decollazione di San Giovanni. * Gli Apostoli eseguiti in argento dal Verrocchio furono rubati verso la metà •dello scorso secolo; e poi rifatti dal Giardoni. (Bottari). * Cioè la statua equestre di Marco Aurelio, che ora è sulla piazza del Cam- pidoglio, trasportatavi e collocatavi dal Buonarroti d' ordine di Paolo HI, il quale fece fare al medesimo la base sottoposta. (Bottari). ' *Se qui il Vasari non intese parlare di Giovanfrancesco di Filippo Torna- %uoni, sposato nel 1470 a Lisabetta di Andrea Alamanni, per certo egli cadde in errore, come ci avverte l'egregio amico nostro, dottor L. Passerini: imper- 360 ANDREA DEL VERMOCCHIO e morta voleva quanto poteva il più onorarla, diede a fare la sepoltura ad Andrea; il quale sopra una cassa di marmo intagliò in una lapida la donna, il partorire, ed il passare all'altra vita; ed appresso in tre figure, fece tre Virtù, che furono tenute molto belle, per la prima opera che di marmo avesse lavorato : la quale se- poltura fu posta nella Minerva.' Ritornato poi a Firenze con danari, fama ed onore, gli fu fatto fare di bronzo un Davit di braccia due e mezzo; il quale finito, fu posto in palazzo al sommo della scala, dove stava la catena; con sua molta lode." Mentre che egli conduceva la detta statua, fece ancora quella ciocché né il tempo né la circostanza si accordano con i due individui Tornabuoni di nome Francesco; sapendosi che l'uno di essi cessò di vivere nel 1436, quando il Verrocchio era fanciullo; e l'altro mori in Roma nel 1484, ma lasciando su- perstite la moglie, che fu Manetta Valori. ' *Questo monumento non esiste più nella chiesa della Minerva in Roma; e s'ignora quando e come fosse tolto. La fronte, su cui è scolpito il bassori- lievo descritto dal Vasari, stette già nella Galleria degli Uffizj, pervenutavi nel 1805 dallo scrittojo delle R. Fabbriche, con varie opere di scultura, (t Oggi è nel Museo Nazionale). Il Litta, nella Storia della famiglia Tornabuoni, offre l'inta- glio di questo bassorilievo; il quale, sebbene lasci a desiderare una più finita esecuzione, non saprebbesi abbastanza lodare per la invenzione e per la espres- sione vera degli affetti. 1 Rispetto al monumento Tornabuoni, il barone A. Reumont è d'opinione che colui che lo fece innalzare fosse Giovanni Tornabuoni : e questa sua opi- nione egli l'appoggia ad una lettera del detto Giovanni a Lorenzo il Magnifico scritta da Roma il 24 settembre 1477, nella quale gli dà avviso della morte ac- caduta allora sopra parto della Francesca di Luca Pitti sua moglie. Il Vasari, confondendo Giovanni con Francesco Tornabuoni, è stato cagione dell'errore durato sopra questo particolare fino a' nostri giorni. Quanto poi all'altra aflfer- mazione che vuole il detto monumento della Tornabuoni essere stato messo nella Minerva, e poi tolto di là e mandato a Firenze; al barone Reumont non pare credibile e tiene invece che esso non fosse giammai spedito da Firenze a Roma» sospettando che il Vasari abbia scambiato la sepoltura della Tornabuoni con quella che è nella Minerva innalzata da Giovanni a Giovanfrancesco suo nipote, morto nel 1480, e scolpita da Mino da Fiesole, della quale ha parlato il Vasari stesso nella Vita di questo artefice. ( Vedi Giornale di Erudizione Artistica, fascicolo del giugno 1873, a pag. 1G7). ^ *Finito nel 1476, fu pagato 150 fiorini larghi. (Gaye, I, 572). Adesso si conserva nella Galleria degli Uffizj (t Ora è nel Museo Nazionale); dove è pure, nella raccolta dei disegni ( cassetta n° 1 ) una carta colla figura di questo David, alta soldi 12 1/2 molto bene eseguita dal Verrocchio stesso all'acquerello con lumi di biacca; salvo la testa, che è appena segnata. ANDREA DEL VERROCCHIO 361 Nostra Donna di marmo che è sopra la sepoltura di mes- ser Lionardo Bruni Aretino, in Santa Croce; la quale la- vorò, essendo ancora assai giovane, per Bernardo Ros- sellini, architetto e scultore, il quale condusse di marmo, come si è detto, tutta quell'opera/ Fece il medesimo, in un quadro di marmo, una Nostra Donna, di mezzo ri- lievo dal mezzo in su, col Figliuolo in collo; la quale già era in casa Medici, ed oggi è nella camera della duchessa di Fiorenza, sopra una porta, come cosa bellissima.^ Fece anco due teste di metallo; una d'Alessandro Magno, in profilo; r altra d'un Dario, a suo capriccio; pur di mezzo rilievo, e ciascuna da per se, variando l'un dall'altro ne' cimieri, nell'armadure ed in ogni cosa: le quali amen- due furono mandate dal magnifico Lorenzo vecchio de'Me- dici al re Mattia Corvino in Ungheria, con molte altre cose, come si dirà al luogo suo.^ Per le quali cose avendo acquistatosi Andrea nome di eccellente maestro, e mas- simamente in molte cose di metallo, delle quali egli si dilettava molto; fece di bronzo tutta tonda, in San Lo- ' *È un lunettone sopra il monumento, con Nostra Donna col Putto dal mezzo in su dentro un tondo, e ai lati due angeli in adorazione. Leonardo Bruni mori nel 1443. Se è certo che il Verrocchio nascesse nel 1435, come dicemmo più indietro, bisogna ammettere che egli eseguisse l'opera suddetta molti anni dopo la morte di Leonardo. Il Cicognara ne dà l'intaglio nella tav. xxiii. Serie II, della sua Storia. ^ Non sappiamo ove ora sia collocata, t §i vuole che sia quella Madonna col Putto di mezzo rilievo che ora sì vede nel Museo Nazionale. Ma da alcuni si dubita che non sia del Verrocchio. Del quale è nello Spedale di Santa Maria Nuova una terracotta bellissima di Nostra Donna col Bambino di bassorilievo. Lavorò Andrea alcune figurette d'ar- gento per l'elmo di Lorenzo il Magnifico, in occasione della celebre giostra can- tata dal Poliziano. ' *Di Mattia Corvino s'è parlato nella nota 2 a pag. 239, e torna a farne menzione il Vasari nella Vita di Filippino Lippi. t Che Andrea avesse preso a scolpire in Firenze una fonte per Mattia Corvino, si conosce da un istrumento fatto in Firenze, del 27 agosto 1488, col quale Bertoccio di Giorgio di Pellegrino scarpellino da Carrara fa suo procura- tore Domenico di Gregorio scultore del popolo di San Pier Maggiore per esigere da Alessandro agente del re Mattia quella somma che esso Bertoccio doveva avere per conto di marmo bianco dato per costruire e fabbricare una fonte nella città di Firenze, da farsi da Andrea del Verrocchio. 362 ANDREA DEL VERROCCHIO renzo, la sepoltura di Giovanni e di Piero di Cosimo de' Medici; dove è una cassa di porfido, retta da quattro cantonate di bronzo, con girari di foglie molto ben la- vorate e finite con diligenza grandissima: la quale se- poltura è posta fra la cappella del Sagramento e la sa- grestia. Della qual opera non si può , ne di bronzo ne di getto, far meglio; massimamente avendo egli in un me- desimo tempo mostrato r ingegno suo nell'architettura, per aver la detta sepoltura collocata nell'apertura d'una finestra larga braccia cinque e alta dieci in circa, e posta sopra un basamento clie divide la detta cappella del Sa- gramento dalla sagrestia vecchia. E sopra la cassa, per ripieno dell' apertura insino alla volta, fece una grata a mandorle di cordoni di bronzo naturalissimi, con orna- menti in certi luoghi d'alcuni festoni, ed altre belle fan- tasie tutte notabili, e con molta pratica, giudizio ed inven- zione condotte.* Dopo, avendo Donatello per lo magistrato de' Sei della Mercanzia fatto il tabernacolo di marmo, che è oggi dirimpetto a San Michele, nell'oratorio di esso Orsammichele; ed avendo visi a fare un San Tommaso di bronzo, che cercasse la piaga a Cristo; ciò per allora non si fece altrimenti; perchè degli uomini che avevano cotal cura, alcuni volevano che le facesse Donatello, ed altri Lorenzo Ghiberti. Essendosi, dunque, la cosa stata cosi insino a che Donato e Lorenzo vissero, furono finalmente le dette due statue allogate ad Andrea; il quale, fattone i modelli e le forme, le gettò; e vennero tanto salde, intere e ben fatte, che fu un bellissimo getto. Onde, ' *La cappella che a' tempi del Vasari era del Sacramento, sino dal 1677 fu consacrata alla Madonna : e quella della parte opposta fu assegnata al Sacramento. Questo monumento ornato di bronzi di sovrana bellezza, fu fatto fare da Lorenzo il Magnifico e da Giuliano de' Medici; e nel 1472 vi furono poste le ossa di Piero e di Giovanni figliuoli di Cosimo il vecchio. Nel 1559 vi ebbero ricetto pur quelle di Lorenzo il Magnifico e di Giuliano. Questa sepoltura fu intagliata assai bene nel 1570 da Cornelio Cort. (Vedi Moreni, Descrizione delle Cappelle Medici in San Lorenzo ecc., pag. 103, 104); e più modernamente nella tav. xiii àei Mo- num. Sepolc. della Toscana , pub. dal Gonnelli. ANDREA DEL VERROCCHIO 363 messosi a rinettarle e finirle, le ridusse a quella perfe- zione che al presente s.i vede, che non potrebbe esser maggiore; perchè in San Tommaso si scorge la incredu- lità e la troppa voglia di chiarirsi del fatto, ed in un medesimo tempo l'amore, che gli fa con bellissima ma- niera metter la mano al costato di Cristo: ed in esso Cristo; il quale con libéralissima attitudine alza un brac- cio, ed aprendo la veste, chiarisce il dubbio dell'incre- dulo discepolo; è tutta quella grazia e divinità, per dir così, che può l'arte dar a una figura. E l'avere Andrea ambedue queste figure vestite di bellissimi e bene ac- comodati panni, fa conoscere che egli non meno sapeva questa arte, che Donato, Lorenzo e gli altri che erano stati innanzi a lui; ondo ben meritò questa opera d'es- ser in un tabernacolo fatto da Donato collocata, e di essere stata poi sempre tenuta in pregio e grandissima stima.' Laonde non potendo la fama di Andrea andar più oltre, ne più crescere in quella professione; come persona, a cui non bastava in una sola cosa essere ec- cellente, ma desiderava esser il medesimo in altre an- cora; mediante lo studio, voltò l'animo alla pittura; e cosi fece i cartoni d' ima battaglia d' ignudi disegnati di penna molto bene, per farli di colore in una facciata. Fece similmente i cartoni d'alcuni quadri di storie, e dopo li cominciò a metter in opera di colori; ma, qual si fusse la cagione, rimasero imperfetti. Sono alcuni di- * * Questo gruppo, che si vede sempre al suo posto, fu terminato nel 1483; e nello stesso anno la Signoria deliberò che di tal fattura Andrea fosse soddi- sfatto fino in 800 fiorini larghi. (Richa, I, 20. Gaye, I, 370 e seg.). t Parrebbe che gli fosse stato allogato dai Consoli della Mercanzia verso il 1478. Nel 1476 è certo che la figura di Nostro Signore era presso che finita e che quella di San Tommaso era a ordine di gettarla. (Archivio della Mercanzia, Libro di Debitori e Creditori segnato 14103, dal 1479 al 1490 a carte 13). Nel già citato Diario ms. del Landucci si legge a questo proposito : « A di 21 di giu- « gno 1483 si pose in un tabernacolo d' Orto Samichele quel San Tomaso a lato « a Giesù e '1 Giesù di bronzo, el quale è la più bella chosa chessi truovi, e la « più bella testa del Salvatore chancora si sia fatta : fatta per le mani di An- « drea del Verrocchio ». 364 ANDREA DEL VERROCCHIO segni di sua mano nel nostro Libro , fatti con molta pa- cienza e grandissimo giudizio; infra i quali sono alcune teste di femina con beli' arie ed acconciature di capelli, quali, per la sua bellezza, Lionardo da Vinci sempre imitò. Sonvi ancora due cavalli, con il modo delle misure e centine da farli di piccoli grandi, che vengliino pro- porzionati e senza errori: e di rilievo di terra cotta è appresso di me una testa di cavallo ritratta dall' antico , che è cosa rara; ed alcuni altri, pure in carta, n'ha il molto reverendo Don Vincenzio Borghini nel suo Libro, del quale si è di sopra ragionato; e fra gli altri, un di- segno di sepoltura, da lui fatto in Vinegia per un doge; ed una storia de' Magi che adorano Cristo ; ed una testa d'una donna, finissima quanto si possa, dipinta in carta. * Fece anco a Lorenzo de' Medici, per la fonte della villa a Careggi, un putto di bronzo che strozza un pesce; il quale ha fatto porre, come oggi si vede, il signor Duca Cosimo alla fonte che è nel cortile del suo palazzo; il qual putto è veramente maraviglioso. ^ ' *Dei cartoni, dei disegni e altre cose qui nominate, non sappiamo render conto veruno. t Nella raccolta de' disegni del Louvre è un suo bellissimo disegno di profilo d'un cavallo. Un buon numero d'altri disegni del Verrocchio possiede ora il duca d'Aumale, appartenuti per l' avanti al signor Reiset. ^ *Questa decorazione è tuttavia nella vasca della piccola fontana posta in mezzo al primo cortile di Palazzo Vecchio. Quel vezzosissimo fanciullo alato tiene sotto il braccio e stringe col corpo un giovine delfino che vigorosamente si dibatte, e dalle cui narici zampilla l'acqua. « Non si può vedere cosa più gaja « né più vivace della espressione del volto e della movenza di questo putto, né « é facile tra i getti moderni incontrarne uno si ben trattato nella materia, e che « sia come questo di uno stile degno da servir di modello. Con tutto che la mo- « venza appaja mezzo volante, mezzo slanciantesi, pure ben si vede che il gruppo « da più parti sporgente riposa sempre sul proprio centro di gravità. Con fe- « lice accorgimento l'artefice rivesti il putto di una rotonda pienezza, e dette al « pesce ed alle ali, che sono le parti più rilevate, una certa acutezza di angoli. « Questa stupenda opera nel rinettamento dei tubi della fontana è stata sgra- « ziatamente spogliata della bella patina, di cui il tempo l'aveva ricoperta: onde « son derivate certe durezze, che i futuri ammiratori attribuiranno, non già al- « l'artefice, nia all'artistica barbarie de' nostri tempi ». (Rumohr, Ricerche Ita- liane, II, 303-304). ANDREA DEL VERROCCHIO 365 Dopo, essendosi finita di murare la cupola di Santa Ma- ria del Fiore, fu risoluto, dopo molti ragionamenti, che si facesse la palla di rame, che aveva a esser posta in cima a quell'edifizio, secondo T ordine lasciato da Filippo Brunelleschi: perchè datone la cura ad Andrea, egli la fece alta braccia quattro, e posandola in sur un bottone, la incatenò di maniera, che poi vi si potè mettere sopra sicuramente la croce; la quale opera finita, fu messa su con grandissima festa e piacere de' popoli. Ben è vero che bisognò usar nel farla ingegno e diligenza, perchè si potesse, come si fa, entrarvi dentro per di sotto; ed anco neir armarla con buone fortificazioni , acciò i venti non le potessero fare nocumento.* E perchè Andrea mai non si stava, e sempre o di pittura o di scultura lavo- rava qualche cosa; e qualche volta tramezzava V un'opera con l'altra; perchè meno, come molti fanno, gli venisse una stessa cosa a fastidio; sebbene non mise in opera i sopraddetti cartoni, dipinse nondimeno alcune cose; e fra r altre una tavola alle monache di San Domenico di ' *« Adi 6 agosto 1467, in venerdi, Giovanni di Bartolo gettò nell'Opera il « bottone che è sotto la palla: che pesò libbre 1000, tenne staja21 di grano di « misura Fiorentina. — Adi 18 di settembre 1471, si pesò la palla, al tempo di « messer Bartolommeo libertini, e messer Bartolomeo Corbinelli, Operaj, e fu « lib. 4368, e la fece Andrea del Verrocchio. Questa palla teneva staja 300. — « Adi 27 maggio 1472, in lunedi, si tirò la palla in su la piramide; e martedì. « a 28 detto, a ora di nona, si fermò in sul bottone, al nome di Dio ». ( t Queste notizie, tratte dal Diario ms. di Luca Landucci, sono riportate dal Moreni, Due Vite inedite del Brunellesco , a pag. 277, nota 2). La palla del Verrocchio fu atterrata da un fulmine a ore 5 di uotte del 17 gennajo 1600. Dopo ventisei mesi fu terminato il lavoro di restauro e la nuova palla fatta più grande, che il gran- duca Ferdinando I avea affidato agli architetti Alessandro Allori detto il Bron- zino e Gherardo Mechini, colla spesa di oltre 15 mila scudi. (Del Migliore, Fi- renze illustrata, pag. 14 e seg. ). t La palla fu allogata al Verrocchio il 10 di settembre 1468, ed il bottone a Giovanni di Bartolommeo fratello di Masaccio maestro di getti ed architetto, e a Bartolommeo di Fruosino agli 8 di giugno 1467. Nel 2 di dicembre del 1468 era compiuto; ed uno degli stimatori del lavoro fu il Verrocchio. Della nuova fu deliberato a' 28 di aprile 1602 che Angelo Serani e Zanobi Portigiani faces- sero l'ossatura col nodo, Piero Pagolini quattro spicchi, cioè la metà, e Bar- tolommeo Sogliani e Matteo Manetti, l'altra metà. (Vedi Guasti, La Cupola di Santa Maria del Fiore, pag. 110 e seg. e pag. 164). 366 ANDREA DEL VERRO CCHIO Firenze, nella quale gli parve essersi portato molto bene; * onde poco appresso ne dipinse in San Salvi un'altra ai Frati di Vallombrosa, nella quale è quando San Giovanni battezza Cristo; e in quest'opera aiutandogli Lionardo da Vinci, allora giovanetto e suo discepolo, vi colorì un An- gelo di sua mano, il quale era molto meglio che l'altre cose. Il che fu cagione, che Andrea si risolvette a non voler toccare piìi pennelli; poiché Lionardo, così giova- netto, in quell'arte si era portato molto meglio di lui. ^ Avendo, dunque, Cosimo de' Medici avuto di Roma molte anticaglie, aveva dentro alla porta del suo giar- dino, ovvero cortile, che riesce nella via de'Ginori, fatto porre un bellissimo Marsia di marmo bianco, impiccato a un tronco per dovere essere scorticato : perchè volendo Lorenzo suo nipote, al quale era venuto alle mani un torso con la testa d'un altro Marsia, antichissimo, e molto più bello che l'altro, e di pietra rossa, accompa- ' *Nella chiesa di San Domenico, in via del Maglio, più non sì trova questa tavola. Da un intaglio eh' è nella tav. xvi deW Etruria pittrice, sebbene sgra- ziato, si arguisce la importanza di quel dipinto; onde maggiormente ci duole non poterne additare la sorte; tanto più che delle opere di pittura del nostro Andrea Tina sola oggi conosciamo, come si vedrà nella nota che segue. In questa tavola era figurata Nostra Donna col bambino in grembo, assisa in un ricco seg- gio, ai lati del quale sorreggono la corona della Vergine due angioletti. A pie del trono e dalla parte destra è in ginocchione santa Caterina da Siena in atto di adorazione, e ritti in pie, san Pietro martire e un santo Vescovo: alla sini- stra, san Domenico e san Giacomo. t Saranno circa dieci anni che la suddetta tavola, data incisa à&W Etruria pittrice, venne alle mani del dott. Alessandro Foresi, il quale diceva di averla comprata da uno che Y aveva cavata dalla chiesa del Maglio al tempo della sop- pressione napoleonica de' conventi. Sul principio, veduta l'identità sua colla detta incisione e la provenienza da quel luogo, fu giudicata del Verrocchio; ma poi, esaminandola con più diligenza, parve ad alcuni che non gli si potesse con ragione attribuire, non riscontrandovisi somiglianza di maniera colla tavola di San Salvi, ora nella Galleria dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze, opera certa del Verrocchio; tanto più che la testimonianza del Vasari, il quale, citandola, non ne dice il soggetto, non trovava appoggio negli scrittori precedenti, e i posteriori non facevano che ripetere semplicemente le parole'del Biografo. Ora questa ta- vola è andata venduta ad un signore scozzese per ragguardevole somma. ^ *Ora è nella Galleria delle Belle Arti, ma alquanto svanita. Un molto diligente intaglio se ne ha nella citata Galleria illustrata ecc. ANDREA DEL VERROCCHIO 367 gnarlo col primo; non poteva ciò fare, essendo imper- fettissimo. Onde datolo a finire ed acconciare ad Andrea, egli fece le gambe, le cosce e le braccia che mancavano a questa figura, di pezzi di marmo rosso, tanto bene, che Lorenzo ne rimase sodisfattissimo, e la fece porre dirimpetto air altra , dall' altra banda della porta. ' Il quale torso antico, fatto per un Marsia scorticato, fu con tanta avvertenza e giudizio lavorato, che alcune vene bianche e sottili, che erano nella pietra rossa, vennero intagliate dall'artefice in luogo appunto che paiono al- cuni piccoli nerbicini che nelle figure naturali, quando sono scorticate, si veggiono. 11 che doveva far parere quel- r opera, quando aveva il suo primiero pulimento, cosa vivissima. Volendo intanto i Viniziani onorare la molta virtù di Bartolommeo da Bergamo, mediante il quale avevano avuto molte vittorie, per dare animo agli altri; udita la fama d'Andrea, lo condussero a Vinezia; dove gli fu dato ordine che facesse di bronzo la statua a cavallo di quel Capitano, per porla in sulla piazza di San Giovanni e Polo.^ Andrea, dunque, fatto il modello del cavallo, aveva cominciato ad armarlo per gettarlo di bronzo; ' 'Questo Marsia vuoisi esser quello che è nella R. Galleria degli Uffizj, posto in faccia all'altro di marmo bianco che si crede essere lo stesso restau- rato da Donatello. (Vedi tom. II, pag. 407 in principio). Ma noi osserviamo, che questo Marsia non può essere l'indicato dal Biografo: imperciocché i restauri di questo consistono solamente nella parte superiore dal petto in su, ed in al- cune dita de' piedi. Esiste nell'Archivio Centrale di Stato in Firenze una lettera del vescovo di Cortona (Giov. degli Alberti) scritta da Roma il 14 giugno 1586 al cav. Antonio Serguidi, primo segretario del granduca Francesco I, alla quale si trova unita una nota di varie cose di marmo di là spedite per mare alla volta di Livorno, fra le quali si nomina un Marsia scorticato che veniva donato al granduca da Don Virginio Orsino. L'esser detto quel Marsia scorticato fece parer verisimile al Pelli ed allo Zannoni, che quello di marmo rosso esistente al pre- sente nella Galleria degli Uffizj sia. il mandato dall'Orsino, piuttostochè il restau- rato dal Verrocchio. ^ *Nel 30 luglio 1479 il Senato Veneziano chiese ed ottenne che fosse in- nalzata una statua equestre di bronzo a Bartolommeo Colleoni , in benemerenza dei tre amplissimi legati fatti alla Repubblica dal detto Capitano; l'uno di du- 368 ANDREA DEL VERROCCHIO quando, mediante il favore d'alcuni gentiluomini, fu de- liberato che Yellano da Padova facesse la figura , ed An- drea il cavallo. La qual cosa avendo intesa Andrea, spez- zato che ebbe al suo modello le gambe e la testa, tutto sdegnato se ne tornò, senza far motto, a Firenze. Ciò udendo la Signoria, gli fece intendere che non fusse mai più ardito di tornare in Vinezia, perchè gli sarebbe ta- gliata la testa. Alla qual cosa, scrivendo, rispose: che se ne guarderebbe, perchè, spiccate che le avevano, non era in loro facoltà rappiccare le teste agli uomini, né una simile alla sua giammai, come arebbe saputo lui fare di quella che egli avea spezzata al suo cavallo e più bella. Dopo la qual risposta, che non dispiacque a que' Signori, fu fatto ritornare con doppia provvisione a Yinezia: dove racconcio che ebbe il primo modello, lo gettò di bronzo, ma non lo finì già del tutto; perchè essendo riscaldato e raffreddato nel gettarlo, si morì in pochi giorni in quella città, lasciando imperfetta non so- lamente quell'opera, ancorché poco mancasse al rinet- tarla, che fu messa nel luogo dov'era destinata;* ma «ati centomila d'oro, l'altro dei danari del suo stipendio arretrato, e il terzo di ducati diecimila dovutigli dal duca di Ferrara; e per altri suoi servigi resi a -quella Repubblica. (Vedi Cicogna, Iscrizioni Veneziane, II, 298). * *« Il testamento del Verrocchio scoperto nella Riccardiana (Gaye, Car- « leggio ecc., I, 367-369) prova ad evidenza che egli lasciò incompiuto il mo- « dello senza gettarlo; perchè in quella carta che fu scritta in Venezia, nel 1488, « nell'anno stesso in cui trapassò, è umilmente supplicata la Repubblica a per- « mettere che Lorenzo di Credi discepolo di esso Verrocchio, e suo esecutore •« testamentario, finisca il cavallo che egli aveva cominciato. Ma il Senato, poco « curandosi dell'ultima volontà di Andrea, affidò il compimento dell'opera ad « Alessandro Leopardo, che per cosi insigne lavoro fu d'allora in poi conosciuto « dal popolo come Alessandro del Cavallo. E però da presumersi che il modello « fosse ancora quello del Verrocchio ; e la congettura s' avvalora quando si guarda « alle forme di quel cavallo, perchè vi si scorge palesemente lo stile fiorentino « assai più vicino alle norme della corretta antichità, di quello non fosse allora « quello de' Veneziani scultori. É un poco strano l'elogio che fece il Cicognara « di questo cavallo (tav. xxi. Serie III), e per poco quasi si potrebbe conside- « rarlo censura, imperciocché dice come coli' energia del suo movimento sembri- « voler scender dal piedistallo: la qual cosa non ci pare encomio adatto ad •« opera monumentale, che dovrebbe mostrare quella magna tranquìllitas , la ANDREA DEL VERROCCHIO 369 un' altra ancora che faceva in Pistoia ; cioè la sepoltura del Cardinale Forteguerra, con le tre Virtù teologiche, ed un Dio Padre sopra: la quale opera fu finita poi da Lorenzetto, scultore fiorentino. ' « quale tanto cercavano i greci artefici. Conveniamo però con lui, esserne il « moto giusto, grandiose le proporzioni senza sembrarne pesanti, bene intesa « la notomia, e l'azione del cavaliere accomodata a chi va rivestito tutto di « grave armatura. Nella cinghia che passa sotto il ventre del cavallo si legge : « ALEXANDER LEOPARDVs V. F. opvs : le due iniziali si possono interpretare tanto « come Venetus fecit, quanto come Venetus fudit. Ma se i meriti dello statuario « spiccarono eminenti in quest'opera, non sono da meno quelli dell'architetto « nell'elegante piedistallo, il più ricco e magnifico che l'arte offerisse mai in « tal genere. Consta questa invenzione di un dado contornato da sei colonne co- « rintie: i cui capitelli vanno fregiati da delfini, preziosa allusione alla potenza « marittima allogatrice del monumento. Ricchi piedistalli le reggono: una tra- « beazione di mirabil profilo e di più mirabile scalpello, le chiude. Il fregio di « questo sopraornato è un capolavoro di gusto e di fina squisitezza di ornamenti, « come di bene accomodata composizione. In niun caso meglio che in questo « poteano convenire armi disposte a trofeo e sorrette da cavalli marini. Imparino « da questo cornicione gli architetti moderni a scegliere l'ornamento in modo « che ajuti la significazione dell'opera, né pongano le sfingi ove non si asconde « mistero, ne facciano uscire da canestri i tritoni e gl'ippocampi per esser fregio « ad opere che nulla hanno a che fare col mare e con Nettuno ». (Selvatico, Sulla Architettura e sulla Scultura in Venezia, Studi ecc.; Venezia, 1847). Questo monumento fu scoperto ne' 21 marzo 1496, avendovi speso molto tempo i maestri a dorarlo, come attesta Marino Sanuto ne' suoi Diarj manoscritti. (Vedi Cicogna, op. cit., II, 299). Un intaglio in due grandi tavole colla pianta, il prospetto e le parti di tutto questo ricco monumento, si vede nell'opera in- titolata : Le fabbriche più cospicue di Venezia ecc. illustrate dal Cicognara. ' *Giovi qui fare un po' di storia di questo monumento. Morto il cardinale Niccolò Forteguerri nel 1473, il Comune di Pistoja commise agli Operaj di Sant' Jacopo di far fare i modelli per una sepoltura di lui. Tra i cinque modelli presentati, uno ve n'era di Andrea del Verrocchio, che piaceva più d'ogni altro; ma come Andrea ne chiese ducati trecento cinquanta, e gli Operaj non avevano commissione di spendere più di lire mille cento, cosi lo licenziarono. Deside- rando però essi che quest'opera si facesse, chiesero nuovamente al Consiglio che crescesse la somma; e il Consiglio deliberò e diede loro autorità di spendere quanto occorresse, perchè 1' opera riuscisse bella e degna. Gli Operaj allora pre- garono Piero del Pollajuolo, che si trovava appunto in Pistoja, perchè anch' egli ne facesse un modello. In quel mentre i Commissarj allogarono detta opera al Verrocchio pel prezzo da lui richiesto. Dopo di che, Piero del Pollajuolo presentò il suo modello, il quale piacque più di quello del Verrocchio, massime a Piero fratello del cardinale e alla sua famiglia. Gli Operaj allora pregarono i Commis- sarj a voler usare una qualche cortesia, o come si dice oggi, dare una benuscita al Verrocchio, e prendere il modello fatto dal Pollajuolo : e poi mandarono a Lo- renzo il Magnifico i modelli, perchè, vedutigli, risolvesse secondo che essi Operaj desideravano. Tanto si ritrae da una lettera che gli Operaj medesimi scrissero a Vasari, Opere. — Voi. 'n. ' ' 24 870 ANDREA DEL VERROCCHIO " Aveva Andrea, quando morì, anni cinqnantasei.* Dolse la sua morte infinitamente agli amici ed a' suoi disce- poli, che non furono pochi; e massimamente a Nanni Grosso, scultore, e persona molto astratta nell'arte e nel vivere. Dicesi, che costui non averebbe lavorato fuor di bottega, e particolarmente ne a monaci ne a frati, se non avesse avuto per ponte l'uscio della volta ovvero cantina, per potere andare a bere a sua posta e senza avere a chiedere licenza. Si racconta anco di lui, che es- sendo una volta tornato sano e guarito di non so che sua infirmità da Santa Maria Nuova, rispondeva agli amici, quando era visitato e dimandato da loro come stava: Io sto male. Tu sei pur guarito, rispondevano* essi : ed egli soggiugneva: E però sto io male; perciocché io arei bisogno d'un poco di febbre per potermi intratte- nere qui nello spedale, agiato e servito. A costui, ve- nendo a morte pur nello spedale, fu posto innanzi un Crucifisso di legno assai mal fatto e goffo; onde pregò che gli fusse levato dinanzi e portatogliene uno di man di Donato, affermando che, se non lo levavano, si mor- rebbe disperato; cotanto gli dispiacevano l'opere mal fatte della sua arte. Lorenzo il Magnifico sotto il di 11 di marzo 1477; ma qual si fosse la i-isposta del Magnifico, non si sa, imperciocché al Gaye, che pubblicò la citata lettera in risposta a un' altra de' 17 marzo sullo stesso argomento , non riusci trovare la detta risposta. ( Carteggio ecc., I, 256-259). La testimonianza del Vasari'ci prova però che il Pollajuolo non fece in tempo col suo modello, che già il monumento era stato allogato al Verrocchio. Ma con tutto questo, del monumento Forteguerri che è nel Duomo di Pistoja, si dice spettino ad Andrea soltanto le figure della Speranza e del Dio Padre con gli angeli, delle quali forse non fece che il modello. Lorenzetto ossia Lorenzo Lotti (del quale leggeremo la Vita nella Parte Terza) fece la Carità, i putti che le stanno attorno, e la statua del cardinale, che non terminò, e ora è posta in una delle sale della Sapienza. Il busto, l'urna cineraria e l'intero ornato sono di Gaetano Mazzoni: ma tutti insieme, per dire il vero, concorsero a fare una cosa goffa anzi che no. Circa questi tempi, e precisamente, nell'anno 1474, si ha memoria che il Verrocchio fece di bronzo una campana, lavorata a bassorilievi con figure ed ornati, per l' abazia di Montescalari : opera oggi perduta. (Vedi Repetti, Bision. della Toscana, art. «Montescalari»). ' Nel 1488, come apparisce dall'iscrizione riferita in appresso dal Vasari. ANDREA DEL VERROCCHIO 371 Fu discepolo del medesimo Andrea, Pietro ^Perugino e Lionardo da Vinci; de' quali si parlerà al suo luogo; e Francesco di Simone Fiorentino/ che lavorò in Bologna, nella chiesa di San Domenico, una sepoltura di marmo con molte figure piccole , che alla maniera paiono di mano di Andrea; la quale fa fatta per messer Alessandro Tar- taglia, Imolese, dottore:^ ed un'altra in San Brancazio di Firenze, che risponde in sagrestia ed in una cappella di chiesa, per -messer Pier Minerbetti cavaliere.^ Fu suo allievo ancora Agnolo di Polo, che di terra lavorò molto praticamente, ed ha pieno la città di cose di sua mano; e se avesse voluto attender all'arte da senno, arebbe ' t Questo Francesco nacque nel 1440 da quel Simone di Giovanni Ferrucci da Fiesole che il Vasari dice fratello di Donatello, ma veramente non fu che suo discepolo. ^ *Questa sepoltura di Alessandro Tartagni , e non Tartaglia, ricca d'ogni genere di ornamenti, è dal Cicognara riposta non solo tra i più insigni monu- menti di Bologna, ma eziandio tra le più belle opere dei secolo xv. Se ne vede un intaglio nella tav. xxviii, Serie II della sua Storia. Il Tartagni mori nel 1477, di 53 anni, come dice l'epitaffio, sotto il quale lo scultore pose il suo nome in questa guisa: opera • Francis. Simonis • floren. Di questo Francesco di Simone è in Bologna una sepoltura d'un Fiesco, la quale dalla chiesa di' San Francesco fu trasportata alla Certosa. (Vedi Lamo, Graticola, pag. 26, e nota). t Alle opere fatte da Francesco, ricordate dal Vasari e dalla nota ante- cedente, noi aggiungeremo che nel 1469 egli scolpi la lapida di marmo per la sepoltura di Saracino Pucci nella sua cappella ai Servi; che nel 1485 lavorò varj ornamenti per la facciata della Cattedrale di Prato, e fece nel 1487 per l'aitar maggiore di detta chiesa un ciborio di marmo. In Firenze era di sua mano la sepoltura di Lemmo Balducci fondatore dello Spedale di San Matteo, la quale nell'anno 1735 fu trasportata dentro la chiesa di San Matteo ; ma, per la poca capacità del luogo, spogliata dell'arco e dell' imbasamento, conservando soltanto la testa di Lemmo di tutto tondo che era dentro una nicchia in alto della detta sepoltura. Finalmente fu Francesco tra coloro che presentarono un disegno nel memorabile concorso aperto in Firenze nel 1490 da Lorenzo il Magnifico per la nuova facciata di Santa Maria del Fiore. Egli mori a' di 23 marzo 1493 e fu se- polto in San Pier Maggiore. Ebbe tre figliuoli maschi, che fecero la medesima arte, tra' quali fu Bastiano, che, come abbiamo detto altrove, scolpi il monu- mento di papa Pio III. ' *I1 Richa, a' tempi del quale la chiesa era nel suo essere, riferisce l' epi- taffio di Piero Minerbetti, il quale mori nel 1482 di settant' anni. ( Chiese fioren- tine, III, 319). Spogliata la chiesa di quanto aveva di più pregevole, nel 1808, quando fu soppressa, e in suo luogo posta la Direzione della Lotteria, non c'è riuscito di sapere qual fortuna sia toccata al monumento del Minerbetti. 372 ANDREA DEL VERROCCHIO fatte cose bellissime.' Ma più di tutti fu amato da lui Lorenzo di Credi ,^ il quale ricondusse l'ossa di lui da Vinezia, e le ripose nella cappella di Sant'Ambruogio, nella sepoltura di Ser Michele di Cione; dove sopra la lapida sono intagliate queste parole: Ser Micìiaelis de Cionis et suorum; ed appresso: Hic ossa jacent Andreae VerrocJni qui ohiit Venetiis MCCCCLXXXViii. ^ Si dilettò assai Andrea di formare di gesso da far presa, cioè di quello che si fa d'una pietra dolce, la quale si cava in quel di Volterra e di Siena, ed in altri molti luoghi d'Italia; la quale pietra, cotta al fuoco, e poi pe- sta e con l'acqua tiepida impastata, diviene tenera di sorte, che se ne fa quello che altri vuole, e dopo ras- soda insieme ed indurisce in modo, che vi si può get- tar figure intere. Andrea, dunque, usò di formare con * t Quest'artefice, nato nel 1470, fu figliuolo di Polo d'Angelo de' Vetri e fratello di Domenico di Polo intagliatore di corniole e coniatore di medaglie. Fra le cose da lui operate abbiamo memoria che per gli Ufficiali della Sapienza di Pistoja scolpi la testa del Salvatore che è ora nella residenza dell'Accademia di Lettere ed Arti di quella città. ° Di Lorenzo di Credi leggesi la Vita in appresso. ' Questa iscrizione anche ai tempi del Rosselli, cioè del 1657, non esisteva più in Sant'Ambrogio, ed egli la riporta nel suo Sepolluario copiandola dal Vasari; il quale leggendo in principio di essa una S. col punto, la interpetrò per Ser invece di Sepulcrum. Il Baldinucci copiò il Vasari, e però cadde nello stesso errore. (Bottari). « Fu niente di manco ornato di poi con questo epi- « tafBo : IL VERROCCHIO Se il mondo adorno resi , Mercè delle belle opre alte e superne , Son di me lumi accesi Fabbriche, bronzi, marmi in statue eterne ». Cosi termina nella prima edizione. L'autore di questo epitaffio era degno di na- scere nel seicento, giacché ne aveva anticipatamente sortito il gusto poetico. t II ritratto d'Andrea dipinto da Lorenzo di Credi si vede nella sala della Scuola Toscana della R. Galleria degli Uffizj. ANDREA DEL VERROCCHIO 373 forme così fatte le cose naturali, per poterle con più co- modità tenere innanzi e imitarle; cioè mani, piedi, gi- nocchia, gambe, braccia e torsi. Dopo, si cominciò al tempo suo a formare le teste di coloro che morivano, con poca spesa ; onde si vede in ogni casa di Firenze, sopra i cammini, usci, finestre e cornicioni, infiniti di detti ritratti, tanto ben fatti e naturali, che paiono vivi. E da detto tempo in qua si è seguitato e seguita il detto uso, che a noi è stato di gran commodità, per avere i ri- tratti di molti, che si sono posti nelle storie del palazzo del Duca Cosimo.' E di questo si deve certo aver gran- dissimo obligo alla virtù d'Andrea, che fu de' primi che cominciasse a metterlo in uso. ^ Da questo si venne a fare imagini di più perfezione, non pure in Fiorenza, ma in tutti i luoghi dove sono divozioni e dove concorrono persone a porre voti e, come si dice, miracoli, per avere alcuna grazia ricevuto. Per- ciocché, dove prima si facevano o piccoli d'argento o in tavolucce solamente, ovvero di cera, e goffi affatto, si cominciò al tempo d'Andrea a fargli in molto miglior rùaniera; perchè avendo egli stretta dimestichezza con Orsino ceraiuolo, il quale in Fiorenza aveva in quell'arte assai buon giudizio, gì' incominciò a mostrare come po- tesse in quella farsi eccellente. Onde venuta l' occasione per la morte di Giuliano de' Medici e per lo pericolo di Lorenzo suo fratello, stato ferito in Santa Maria del Fiore,* fu ordinato dagli amici e parenti di Lorenzo che si facesse, rendendo della sua salvezza grazie a Dio, in ' *Vedi il Ragionamento Primo della Giornata Seconda dello stesso Vasari, nel principio. * Fu de' primi, ma non il primo; giacché l'uso di formare i volti dei cada- veri pare che fosse più antico. Sussiste infatti nell' uffizio dell' Opera di Santa Maria del Fiore la eÉBgie del Brunelleschi fatta in tal modo, quando il Verrocchio aveva quattordici anni. Però ha detto bene il Vasari poco sopra, che tal uso cominciò al tempo suo. (Bottari). • Ciò accadde 1' anno 1478 il 26 d' aprile. Leggasi il Commentario d'Angelo Poliziano De Conjuratione Pactiana. 374 ANDREA DEL VERROCCHIO molti luoghi rimagine di lui. Onde Orsino, fra l'altre, con l'aiuto ed ordine d'Andrea, ne condusse tre di cera grandi quanto il vivo, facendo dentro l'ossatura di le- gname, come altrove si è detto,' ed' intessuta di canne spaccate, ricoperte poi di panno incerato, con bellissime pieghe e tanto acconciamente, che non si può veder me- glio, ne cosa più simile al naturale. Le teste poi, mani e piedi fece di cera piti grossa, ma vote dentro, e ritratte dal vivo e dipinte a olio con quelli ornamenti di ca- pelli ed altre cose, secondo che bisognava, naturali e tanto ben fatti, che rappresentano non più uomini di cera, ma vivissimi, come si può vedere in ciascuna delle dette tre; una delle quali è nella chiesa delle monache di Chiarito, in via di San Gallo, dinanzi al Crucifisso che fa miracoli. E questa figura è con quell'abito appunto che aveva Lorenzo , quando, ferito nella gola e fasciato, si fece alle finestre di casa sua, per esser veduto dal po- polo che là era corso per vedere se fusse vivo, come disiderava, o se pur morto per farne vendetta. La se- conda figura del medesimo è in lucco, abito civile e proprio de' Fiorentini ; .e questa è nella chiesa de' Servi alla Nunziata, sopra la porta minore, la quale è accanto al desco dove si vende le candele. La terza fu mandata a Santa Maria degli Angeli d'Ascesi, e posta dinanzi a quella Madonna; nel qual luogo medesimo, come già si è detto, esso Lorenzo de' Medici fece mattonare tutta la strada che cammina da Santa Maria alla porta d' Ascesi, che va a San Francesco ; e parimenti restaurare le fonti che Cosimo suo avolo aveva fatto fare in quel luogo.' Ma tornando alle imagini di cera, sono di mano d'Orsino, nella detta chiesa de' Servi, tutte quelle che nel fondo hanno per segno un 0 grande con un E. dentrovi, ed ' *Neir Introduzione, eap. ii della Scultura. " Queste figure votive sono tutte perite; egualmente che quelle nominate più sotto, che erano nella chiesa de' Servi. ANDREA DEL VERRO CCHIO 375 una croce sopra; e tutte sono in modo belle, che pochi sono stati poi che l'abbiano paragonato. Quest'arte, anco- raché si sia mantenuta viva insino attempi nostri, è non- ,dinieno piuttosto in declinazione che altrimenti, o perchè sia mancata la divozione, o per altra cagione che si sia. * Ma per tornare al Verrocchio, egli lavorò, oltre alle cose dette, Crucifissi di legno ed alcune cose di terra: nel che era eccellente; come si vide ne' modelli delle storie che fece per l'altare di San Giovanni, ed in al- cuni putti bellissimi, e in una testa di San Girolamo, che è tenuta maravigliosa. È anco di mano del medesimo il putto dell' orinolo di Mercato Nuovo , che ha le braccia schiodate in modo che, alzandole, suona Tore con un mar- tello che tiene in mano : il che fu tenuto in que' tempi cosa molto bella e capricciosa.* E questo il fine sia della Vita d'Andrea Verrocchio, scultore eccellentissimo. Fu ne' tempi d'Andrea, Benedetto Buglioni, il quale da una donna, che usci di casa Andrea della Robbia, ebbe il segreto degl'invetriati di terra: onde fece di quella maniera molte opere in Fiorenza e fuori: e par- ' *« Noi siamo certi che i primi voti esposti al pubblico, grandi come eì « dice al naturale, come quelli che oggi restano nel chiostro della SS. Nunziata, « furon quelli che s' esposero nell' oratorio di Orsanmichele avanti quella Imma- « gine della Madonna che fu la prima in Firenze che per i suoi gran miracoli « vi tirò alla venerazione tutto il popolo, e che per la gran quantità de' voti « s'ebbe a decretare che non a tutti si potesse fare il volto in figura, ma sola- « mente ai soli capi e principali della Repubblica, come dai decreti pubblici e « di que' tempi apparisce nelle Riformagioni. Onde fra molti professori di far « voti di uomini ritratti al naturale, alti quanto il vivo, colle teste e mani di « cera colorite, con capelliere, vestimenti, fogge ed ogni altro ornamento alla « usanza di quei tempi, fu Jacopo Benintendi e di poi Zanobi suo figliuolo e « Orsino suo nipote, ed altri della medesima famiglia, detti per questo Fallima- « gini 0 del Cerajuolo^ invece di Benintendi. Dimodoché molto prima che il « Verrocchio nascesse, e molto più il predetto Orsino, era già in uso il far voti « a quella foggia che dirsi poteva, in que'lor tempi, antica ». (Del Migliore, Riflessioni al Vasari, ms. Magliabechiano più volte citato). * t Abbiamo già detto altrove (tom. II, pag. 184, nota 1) che il Cristo ri- sorto nella chiesa de' Servi non fu fatto dal Buglioni, ma da Agostino di Antonio di Duccio, e che l'opera del Buglioni era invece collocata nell'orto, e rappre- sentava Cristo che cava i Padri dal Limbo. 376 ANDREA DEL YERROCCHIO ticolarmente nella chiesa de' Servi, vicino alla cappella di Santa Barbara, un Cristo che resuscita, con certi An- geli; che, per cosa di terra cotta invetriata, è assai bel- r opera/ In San Brancazio fece, in una cappella, un Cristo morto; e sopra la porta principale della chiesa di San Pier Maggiore, il mezzo tondo che vi si vede. Dopo Bene- detto, rimase il segreto a Santi Buglioni, che solo sa oggi lavorare di questa sorte sculture/ ' 'Queste opere sono perdute. Non esiste più né l'orologio né il putto. ^ *Di Benedetto Buglioni abbiam parlato nelle note alla Vita di Luca delia Robbia (tom. II, pag. 184, nota 1). Il Vasari torna a far menzione di lui nella Vita di Fra Bartolommeo da San Marco ; e parla di Santi Buglioni nelle altre del Tribolo e del Buonarroti. t Intorno a Santi noi diremo, che esso fu chiamato de' Buglioni, non perchè fosse figliuolo di Benedetto Buglioni, come i più hanno fino ad ora creduto, ma per essere stato suo discepolo; e fu l'ultimo che lavorasse in Firenze di terra cotta invetriata, secondo la pratica dei Della Robbia. Nacque costui ne' primi anni del secolo xvi da Michele di Santi linajuolo, che appartenne alla famiglia de'Viviani, e fu il tri tavolo del celebre matematico Vincenzo Viviani, scolare e biografo del gran Galileo. Imparò dunque Santi a fare di terra e d' invetriati dal detto Buglioni, e dopo la morte di lui tornò con Niccolò detto il Tribolo, scul- tore, e rajutò tra l'altre cose a condurre la figura a cavallo di Giovanni de' Me- dici detto delle Bande Nere, che fu posta sulla Piazza di San Marco nell'appa- rato per le nozze del duca Cosimo I de' Medici con Eleonora di Toledo. Fece poi per quello delle nozze del granduca Francesco con Giovanna d'Austria, in compagnia di Lorenzo MarignoUi, alcuni putti, capricorni e teste di terra e di cartapesta messe a stagnuolo per ornamento de' festoni di verzura del cortile del Palazzo Vecchio. Nelle solennissime esequie celebrate in San Lorenzo dall'Acca- demia del Disegno per onoranza di Michelangelo Buonarroti, lavorò Santi il ri- tratto di terra di quel grande artefice. Parimente nel 1552 e 1553 condusse di terra cotta senza invetriare, e secondo il disegno del Tribolo, i fregi del pavi- mento della Libreria di San Lorenzo, e quelli di alcune delle nuove stanze del Palazzo Vecchio, allora residenza del duca Cosimo, che rispondono dalla Log- gia del Grano. Pei monaci di Badia, ad una loro chiesa detta della Croce del- l'Alpe presso Cutigliano nella montagna pistojese, lavorò nel 1553 due tavole in bassorilievo di terra cotta invetriata; facendo nell'una un Cristo morto in grembo alla Madre, a' piedi del quale è santa Maria Maddalena, a capo san Giovanni Evangelista, ed ai lati san Michele Arcangelo esant'Elena a man destra, ed a man sinistra san Benedetto e sant'Antonio; e nell'altra tavola un Crocifisso at- torniato dagli strumenti della Passione. Erano pure di sua mano alcune figurette di terra nel ciborio dell'aitar maggiore della Nunziata< lavorato di legname nel 1546 da Giuliano e Filippo di Baccio d'Agnolo Baglioni. Mori Santi, già vecchio, a' 27 di novembre del 1576, lasciando Michelangelo suo figliuolo, il quale non pare che seguitasse l' arte paterna. *Le opere di terra invetriata qui nominate non sono più. E qui, a propo- sito del segreto delle terre cotte invetriate, cade in acconcio di pubblicare una ANDREA DEL VEHROCCHIO 377 ricetta del secolo xvi, da noi trovata nell' esaminare i Disegni Architettonici che si conservano nella Galleria degli Uffizj. Essa è nel voi. Il, n° 205, a fol. 77» insieme con una memoria dell'inondazione del Tevere avvenuta il di 8 ottobre 1530, e due altre ricette per mettere lo vino in fresco e per far tornare Io- mestruo alle donne sterili. La ricetta degl' invetriati dice cosi : Per lavorare di terra come quella della Robbia, bisogna torre belletta di fiume, e dipoi me- sticarci dentro del liso, altrimenti crepa. Liso domandano quella rena che st trova immediate sotto la belletta, quale è una rena morbida; e così non crepa. Sebbene questa ricetta parli solo dell'impasto della terra, e non del composto della vetrina che la ricopriva, che è veramente quella parte del segreto oggi per- duta; tuttavia può essere di qualche importanza ed utilità a chi volesse studiare al ritrovamento di quell'arte. Forse per gli antichi era un segreto l' impasto- delia terra, che oggi, per noi, è una cosa nota, agevole e più perfetta; e, per contrario, noi ignoriamo ciò che allora era palese a tutti, cioè il composto delie- vetrine. 379 se?* ^ a H -< _ ej a — tB (N o g g - ^ •agg w «;;; tó 2-H Q °in Z = 2 e 03 Q «1 381 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI ANDREA DEL VERROCCHIO 1435. Nasce Andrea da Michele di Francesco de' Cioni, 1453. È assoluto dall' omicidio commesso per disgrazia nella persona di Antonio di Domenico lavorante di lana, colpendolo con un sasso nella tempia. 1457. Sua prima portata al Catasto. 1467, 19 gennajo. Consiglia intorno alla palla della cupola di Santa Maria del Fiore. 1468, 10 settembre. Gli è allogata la palla per la detta cupola. 1468, 2 dicembre. È uno degli artefici chiamati a stimare il prezzo del bottone fatto per la palla suddetta. 1471. Getta la detta palla. 1472. Finisce la sepoltura di bronzo di Giova;nni e Piero de' Medici in San Lorenzo. 1473. È chiamato a Prato per lodare sopra il lavoro di scultura fatto nel pergamo del Duomo da Mino di Giovanni e da Antonio Rossellino. 1474. Presenta il modello "per il monumento del cardinale Forteguerri di Pistoja. 1474. Fa una campana di bronzo, lavorata a bassorilievi con figure ed ornati, all'abazia di Montescalari. 1476, Fa il David di bronzo, ora nel Museo Nazionale di Firenze. 1477, circa. Fa d'argento, in una delle teste del dossale di San Giovanni, la storia della Decollazione del Battista. 1478, circa. Comincia le due statue di bronzo di San Tommaso che cerca la piaga a Cristo, per il tabernacolo d' Orsanmichele. 382 PROSP. CRONOL. ECC. DI A. DEL VERROCCHIO 1479. Il Senato veneto ottiene di erigere una statua equestre di bronzo al capitano Bartolommeo Colleoni. 1471-1484. Per ordine di Sisto IV fa in Roma alcuni Apostoli ed altre argenterie per la cappella del papa. In questo tempo , dice il Vasari, morì in Roma la moglie di Francesco ( Giovanfrancesco ) Tornabuoni, per la quale scolpì il monumento in Santa Maria sopra Minerva. (Vedi nota 1 a pag. 360). 1483. Finisce le suddette due statue di bronzo. 1485. Getta artiglierie per l'Ufficio de' Dieci della Guerra. 1488. Muore a Venezia, lasciando imperfetto il monumento di Barto- lommeo Colleoni. 'Ó^'S ANDEEA MANTEGNA (*) PITTORE MANTOVANO (Nato nel 1431 ; morto nel 1506) Quanto possa il premio nella virtù, colui che opera virtuosamente, ed è in qualche parte premiato, lo sa; (*) Nel progresso di questo lavoro illustrativo e è avvenuto talvolta di do- verci rammaricare che per alcune Vite di artefici né i buoni libri a stampa , né le informazioni avute dagli amici sieno state sufficienti a sciogliere i no- stri dubbj , e a rendere le nostre illustrazioni così piene ed esatte, come noi avremmo voluto : onde sovente siamo rimasti col desiderio di avere qualcuno che si fosse dedicato con studio speciale alle ricerche artistiche del tale o tal altro paese, di questo artefice e di queW altro. La Vita del Mantegna è una di quelle che ci avrebbe dato maggior fatica e difficoltà, senza speranza di buon esito, perchè e' bisognava esser della patria sua, e aver veduto il gran- dissimo numero di opere che nella pittura, nell'intaglio e nel disegno egli produsse; le quali, oltre ciò, non sono tutte raccolte in patria né in Italia, ma si trovano sparse e in Inghilterra e in Francia e in Germania. La nostra buona ventura però ha voluto che si trovasse in Firenze quel dotto artista e sapiente scrittore che del Mantegna aveva preparato , con lunghi studj , inde- fesse ricerclie e viaggi apposta, un lavoro biografico in ogni sua parte com- piuto : lavoro che la generosa modestia del suo autore, piuttostoché stamparlo da sé, in un libro, ha voluto donare a noi pel nostro Vasari, spezzandolo e cavandone tante note al testo del Biografo Aretino; e il taciuto da lui, rac- cogliendolo in un Commentario. L'uomo, a cui per noi si deve gratitudiìie pìer- petua, è il marchese Pietro Estense Selvatico di Padova, mercé il cui mano- scritto sulla Vita e sulle opere di A. Mantegna, questa del Vasari s'illustra in ogni sua parte, in m.odo da non lasciar nulla a desiderare. In questa Vita pertanto abbiamo volentieri ceduto all'amico nostro di farsi illustratore egli stesso; e siamo sicuri che i nostri lettori gliene avranno queW obbligo stesso che noi pubblicamente gli professiamo. I Compilatori. t Ristampando questo bello e dotto lavoro dell' illustre marchese, noi abbiamo creduto opportuno di aggiungervi poche note che schiariscono alcuni fatti della vita dell'artefice padovano, desunte dai recentissimi scritti stati pub- blicati in Italia e fuori. ' Si è disputato un tempo se il Mantegna fosse mantovano o di Padova. Sono oggimai dileguate le incertezze su tal proposito; e colla testimonianza d'ir- 384 ANDREA MANTEGNA perciocché non sente ne disagio ne incommodo ne fatica, quando n'aspetta onore e premio; e, che è più, ne di- viene ogni giorno più chiara e più illustre essa virtù. Bene è vero che non sempre si trova chi la conosca e la pregi e la rimuneri, come fu quella riconosciuta d'An- drea Mantegna; il quale nacque d'umilissima stirpe nel contado di Mantoa; ' ed ancora che da fanciullo pascesse gli armenti, fu tanto inalzato dalla sorte e dalla virtù, €he meritò d' esser cavaliere onorato ^ come al suo luogo si dirà. Questi, essendo già grandicello, fu condotto nella 'Città; dove attese alla pittura sotto Iacopo Squarcione, pittore padoano ; ' il quale , secondo che scrive in una sua refragabili documenti è stato messo in chiaro che l'onore d' aver dato i natali a questo celebre artefice appartiene a Padova. Vedi Testimonianze intorno alla Patavinità d'Andrea Mantegna di Pietro Brandolese. Padova 1805. — 'Anche l'ab. Gennari lasciò inedita una Memoria intesa a provare che il Mantegna fu padovano e non di Mantova. Questo lavoro, in cui stanno raccolte molte utili notizie sul nostro pittore e sulle arti padovane, fu stampato in Pàdova net 1829, ■e ristampato a Venezia nel 1834 col titolo : Notizie intorno alla patria di An- drea Mantegna , ed altre cose appartenenti a lui ed alla storia delle belle arti ■in Padova. ' Leggendo con attenzione il seguito di questa Vita, nasce il dubbio che il Vasari stesso, quantunque scrivesse Mantova, pure avesse intenzione dì nomi- nar Padova: infatti poco sotto narra, che dal contado, ove nacque Andrea, fu •condotto in città. Non dichiarando in quale, s'intende in quella prossima al con- tado. E in città che fece egli? Attese alla pittura sotto lo Squarcione. Ma lo Squarcione teneva scuola in Padova, non in Mantova. — * Nell'Archivio segreto di Mantova conservasi un istrumento del 1492, ove, trattando della vendita di certa casa appartenente al Mantegna, il nostro pittore è nominato cosi: Andreas Mantegna q. honorandi ser Blaccii. Ciò farebbe credere eh' egli né fosse di quella umilissima stirpe, da cui lo attesta uscito il Vasari, ne che occupasse l'età prima a pascere gli armenti; giacché in tal caso il notajo del citato istru- mento non avrebbe chiamato onorando e sere il padre di Andrea. Riflette però il Moschini ( Vicende ecc., pag. 33), che essendosi rogato quello strumento in Mantova, onde Andrea viveva onorato ed agiato, potevasi essere dato il titolo di sere al padre in grazia del figliuolo, di cui ignoravansi gli umili natali. . ^ * Forse qui deve dire aurato, perchè, innanzi tratto, quell'onorato cosi posto, od é inutile o non ha senso; poi lo stesso Mantegna si soscrisse nei freschi della cappella d'Innocenzo Vili Eques auratae militiae. (V. nota 1 a pag. 172). ' Chiamavasi Francesco e non Jacopo. Ci fu uno Squarcione nominato Ja- copo: ma di costui altro non sappiamo se non che parteggiò per Marsilio figlio dell'espulso Francesco da Carrara signor di Padova, e che perciò fu impiccato. — * Francesco Squarcione nacque in Padova nel 1394 da un Giovanni di Fran- ANDREA ..MANTEGNA 385 -epistola latina messer Girolamo Campagniiola' a mes- ser Leonico Timeo, filosofo greco ,^ nella quale gli àk no- tizia d'alcuni pittori vecchi che servirono quei da Car- rara, signori di Padova; il quale Iacopo se lo tirò in casa, ■e poco appresso, conosciutolo di bello ingegno, se lo fece figliuolo adottivo."* E perchè si conosceva lo Squarcione non esser il più valente dipintore del mondo,* acciocché Andrea imparasse più oltre che non sapeva egli, lo eser- citò assai in cose di gesso formate da statue antiche, <;esco, notajo, per quanto ne dice Io Scardeone { fol. 371), addetto alla corte dei principi carraresi. Francesco mori pure in Padova nel 1474. Di questo ar- tista, tanto celebrato per la scuola di pittura ch'egli aveva istituita in patria, parlarono, il citato Scardeone, Antiq. Patav., fol. 371, il Ridolfì nelle Vite dei Pittori Veneziani, ed il Moschini nel più volte citato libro Vicende , 2i pag. 26 « seg. Più copiose notizie di lui e dei pochi lavori che ancora ci rimangono, possono trovarsi in un opuscolo da me pubblicato in Padova nel 1839 col titolo: Francesco Squarcione. stitdj storico-critici. V aggiunsi tre incisioni: l' una è il ritratto dello Squarcione, cavato dai freschi del Mantegna agli Eremitani di Pa- dova; l'altre due furono da me disegnate sulle due opere certe che ancora ci restano di Francesco, conservate entrambe nella famiglia Lazzara di Padova, ■detta di San Francesco. ' Girolamo Campagnuola, scrittore di varie operette latine e italiane, fu inol- tre, secondo alcuni, pittore della scuola dello Squarcione, e secondo altri anche scultore: ma questi ultimi probabilmente lo confondono con Girolamo Campagna scultore veronese. L' ab. Zani per altro nella sua Enciclopedìa ecc.. Par. I, Tom. V, nota 33, pag. 318, muove dubbj intorno all'essere egli stato artefice. Ebbe un iìglio di nome Giulio, valente incisore, miniatore, e letterato anch'esso. * Niccolò Leonico Tomeo, non Timeo, era veneziano, d'origine albanese. Studiò il greco in Firenze sotto Domenico Calcondila; fu professore di lettere greche in Padova, e tradusse da quell'idioma varie opere scientifiche. Si segnalò per dottrina e probità. La lettera scrittagli dal Campagnola è perduta. ' *Dal libro della Fraglia de' Pittori, che conservasi nell'Archivio del Co- mune di Padova, si rileva come Andrea fosse stato adottato a figlio dallo Squar- cione prima che compiesse gli anni dieci, e che in quell'età sì tenera era cosi istrutto neir arte da poter entrar nella Fraglia. Colà sta scritto : 1441. Andrea fiuolo de M. Francesco Squarcion depentore. Potrebbesi sospettare che quest'An- drea non fosse il Mantegna, se con un simile nome adottivo non lo vedes- simo nominato dipoi negli stessi atti della Fraglia ed in quelli di parecchi notaj. Anche il Quadrio ci assicura {Storia ecc., tom. VII, fol. 101) che in un mano- scritto da lui veduto, fra parecchi sonetti, ve n'era uno di certo poeta Ulisse, cosi intitolato : Vlixes prò Andrea Mantegna dicto Squarsono prò quadam Moniali. * Se Francesco Squarcione non fu il primo pittore del suo tempo, fu senza dubbio il più abile ad ammaestrare i giovani nell'arte sua, onde fu chiamato il Padre de' Pittori. Egli formò 137 allievi. Vasari, Opere. — Voi \\l. 23 386 ANDREA MANTEGNA ed in quadri di pitture, che in tela si fece venire di di- versi luoghi, e particolarmente di Toscana e di Roma.' Onde, con questi sì fatti ed altri modi, imparò assai Andrea nella sua giovanezza. La concorrenza ancora di Marco Zoppo bolognese," e di Dario da Trevisi,' e di Niccolò Pizzolo padoano, discepoli del suo adottivo padre e maestro, gli fu di non piccolo aiuto e stimolo all'im- parare. Poi, dunque, che ebbe fatta Andrea allora che ' Egli aveva percorso l'Italia e la Grecia, dappertutto disegnando ciò che di sculto 0 dipinto incontrava degno d'essere studiato. Acquistò eziandio vari oggetti d'antichità; ed altri ne fece formare di gesso per averli presso di sé. Arric- chito cosi il proprio studio d'eccellenti esemplari, potette egli gettare nei suoi scolari i primi semi del bello stile che poi condusse l'arte alla perfezione. «Egli è, dice il Lanzi, quasi lo stipite, onde si dirama per via del Mantegna la più grande scuola di Lombardia, e per via di Marco Zoppo la bolognese; ed ha sulla ve- neta stessa qualche ragione, perciocché Jacopo Bellini venuto in Padova ad ope- rare, par che in lui si specchiasse». — *A me pare in parte errata questa os- servazione del Lanzi, perchè la- scuola lombarda venuta dopo il Mantegna nulla ritiene della sua maniera, e quella di Bologna non rivela l' influenza dello Zoppo, sé non in qualche artista di second' ordine. Questa influenza di Marco io lo rav- viso piuttosto nei Ferraresi, alcuni de' quali s'avvicinano in modo al suo stile, da doverli tenere allievi od almeno imitatori di lui. Tali sono Francesco Cossa e Lorenzo Costa. Questi però potrebbero aver avuto a maestro Tura, detto il Cosmè, il quale è anch' egli affatto squarcionesco nel piegare de' panni e nelle secche minuzie del segno. Piuttosto potrebbesi sospettare che lo Zoppo trovasse molti imitatori nelle Romagne, ove il fare dello Squarcione si vede assai più dif- fuso che altrove : ma è da riflettere che colà avea stanza quel valentissimo Melozzo da Forlì, il quale ebbe pennello tanto conforme a quello del Mantegna, da far credere a buon diritto che derivasse anch' egli dalla scuola dello Squarcione. ^. * Marco Zoppo operò fra il 1468 ed il 1498, e, secondo il Malvasia (Fel- Sina Pittrice, ediz. del 1841, pag. 37) fu allievo di Lippo Dalmasio. Quando per altro ben si guarda alla sua maniera, parmi si veda chiaro come egli si edu- casse alla scuola dello Squarcione. Questo fatto, asserito anche dal Vasari, acquista maggiore conferma dal modo con cui lo Zoppo poneva il suo nome ne' suoi dipinti. In una tavoletta da lui condotta, che sta nella galleria Manfrin a Venezia, è scritto: Opera del Zoppo di Squarcione, volendo così indicare come egli fosse allievo di quel maestro. È una tempera figurante la Vergine col Bambino, intorno a cui scherzano in gaje movenze alcuni angioletti. t A Parigi presso il principe Girolamo Napoleone è una tavoletta con la Madonna in trono che tiene il Bambino sulle ginocchia. A' suoi lati sono i santi Lodovico, Francesco, Girolamo, Bernardino e Antonio da Padova e un vescovo. Ne' pilastri del trono della Vergine si legge: Madonna del Zapo di Squarciane. ' Dario da Trevigi non ha lasciato gran nome di sé. Scrive il Lanzi che in San Bernardino di Bassano può vedersi a fronte del Mantegna, e conoscersi quanto gli ceda. — *In San Bernardino di Bassano non vi fu mai nessuna opera del Man- tegna. Vero è che il Verci {Notizie de' Pittori Bassanesi, Venezia 1772, pag. 22) ANDREA MANTEGNA 387 non aveva più che diciassette anni, la tavola dell'aitar maggiore di Santa Sofia di Padoa/ la quale pare fatta da un vecchio ben pratico e non da un giovanetto; fu allogata allo Squarcione la cappella di San Cristofano, che è nella chiesa de' Frati Eremitani di Sant' Agostino in Padoe,, la quale egli diede a fare al detto Niccolò Pizzolo ed Andrea.^ Niccolò vi fece un Dio Padre che siede in maestà, in mezzo ai Dottori della Chiesa; che attribuisce al Mantegna un San Sebastiano ed un San Bassano dipinti sopra l'al- tare di San Rocco nella citata chiesa; ma dagl'intelligenti quell'opere non l'u- 'rono tenute mai come del Mantegna. t Dario da Trevigi è ricordato sotto l'anno 1446 come discepolo di Squarzon, ne' libri di spese della chiesa del Santo. La tavola che era in San Bernardino di Bassano, ora si vede nella Galleria pubblica di questa città. Rappresenta la Ma- donna della Misericordia che copre col suo manto molti devoti. A' suoi lati sono san Giovan Batista « san Bernardino da Siena. Pittura molto meschina, e guasta dai ritocchi. Ha gli avanzi d'una sottoscrizione, che secondo il Verci era Da- rius p: . Dì lui sono alcune facciate dipinte di case in Seravalle, Conegliano e Treviso, colle date 1469 e 1470, ed il suo nome. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, op. cit., I, pag. 350 e seg. ). ' * Sotto questa tavola stava scritto Andreas Mantinea patavinus ann: septem et decem nalus, sua manii pinxit 1448. (Scardeone, op. cit, fol. 372). Tale iscrizione ci fa quindi conoscere come il Mantegna fosse nato nel 1431. Questo dipinto andò perduto; l'ultima memoria che ne abbiamo, trovasi nella Descrizione delle pubbliche pitture di Padova, fatta da un anonimo sul finire del secolo xvii, manoscritto ch'era posseduto dal chiarissimo ab. Morelli, cu- stode della Marciana. Ignoriamo il soggetto del citato dipinto; per altro il Ma- gagnò { Gio. Batista Maganza) , che nelle sue Rime in lingua rustica somma- mente loda quest'opera, ci dice che vi primeggiava la Vergine. (Gap. iv, pag. 98, ediz. ven. 1659). - *Questa cappella, tanto illustre pei dipinti del Pizzolo, del Mantegna e di altri discepoli dello Squarcione, appartenne alla famiglia degli Ovetari, antica fra le padovane, fino a che l'ultimo superstite d'essa, Antonio, legolla a Jacopo Leoni con testamento de' 5 gennajo 1443, che ancora conservasi nell'archivio di quest'ultima casa. In tale atto il testatore impone all'erede l'obbligo di ornare la predetta cappella con istorie dei santi Cristoforo e Jacopo subito dopo la sua morte, e di spendere a tale uopo 700 ducati d'oro. (Vedi la Guida di Padova pegli Scienziati, 1842, pag. 217 e seg.). I freschi che l'adornano non furono per altro dipinti se non parecchi anni dopo il tempo sopra indicato; imperocché sappiamo che lo Squarcione si sdegnò col Mantegna, quando stava colorando là dentro, perchè s'impalmò colla figlia di Jacopo Bellini. È probabile che il Man- tegna conoscesse questa giovane solo quando Jacopo coi due figli Giovanni e Gentile erano venuti a Padova ad ornar di pitture la cappella del Gattamelata (adesso del Sacramento) al Santo. Ora, dalla iscrizione che stava sotto quelle pitture, oggi distrutta (iscrizione che ci fu conservata dal Padre Polidoro nelle sue Religiose memorie della chiesa del Santo), si rileva come i Bellini compis- 388 ANDREA MANTEGNA furono poi tenute non manco buone pitture, che quelle che vi fece Andrea/ E nel vero, se Mccolò che fece poche cose, ma tutte buone, si fusse dilettato della pittura quanto fece delVarme, sarebbe stato eccellente, e forse molto più vivuto che non fece: conciofussechè, stando sempre in sull' armi ed avendo molti inimici, fu un giorno, che tornava da lavorare, affrontato e morto a tradimento. Non lasciò altre opere, che io sappia, Niccolò; se non un altro Dio Padre nella cappella di Urbano Perfetto.' Andrea, dunque, rimaso solo, fece nella detta cappella i quattro Vangelisti, che furono tenuti molto belli.' Per sero quest'opera nel 1459, non nel 1409, come dice nelle note all'Anonimo il Morelli, ricopiando il Padre Polidoro. Il Vasari poi ci avverte che il Mantegna, mentre faceva questa cappella, dipinse anco una tavola che fu posta in Santa lu- stina all' aitar di San Luca. Ora questa tavola fu condotta, come proverò in appresso (notai, p. 392), fra il 1453 e il 1454. Da tutti questi fatti può quindi de- dursi che il Mantegna dipingesse nella cappella degli Eremitani fra il 1453 e il 1459. ' *I1 fresco del Pizzolo, posto dietro l'altare di questa cappella, rappresenta la Vergine assunta in cielo, circondata da molti angioletti. Al piano stanno gli apostoli, nella volta il Dio Padre accerchiato anch'esso da angeli. Le figure de- gli apostoli sono danneggiate per modo, che alcuue sparirono del tutto; il resto è bastevolmente conservato. Lo stile di tutta l'opera s'accosta di molto al primo fare del Mantegna, sennonché la proporzione delle figure è alquanto più lunga di quello soleva tenerla Andrea, e nelle pieghe vi son angoli più aspri, ed un girare più artificioso. Questo pregevole dipinto fu assai male inciso da Francesco Novelli sopra un pessimo disegno di certo Luca Brida, misero imbrattatele del- l'ultimo secolo. Questa stampa dovea servire per la Padova Pittrice, libro pro- messo per tanti anni dal fu ab. Francesconi, e mai neppur cominciato a scrivere. ^ *Qui il Vasari ripete un errore già uscitogli dalla penna anche nella Vita di Vittore Carpaccio, parlando delle opere del Guariento. Invece di dire nella cappella del Prefetto Urbano, cioè della città, scrisse di Urbano Perfetto, quasi fosse un nome proprio. Simile svarione gli venne di certo da storta interpe- trazione del latino, giacche avendo cavate le notizie del Guariento, come quelle del Pizzolo, dalla citata lettera latina di Girolamo Campagnuola, tradusse Pre/ectMS Urbanus, nel modo sopra indicato. La pittura qui accennata dal Vasari andò di- strutta, quando quella cappella venne atterrata. Un misero avanzo d' altro lavoro del Pizzolo vedevasi, anni sono, sulla facciata di una casa che formava angolo vi- cino alla Piazza de' frutti in Padova. Ravvisavansi a mala pena i resti di due spar- timenti storiati. Nei capitelli di due pilastri dipinti leggevasi : Opus Nicoleti. Il tempo avea fatto tali guasti a quest'opera, che non era più possibile ravvisare in- tera nessuna figura: non fu quindi grave danno all'arte l'atterrare quell'intonaco. ' Gli Evangelisti son dipinti nel cielo della cappella. 1 È opinione che questi Evangelisti non sieno del Mantegna, ma piuttosto
  • de' Sanbonifacj ed ora è dei signori Toscani, in via della Scala ; ma parmi evidente- che quest' opera appartenga invece ad un imitatore del Mantegna, e non troppo^ valente. Tutti gli scrittori delle arti veronesi affermano che il Mantegna fece anche un Gesù bambino a fresco di grandezza naturale, che sino a qualche anno fa vede-^ vasi nel chiostro di San Zeno maggiore. Ora è perito, essendo per l'umido ca- duto l'intonaco. Credo ce ne sia una incisione a contorni, che dovea far parte della citata opera del Francesconi, Padova pittrice. ' Alcuni credono che questa tavola sia quella stessa ora posseduta dalla fa- miglia Trivulzi di Milano, di cui parlerò nel Commentario; ma l'anno 1497 che sta scritto in essa, non si accorda col tempo in cui il Mantegna lavorava in Verona. (Vedi Moschini, op. cit. , pag. 39). Il Dal Pozzo ( Vite de' Pittori Ve- ronesi. Verona 1718, pag. 247) dice che in Santa Maria in Organo nella terza cappella era vi a' suoi tempi una tavola del Mantegna esprimente la Vergine in trono in mezzo a san Bartolommeo e san Zeno, e sotto tre angioletti in atto di suonare e cantare; ma che il Vasari, nella Vita di Fra Giocondo, la dice di Girolamo dai Libri. t Che il Mantegna dipingesse la tavola per Santa Maria degli Organi nel 1497, non è dubbio, per le memorie di questo lavoro che noi traemmo dal libro di spese del monastero di Santa Maria degli Organi dal 1493 al 1509 che si conserva nell'uffìzio dell'Ispettore del Demanio in Verona. Le dette memorie dicono cosi sotto l'anno 1496: « A di dito (8 ottobre) In uno paro di fasani» « uno paro di quaternise (coturni\:i) e tordi lire doe sol. 10 per presentare a « mis: Andrea. A di dito (26 ottobre) Spesi ducati undexe in oncie doe de azur» « ultra marino e ducati doi in oro masenà e marcheti 8 in una capa (conchi- « glia) per metere oro per m. andrea Mantegna per la nostra tavola. A dì dita « (10 novembre) Spesi in una lepre e tordi per presentare al Mantegna, sol. 25» 394 ANDREA MANTEGNA e similmente quella di San Zeno:^ e fra l'altre cose, stando in Verona, lavorò e mandò in diversi luoghi ; e n'ebbe uno abbate della Badia di Fiesoli, suo amico e parente, un quadro, nel quale è una Nostra Donna dal mezzo in su-, col Figliuolo in collo, ed alcune teste d'An- geli che cantano, fatti con grazia mirabile; il qual qua- dro è oggi nella libreria di quel luogo, e fu tenuta allora e sem-pre poi come cosa rara.^ E perchè aveva, mentre « e a fra Zuane (il celebre Giovanni da Verona) grossi tre andò a mantoa E a « dì dito (22 dicembre) dati a fra Zuane da Verona soldi 19 per comperar dei « vasi per portar olive e composte al Mantegna ». ' *La tavola, o meglio l'ancona dell' aitar maggiore di San Zeno, fu, come tanti altri insigni dipinti italiani, portata dai Francesi a Parigi nel 1797, e resti- tuita nel 1814 al suo sito antico. Tornarono i soli tre spartimenti superiori, e con tale indosso un impiastro di velature e di olj cotti, che ne andò offuscata gran parte della originale bellezza. Lo spartimento dei mezzo rappresenta la Ver- gine in trono, attorniata da angioletti. I due laterali offrono santi e sante che fanno corteggio a Nostro Signore. L' architettura del campo è combinata in modo , da esser comune a tutti e tre gli spartimenti, ed offre una specie di cortile a pilastri isolati ornatissimi che reggono un cornicione, nel cui fregio sono di- pinti a chiaroscuro, simulante un bassorilievo, graziosi putti alla maniera di Donatello. Il gradino di quest'ancona, che rappresentava la Preghiera al giardino degli Olivi, Cristo crocifisso fra i ladroni e la Resurrezione, rimase, a quello che pare, in Parigi, ma non è per altro al Louvre; se pure non ne fosse un pezzo quella Crocifissione piccola che adesso ammirasi in quel celebre Museo. Prima che fosse portata in Francia, fu incisa molto inesattamente a contorni da Giacinto Maina. Ne fece anche cavare una copia a olio il signor Benedetto Del Bene, let- terato veronese; la quale io credo si conservi ancora presso la famiglia di lui. t La tavola in San Zeno fu dipinta a spese del protonotario Gregorio Corraro eletto da Eugenio IV nel 1443 abate commendatario di quella chiesa. Si può credere che fosse fatta dal Mantegna tra il 1457 e il 1459. (Vedi Baschet, Gazette des Beanx Arts, 1 mai 1866). Delle storiette della predella, una, cioè la Crocifissione, rimase al Louvre, le altre due sono nel Museo di Tours. ^ * Questo quadro andò smarrito. Potrebbe darsi fosse quello stesso che il Ridolfi ci narra fosse a' suoi di presso lo stampatore Bernardo Giunti in Firenze, e che portava in mezze figure la Vergine col Bambino ed alcuni santi : ma neppur di questo sappiamo che sia avvenuto. (Vedi Commentario). Non è improbabile che il Mantegna stringesse amicizia coli' abate della Badia di Fiesole, quando venne in Firenze; la qual cosa accadde senza dubbio nell'anno 1466, come appare da una lettera dell'Aldobrandini a Lodovico Gonzaga de' 5 luglio di quell'anno, che esiste inedita nell'Archivio segreto di Mantova. È poi del pari probabile che questo abate fosse il celebre oratore sacro Matteo Bosso, che appunto sotto Lorenzo il Magnifico copri quella dignità nella predetta Badia. (Vedi Poliziano, De veris ac salularihus animi gaudiis. Firenze 1491). Il Bosso, come si rileva dagli stessi suoi scritti, era amicissimo del Mantegna, il quale gli fece il ritratto, quando il dotto scrittore si portò in Padova a leggere in quella Università. ANDREA MANTEGNA 395 dimorò in Mantoa, fatto gran servitù con Lodovico Gon- zaga marchese; quel signore, che sempre stimò assai e fa- vorì la virtù di Andrea/ gli fece dipignere nel castello di ' 'Lodovico Gonzaga, che tolse ai suoi stipendj il Mantegna, e che fu il terzo di questo nome ch'avesse signoria in Mantova, acquistò fama di valoroso capitano, di prudente reggitore dello Stato; promosse i buoni studj, introdusse il primo in Mantova V arte tipografica, e pose sua gloria a circondarsi di molti fra gli uomini d'ingegno che allora andavano girovaghi per le corti d'Italia, a permutare basse adulazioni coli' oro dei principi. Egli accolse quel sommo grecista del Guarino, e quel dotto pedante del Filelfo; e s'ebbe gl'incensi anche da Leon Batista Alberti, che in Mantova, come ognun sa, alzò la chiesa di Sant'An- drea. Il Mantegna stava senza dubbio a quella corte nell'anno 146S, perchè nei registri dell'Archivio secreto di Mantova è notato come in quel tempo egli fosse salariato a Lire 75 il mese, dopo di Michele di Pavia. Il principe gli fé poi dono di un fondo vicino alla chiesa di San Sebastiano, affinchè potesse fabbri- carvi su una casa: e in fatti in un angolo di quella si legge Super fimdo a Bo. L. Prin. op. dono dato An. C. 1476 And. Mantinea liaec fecit fiindamenta XV. Kal. Nov. Il Ridolfi ( Vita del Mantegna) racconta che il Mantegna avea tutta dipinta a fresco la predetta casa, ma che i Tedeschi nel memorabile sacco di Mantova del 1630 mandarono a male quelle pitture. t Nel giornale II Buonarroti, che si stampa in Roma (aprile 1869), fu pubblicata da noi una lettera del Mantegna a Lorenzo il Magnifico, scritta da Mantova a' 26 d'agosto 1484, nella quale lo richiede d'ajuto per condurre a fine la casa che aveva cominciato a fabbricare. Questa lettera fu poi riprodotta dai signori Crowe e Cavalcasene (I, 398). — Il punto che riguarda il tempo dell'an- data del Mantegna a Mantova ai servigj del marchese Lodovico, è stato chiarito ai nostri giorni dal Baschet, Gazette des Beano) Arts (1 mai 1866) e dal canonico W. BraghiroUi ( Giorn. d'Erudiz. Artist. di Perugia, I, p. 191) mediante nuovi documenti da loro scoperti nell'Archivio de' Gonzaga in Mantova. Il primo ac- cenno delle trattative passate per questo effetto tra il pittore e il marchese si ha in una lettera di quest' ultimo ai Mantegna del 5 gennajo 1447. Dopo un anno di silenzio scrive il marchese un'altra lettera il 15 aprile 1458 e per mezzo di maestro Luca Fancelli la manda al Mantegna dichiarandogli i patti della sua condotta; cioè provisione di 15 ducati al mese, casa per sé e per la fami- glia, tanto grano bastante a far le spese a sei bocche, e legna per suo bisogno. Di più promette di levare da Padova e porre a Mantova senza spesa, lui, la famiglia e le masserizie. E perchè il Mantegna richiedeva sei mesi di tempo prima di muoversi, per dar fine al lavoro che allora faceva pel protonotario Corraro, e ad altre sue faccende, il marchese non solo n'è contento, ma gli concede an- cora che non bastandogli sei mesi , ne j)igli pure sette o otto. Tuttavia nel di- cembre di quell'anno il Mantegna non era ancora comparso. Onde il marchese scrivegli di nuovo il 26 di quel mese, recapitando la lettera l'ingegnere Giovanni da Padova, per sollecitare la sua venuta. E domandando il Mantegna altra di- lazione di due mesi, il marchese gliela concesse. Passati due mesi e più ripete il marchese un'altra lettera a' 2 di febbrajo 1459. Pure non fu questo l'ultimo ritardo, attesoché messer Jacopo Marcello prega il marchese a voler contentarsi che il pittore dia l' ultima mano ad una operetta commessagli. Quanto all' opera del Protonotario suddetto è certo che nel giugno di quel medesimo anno non era finita. 396 ANDREA MANTEGNA Mantoa, per la cappella, una tavoletta, nella quale sono storie di figure non molto grandi, ma bellissime.* Nel medesimo luogo sono molte figure, che scortano di sotto in su, grandemente lodate; perchè sebbene ebbe il modo del panneggiare crudetto e sottile, e la maniera alquanto secca, vi si vede nondimeno ogni cosa fatta con molto artifizio e diligenza.^ Al medesimo marchese dipinse, nel Da tutti questi fatti si può dunque argomentare che l' andata dei Mantegna a Mantova accadesse o sul finire del 1459 o nel principio dell' anno seguente. Egli apparisce tra gii stipendiati del signore di Mantova nel maggio del 1463, e da una lettera del 25 ottobre del detto anno si prova che il marchese aveva pen- sato di mandarlo a lavorare nel palazzo di Goito, ' * Questo dipinto, accennato tanto indeterminatamente dal Vasari, potrebbe essere il trittico che ora forma non ultimo ornamento nella tribuna della Galleria di Firenze. Il fu direttore di quella cav. Tommaso Puccini, in una sua lettera all'ab. Lanzi, da Firenze, degli 8 giugno 1804, lettera che ora sta presso di me, dice che i tre spartimenti componenti il trittico predetto sono antichissimi nella Galleria, come dai vecchi inventarj risulta; ed aggiunge tener egli opinione, che Siena acquistati dalla casa Gonzaga nel tempo stesso che si acquistarono le antiche medaglie in oro incorporate poi nel medagliere Mediceo, e contrad- distinte da una medaglia con aquila. La parte in mezzodì quest'opera, mira- bile per colore e per diligenza squisita di sapiente pennello, rappresenta l'Adora- zione de' Magi, composizione pomposa per numero di figure, per ricchezza di vesti, e per infiniti accessorj, tanto sottilmente condotti, che pajono opera di mi- niatore. La storia a destra figura la Circoncisione; ed è osservabile soprattutto per l'architettura del campo, elegante, gaja, e tirata con rara perizia. La storia a sinistra presenta l'Ascensione di Gesù Cristo. Il vedere in questo trittico la proporzione delle figure tenuta un po' più lunga che non fosse solito fare il Mantegna, le estremità m«no forse delle sue corrette, alcuni degli Apostoli molto simili a quelli del Pizzolo agli Eremitani di Padova; altravolta mi con- dusse nel sospetto che il dipinto, su cui è discorso, fosse fatica bellissima di quest'ul- timo artista. Però con più attenzione confrontando ogni parte con altre opere indubbie del Mantegna, mi convinsi essere questo trittico di sua mano, ed averlo condotto con quella maniera di convenzione ch'egli spesso adottò, specialmente quando si metteva in animo d' imitare le svelte eleganze dei marmi antichi. Di una parte di mezzo del dipinto, cioè della Adorazione de' Magi, abbiamo un'in- cisione senza dubbio del Mantegna. Non v'ha di terminato se non la Vergine col Putto, i cherubini che le fanno corona, e quella parte di campo che fa fondo alle dette figure ; il resto non è che contornato. Potrebbe forse il Mantegna non averla finita, perchè sorpreso dalla morte. In tal caso andrebbe guardata come l'ultima delle sue incisioni. (Vedi il Commentario, pag. 435). Tutto questo trit- tico vedesi inciso a contorni nel tom. II della Prima Serie della Galleria di Fi- reme illustrata, tav. 77 e seg. ^ *I1 luogo qui accennato dal Vasari è quella vasta stanza del Castello, che il Ridolfi chiama la Camera degli sposi, e che ora serve di archivio notarile. I vasti freschi delle pareti e del soffitto, tuttoché soffrissero molti danni e pel ANDREA MANTEGNA 397 palazzo di San Sebastiano in Mantoa, in una sala, il trionfo di Cesare; che è la miglior cosa che lavorasse mai. In questa opera si vede con ordine bellissimo situato nel trionfo la bellezza e l' ornamento del carro , colui che vi- tupera il trionfante, i parenti, i profumi, gl'incensi, i sa- crifizi, i sacerdoti, i tori pel sacrificio coronati, e' prigioni, le prede fatte da' soldati, l'ordinanza delle squadre, i lio- ricordato sacco di Mantova, e per la lunga dimora che nel!' ultime guerre ten- nero e Tedeschi e Francesi in quella stanza, pure presentano ancora molti pezzi be- nissimo conservati. Nel primo spartimento a sinistra dell'angusta porta, per la quale si entra colà, stanno dipinti, in grandezza forse un po' eccedente il vero, alcuni servi colle assise Gonzaga, i quali tengono al guinzaglio parecchi cani ed un cavallo, forse quello ch'era solito montare il marchese Lodovico. Le teste di que' servi e le mani son colorite con una verità impareggiabile, e gli animali con una rara finitezza. Dopo questo dipinto viene una vasta porta che introduce ora nei varj ufficj notarili, ed un tempo negli appartamenti de' principi di Mantova. Sovra questa il pittore atteggiò in varie movenze nove putti che reggono la se- guente iscrizione: III. Ludovico II M. M. Principi optimo ac fide invictissimo El ni. Barbarae ejus Conjugi mulierum glor. Incompara bili Suus Andreas Mantinia Patavus opus Jioc tenue ad eorum decus absolvit. anno MCCCCLXXIIII Lo spartimento al di là della porta è uguale in dimensioni all'altro descritto, e ci porge il marchese Lodovico che va incontro al cardinale Francesco suo figlio, proveniente da Roma. Il marchese è circondato da tutti gli altri suoi figli ve- stiti alla foggia del tempo, e le teste manifestano un'accurata ricerca d'ogni accidente del vero, gli accessorj sono toccati colla più grande squisitezza. II campo ci mostra in lontano la citta di Roma. Questo fresco fu fatto disegnare ed incidere dal Litta per la sua insigne opera le Famiglie celebri d' Italia. Il fresco nella parete vicina, se meno degli altri ebbe a soffrire le ingiurie del sol- dato, patì però molto dal tempo, giacché è tanto annerito, che a mala pena se ne distinguono tutte le figure. Anche questo, come il precedente, può dirsi un quadro di ritratti di famiglia. Alla sinistra di chi osserva è il marchese Lodovico vestito di sfarzoso broccato, che seduto sopra ricca sedia a braccioli pare stia dando ordini ad un suo cortigiano. Nel mezzo del dipinto scorgesi, egualmente seduta, la moglie del Gonzaga, Barbara di Brandeburgo, ricoperta pur essa di splendide vesti. La circondano alcuni de' figli suoi, fra' quali spicca una bambina con una mela in mano. Varie persone d' ambo i sessi addette alla corte fanno co- rona ai loro signori. La bella figura al lato destro del dipinto mi pare ricordi i lineamenti del Mantegna, e potrebbe essere forse il suo ritratto. È molto anne- rito anche l'ultimo spartimento nella stessa parete. Rappresenta, se non m'in- 398 ANDREA MANTEGNA fanti, le spoglie, le vittorie, e le città e le ròcche in varj carri contraffatte, con una infinità di trofei in sulP aste, e varie armi per testa e per indosso, acconciature, or- namenti e vasi infiniti; e tra la moltitudine degli spet- tatori, una donna che ha per la mano un putto, al qual essendosi fitto una spina in un pie, lo mostra egli pian- gendo alla madre con modo grazioso e molto naturale.* ganno, il marchese Lodovico che si riconcilia col figlio Federico. Raccontano le storie mantovane che sapendolo il padre pazzamente innamorato di una plebea, voleva ad ogni costo condurlo a nozze più illustri. Federico, non potendo con- sentire a tale sagrificio, fuggì dalla casa paterna e riparò in Napoli. Sua madre Barbara non sopportò di aver lontano da lei il figlio forse più degli altri cara- mente diletto, e tanto pregò il marito, che questi, attutata la collera, accolse di nuovo il fuggiasco fra le sue braccia. Un tale punto volle, a mio credere, espri- mere il Mantegna effigiando Lodovico, il quale stende le braccia verso del gio- vane che gli si fa injcontro salendo alcuni gradini. Nel soffitto di questa stanza veggonsi disposti intorno ad un circolo parecchi puttini variamente atteggiati in arditissimi scorti. Stando alla iscrizione sopra riportata, questi freschi sarebbero stati compiuti nel 1474 ; ma da una lettera inedita di Lodovico Gonzaga vescovo di Mantova, e figlio dell' allora regnante, al cardinale Della Rovere, in data 25 feb- braio 1484, rileviamo come in tal tempo il Mantegna lavorasse ancora nella pre- detta stanza. É per questa ragione che il vescovo scusa il padre di lui marchese Lodovico, se non può mandare il Mantegna a compiacere i desiderj del cardinale. Tutti i ricordati spartimenti delle pareti furono, anni sono, disegnati in litografia a gran foglio dal pittore Antoldi di Mantova. ' *Il Trionfo di Cesare nel palazzo di San Sebastiano fu senza dubbio co- minciato dal Mantegna prima eh' egli andasse a Roma, vale a dire prima del 10 giu- gno 1488, perchè ci è una lettera del marchese Francesco ad Andrea, de' 23 feb- brajo 1489 (Vedi Leu. Pitt, tom. Vili, pag. 27), nella quale lo eccita a finire li Trionfi, quali, come voi dite, è cosa degna, e noi volentieri li vedressimo finiti. Anzi è da credere che prima dell'andata di Andrea a Roma quelli fossero molto avanzati, imperocché in una precedente lettera del Mantegna al marchese Francesco, de'31 gennajo 1489 (Vedi Lett. Pilt., tom. Vili, pag. 25), il pittore raccomanda i suoi Trionfi, e che se faci fare qualche riparo alle finestre che non se guastino, perchè in verità non me ne vergogno di averli fatti. Si inganna dunque il Rosini, quando dice che, tornato il Mantegna a Mantova nel settembre del 1490, poco dopo pose mano al trionfo di Cesare in varj quadri. {Stor. della Pitt. Ital, tom. Ili, pag. 258). Al suo ritorno da Roma Andrea la- vorò di certo in quei Trionfi, ma solo per compirli; e ciò si rileva da un de- creto del 4 febbrajo 1492, con cui il marchese Francesco concede dugento biolche di terreno al Mantegna, perchè lavorò ?n sacello et camara nostrae arcis , e perchè modo Julii Cesaris Triumphum pingit. Quest'opera tanto fa- mosa è dipinta a tempera sulla tela (non sul cartone, come scrissero molti); e le figure appariscono un po' minori del vero. Avvi una lettera di Bernardino Ghisulfo, de' 16 luglio 1491, scritta al marchese Francesco Gonzaga, nella quale si dice che i pittori Tondo e Francesco avrebbero cominciati pel solajo della ANDREA MANTEGNA 399 Costui, come potrei aver accenuato altrove, ebbe in que- sta istoria una bella e buona avvertenza; che avendo situato il piano, dove posavano le figure, più alto che la veduta dell'occhio, fermò i piedi dinanzi in sul primo profilo e linea del piano, facendo sfuggire gli altri più a dentro di mano in mano, e perder della veduta dei piedi e gambe, quanto richiedeva la ragione della veduta; e così delle spoglie, vasi ed altri istrumenti ed ornamenti fece veder sola la parte di sotto e perder quella di sopra, come di ragione di prospettiva si conveniva di fare: e questo medesimo osservò con gran diligenza ancora An- drea degl' Impiccati nel Cenacolo che è nel refettorio di Loggia del Palazzo di Marmirolo la pittura dei Trionfi: li quali a larghe par farli suso le tele, secondo ha facto messer Andrea Mantegna. (Vedi Gaye, Carteggio inedito, I, 309). Ogni tela ha circa nove piedi tanto in altezza, quanto in larghezza. Facilmente quindi i Tedeschi riuscirono a portar fuori di Mantova questo lavoro, quando nel ricordato anno 1630 la saccheggiarono. Poco dopo, fu posto alla pubblica asta insieme con altre opere del Mantegna pur da Mantova provenienti, e comperoUo Carlo I d'Inghilterra. Allorché poi il Parlamento de- cretò che fosse fatto un incanto della Galleria di quell'infelice principe, i Trionfi furono venduti pel prezzo di mille lire sterline; ma gli riacquistò Carlo II, e li dispose intorno ad una sala del palazzo d'Hampton-Court presso Londra, ove ancora si vedono, a guisa di fi'egio. Il tempo ed i molti trasporti recarono gravi danni a questi celebri chiaroscuri; ma più forse ne arrecò il ristauro che, regnando Guglielmo III, vi esegui certo pittore Laguerre, il quale fece correre il suo inesperto pennello su tutta l'opera. (Vedi London and Middlessecc, tora. X, pag. 5, e Waagen, Kunstwerke und Kiinstler in England. Berlino, 1837. Par. I, pag. 382 e seg.). Questi Trionfi furono in parte intagliati dallo stesso Mante- gna. (Vedi Commentario, pag. 436). Vennero dipoi riprodotti in grandi inci- sioni in legno da Andrea Andreani mantovano nel 1599, che dedicò il lavoro al principe di Mantova. Sulle stampe di lui, Roberto Van-Anden-Aert di Gand fece una nuova incisione in rame, pubblicata in Roma nel 1692 da Domenico de' Rossi. C. Huyberts, traendone i disegni probabilmente dall'originale, incise di nuovo questi Trionfi per la splendida edizione dei Commentarj di Cesare fatta a Londra nel 1712 da Samuele Clarice. Questi rami dell' Huyberts, ritoccati dipoi, servirono per la traduzione dei Commentarj di Cesare condotta da Guglielmo Duncan, e pubblicata in Londra nel 1753. •t Fu detto e ripetuto che questi Trionfi fossero rubati dai Tedeschi nel sacco di Mantova del 1630. Ma W. Niel Sainbourg con documenti scoperti nel- l'Archivio di Stato di Londra, e il Baschet con lettere tratte da quello di Mantova, hanno provato che poco innanzi al suddetto anno furono venduti dai Gonzaga del ramo de' duchi di Nevers con molte altre opere d'arte al re d'Inghilterra. (Vedi Braghirolli, Alcuni documenti inediti relativi ad A. Mantegna. Gior- nale d' Erudizione Artistica. Perugia, 1872, voi. I, pag. 201). 400 ANDREA MANTEGNA Santa Maria Nuova/ Onde si vede, che in quella età questi valenti uomini andarono sottilmente investigando e con grande studio imitando la vera proprietà delle cose naturali. E per dirlo in una parola, non potrebbe tutta questa opera esser ne più bella ne lavorata meglio : onde se il marchese amava prima Andrea, T amò poi sempre ed onorò molto maggiormente. E, che è più, egli ne venne in tal fama, che Papa Innocenzio Vili, udita l'ec- cellenza di costui nelle pittura e l'altre buone qualità, di che era maravigliosamente dotato, mandò per lui, ac- ciocché egli, essendo finita di fabricare la muraglia di Belvedere, siccome faceva fare a molti altri, l'adornasse delle sue pitture. Andato dunque a Roma con molto esser favorito e raccomandato dal marchese, che per maggiormente ono- rarlo lo fece cavaliere," fu ricevuto amorevolmente da quel pontefice, e datagli subito a fare una piccola cap- pella che è in detto luogo ; la quale con diligenza e con amore lavorò così minutamente, che e la volta e le mura paiono piuttosto cosa miniata che dipintura: e le mag- giori figure che vi sieno, sono sopra l'altare, le quali egli fece in fresco come l'altre; e sono San Grio vanni che bat- tezza Cristo, ed intorno sono popoli che spogliandosi fanno segno di volersi battezzare. E fra gli altri vi è Tino, che volendosi cavare una calza appiccata per il su- dore alla gamba, se la cava a rovescio, attraversandola ' *Vedi la Vita d'Andrea del Castagno a pag. 676, tom. II. Anche il Man- tegna compose e dimostrò regole di prospettiva, e ne scrisse un libro citato dal Lomazzo. Quest'avvertenza, detta bella e buona dal Vasari, ma di uno sgrade- vole effetto nei dipinti, il Mantegna la usò anche nelle due storie inferiori di Sant' Jacopo alla cappella degli Eremitani di Padova sopra descritta, e nella tavola posseduta dal marchese Trivulzi a Milano. ^ *Pare che fosse fatto cavaliere prima di portarsi a Roma, perchè in un Breve d'Innocenzo Vili al marchese Francesco Gonzaga, 6 settembre 1490, il Mantegna è chiamato eques mantuanus; e nella epigrafe posta sotto le pitture della cappella d'Innocenzo a Roma stava scritto Andreas Mantinea Civis Fa- tavinus eques auratae militiae pìnxit. ANDREA MANTEGNA 401 all'altro stinco con tanta forza e disagio, che Tuna e r altro gli appare manifestamente nel viso ; la qual cosa capricciosa recò a chi la vide in que' tempi maraviglia.' Dicesi che il detto papa, per le molte occupazioni che aveva, non dava così spesso danari al Mantegna, come egli arebbe avuto bisogno;^ e che perciò nel dipignere in quel lavoro alcune Virtù di terretta, fra l'altre, vi fece la Discrezione. Onde andato un giorno il papa a vedere l'opra, dimandò Andrea che figura fusse quella; a che rispose Andrea : eli' è la Discrezione. Soggiunse il pon- tefice: se tu vuoi che ella sia bene accompagnata, falle accanto la Pacienza. Intese il dipintore quello che per- ciò voleva dire il Santo Padre, e mai più fece motto. Finita r opera, il papa con onorevoli premj e molto fa- vore lo rimandò al duca. Mentre che Andrea stette a lavorare in Koma, oltre la detta cappella, dipinse in un quadretto piccolo una Nostra Donna col Figliuolo in collo che dorme; ' e nel campo, che è una montagna, fece dentro a certe grotte alcuni scarpellini che cavano pietre per diversi lavori, ' *Pio VI, a fine d'ingrandire il Museo Vaticano col braccio nuovo, volle atterrata la cappellina, e quindi gl'insigni freschi che l'adornavano; tuttoché da ogni parte gli venissero istanze per impedire tanta barbarie. Oltre la descri- zione che ne dà qui il Vasari, un'altra ne abbiamo assai più particolareggiata del signor Chattard. (Vedi Descrizione di San Pietro e del Vaticano. Roma 1767, tom. Ili, pag. 140 e seg. ). Fino dal cominciare del 1488, Innocenzo Vili avea pregato il Gonzaga d'inviargli il Mantegna per condurre i freschi sopraccitati, e il Gonzaga glielo spedi con lettera de' 10 giugno 1488 (VediGAYE, Carteggio inedito, tom. Ili, pag. 561). Il Mantegna stette in Roma fino al settembre del 1490, e di là tornò accompagnato da un Breve onorevolissimo dello stesso pontefice. (Vedi MoscHiNi, Vicende ecc., pag. 43). ^ *Da alcuni passi di lettere del Mantegna scritte da Roma al marchese Fran- cesco si rileva in fatti che il papa trattava magramente assai il nostro pittore (Vedi Lett. Pitt., tom. Vili, pag. 22, 25). In una (31 gennajo 1489) dice: Io non ho dal nostro Signore altro che le spese cosi da tinello j in modo che staria meglio a casa mia; ed in altra del 15 giugno dell'anno stesso, similmente di- retta da Roma al Gonzaga, ripete: Non ho altro che le spese, ìiè altro prerhio ho mai ricevuto che sia un picciolo. ' Non è espresso in atto di dormire, ma cogli occhi aperti e rivolti verso la madre. VA3ABI, Opere. - Voi. III. 26 402 ANDREA MANTEGNA tanto sottilmente e con tanta pacienza, che non par pos- sibile che con una sottil punta di pennello si possa far tanto bene: il qual quadro è oggi appresso l'illustris- simo signor don Francesco Medici, principe di Fiorenza, il quale lo tiene fra le sue cose carissime.' Nel nostro libro è, in un mezzo foglio reale, un disegno di mano di Andrea, finito di chiaroscuro, nel quale è una Judit che mette nella tasca d' una sua schiava mora la testa d' Olo- ferne; fatto d'un chiaroscuro non più usato, avendo egli lasciato il foglio bianco, che serve per il lume della biacca, tanto nettamente, che vi si veggiono i capelli sfilati e l'altre sottigliezze, non meno che se fussero stati con molta diligenza fatti dal pennello: onde si può in un certo modo chiamar questo piuttosto opera colorita che carta disegnata. ' Si dilettò il medesimo, siccome fece il Pollaiuolo, di far stampe di rame ; e fra l' altre cose fece i suoi Trionfi : ' e ne fu allora tenuto conto, perchè non si era veduto meglio. E fra l'ultime cose che fece, fu una tavola ' *Qviesta piccola tavoletta, benissimo conservata, vedasi ora nella sala dei pittori lombardi nella Galleria degli UfFizj, e fu incisa a contorni nella opera intitolata Galleria di Firenze ecc., tav. 75. ^ *Questo prezioso disegno fa parte della collezione delle R. Galleria degli Uffizj. Il Mantegna vi scrisse il suo nome con lettere majuscole disposte verti- calmente l'una sotto l'altra, e la data del mese di febbrajo, anno 1491. Se ne ha un intaglio nella tav. lxxvi, tom. II, Serie P della Galleria di Firenze il- lustrata. È singolare come il Lanzi nella descrizione manoscritta della Galleria di Firenze, intanto che loda a cielo questo disegno, noi crede quello citato dal Vasari, perchè, al dir suo, esso faceva parte del libro tanto famoso del Vasari stesso: quasi che il libro del Biografo Aretino non fosse stato distrutto, e non se ne fossero staccati i disegni che Io componevano. ' *Molti fra quelli che scrissero del Mantegna affermarono eh' egli incomin- ciasse ad incidere verso il 1490 in età di sessant'anni. Ignoro su quale testimo- nianza contemporanea ad Andrea fondino tale supposizione. Per me credo che quand'egli avrà veduto i saggi di Maso Finiguerra, cominciati fin dal 1452 (Vedi Zani, Materiali per servire alla storia dell' intaglio), e gli altri di Martino Schoengauer verso il 1470 (Vedi Bartsch, Le Peintre Graveur, tom. VI, pag. 108 ), gli sarà venuto desiderio di trattare il bulino ; arte che forse potrebbe avergli insegnata quel Niccolò orefice di papa Innocenzo Vili, ch'egli ritrasse nei freschi degli Eremitani di Padova. Sul numero delle incisioni eseguite dal Mantegna e sui soggetti loro, vedi il Commentario che segue. 1 ANDREA MANTEGNA 403 di pittura a Santa Maria della Vittoria, chiesa fabri- cata con ordine e disegno d' Andrea dal marchese Fran- cesco, per la vittoria avuta in sul fiume del Taro, essendo egli generale del campo de' Vineziani contra a' Fran- cesi : * nella qual tavola , che fu lavorata a tempera e posta all'aitar maggiore, è dipinta la Nostra Donna col Putto, a sedere sopra un piedistallo; e da basso sono San Michelagnolo, Sant'Anna e Gioacchino che presen- tano esso Marchese, ritratto di naturale tanto bene che par vivo, alla Madonna che gli porge la mano.^ La quale, come piacque e piace a chiunque la vide, così soddisfece ' *La battaglia accadde in Fornovo il 6 luglio 1495, tra gli alleati che aveano a capitano il Gonzaga, e l'esercito di Carlo Vili di Francia. - * Girolamo Eremita, in una sua lettera al marchese Francesco Gonzaga de' 29 agosto 1495, parla a lungo di questa tavola come di lavoro, a cui allóra dava tutte le sue cure il Mantegna, e dice che ì due santi, i quali sostenevano il manto della Vergine rappresentavano san Giorgio e san Michele. (Vedi Gaye, Carteggio inedito, I, 328). Ciò sia detto a rettificazione delle parole del Vasari e della correzione portatavi dal Lanzi. Sulla tavola è il nome del pittore e r anno 1495. I Francesi nel 1797 la tolsero a Mantova e la portafono al Louvi-e, ove ancora conservasi esposta a luce sfavorevolissima. Fu incisa da Francesco Novelli nel 1804 sul disegno di Antonio Ruggieri, per commissione del cav. Gio- vanni De Lazzara padovano, il quale la dedicò al Bettinelli con una iscrizione del Lanzi. La fece intagliare anche il conte Pompeo Litta pel fascicolo della sua opera che tratta della famiglia Gonzaga; e più tardi il prof. Rosini per la sua Storia della Pittura Italiana, tav. liv). t Circa a questa celebre tavola, è assai curioso quel che si legge in un articolo stampato dal signor Attilio Portioli nel voi. II, pag. 145 del Giornale d'Erudiz. Artist. di Perugia. In esso si racconta che andato ad abitare in Man- tova nel 1495 un certo Daniele Norsa, ebreo da Villafranca, vi comprò una casa, nella cui parete esterna era dipinta una Madonna, la quale egli fece levare con licenza del vicario del vescovo, pagando alla Curia il canone stabilitogli. Ora questo fatto commosse grandemente l'indignazione popolare, e contro il sacri- lego ebreo non mancarono né ingiurie né minacele. Onde il Norsa fu condannato a pagare le spese per un'altra immagine che avrebbe dipinta il Mantegna. In questo mezzo accadde la battaglia del Taro, nella quale il marchese Francesco, che comandava l'esercito de' collegati Italiani contro i Francesi, correndo gra- vissimo pericolo, si votò alla Vergine, se l'avesse campato, d'innalzare in suo onore una chiesa. E pensandosi al luogo, vi fu chi suggerì al marchese di com- . prare la casa del Norsa, gettarla a terra, e sopra quella piazza far costruire il nuovo oratorio, ponendovi la tavola di Nostra Donna che il Norsa doveva far dipingere. La casa fu comprata e rovinata, e nel suo luogo sorse la chiesetta dedicata a Santa Maria della Vittoria, dove fu solennemente collocato il dipinto fatto dal Mantegna. 404 ANDREA MANTEGNA di maniera al marchese, che egli liberalissimamente pre- miò la virtù e fatica d'Andrea; il quale potè, mediante Tessere stato riconosciuto dai principi di tutte le sue opere, tenere insino all'ultimo onoratamente il grado di cavaliere. ' Furono concorrenti d'Andrea, Lorenzo da Lendinara, il quale fu tenuto in Padova pittore eccellente, e .lavorò 9,nco di terra alcune cose nella chiesa di Sant'Antonio," ' *Che che ne dica il Vasari, Andrea passò nelle strettezze gli ultimi anni della sua vita, e mori carico di debiti. Per convincersene, basta leggere una sua lettera alla marchesa Isabella Gonzaga, de' 13 gennajo 1507, ed un'altra del figlio di lui Lodovico al marchese Francesco Gonzaga, de' 2 ottobre 1506, e quelle di Jacopo Calandra alla stessa marchesa Isabella intorno alla Faustina di marmo, che quest'ultima bramava comperare dal Mantegna. {Lett. Piti., tom. Vili, pag. 17, 28). 2 * Tranne questo cenno del Vasari, non abbiamo memorie che Lorenzo Canozio da Lendinara lavorasse di plastica per la basilica di Sant'Antonio. Come pittore, sappiamo dall'Anonimo Morelliano (pag. 6) che dipinse per un de' pi- lastri di quella chiesa un San Giovambatista a fresco, ora perito. Nello stesso luogo, per altro, conservansi ancora alcune delle tarsie insigni ch'egli ed il fra- tello Cristoforo vi aveano operate, e sono quelle prospettive e figure che ador- nano gli sportelli degli armadj di sagrestia, e degli altri nella contigua stanza. Il Rossetti, non so da quale testimonianza sorretto, afferma, nella sua Guida di Padova (1785), essere questi lavori di Fra Jacopino da Bottesino ; ma Fra Luca Paciolo nella sua Divina Proportione, stampata in Venezia nel 1509, lo Scar- deone pag. 373, e l'Anonimo Morelliano, pag. 4, le dicono senza esitanza di Lorenzo Canozio e del fratello di lui. Né i tre citati scrittori doveano ingannarsi, sì perchè erano quasi contemporanei ai Canozj, si perchè l'uno d'essi scriveva in Padova, gli altri due in paese vicinissimo a Padova. Le tarsie che meritarono la maggior fama a Lorenzo furono quelle degli stalli del coro della stessa Ba- silica, i quali andarono miseramente consumati dalle fiamme nell'incendio del 28 marzo 1749. Ci resta una particolareggiata descrizione di queste tarsie nel libro del P.Valerio Polidoro: Le religiose Memorie della chiesa del Santo (Venezia, 1690, in-4). Anche appena compiuti, salirono questi stalli in cosi gran fama, che lo Scardeone ne dice come uscissero per le stampe volumi intesi a cele- brarli. Fra gli altri è da notarsi un opuscolo di Matteo Colacio siciliano, stam- pato in Venezia nel 1486 (i-istampato in Padova nel 1829 con la versione ita- liana), col quale egli solleva a cielo le ricordate tarsie, lodando non soltanto Lorenzo ch'era il principale artefice, ma anche Cristoforo fratello di lui, e Pietro Antonio suo genero, che gli erano stati ajuti. Il libro è dedicato ai due Canozj con la seguente iscrizione, riboccante di quelle invereconde adulazioni che in que' tempi gli scrittori solcano prodigare agli artisti : Matheus Siculus Cristophoro et Laurentio fratribus ac Petra Antonio Laurentii genero Patavis ; Italis Parrhasiis, Italis Phidiis, Italis Apellibiis. Il Sansovino, nella sua Venezia descritta (ediz. 1581, pag. 39), dice che un altro lavoro di tarsia lasciò Lorenzo ANDREA MANTEGNA 405 ed alcuni altri di non molto valore. Amò egli sempre Dario da Trevisi e Marco Zoppo bolognese/ per essersi allevato con esso loro sotto la disciplina dello Squar- cione: il quale Marco fece in Padova, ne' Frati Minori, una loggia che serve loro per Capitolo;' ed in Pesaro, nella sagrestia della Basilica di San Marco; ma di certo non può essere nessuno di quelli che ora vi si veggono, giacché storici documenti provano come essi venissero condotti fra gli anni 1520 e 1530; mentre Lorenzo, come consta dal suo epitaffio che qui sotto riporterò, era già morto nell'aprile del 1477. Io credo sia questo un errore del Sansovino, perchè Fra Luca Paciolo, che nell' opera ricordata novera quasi tutte le tarsie di Lorenzo, non dice che lavorasse mai per la sagrestia della Marciana, si bene accenna a quelle da lui condotte a Ve- nezia alla Cà granda, che forse vuol dire della famiglia Cornaro, il cui ramo più ricco era detto a que' tempi, ed anche adesso, della Cà g randa. La più bella testimonianza del merito di Lorenzo e di Cristoforo ci resta nei dossali delle sedie che circondano il coro della Cattedrale di Modena. Portano quasi tutti prospet- tive vaghissime tirate con gran maestria. In alcuni stanno mezze figure di santi delineate con si corretto e si nobile stile, che ne verrebbe onore allo stesso Mantegna. É da avvertirsi per altro, che l'aria delle teste e il piegare de' panni ricordano più la maniera di Giovanni Bellini, che non quella del maestro pado- vano. Sotto una delle accennate figure sta scritto: hoc opvs factvm fvit per CHRISTOPHORVM ET LAVRENTIVM FRATRES DE LENDENARIA 1465. Nella CrOnaca mo- danese di Tommasin Lancilotto leggesi che Cristoforo e Lorenzo aveano lavorato nel Duomo, oltre la detta opera, el pede de V Organo et li banchi et banche grande de la Sagrestia, et le sedie che sono sotto ov' è San Gimignano, de legname et de tarsìa. Di tutto questo ora non sussiste se non quattro formelle che forse erano incastrate nel parapetto dell'indicato organo. Rappresentano, in mezza figura al vero, i quattro Evangelisti; e sono fatiche del solo Cristoforo, perchè sotto il San Giovanni v' è l'iscrizione : christophorvs de lendinara hoc OPVS FECiT 1477. Egli solo condusse anche que' cinque grandi pezzi con prospet- tive e figure, che ora sono nella sagrestia del Duomo di Lucca, e che un tempo facevan parte degli stalli del coro ora distrutto. In uno leggesi: cristofarvs DE CANociis de lendinaria FECIT OPVS MccccLxxxviii. Pier Antonio di Modena, genero a Lorenzo, lavorò nel 1486 anche nel coro di San Francesco di Treviso, giusta il Burchielati ( Comment. Hist., tom. I, pag. 272). Lorenzo ebbe pure un figlio valente nella tarsia, che si chiamava Giovan Marco, celebrato dallo stesso Fra Luca Paciolo nell' opera citata. Di tutti questi artefici tenne discorso anche il Tiraboschi nella Biblioteca Modenese ( tom. VI, pag. 455 e segg. ). — t Vedi an- cora Caffi Michele, Dei Canozzi o Genesini lendinaresi ; lettera al Padre Vin- cenzo Marchese. Modena, Pelloni, 1852. ' Vedi le note 2 e 3 a pag. 386. - *I1 Vasari qui cade in un grosso abbaglio, perchè il Capitolo dei Frati di Sant'Antonio a Padova era dipinto in parte da Giotto, in parte da valenti se- guaci di quella scuola, e non già da Marco Zoppo. (Vedi M. Savonarola, De Laud. Pat., voi. XXIV della Raccolta Muratoriana, pag. 1170; e l'Anonimo Morelliano, pag. 6). Quei freschi furono, molti anni or sono, imbiancati. Con _ diligente pazienza riuscii a liberare dal bianco di calce che a più strati lo rico- 406 ANDREA MANTEGNA una tavola che è oggi nella chiesa nuo^va di San Giovanni Evangelista ; ' e ritrasse in un quadro Guido Baldo da priva, uno di quei spartimenti, ma (chi avrebbe potuto immaginarlo?) poco dopo i frati, che vanno matti pel candido, almeno sulle muraglie, tornarono a farlo ricoprire di bianco. Sia questa una prova di più da aggiungere ad altre mille, come si ingannino coloro che stimano i frati d'adesso (salvo poche, e per questo tanto più stimabili eccezioni) gran conservatori delle opere d'arte. ' *Questa tavola fu venduta, anni sono, alla Galleria di Berlino. Rappre- senta Nostra Donna in trono, col Bambino tra le braccia, a cui fanno corona i santi Francesco, Giovambatista, Paolo e Girolamo. Porta l'epigrafe: marco ZOPPO DA BOLOGNA PiNxiT MccccLxxi IN vENEXiA. Nella Pinacoteca di Bologna è attribuita allo Zoppo un' ancona .in tre spartimenti a tempera. In quello di mezzo è la Vergine col fanciullo, nei due laterali san Giovambattista e sant'Agostino. Ho qualche dubbio che sia di lui, perchè appalesa uno stile men secco del suo. La sola parte di mezzo fu fatta incidere dal Rosini per la sua Storia della Pit- tura Italiana (tom. Ili, pag. 193). Porto lo stesso dubbio sopra un altro qua- dretto tenuto come dello Zoppo nella quadreria Hercolani: figura la Vergine col divino Fanciullo e santa Caterina. Bella fatica dello Zoppo è in Bologna una Madonna col putto posseduta da un negoziante di quadri che ha la sua raccolta ov'era un tempo la Galleria Zampieri. V'è l'iscrizione marco zoppo di Bologna opvs : è forse quella che il Malvasia diceva trovarsi a' suoi tempi presso certo signor Foschi, e che tene vasi come di Alberto Duro, prima che sene scoprisse la iscrizione teste riferita. (Vedi Malvasia, op. cit., tom. I, pag. 39). Nella stessa città i signori Bolognetti possedono dello Zoppo un Cristo orante nell'orto coi tre discepoli, dipinto sull'asse, col nome del pittore. Una fra le più prege- voli fatiche che lo Zoppo lasciasse nella sua città natale, è una Sant'Appollonia a tempera, che s'ammira nella chiesa di San Giuseppe de' Cappuccini fuori di Porta Saragozza. La figura della santa è in piedi, ricoperta da ampia soprav- veste rossa, le cui pieghe, tuttoché squarcionesche, sono però men taglienti ed artificiate di quelle del Mantegna. Nella testa non manca verità, ma vi si desi- dera la ispirazione: colpa frequente di quella scuola. L'ornato unito al dipinto è ricco di meandri stupendamente eseguiti, che vanno interrotti da piccole storiette di una preziosa finitezza. Nel campo è da notare una barchetta a vela che rende figura di una Z, e potrebbe forse dagli amici delle congetture esser presa come l'iniziale del cognome dell'autore. Il capolavoro di questo artista è senza dubbio l'ancona posta nella sagrestia della chiesa attinente al Collegio degli Spagnuoli in Bologna stessa. Presenta la Vergine in trono col Putto e quattro santi. Nelle teste molto sentimento del vero, le pieghe in generale si risentono della secchezza squarcionesca, eccetto quelle del san Girolamo, il cui abito cardinalizio è pan- neggiato con sceltezza e sobrietà. Il colore delle carni, senza esser falso, pecca per languidezza. Gentilissime sono le storiette collocate sopra e sotto l' ancona. Quelle inferiori rappresentano san Giacomo chiamato da Gesù all'apostolato, la Vergine e san Giuseppe che adorano il Bambino, san Girolamo nel deserto : le superiori, il Salvatore nel mezzo, da un lato Maria Vergine Annunziata, dal- l'altro l'angelo. Sotto il dipinto sta scritto Opera del Zoppo da Bologna. Il Mal- vasia dice che lo Zoppo nella sua patria ornò di freschi molte facciate di case; ma adesso più non ne resta vestigio. Marco ebbe numerosi discepoli, fra' quali Francesco Francia. ANDREA MANTEGNA 407 Montefeltro, quando era capitano de' Fiorentini. Fu si- milmente amico del Mantegna, Stefano pittor ferrarese, che fece poche cose, ma ragionevoli; e di sua mano si vede in Padoa l'ornamento dell'arca di Sant'Antonio, e la Vergine Maria che si chiama del Pilastro. * Ma per tornare a esso Andrea, egli murò in Mantoa e dipinse per uso suo una bellissima casa, la quale si godette, mentre visse; * e finalmente d'anni sessantasei si mori, nel 1517,' e con esequie onorate fu sepolto in ' *Secondo Michele Savonarola (op. cit., pag. 1170), Stefano aveva dipinto al Santo di Padova, nella cappella dell'Arca, i Miracoli di Sant'Antonio. Queste opere furono interamente distrutte, quando nel secolo xvi vennero incrostate le pareti di marmo, ed ornate coi bassorilievi che ora vi si ammirano. La Vergine detta del Pilastro, secondo l'Anonimo Morelliano, sarebbe invece opera di Fi- lippo Lippi. Siccome però i due angeli che stanno coronandola, e i due santi laterali furono senza alcun dubbio coloriti da altra mano, cosi potrebbe darsi che, salvo uno sbaglio d'indicazione, avessero ragione ambidue gli scrittori, giacché la Vergine potrebbe averla condotta Stefano, gli angeli e i santi, Filippo. I molti ristauri, a cui questi dipinti soggiacquero, impediscono adesso di chiarire la verità. La Pinacoteca di Milano ha due tavole da altare assai belle, che sono attribuite a Stefano da Ferrara ; ed alcuni quadretti tenuti opera sua veggonsi nella Galleria Costabili a Ferrara. In tutte queste opere, per altro, non vi è neppur l'ombra dello stile squarcionesco. Dalla qual cosa è da concludere, o che non sieno di Stefano, ovvero ch'egli abbandonasse presto lo studio dello Squarcione, per seguitare altra scuola. Il Rosini, nella sua Storia della Pittura Italiana, pubblicò incisa una tavola di questo pittore, che mostra il Viaggio di Cristo in Eraaus. (Vedi tom. Ili, Par. Ili, pag. 197). Il Lanzi vorrebbe farci credere es- sere esistito un altro Stefano da Ferrara, a fine di conciliare il tempo della morte di questo artefice (1500) colla tradizione, la quale attribuisce a lui il quadro por- tante la data 1531, già in Santa Maria in Vado a Ferrara ed ora nella pubblica Pinacoteca di quella città. Ma il Laderchi ne' suoi ingegnosi opuscoli sulla Gal- leria Costabili ci avverte come la tradizione accennata non si fondi su basi tanto salde, da autorizzare ad ammettere V esistenza di un aitilo Stefano, di cui manca affatto ogni memoria. È più ragionevole quindi il supporlo figlia del- l' errore. ^ 'Vedi la nota 1, pag. 395. Questa casa non la godette il Mantegna, finche visse, perchè in un istromento dell' 11 agosto 1504, conservato nell'Archivio se- greto di Mantova, è detto ch'egli abitava in Centrata Bovis. In una lettera poi del 13 gennajo 1506, da lui scritta alla marchesa Isabella Gonzaga, accenna di aver da poco comprato una casa per non andare qua e là vagabondo, pel prezzo di ducati 340, da pagare in tre termini. (Vedi Lett. Pitt., tom. VIII, pag. 28). Questa per altro deve essere diversa dall'altra indicata nell'istru- mento precitato, giacché nel suo testamento de' 24 gennajo 1506 è detto ch'egli dimorava in Contrata Unicornio. (Vedi Gaye, Carteggio ecc., I, 377). ' *Da una lettera di Francesco Mantegna, figlio d'Andrea, al marchese Fran- cesco Gonzaga, in data 15 settembre 1506, si rileva come il nostro pittore morisse 408 ANDREA MANTEGNA Sant'Andrea;' e alla sua sepoltura, sopra la quale egli è ritratto di bronzo," fu posto questo epitaffio: Esse parem hunc non's, si- non praeponls, Apelli, jEnea Mantineae qni simulacra tides. ' Fu Andrea di sì gentili e lodevoli costumi in tutte le sue azioni, che sarà sempre di lui memoria non solo nella sua patria, ma in tutto il mondo;* onde meritò esser dall'Ariosto celebrato non meno per i suoi gentilissimi costumi, che per V eccellenza della pittura, dove nel prin- due giorni avanti, cioè il 13. (Vedi D'Arco, Belle Arti e degli Artisti di Man- tova; Agazzi, 1857, in-4, voi. II, p. 67). Il Vasari, ignorando questo fatto, stimò forse che il tempo della morte del Mantegna venisse indicato dalla data posta sul suo monumento; ma il tempo è il 21 ottobre del 1516, e il Vasari scrisse invece 1517. L' essere morto il Mantegna non nel 1517, ma sedici anni prima, esclude di necessità eh' egli sia stato maestro al Correggio, come asserirono il Vedriani e molt' altri. Per me la prova di ciò sta, più che altro, nella maniera dell'Allegri, la quale, neppur nei quadri suoi primi, si accosta menomamente alle severe e corrette secchezze di Andrea. ' *La cappella, ov'è sepolto il Mantegna, è la prima a sinistra di chi entra nella chiesa di Sant'Andrea a Mantova. Fu da lui istituita e dedicata a san Gio- vanni Batista, la ornò di qualche suo dipinto, la dotò di ducati cento, perchè venisse decorata d'altre pitture, e vi si comperassero gli arredi sacri necessarj alla Messa, e convenne coi canonici della chiesa di potervi collocare il proprio monumento. Tutto ciò rilevasi in parte dal testamento di Andrea, 1° marzo 1504, pubblicato dal Moschini ( Vicende, ecc., pag. 50), in parte da un atto eh' è nel- l'Archivio di Mantova in data 11 agosto dell'anno medesimo, col titolo Consi- gnatio facta domino Andrea Mantinea per Collegìum ecclesiae Sancii Andreae de Mantua. (Vedi Gaye, Carteggio inedito. III, 355). "^ *Lo Scardeone dice che questo bronzo era stato fuso dallo stesso Man- tegna. Fu nel 1797 trasportato a Parigi, donde tornò nel 1814, e fu ricollocato all'antico suo posto. Ne fu data un'incisione dal Moschini nel citato suo libro Vicende ecc. ' *Andrea, figlio di Lodovico Mantegna, e quindi nipote al nostro pittore, nel 1560 pose nella detta cappella un monumento alle ceneri dell'avo illustre, del padre e dello zio, con questa iscrizione che ancora vi si legge : ossa andreae MANTINEAE FAMOSISSIMI PICTORTS CVM DVOBVS FILMS IN SEPVLCRO PER ANDREAM MANTINEAM NEPOTEM EX FILIO CONSTRVCTO REPOSITA, MDLX. ' *I1 Mantegna, oltre la pittura e la incisione, trattava la plastica e fondeva in bronzo. Era poi intelligente raccoglitore di erudite anticaglie; e tuttoché il suo stile epistolare non lo manifesti molto perito delle italiane eleganze, pure saliva talvolta, ma a pie zoppo, per vero dire, in Parnaso; come attesta un sonetto di lui conservato nell'Archivio segreto di Mantova. Di tutte queste doti secondarie del Mantegna raccolse le testimonianze il Moschini nella citata operetta Vi- cende ecc., pag. 48, 49. ANDREA MANTEGNA 409 cipio del Canto xxxiii, annoverandolo fra i più illustri pittori de' tempi suoi, dice: Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino. Mostrò costui, con miglior modo, come nella pittura si potesse fare gli scorti delle figure al di sotto in su; il che fu certo invenzione difficile e capricciosa : e si diletta ancora, come si è detto, intagliare in rame le stampe delle figure; che è commodi tà veramente singularissima,. mediante la quale ha potuto vedere il mondo non so- lamente la Baccaneria, la battaglia de' mostri marini, il Deposto di Croce, il Seppellimento di Cristo, la Resur- rezione con Longino e con Sant'Andrea, opere di esso Mantegna, ma le maniere ancora di tutti gli artefici che sono stati. ' ' 'Intorno alle incisioni qui ricordate dal Vasari, vedi il Commentario- pag. 435 e seg. Alcuni scrittori credettero che il Seppellimento di Cristo qui in- dicato dal Vasari accennasse al dipinto del Mantegna eh' è ora nella Galleria del Vaticano; ma s'ingannarono, perchè quest'opera non fu dal Mantegna mai incisa, e la sua stampa figurante il Seppellimento di Cristo è tutt' altra cosa. 411 <: Q < g gì • ci +> o e O f, o o « w a- c-r; o - Z M . - J5 a m 413 COMMENTARIO ALLA Vita di Andrea jVI4ntegna PARTE PRIMA Sebbene il Vasari ricordasse molte fra le opere del Mantegna, ne di- menticò peraltro parecchie che formano ancora l' ornamento di numerose quadrerie private e pubbliche. Non è per questo da credere che tutti i dipinti che nei cataloghi delle raccolte si registrano per opere del Man- tegna, gli appartengano. Veramente alcuni sono, senza contrasto, lavoro degl'imitatori; altri, dei condiscepoli suoi; qualcheduno è anche copia. Quanto io stimo non disutile dar qui notizia dei certi, che il Vasari non registrò, altrettanto mi pare inopportuno spendere parole intorno ai falsi: imperocché tutti gl'intelligenti d'arte, al primo vederli, non possono fare a meno d'accorgersi, come sieno attribuiti al nostro pittore non per altro che per quella misera vanità, comune a molti raccoglitori, di pos- sedere almeno un' opera degli artisti più famosi e più rari. Ma in fatto di pitture, la verità non è sempre così spiccatamente separabile dall' er- rore, che, anche nei più veggenti e nei più pratici, non sorga il dubbio; e questo non può a meno di non sorgere dinanzi ad alcune fra l' opere ascritte al Mantegna, artista che mutò la maniera più spesso che non si creda. Arido nel suo cominciare, come tutti gli squarcioneschi, si fé' poi studiosamente severo imitatore de' marmi antichi e de' bronzi di Donatello. Innamorato in appresso del succoso colorire del Bellini, si die allo studio del naturale, immedesimandolo col rigido segno prima imparato. Da ciò quindi ne venne che lo stile suo si cangiasse, col crescere dell' età e col- r alterna inclinazione del suo pensiero verso l'una o l'altra delle maniere da lui tentate. Non è perciò da maravigliare se dinanzi a qualche dipinto attribuito al Mantegna, e che qua e là ne ricorda i modi tecnici e il sa- piente contorno, senza rivelarne per questo nettamente i caratteri, si stanno incerti anche i più sicuri conoscitori. Reputo, per conseguente, mio debito fare memoria anche di tali dipinti, non fosse che per richia- 414 COMMENTARIO ALLA VITA mare l' attenzione degl' intelligenti a novelli esami clie valgano a dissi- pare, se è possibile, le dubbiezze. Il Mantegna era disegnatore a penna e all'acquerello a nessuno de' suoi grandi contemporanei secondo. Il Vasari per altro, uno solo fra i disegni di lui ricordava, ed è la Giuditta, di cui è parlato nella nota 2, pag. 402, ch'egli stesso possedeva. Onde spero possa tornare gradito agli studiosi dell'arte italiana, di trovare qui noverati quei disegni del Mantegna in- dubitabili che mi vennero a notizia: e dico gl'indubitabili soltanto, per- chè se volessi registrare tutti quelli che nelle raccolte passano per essere del Mantegna, dovrei stendere una ben lunga filza di bugie, giacche nu- merosissimi son quelli che gli vengono regalati dalla ignoranza o dalla speculatrice ciarlataneria di alcuni raccoglitori. Il Vasari nominò solo cinque fra le incisioni del Mantegna, e invece passano le venti. Perciò avviso dare un elenco delle sicure, e toccar ezian- dio di quelle incerte, sulle quali non è ancor sciolta fra gl'intelligenti la lite. Dissi un elenco e non un catalogo, giacche per compilare que- st'ultimo nel modo che or viene domandato dalla minuziosa e talvolta Xjuerile curiosità di certi amatori di stampe, converrebbe ch'io scendessi a confronti di una prova con l'altra, dessi gl'indizi delle minime eti- chette, facessi in fine uno di quei lavori speciali, che male si addirebbe ai limiti ed agli obblighi di un Commentario illustrativo. Tuttoché io abbia procurato di porre la maggior diligenza in questo lavoro, non porto fidanza per altro di essere riuscito a conoscere tutti i dipinti, i disegni e gl'intagli del Mantegna che stanno nelle gallerie e nei gabinetti d'Europa. Dallo scorcio del passato secolo sino ai nostri giorni, le opere dell'insigne padovano furono tanto ricercl;ie dagli ama- tori, e quindi vendute e rivendute le tante volte, che torna quasi im- possibile aver di tutte contezza. Dipinti certi Una tavola del Mantegna, che ha il pregio d'essere la prima opera con data certa che ci resti di lui, vedesi nella Galleria di Dresda. L'An- nunziazione n'è il soggetto: sta la Vergine in un atrio di sontuosa ar- chitettura; l'angelo, coperto da ricco manto, le s'inginocchia dinanzi ad annunziarle i voleri dell'Eterno, che dall'alto, librato su nubi, invia lo Spirito Santo alla madre di Gesù Cristo. Quando l'artista compì questa gentil tavoletta, il cui stile s' accosta di molto a quello dei primi suoi freschi agli Eremitani di Padova, contava appena diciannove anni, per- chè nello zoccolo d'un pilastro aveva sci'itto Andreas Mantegna Patavì- niis fecit. An. 1450. — Quando visitai la Galleria di Dresda nel 1845 , DI ANDREA MANTEGNA 415- questa iscrizione era scomparsa, forse j^er colpa dei molti ed ignoranti ristauri che questo bel dipinto ebbe a soffrire. ' Intanto che Andrea attendeva a dipingere i freschi degli Eremitani, e l'ancona di San Marco ora a Milano, condusse anche una figura di- Santa Eufemia, che adesso vedesi nella Pinacoteca reale di Napoli. La santa, in grandezza a due terzi del vero, tiene con una mano un giglio, coir altra una palma. Il pugnale che le sta infisso nel petto, ed il leone- che le giace ai piedi, alludono al martirio ch'ella sofferse. In basso dei- quadro si legge: Opus Andreae Mantegnae, li5i. — Questa bella tavola,, ora però guasta in [)arte da molti e mal condotti ristauri, stava prima a Velletri nel Museo Borgia. Il D'Agincourt la fece incidere per la sua. Storia dell'Arte provata co' monumenti. ^ Presso la famiglia Emo-Capodilista di Padova, le Guide additano corner del Mantegna un Cristo morto, in mezza figura, eh' è invece un Ecce Homo. Vi sta scritto in oro : Opus Andreae Mantegnae Pat. È sì rigido quel dorso , così stagliato, così meschino nella disposizione de' muscoli, specialmente ove i serrati e lo sterno si appiccano ai pettorali, che non posso crederlo- se non un lavoro giovanile operato dal Mantegna, qiiando si stava ancora, stretto alla cintola del maestro. Nei medesimi tempi eh' ei dimorava in Padova debbesi credere dipinto- quel ritratto in tavola posseduto oggi dal signor Giuseppe Barbieri della, città stessa, amoroso raccoglitore di cose d'arte. Rappresenta un frate- in mezza figura di grandezza naturale, vestito della cocolla nera usata dai- " padri Eremitani di Sant' Agostino. Nelle mani tiene un libro legato in velluto verde, sul quale è appeso un largo cartello col seguente distico : Praeditus ingenio tenui, qiiam vite Magistrum Effigiai Paulum Mantinea, cernito quaeso. Il campo sì compone di una stanza col soffitto a lacunari. A destra, sopra- uno scaffale stanno parecchi libri, uno de' quali aperto, con caratteri ebraici, vicino una callotta rossa come di cardinale, più in su un orologio a polvere, di sotto un astrolabio ed un rosario. A sinistra altri scaffali, su cui un calamajo ed alcuni libri. Uno di questi porta scritto sopra un cartellino Liber Statutùm (forse abbreviatura di Statutorum). Il dipinto e condotto con somma diligenza, e con quella maniera sta- gliata e crudetta eh' ebbe il Mantegna nei primi anni di sua carriera. ' t La iscrizione fu riconosciuta per falsa, e tolta via. Ora questa tavola è in quella Galleria sotto il nome del Poliajuolo. Ad alcuni pare di vedervi la ma- niera d'un seguace di Cosmè di Tura, o del Cessa. (V. Crowe e Cavalcaselle,. op. cit., voi. I, pag. 527). ^ Vedi tav. 139 delia Pittura. Edizione di Prato. 41 G COMMENTARIO ALLA VITA I l'istauri, pochi, e in generale ben fatti. Quest'opera conservossi, a quanto creclesi, fino al cominciare del presente secolo nella sagrestia della chiesa degli Eremitani di Padova, poi passò in mano del fu prof. Caldani, indi fu acquistata dal predetto signor Barbieri. Non sarebbe forse congettura avventata il tener questo come il ri- tratto del celebre maestro Paolo da Venezia dell' ordine degli Eremitani, che fu filosofo e teologo insigne pe' tempi suoi , e che mentre era pro- vinciale degli Eremitani di Padova, fu scelto a leggere umane e divine lettere in questa Università. Partito poi da Roma con una missione per Martino V, cola morì nel 1429, e le sue ossa furono dipoi trasportate in Padova e sepolte con gran pompa nella predetta sagrestia, ove gli fu con- secrato un monumento che ancora sussiste, sul quale sta a bassorilievo la £gura sedente del defunto in atto di dar lezione con un gran libro dinanzi. Ma alla congettura accennata fa opposizione il vedere, come il detto maestro Paolo morisse due anni prima della nascita del Mantegna, e per conseguenza quest'ultimo non potesse cavarne il ritratto, mentre era vivo. Vero è che avrebbe potuto copiarlo da altro anteriore ; ma in tal caso è presumibile vi dovesse essere una qualche rassomiglianza coi lineamenti che presenta la testa della statua nel monumento surricordato ; e questa somiglianza, a dir vero, non mi pare di scorgerla. Piuttosto mi sembra più probabile che il Mantegna abbia in questa figura effigiato quel Paolo Buono della famiglia Zal^arella, anch'esso fra ■ i celebri Eremi tarni di Padova, poi vescovo d'Argo, il quale fu dottis- simo così nelle scienze teologiche come nella letteratura, e in vecchia età diresse a Clemente VII il celebre libro De reformatione Ecdesiae. Egli morì in Padova nel 1525 ai 25 luglio, e fu sepolto nella cappella degli Eremitani, ove il Mantegna condusse gl'insigni suoi freschi. Il ritratto, di cui è qui parola, presenta un uomo al piìi di 30 anni; quindi il lavoro sarebbe stato eseguito, quando il Mantegna dimorava ancora in Padova. (Vedi intorno a c[uesto Zabarella lo Scardeone, Antiq. Fatai:, pag. 153). Appartiene, se non ai primi anni, almeno ai più floridi det Mantegna, anche la bella tavola che ora possiede il duca Melzi in Milano. Nel mezzo vedesi la Madonna che tiene sulle ginocchia Gesù bambino in atto di be- nedire. È seduta sopra ornatissimo trono, e poggia i piedi sopra lastrico riccamente fregiato. Quattro angeli bizzarramente vestiti si rizzano sugli appoggiatoj di quel trono, in atto di suonar cetere e mandòle. Due altri stanno seduti a piedi della Vergine, e suonano anch' essi mandòle. In cima al trono si chiude una medaglia con figurine finitissime a chiaro- scuro lumeggiate d'oi-o, che presentano la Circoncisione. Nei varj spar- timenti del sedile veggonsi altre figurine che esprimono azioni di Gesù € della Vergine. In un listello leggesi : Andreas Mantinea P.'" P. ( Pidor DI ANDREA MANTEGNA 417 Tatavinus) 1461. Questo è senza dubbio uno de' più perfetti dipinti del Mantegna, ed un de' pochi, da cui trasparisca lo studio profondo che egli aveva posto sui Bellini, la cui maniera si manifesta colla bella indipen- denza, nella testa della Vergine stupenda per colore, e nelle pieghe scevre quasi affatto delle solite durezze. Il iDanno di broccato sulle gi- nocchia della Vergine, è una maraviglia per scelta di getto e j)er ese- cuzione. Ignoro dove e da chi la casa Melzi comperasse questa preziosa tavoletta; ma il tempo indicato in essa mi farebbe credere fosse una di quelle che il Mantegna dipinse quand'era ancora in Padova, j)erchè ap- punto v'ha nell'archivio Savonarola di quella città un istrumento del 1461, con cui il Mantegna acquista le ragioni utili di una casa in Santa Lucia ; lo che fa supporre eh' egli tenesse ancora a Padova la dimora. Se il Vasari non ci avesse detto, parlando della tavola fatta dal Man- tegna per r abate della Badia di Fiesole, che la Nostra Donna era dal mezzo in su, potrebbesi sospettare fosse la stessa, di cui ora toccai; ma in questa la Vergine vedesi tutta sino ai piedi, e di più, gli angeli non sono semplici teste che cantano, ma sibbene figure intere che stanno suo- nando varj strumenti. Tenne j)oco conto di tali differenze il Rosini, al- lorché venne a parlare di questo quadro ; ' e quindi senza esitanza affermò che il dipinto di Fiesole, così ben descritto dal Vasari che non può scam- hiarsi con altri, è quello famoso della casa Melzi a Milano. Sarebbe stato, a mio credere, più prudente tenersi almeno dubbioso nella sentenza; tanto più che l' anno 1464 scritto sulla tavola non sembra accordarsi, per quanto dissi di sopra, col tempo in cui il Mantegna dimorava in Verona. Contemporanea, se non forse anteriore alla predetta tavola, è un'altra assai più piccola nella galleria Manfrin, che offre un San Giorgio in piedi armato, ma non col vestito romano, sì bene con quello in uso al tempo del pittore. 11 segno è puro, il colore vigoroso, quantunque peccante di monotonia. Il campo, con un monticello vitato e sparso di caseggiati, non è molto dissimile da quello che Andrea colorì nello spartimento, in cui vien tronca la testa a san Giacomo, negli Eremitani di Padova. Manca il nome dell'autore e la data, ma lo stile non lascia alcun dubbio sulla originalità di quest' opera. Agli anni giovanili del Mantegna deve ascriversi, a parer mio, una Crocifissione che anni sono vidi a Cremona presso il signor Beltrami ristau- ratore e negoziante di quadri. Era una tavoletta con figure alte appena un piede, ma d'una espressione tenerissima: cosa non comune al Mantegna. H disegno, quantunque corretto, pecca di quella secchezza che rinasceva ' Storia della Pittura Italiana, tom. Ili, pag. 256. VaS.r , Opere — Voi III. 27 418 COMMENTARIO ALLA VITA a quando a quando sotto il sapiente pennello del pittore , per quanto avesse tentato correggerla coli' assiduo studio de' Bellini e della natura. ' Se non devono ascrivei-si alla sua età giovanile, per certo non furono eseguiti nella sua ultima due dipinti che ne ha Torino. Uno è alla Pi- nacoteca, e rappresenta la Vergine col Putto e varj santi intorno, in mezze figure. Quantunque guasto da imperiti ritocchi, pure nelle parti intatte manifesta la mano maestra del nostro Andrea. Assai meglio conservata è la tavoletta che sta nella scelta collezione del fu marchese d'Harache. Il catalogo ne dice esservi rappresentata la fante di Medea che tenta salvare dall' ire della furibonda madre i due figli. Sono piccole figurine assai ben disegnate, e notabili per la viva espres- sione de' volti. Per quante ricerche io facessi, non mi fu possibile sapere donde vengano i due ricordati dipinti; ed egualmente ignoro per qual luogo il Mantegna dipingesse la stupenda tavola che ha in Milano la famiglia Mellerio, già posseduta dal marchese Adriani. La Vergine col divino fan- ciullo sta seduta nel mezzo , san Giovan Batista e la Maddalena veggonsi in piedi da una parte e dall'altra di lei. Considerando lo stile di que- st'opera, per ventura non tocca dai ristauratori, pare fosse colorita con- temporaneamente 0 poco dopo r ancona di San Luca ora in Brera a Milano. II panneggiamento, da cui è coperta la parte inferiore della Vergine, e uno de' piìi scelti e de' pivi naturali che uscissero dal pennello di Andrea. La Maddalena è disegnata con molto sapere, tuttoché fiancheggi troppo posando sul destro piede : colpa frequente al nostro pittore. Ciò che non mi par bello in questo dipinto è il colorito , stonato in più parti , e man- cante di robustezza e di verità. In una fettuccia ravvolta intorno al ba- stone di san Giovanni si legge, di sopra: Agnus Dei; di sotto: Andreas Mantinea C. P. ( Civis Patavinus ). Fra i due dipinti che nella Galleria della Biblioteca Ambrosiana di Milano si additano come del Mantegna, uno solo io stimo gli appartenga veramente, ed è una piccola tavoletta, nella quale fe figurato Daniele fra' leoni. E a chiaroscuro color di bronzo , e lumeggiato d' oro. Questo gentile quadi'etto, che merita molta considerazione pel corretto disegno, ' Molti mi accuseranno, perchè, toccando di un quadro del Mantegna conser- vato in Cremona, nulla dicessi del Baccanale che ha la famiglia Ala-Ponzoni, tanto celebrato dalle Guide come stupendo lavoro di Andrea. Ma che che ne di- cano i lodatori di quel quadretto, io non esito a tenerlo una còpia tratta dalla stampa dello stesso Mantegna. Che se non me lo mostrassero tale le figure e gli accessori perfettamente rispondenti a' contorni della incisione, basterebbero a raffermarmi nel mio proposito lo stento dei pennello, l'impiastricciato maneggio del colore, e l'assoluta mancanza della finezza mantegnesca. DI ANDREA MANTEGNA 419 io penso sia uno di quelli finti di hrongio ricordati in due inventarj degli oggetti d' arte posseduti dalla marchesa Isabella Estense Gonzaga.' Nel lungo soggiorno che il Mantegna fece in Mantova, tanto prima di portarsi a Roma, quanto dopo, molte opere vi condusse, che non tutte per certo furono notate dai suoi biografi. Una fra queste è senza dubbio la Giuditta, che ha la Galleria di Ber- lino, e che prima stava a Roma in quella dei Giustiniani. La donna di Betulia colla spada in mano è seguita dalla fantesca che porta in un sacco la testa recisa di Oloferne. In questo piccolo quadrettino il Mantegna manifestò più che in molti altri l'amore che portava alle statue antiche. In basso vi è segnato l'anno MCCCCLXXXVUI? Quando il dipinto era in Roma fu fatto incidere dal D'Agincourt per la sua Storia dell'Arte. ' Nella stessa Galleria berlinese si conservano altri tre lavori attribuiti al nostro autore, e che paiono veramente di lui. Ecco come sono indicati dal citato Catalogo del Waagen: 1. Un ritratto di un ecclesiastico con abito rosso da canonico, e sopra una stola bianca. È a tempera su tavola. (Potrebbe forse essere il ritratto di Matteo Bosso, canonico regolare, a cui sappiamo che il Mantegna avea fatto il ritratto. Vedi Rosini, Li/ceum Lateranense, tom. II, pag. 50; e Leopoldo Camillo Volta nel suo Saggio sulla Tipografia Mantovana, Venezia, 1786). 2. Cristo morto tenuto da due angeli piangenti ; dietro il corpo , un tappeto rosso chiaro : tavola a tem- pera. 3. Presentazione di Gesù al tempio : Maria presenta il fanciullo, tutto avviluppato, a Simeone; in mezzo è Giuseppe con altre due figure, una d'uomo, l'altra di donna. A tempera sulla tela. ' V è buona ragione di credere che il Mantegna colorisse in Mantova, per commissione dei Gonzaga, anche i due mirabili dipinti allegorici che stanno ora al Louvre; opere tanto squisite, specialmente per disegno, da rammentare le perfezioni di Raffaello. L' uno , eh' è denominato Parnaso, ' Uno di tali inventarj sta nell'Archivio segreto di Mantova, e porta la data del 1559 colla seguente intestazione: Inventario delle robe di Mantova ritro- vate in Corte vecchia. L' altro fu pubblicato nel numero II AqW Appendice del- ÌArchivio Storico Italiano, pag. 324 e seg. , col titolo: Descrizione di alcuni oggetti d' arte posseduti dalla marchesa Isabella Estense- Gonzaga, quale fu fatta verso la metà del secolo XVI. — t II D'Arco ripubblicollo nell'opera L'Arte e gli Artisti di Mantova, voi. II, p. 134. - Verzeichniss der Gemàlde-Sammlung des K. Museum zu Berlin ; Ber- lin, 1841, pag. 21. ' Tav. 140, Pittura. ' È veramente una Circoncisione; ed io credo sia quella stessa che l'Ano- nimo Morelliano a pag. 17 dice esistente in casa del Bembo. Stette in Padova in casa dei Gradenigo, eredi del Bembo, fino al 1803, e allora fu venduta non si sa a chi. Il Brandolese in alcune note manoscritte, che stanno presso di me, ce ne lasciò una descrizione che risponde perfettamente alla rappresentanza del quadro. 420 COMMENTARIO ALLA VITA ei presenta, a sinistra del riguardante, Apollo seduto che fa danzare le Muse al suono della sua lira. A destra v'è Mercurio col Pegaseo. Nel mezzo, attraverso una roccia forata, vedesi Marte e Venere in un letto con Amore a fianco in atto di spingere, soffiandoli colla bocca, i dardi che eccitano la gelosia di Vulcano, il quale rincantucciato nel suo anti-o minaccia con piglio cruccioso la sua infedele compagna. Le Muse che danzano, manifestano disegno correttissimo in ogni parte, ed anche una eleganza di contorni e di movenze, rarissima nel Mantegna. Chi igno- rasse l'autore di quelle graziose danzatrici, le terrebbe, senza difficoltà, lavoro della seconda maniera di Raffaello. — Questo dipinto fu inciso a contorni nel tom. II, tav. 25 della Galerie des Aris et de V Histoire. Il gruppo delle Muse fu anche inciso dallo stesso Mantegna, o, come altri credono, da Marcantonio. (Vedi pag. 436). L'altro dipinto, che serve di riscontro al descritto, rappresenta la Saggezza vincitrice de' Vizj. Minerva armata d'asta va preceduta dalla Castità sotto le sembianze di Diana, e dalla Filosofia, sotto quelle di una donna che porta una fiaccola e scaccia dinanzi a se la turpe schiera dei Vizj. La Lussuria sta ai x^iedi d'un Satiro, l'Ozio, privo delle braccia, e l'Inerzia adiposa, si ravvolgono nel pantano; mentre la Frode, la Malizia, r Ubriachezza , la Voluttà e l' Ignoranza portano l'Ingratitudine e l'Ava- rizia. Il fondo si compone di un boschetto, dove una Driade invita le Dee a purgare il mondo da tante sozzure. La leggenda latina, attaccata ad un alloro posto alla destra del quadro, spiega questa allegoria. Le due opere descritte, che appalesano la mente eulta ad un tempo e poetica del Mantegna, ne chiariscono eziandio come egli sapesse mae- strevolmente giovarsi dell' allegoria per significare sublimi verità morali. Quel sommo estetico di Federico Schlegel tanto andava innamorato di questi due insigni dipinti, che ci lasciò scritto come, anche a costo di passar per un barbaro, non potesse trattenersi dal considerarli per molte ore, senza curare per nvilla gli altri capolavori, da cui andavano circon- dati/ Vengono lodati a cielo anche dal Rio.^ Pare decorassero le stanze della Corte di Mantova, perchè negl'In- ventarj citati indietro vengono descritti due quadri che, pel soggetto loro, pajono questi due di Parigi. Ecco come stanno notati nella Descrizione dei dipinti appartenenti alla marchesa Isabella Gonzaga, e con poca dif- ferenza di parole, anche nell'altra carta del 1559: Un altro quadro di pitura appresso il soprascritto^ nella medema facciata; di mano del già ' Briefe von Paris, voi. VI. ^ De l'Art Chrétien, pag. 449 e seg. ' Questo quadro soprascritto era opera di Pietro Perugino, e rappresentava « diversi Amorini et altre figure de Ninfe stimulate da detti Amori, con alcuni- DI ANDREA MANTEGNA 421 messer Andrea Mantegna , nel quale è dipinto un Marte e una Venere che stano in piacere con un Volcano e un Orpheo che sona con nove Ninfe che balano. E più un altro quadro di pitura posto allato sinistro de V intrata de la grota, di mano di Andrea Mantegna, nel quale è dipinto la Verta che scaccia i Vitti, e vi è l'Otio condotto da la Inertia, e la Ignorantia portata da la Ingratitudine et Avaritia. Probabilmente queste due allegorie saranno state rubate dai Tedeschi nel famoso sacco del 1630, e vendute dipoi al re di Francia. La data del 1497 che troviamo nella celebre tavola di casa Trivulzi a Milano , una delle più vaste opere che il Mantegna conducesse a tempera, fa supporre che anche questa egli dipingesse in Mantova, dopo che vi avea fatto ritorno da Roma. E una Madonna seduta sulle nubi, col Fan- ciullo sulle ginocchia, e circondata da vaghissimi angioletti. Al basso stanno i quattro santi Bernardo, Girolamo, Gregorio papa, e Giovanni Batista. Nel mezzo, angioletti che suonano. La testa della Vergine ricca del sublime affetto proprio alla madre ed alla sposa cristiana, di cui il Vangelo la volle modello, manifesta come il Mantegna sapesse talvolta dimenticarsi e le rigidezze dei marmi antichi, e la pretta imitazione della natura, per lanciar l'anima nei campi del più puro ideale. La figura del san Girolamo, disegnata e dipinta in modo da onorare Raffaello, ha il getto de' panni ricco senza tritumi, e manifesta una gravità bene atta- gliata al sommo interprete delle divine scritture. Per contrario il san Gio- vanni Batista cade nei soliti seccumi del Mantegna, e presenta un in- sieme contorto, contorni angolosi, magrezza eccessiva, anche per chi pasceasi di locuste e di mèle silvestre. L'altre figure si raccostano alla maniera convenzionale del Mantegna. In un angolo sta scritto : Andreas Man- tinea pinxit anno Gratiae 1497. Dissi già, nella nota 1, pag. 393, come questa tavola non potesse essere quella fatta per Santa Maria in Organo a Verona, e dal Vasari accennata senza dirne il soggetto. Piuttosto po- trebbe esser quella che il Ridolfi afferma avere il Mantegna dipinta per la sua cappella a Sant' Andrea di Mantova. ' ( t Vedi a proposito di que- sta tavola quello che abbiamo detto in rettificazione della suddetta nota. Nel più grandioso e più corretto stile del Mantegna è pure condotto il Cristo al sepolcro, che fregia l'ultima stanza della Pinacoteca Vaticana a Roma. Tuttoché questo dipinto non sia citato da nessuno dei contem- poranei di Andrea, o dei suoi biografi posteriori, tuttoché vi manchi il alberi e verdure ». Di tale dipinto fa cenno lo stesso Perugino in una sua lettera riportata dal Gaye (Carteggio inedito, tom. II, pag. 68), ove, scrivendo alla mar- chesa Isabella di Mantova, in data 14 giugno 1503, dice: « El quadro ho fato a « tempera, perchè cosi ha fato m.'" Andrea Mantegna, secondo mi è stato riferito ». ' Vita del Mantegna, tom. I, pag. 115. Edizione di Padova. 422 COMMENTARIO ALLA VITA suo nome, pure addimostra per modo l'viltima sua maniera, da non la- sciar dubbiezze sulla sua originalità. Il Cristo è disegnato da gran maestro, e i mezzi scorti di alcune membra vi sono intesi con una incredibile pe- rìzia. Bella per dignità è la testa di Nicodemo, molto espressive le altre figure. Peccato che il colore, specialmente nelle ombre, pecchi per qual- che pesantezza ! Questa tavola fu incisa a contorni per la Raccolta dei più celebri quadri riuniti nell'appartamento Borgia al Vaticano. ' • Essendo io in Roma nel 1840, vidi presso il signor Baldesclii, negoziante di quadri, una figura di donna, maggior del vero, esprimente una Sta- gione, la quale disvelava indubbiamente la più bella maniera del Man- tegna. Era in tela a tempera, e mostrava una mirabile Conservazione. 11 Baldeschi mi disse che veniva da Mantova. - Durante la sua lunga dimora in quest' ultima città, il Mantegna colorì alcuni freschi, dei quali due soli ci rimangono, ed anche in così misero stato da non poterli più dire se non informi avanzi. L'uno è, o meglio era, una Madonna con un san Sebastiano ed altri santi sulla facciata della chiesa di San Sebastiano.' Più ancor danneggiato si mostra l'altro, che sulla facciata di Sant'Andrea presentava quest' ultimo santo e san Longino. ' Dei molti ritratti dipinti dal Mantegna in Mantova, pochissimi ancor ce ne rimangono. Due insieme riuniti nella stessa tavola, e che il Ridolfi ricorda nella sua Vita del Mantegna, portanti le effigi di Lodovico Gonzaga e di Barbara di Brandeburgo sua moglie, stanno adesso nella quadreria di lord Hamilton a Londra. Probabilmente rubati dai Tedeschi nel sacco di Man- tova, gli ebbe poco dopo in Venezia certo Niccolò Renier, pittore fiaminingo colà dimorante. Questi ne fece una lotteria , insieme con tutti gli altri di- pinti da lui posseduti.' A chi toccassero in sorte i due ritratti, s'ignora; ma è certo che sullo scorcio del passato secolo erano ancora in Venezia, come rilevo da ima lettera di Giovan Maria Sasso al cav. De Lazzara di Padova, e vennero poi venduti al predetto lord Hamilton. Questi ritratti furono assai debolmente intagliati da ignoto incisore sul finire del passato secolo. Uno stupendo ritratto del Mantegna, cioè Elisabetta Gonzaga moglie del marchese Francesco, possiede adesso la Galleria degli Uffizj. La sua fronte è cinta da un cordoncino, dal quale pende un piccolo scorpione. È vestita di una stoffa a scacchi d'oro e neri, e sull'orlo della veste stanno ' Roma, 1820, presso il De Romanis. - Questa tavola passò poi nel possesso del signor Reizet di Parigi, ma essa non è del Mantegna, si bene del Botticelli. (V. Crowe e Cavalcaselle, op. cit., II, pag. 429). SusANi, Nuovo Prospetto di Mantova, 1833, pag. 80. ' Ivi, pag. 116. ' Vedi le note del Morelli all'Anonimo, pag. 145. DI ANDREA MANTEGNA 423 eleganti rabeschi pur in oro che somigliano a lettere. Dietro alla tavola è scritto a penna : Duchessa Isabella Mantovana moglie del duca Guido. Ma io non so che ai tempi del Mantegna vi fosse un Guido Gonzaga, e meno che avesse a moglie l' Isabella Estense effigiata su questa preziosa tavola; imperocché Isabella si maritò nel 1490 con Francesco II figlio a Lodovico. Essa fu splendida protettrice delle arti e delle lettere, e calda ammiratrice di Lodovico Ariosto, che gli era stato raccomandato dal cardinale Ippolito d' Este. Isabella avea formata in Mantova una pre- ziosa collezione di cammei, di medaglie e di cose antiche, che fu rubata dai Tedeschi nel ricordato sacco del 1630. Un altro ritratto del Mantegna, e pare anch'esso di un Gonzaga, forse di Francesco, ha il conte Lochis di Bergamo nella sua galleria. Il pennello ed il segno crudetto non lasciano per certo dubitare che questa bella mezza figura non sia del nostro Andrea. Una fra le più conservate opere di Andrea fregia adesso la galleria Scarpa alla Motta di Friuli. È un San Sebastiano nudo, in grandezza piìi che naturale, trafitto da molte frecce. Tuttoché dipinto a tempera sulla tela, manifesta, se non colore robusto, almeno un vigoroso chiaroscuro. Stupendo n'è il disegno, specialmente nelle coscie, nelle gambe e nelle estremità ; e d' inspirato dolore s' accende la testa rivolta al cielo. Ai piedi del santo vedesi una candela accesa che manda un leggero fumo, e intorno ad una fettuccia è scritto il motto: Nil nisi divinum stabile est, caetera fumus. Io credo che questa mirabile figura debba essere no- verata fra le ultime opere del Mantegna, imperocché in una lettera del figlio di lui Lodovico, scritta al marchese Francesco Gonzaga il 2 otto- bre 1506,' vien nominato fra i dipinti rimasti nello studio di Andrea al. momento della sua morte: un San Sebastiano , il quale nostro padre voleva fosse di monsignor Vescovo di Mantova. L' ebbe in appresso messer Pietro Bembo, perchè l'Anonimo Morelliano, nel noverare gli oggetti d'arte e di antichità che vedevansi in casa dell'elegante cardinale, dice che M San Sebastiano saettato alla colonna, grande j)iù del naturale, fu de mano de Andrea Mantegna} Stette in quest'ultima città presso gli eredi del Bembo fino al 1807, nel qual anno la signora Cornelia Gradenigo, di quella casa, lo vendette al celebre prof. Scarpa, che lo portò a Pavia ad ac- crescervi la sua pregevole collezione di quadri. Egli poi, morendo, legollo per testamento ai fratelli suoi dimoranti a Motta di Friuli, ove ancora accuratamente conservasi. Anni sono, io lo disegnai e lo feci incidere per unirlo ad una minuta illustrazione che pvibblicai col titolo : Sopra un di- pinto del Mantegna nella galleria Scarpa ecc. (Padova, 1839). ' Lettere Pittoriche, tom. Vili, pag. 16. ^ Pag. 19. 424 COMMENTARIO ALLA VITA La ricordata lettera di Lodovico Mantegna, 2 ottobre 1506, ne rac- certa che al trapassare di Andrea rimase nel suo studio anche un Crisi» in scurto, ch'io non dubito essere quello posseduto dalla Pinacoteca di Milano, e tanto ammirato da coloro che nell' arte più cercano le vittorie del difficile, che non le amabilità del bello. Il cadavere del Redentore è steso sopra una tavola coi piedi rivolti allo spettatore, sicché tutta la figura digrada per modo, da venir rinserrata in brevissimo spazio, quan- tunque grande al naturale. Voleasi somma dottrina anatomica e prospet- tica per uscire a bene dall'arduo assunto. E questa dottrina si ravvisa infatti nel bene inteso sfuggire delle gambe e delle braccia, e nei piedi disegnati ed eseguiti maravigliosamente. Non per questo è raggiunto l' ef- fetto desiderato, giacche ponendosi al vei"0 punto di vista, da cui deve essere osservato questo nudo , non iscorta come dovrebbe ; colpa forse del chiaroscuro non ben degradato, e della trascuranza di non aver fatto girare le pieghe nel senso dello scorto. A' fianchi del Redentore veggonsi piangenti la Maddalena e san Giovanni, in mezze figure. Quest'opera preziosa e benissimo conservata , pare che la Pinacoteca milanese la acqui- stasse dal celebre pittore cav. Bossi, che la fece incidere dallo Scotto nel 1809. Un'altra incisione ne fu fatta più tardi dal Bisi per la Pina- coteca di Milano illustrata,^ (tom. II, della Scuola Mantovana). La terza opera rimasta nello studio di Andrea quando morì, fu un Trionfo di Scipione, che fino a pochi anni sono vedevasi a Venezia con- servatissimo in casa Cornaro, poi Mocenigo a San Polo. Questa tela, eh' è senza dubbio una delle più belle tempere a chiaroscuro che mai ese- guisse il Mantegna, fu venduta per pochi denari dagl'ignoranti posses- sori al signor Sanciuirico, che la rivendette poi all'Istituto di Londra, ove adesso vedesi. Il Waagen^ dice, a ragione, essere questo vm lavoro con- dotto nel miglior tempo del pittore, il quale seppe in esso, più inge- gnosamente che in altre, congiungere l'imitazione dell'antico colle norme della pittura. Egli vorrebbe considerarlo come una specie di studio pre- liminare ai famosi Trionfi di Giulio Cesare dipinti pel Gonzaga a Man- tova, ma s'inganna; imperocché la composizione non si accosta per nulla a nessuna di quelle dei citati Trionfi. Io poi sono d'avviso che questa debba tenersi per una delle ultime opere, cui il Mantegna consecrasse i ' Pinacoteca del palazzo ducale delle scienze e delle Arti di Milano , pub- blicata da Michele Bisi incisore , col testo di Robustiano Gironi. (Milano, dalla stamperia Reale, 1812-1833, in-folio). Una lettera di Lodovico Mantegna alla marchesa Isabella Gonzaga, de' 12 novembre 1507, dice, che questo Cristo in scurto l'aveva avuto il cardinale Gon;zaga, cognato della marchesa. (Vedi Gaye, Carteggio inedito, tom. Ili, pag. 564^. ^ Kunstwerke und Kiinstler in England, parte I, pag. 157. DI ANDREA MANTEGNA 425 pennelli; imperocché trovo nella lettera surricordata di Lodovico Mantegna, come fra i dipinti lasciati da Andrea morendo vi fosse V operci di Scipion Cornelio, principiata già a nome di messer Francesco Cornaro. Il Bembo poi, scrivendo da Venezia a Isabella marchesa di Mantova in data 1 gen- najo 1505,' le raccomanda di sollecitare il Mantegna a compiere alcuni telari che si era impegnato di condurre per messer Francesco Cornelio fratello del Cardinale per prezzo di ducati 150, avendone già ricevuti 25 per caparra. Aggiunge dipoi il Bembo : Ora mi si dice che esso messer Andrea ricusa di voler più. fare detta opera per quel prezzo, e ne domanda molto piti : il che è paruto a messer Francesco la più nuova cosa del mondo, et pare a chiunque la ode dire ; massimamente avendo messer Francesca lettere di messer Andrea, per le quali esso particolarmente conferma il patto detto di sopra tra loro. — Una lettera poi di Lodovico Mantegna alla, marchesa Isabella Gonzaga, 12 settembre 1507,' ci fa sapere come il detto Trionfo di Scipione fosse stato ritenuto dal cardinale cognato della mar- chesa , e non l' avesse neppur per intero pagato. Come in appresso passasse in casa Cornaro, ignoriamo. Tutti questi documenti mi pare non possano lasciar dubbio che il Trionfo in casa Cornaro sia quello stesso che in essi vien rammentato, e fosse quindi condotto fra il 1505 ed il 1506. — t Questa tela non fu ven- duta dal Sanquirico all'Istituto di Londra, ma al signor Giorgio Viviana il cui figliuolo, capitano Ralph Vivian, la vendè nel 1873 alla Galleria Nazionale, dove presentemente si trova. (V. Wornum, Catalogue of the pictures in the National Gallerij; London, 1877, p. 172). Ad Hampton-Court, presso Londra, trovansi ora, oltre ai Trionfi di Cesare ricordati alla nota 1, pag. 398, quattro altri dipinti del Mantegna che qui registrerò. Uno rappresenta la Vergine col Bambino, san Giovan Ba- tista, e sei santi sedenti. Nel fondo è san Cristoforo con Gesù sulle spalle, il combattimento di san Giorgio col drago, san Girolamo, san Francesco' e san Domenico. L'altro, che pare di riscontro del precedente, perchè della medesima grandezza, offre il Transito della Vergine, cogli apostoli all'intorno. Nel- l'appendice alla traduzione inglese della citata opera del Waagen è detto,' che questi due piccoli quadretti, vengono dalla collezione del duca di Mantova , acquistata da Carlo I d' Inghilterra ; ma nel citato Inven- tario delle ròbe di Mantova ritrovate nella corte vecchia, scritto nel 1559, fra i molti quadri che vi sono registrati, non trovo i due predetti, e non. ' Gaye, Carteggio inedito, tom. Il, pag. 71. ^ Ivi, tom. Ili, pag. 564. ' Works of Art and Artist in England, tom. I, pag. 294. 420 COMMENTARIO ALLA VITA li trovo neppure nella Descrizione, stesa intorno la metà, del secolo xvi, di alcuni oggetti d'arte posseduti dtilla marchesa Isabella Gonzaga. • Nostra Donna addolorata forma il soggetto del terzo quadretto, com- posto di cinque mezze figure a tempera sulla tavola. L' ultimo è un Muzio Scevola che mette la mano sul fuoco dinanzi a Porsenna. Il Catalogo della collezione Wander-Doort, ove pare fosse un tempo, ne fa menzione senza dire il nome del pittore; ma quello della galleria di Giacomo II d'Inghilterra, al n° 964, l'attribuisce al Mantegna. Potrebbe forse essere il quadretto dipinto a finto bronzo, eh' è nominato dall'Anonimo Morelliano a pag. 70, e che vedevasi a Venezia in casa di messer Francesco Zio : almeno il soggetto è lo stesso. Se diamo retta alle parole dell'or citato Anonimo, del Ridolfi, di alcuni scrittori contemporanei al nostro artista, ed a quelle di parecchi conoscitori del passato secolo , molti altri dipinti , oltre i ricordati , avrebbe condotto il Mantegna. Essi li vengono noverando, ed accennano i luoghi , ne' quali conserva vansi: ma sia che questi, col mutar di possessori, si smar- rissero, 0 stieno in luoghi da me ignorati; fatto sta che non mi fu pos- sibile averne contezza, per quante ricerche io facessi. Egli è perciò che stimo inutile tenerne parola, tanto più che in questo Commentario mi proposi di parlare solo di quei lavori di Andrea che ancora possono venire ammirati dagli amici delle Arti. Dipinti dubbj Ora farò qualche cenno di quelle opere, le quali, tuttoché di stile interamente mantegnesco, pure lasciano gl'intelligenti incerti a decidere se debbano considerarsi piuttosto come fatica degl' imitatori di Andrea, anziché come prodotto del suo pennello dottissimo. Nella galleria Pembroke a Londra conservasi una tavola esprimente Giuditta che pone la testa di Oloferne in un sacco sostenuto dalla serva. Nel fondo v' è il letto , su cui sta il cadavere di Oloferne. L' esecuzione n' è accuratissima, ma vi traspare nel segno certa durezza originata dalla imitazione dell'antico. Secondo il Wander-Doort, Carlo I d'Inghilterra te- neva questo dipinto come un Raffaello, e lo diede al Pembroke in cam- bio di un Parmigianino. ^ Nella Pinacoteca di Parma vedesi un piccolo dipinto ad olio in due spartimenti, che ci offre esattamente le stupende composizioni del Mar- ' Vedi VA2ìpendtce aW Archivio Storico Italiano, tom. II, pag. 324. ^ Vedi la traduzione inglese della citata opera del Waagen, tom. Ili, p. 72. DI ANDREA MANTEGNA 427 tirio di san Cristofano condotte dal Mantegna agli Eremitani di Padova. Questa tavoletta è indicata nel catalogo come di lui, ed infatti tien molto della sua maniera, specialmente nei panni crudetti e sottili. Sennonché v'hanno certe scorrezioni nel segno, certe trascuranze in qualche testa, che mi lasciano dubitoso suU' originalità sua. Dato che fosse proprio opera del pittor padovano, potrebbe essere quella ricordata dall'Anonimo Mo- relliano a pag. 48, come esistente in Venezia in casa di messer Michele Contarini. Egli la rammenta così: Vi è un ritratto colorito, piccolo, della istoria di San Cristoforo che fece il Mantegna a Padoa in li Eremitani de man del detto Mantegna: molto bella operetta. Presso la famiglia Scotti di Padova vedeansi anni sono alcune tavo- lette che in x^iccole dimensioni portavano diligentemente, non solo le accennate storie di San Cristoforo, ma tutte l'altre che il Mantegna di- pinse agli Eremitani. Il Rossetti e l' altre Guide di Padova le danno come i modellini preparati dall'autore perla sua grand' opera. Non mi pare ci voglia grande intelligenza d' arte a riconoscerle come copie di quegli stu- pendi affreschi. Se non bastasse la timidezza del pennello a confermarlo , basterebbe la perfetta riproduzione che vi si ravvisa di ogni figura, e perfino la somiglianza delle teste. Ora ognuno sa che gli artisti, d'ordi- nario, eseguendo le opere loro, non s'attengono mai scrupolosamente a quanto gettarono prima sui lor modelli, e meno poi fermano in questi i caratteri delle teste. Le ricordate tavolette, che dalla casa Scotti or pas- sarono presso i marchesi Orologio al Teatro Nuovo, io penso sieno cj[uelle rammentate dal predetto Anonimo Morelliano a pag. 26, appunto copiate dai freschi degli Eremitani : In casa de M. de Stra , mercadante de panni (die' egli), el retratto piccolo della cappella delli Eremitani del- l' opera del Mantegna fu de mano de ... . In Brera a Milano è notata come opera del Mantegna una tela a tem- pera che rappresenta San Bernardino da Siena, con una medaglia in mano, dov' è il monogramma di Gesù Cristo : due angeli gli stanno a' fianchi : altri quattro nella lunetta superiore circondano una palla, sotto cui è scritto Hujus lingua salus hominum. — Sebbene il segno e il carattere delle estremità s' accostino di molto alla prima maniera del Mantegna , pure le drapperie, gettate con più larghezza delle mantegnesche , ma con meno finezza modellate, gì' insiemi delle figure assai meno svelti di quelli d'Andrea, producono in molti intelligenti il sospetto che questo dipinto sia piuttosto una bella opera del Monsignori, del Carotto o di qualche altro imitatore del Mantegna, anziché uscita dalle sue mani. Nella famiglia Trivulzi ricordata conservansi tre miniature di prezioso lavoro, che si additano come del Mantegna. L'una è la Crocifissione, l'al- tra l'Adorazione nell'orto, la terza una Madonna col Bambino, accompa- 428 COMMENTARIO ALLA VITA gnata da quattro angioletti che suonano, e da varj santi in lontananza. Le teste sono finamente toccate, le pieghe asprette, ma benissimo affal- date, e tocche d'oro sui lumi colla maggior maestria. Lo stile s'accosta di molto a quello del Mantegna ; pure non oserei affermare eh' egli fosse l'autore di questi giojelli, tanto più che in una lettera autografa del marchese Federigo Gonzaga' a Bona duchessa di Milano, datata da Man- tova li 20 giugno 1480 , è chiarito che il Mantegna non amava far opera di miniatore, perchè lui non è assuefa pingere figure piccole. Per la stessa ragione dubiterei non fosse lavorata dal Mantegna la fa- mosa miniatura nella privata Biblioteca del re di Sardegna, che il Rosini ci diede incisa alla tav. 74 della sua Storia della Pittura Italiana, e che senza esitanza affermò essere opera del nostro pittore.^ Rappresenta la Circoncisione. Nel mezzo sta il Bambino sostenuto da due vecchi sopra di un'ara, mentre un angioletto alato, rivolto in ischiena, presenta un bacino. A destra vedesi la Vergine, san Giuseppe e due donne. Nel campo v'è un arco trionfale di architettura composita. Il colorito di questo pre- zioso foglio non può essere più vigoroso, e la maniera del segno ricorda molto il Mantegna, sebbene gì' insiemi delle figure appajano un po' toz- zetti; difetto ignoto ad Andrea, che cadeva talvolta nel contrario. Anche il signor Vallardi tiene nella scelta sua quadreria un piccolo qua- dretto in tavola attribuito al Mantegna, che esprime un Cristo deposto di croce, con san Giovanni che abbraccia la croce. Mi parve una delle prime cose dell'autore, e di un merito assai mediocre. Meno incerto dovrebbe essere il giudizio dei conoscitori sopra una gran tavola con la Vergine, sant'Antonio abate, e sant'Antonio di Padova, che sta nella galleria Malaspina a Pavia, perchè v'è scritto Andreas Man- tinta Fata — vimis pin. 1491. Pure, quando si pone attenzione al disegno poco corretto delle figure, alla mancanza di finezza nel pennello, agli attacchi delle mani e de' piedi male intesi, al pennello più sciolto del mantegnesco, ma assai men dotto, si starebbe quasi per crederla una con- traffazione, se però questa impressione non è prodotta dai molti e pessimi ristauri che fecero sparire ogni originalità. Questo sospetto non può cadere sulla tavola in mezze figure con Cristo morto circondato da Maria, da Maddalena e da Giovanni; tavola che, almeno fino a due anni sono, stette nella preziosa raccolta del fu conte Guido di Bisenzo a Roma.- Ma un altro e più ragionevole sospetto sorge considerando questo esimio lavoro, bellissimo di espressione e squisitamente dipinto; il sospetto cioè che non sia del Mantegna, ma sì di quel Carlo L'autografo conserva vasi dal celebre pittore cav. Giuseppe Bossi. Tom. IH, pag. 260. DI ANDREA MANTEGNA 429 Crivelli veneto, di cui la Pinacoteca di Milano e quella de'Rinuccini a Firenze conservano stupendi dipinti. Posso ingannarmi , ma ho il conforto che all'error mio partecipano molti valenti artisti di Roma. t La tavola del Crivelli nella Galleria Rinuccini passò dipoi nelle mani del principe Demidoff, che la fece porre sull' aitar maggiore della cappella della sua villa di San Donato. Questa tavola che porta scritto Opus Ka- roli Crivelli Veneti MCCCCLXXVI , si crede che fosse prima nella chiesa di San Domenico d'Ascoli, donde trassela il cardinale Zelada, dal quale l'aquistarono poi i Rinuccini. Anche i signori Crowe e Cavalcasene cre- dono del Crivelli la tavola del conte Bisenzo, che ora è in Londra nella raccolta di Lord Dudley. Questa bella e conservatissima opera era prima in casa Barberini; e quando l'ebbe il conte Bisenzo, fu fatta incidere a contorni j)el giornale L'Ape delle belle arti,^ e venne, un pochino all'arcadica, illustrata dal mar- chese Melchiorri. Ha tutti i caratteri del pennello di Andrea, senza però appalesarne la dotta squisitezza, una tela esprimente una Santa Famiglia in mezze figure in grandezza del vero , che serve di tavola all' altare della cappella fondata dal Mantegna in Sant' Andrea di Mantova. Tuttoché il Ridolfi la affermi del Mantegna,^ pure alcuni, pratici delle cose di Andrea, me non escluso, la tengono come lavoro della sua scuola, ed appuntellano il lor giudizio sui contorni sfumati assai più di quello non solesse usar il pittor padovano, sulle estremità che tendono un pocolino al tozzo, e sul chia- roscuro non sempre giusto. Tuttoché non ricordata ne dai biografi ne dalle Guide, io invece in- clinerei a riputare come di lui un'altra tavola d'altare che vedesi alla Madonna degli Angeli, poco lungi da Mantova. È un' Assunta circondata da angioletti vaghissimi. La figura della Vergine egregiamente disegnata, la sua testa bellissima, le drapperie, angolose sì, ma finissimamente mo- dellate, tanto ricordano la miglior maniera dell'insigne padovano, che non si saprebbe a quale altro maestro attribuir questa tavola. Forse un tempo ornava l'aitar maggiore della chiesa; quand'io la vidi, stava ap- pesa ad una parete e così negletta, che nessuno pensava a riparare una larga fenditura, da cui era spartita nel mezzo. La Trasfigurazione sul Tabor, piccola tavoletta ad olio che possiede il Museo Correr a Venezia, da parecchi intelligenti non è accettata ])ev opera del Mantegna, quantunque, fin dallo scorcio del passato secolo, Gio- van Maria Sasso, gran conoscitore delle scuole venete, l'affermasse as- ' Vedi voi. II, tav. 5, pag. 9. " Vita del Mantegna, tom. I, pag. 115. 430 COMMENTARIO ALLA VITA solutamente di lui. Io non dico che certe scorrezioni, specialmente in al- cune parti in iscorto , non possano fare dubitoso il giudizio ; ma le pieghe e l'arie de' volti tanto si raccostano al maestro padovano, da sorreggere robustamente l' opinione di quelli che con me la tengono una fra le più deboli fatiche di Andrea. Questo quadro stava prima nel convento di San Salvatore a Venezia, e potrebbe esser quello che ornava l'aitar mag- giore, innanzi che vi fosse posta la molto lodata ma non bella tela di Tiziano. Non minori esitanze lascia in qualcheduno la gentile tavoletta ascritta al Mantegna nella Pinacoteca di Monaco, e portante la solita composi- zione di una Madonna in trono e quattro santi. La maniera è affatto mantegnesca, ed il sicuro disegno come il perito pennello disvelano un maestro valente. Considerando per altro l'insieme delle iBgure, un i^o- chino tozzette, e il tono opaco delle parti ombrate, inclinerei a crederla di Melozzo da Forlì, anziché del Mantegna. — t Altri vi vede una me- scolanza della maniera di Galasso e di Cosmè di Tura, e propenderebbe a crederla opera di Bono ferrarese. (V. Crowe e Cavalcaselle, Histortj of Painting in North Itali/, voi. I, pag. 375, nota 7). La Galleria Imperiale di Vienna ha una bella tavoletta alta un piede, in cui è espresso il Martirio di San Sebastiano. Il Catalogo di Chretien de Michel lo dà per un Mantegna, e molti dei conoscitori tedeschi non esitano ad affermarla di lui. Io però, tuttoché conceda esservi il suo stile, non so ravvisarvi la sua finezza. Fu incisa da J. Troyen. — i Evvi questa sottoscrizione in greco: XOtpid'v TOU AvS'peov. (Ckowe e Cavalcaselle, op. cit., pag. 387, nota 7). Lo stesso effetto mi produsse una Madonna col Putto posseduta dalla Galleria urbana di Magonza, e battezzata da tutti i Cataloghi e da tutte le Guide come un Mantegna. Nonostante il pomposo elogio che ne fa il signor Wessemberg,' io non so vedervi che uno squarcionesco di molto inerito, ma non un Mantegiia. Bibliografia del Mantegna Scardeone. Antiquitates Patavinae. (Patavii, 1585, fol. 370 e seg.). Vasari. Vita di Andrea Mantegna. Ridolfi. Vita di Andrea Mantegna. Meschini. Della origine e delle vicende della Pittura in Padova. (Padova, 1826, pag. 31-60). ' Die Chri&tlichen Bilden; Costanza, 1827, tom. I, pag. 434. DI ANDREA MANTEGNA 431 Anonimo. Notizia d' opere di disegno, pubblicata ed illustrata dall' ab. Mo- relli. (Bassano, 1800, pag. 9, 19, 23, 24, 70, 84, 85, 142). Lettere pittoriche. (Edizione del Silvestri, tona. Vili, pag. 14-34). Bartscli. Le Peintre Graveur. (Val. XIII). Huber. Manuel des Curieux. (Voi. III). Strutt. Biographical Dictionarij of the engravers. (London, 1785, tom. I). Ottley. The Italian School of design : being a Series of fac-similes of ori- ginai DrawingSfhij the most eminent painters and sculptors ofltalg; with biographical notices of their works. (London, 1823, in-fol. mass. ). Zani. Materiali per servire alla storia della Licisione ecc. Zanetti. Catalogne des gravures de M. le chevalier Leopoldo Cicognara. (Venise, 1836). Rosini. Storia della Pittura Italiana. (Pisa, 1841-43, III, 254 e seg. ). t A questi, oggi possiamo aggiungere: D'Arco. Delle Arti e degli Artisti mantovani. (Mantova, 1859, in-4, voi. II). Baschet Armand. Recherches de documents d'Art et d' Hìstoire dans ìes ar- chives de Mantoue et analyse de lettres inédites regardantes Andrée Mantegna. (V. Gazette des Beaux Arts, mai 1866). Questo articolo fu tradotto dal canonico Willelmo Braghirolli e pubblicato nella Gazzetta di Mantova nell'istesso anno, e poi in un opuscolo a parte. Braghirolli Willelmo. Alcuni Documenti inediti relativi ad Andrea Man- tegna. (V. il voi. I, pag. 194, del Giornale d' Erudizione Artistica, Perugia, 1872). Disegni del Mantegna Nella Galleria degli Uffizj di Firenze, oltre la Giuditta descritta nella nota 2, pag. 402, contansi i seguenti di sicura autenticità: Cassetta V N" 3. Angelo a figura intera, con una palma in mano. Disegno a bi- stro, lumeggiato di biacca. N° 5. Ercole ed Anteo. Gruppo a penna su masse preparate prima ad acquerello. N° 6. Un pezzo della Danza dell' Ore, cioè due figure intere ed una mezza. Disegno a penna, punteggiato nei contorni, perchè forse servì al- l'incisione, che, secondo alcuni, ne fece lo stesso Mantegna, secondo altri il Raimondi. 432 COMMENTARIO ALLA VITA Cartella iV» 114, Armadio 12 Contiene moltissimi disegni attribuiti al Mantegna; ma solo i seguenti possono tenersi per suoi : N° 2. Bambino alato , cbe porta un encarpio. Disegno a penna in carta rossastra, con lumi di biacca. N» 3. Tritone con una Najade in groppa. Disegno a penna. N° 5. Testa di putto che guarda in su. Disegno a penna. N° 8. Figura intera con nn libro chiuso in mano. Disegno a ]oenna assai guasto. N° 9. Figura panneggiata che guarda in alto. Disegno ad acquerello. N" 11. Il Salvatore che benedice. Schizzo a penna. N*^ 19. Due figure di donne, 1' una veduta per di dietro, l'altra per dinanzi. Disegno a penna in pergamena. — ( t Alcuni lo credono di Fran- cesco di Giorgio). Cartella N° 11, Armadio 2 N° 3. Un santo Re, coli' asta in una mano, il mondo nell'altra. Di- segno all'acquerello lumeggiato a biacca. E punteggiato nei contorni, forse per inciderlo. (Senza numero). La Lupa con Romolo e Remo. Disegno a penna. N° 10. Due Ninfe nel bagno. Disegno a penna. N" 12. Madonna a mezza figura col Putto. Disegno a penna. Potrebbe però essere di Marco Zoppo, perchè ne ricorda assai da vicino la maniera. Nella Biblioteca Ambrosiana a Milano ammiransi due disegni a penna di Andrea, figuranti due pezzi del Trionfo di Cesare. Sono bucati nei contorni dalla punteggiatura, che servì forse a trasportarli sul rame, giac- che pajono i disegni originali che servirono ad alcune delle incisioni che di quei Trionfi condusse lo stesso Mantegna. Nella medesima citta vidi presso il signor Vallardi, negoziante di libri e stampe, ed intelligentissimo di cose d'arte, parecchi disegni at- tribuiti al Mantegna. Uno solo mi parve propriamente suo, ed è una figura d' uomo indicante una roccia. Il Bartsch, nel suo Catalogo dei disegni del principe di Ligne a Vienna, ' dice che questi possiede un bellissimo e finitissimo disegno a penna del ^Mantegna, rappresentante due uomini a cavallo, l'uno veduto per dinanzi, l'altro per di dietro. Al Museo del Louvre, nella sala in cui stanno disposti i disegni dei .grandi maestri , veggonsi i seguenti : ' Pag. 79. DI ANDREA MANTEGNA 433 Il Giudizio di Salomone. Questa mirabile e stupendamente disegnata composizione può dirsi più un quadretto a chiaroscuro, che non un dise- gno ; perche in fatti è condotto sulla tela preparata, e i lumi e le ombre son lavorate a pennello e di corpo. Gesù Cristo che s'incammina al Calvario. Disegno a matita nera e rossa. 11 Trionfo d'Amore. La testa del vincitore è coperta da un elmo, la spalla sinistra da un mantello corto. Egli calpesta alcune armi, e s'ap- poggia sopra uno schiavo. La Vittoria gli tien sospesa sul capo la corona. Disegno a penna assai ben lavorato, ma di uno stile più largo del man- tegnesco; ragione, per cui avrei qualche esitanza a tenerlo originale di Andrea. Questa composizione fu incisa da Marcantonio. t In una lettera di Sigismondo Cantelmo al Duca di Ferrara, scritta da Mantova il 23 febbrajo 1501, e pubblicata dal marchese G. Campori nelle Lettere Artistiche inedite (Modena, 1866, in-8), si ha la descrizione di uno spettacolo teatrale dato in quella città , e tra l' altre cose si dice che per decorazione della prospettiva furono adoperate due opere del Man- tegna, cioè i Trionfi di Cesare e i Trionfi del Petrarca. Facilmente il di- segno soprannominato apparteneva alla serie di quest'ultimi Trionfi. Alcuni Amori si danno ai piaceri della danza, della musica e della caccia. Fregio a penna di rara bellezza. ' Nella sala delle Incisioni e dei Disegni della Pinacoteca di Monaco, conservansi due fogli del nostro pittore condotti con sommo magistero, e sono: Una delle Ore che danzano nel quadro allegòrico di Parigi detto il Parnaso. È a penna, e fu qua e là ritocco da mano non molto perita. Cristo fra Sant'Andrea e San Longino. E a penna, lavorato con isqui- sita finitezza. Forse è" il disegno originale che servì alla incisione dello stesso Mantegna. ^ I cataloghi delle Gallerie inglesi ci additano moltissimi disegni del Mantegna; ma solo i seguenti possono ascriversi a lui senza trepidazione. In Londra nella Galleria Reale: II Dominio dei Vizj sopra la Virtù. Disegno a penna. Il Waagen dice eh' è affatto simile al quadro del Mantegna al Louvre, dove per altro son rappresentati i Vizj scacciati dalle Virtù. Il Passavant attribuisce a ' Nel Louvre esiste un altro disegno figurante la Giuditta in pie colla spada nella destra, nell'atto di mettere colla sinistra la testa d'Oloferne dentro uà sacco tenuto dalla sua fante. (V. Reiset, Notice des dessins , cartons, pastels, miniatures et émaux exposés au Musée Imperiai du Louvre. Paris, De Mòur- gues, 1866. - Vedi la stampa del Cristo risorto, a pag. 208. VisiBi, Opere. — Voi. III. 28 434 COMMENTARIO ALLA VITA torto questo disegno al Botticelli, giacche in ogni tratto vi si vede la mano di Andrea. Secondo alcune lettere di Giovan Mai-ia Sasso , eh' io con- servo, stava sul cominciare del presente secolo in casa Giovanelli a Ve- nezia, poi fu comperato dal cav. Strange. Cristo in croce fra due ladroni. Disegno a bistro lumeggiato a biacca di scjuisito lavoro. Il Passavant non esita a tenerlo di Andrea, ma il Waagen si accorda coU'Ottley per crederlo di altra mano. ' Presso il celebre raccoglitore di oggetti d'arte, Ottley: Tritoni conducenti cavalli. Disegno a penna. Un uomo sdrajato vicino a morte. Disegno a penna. ^ In Oxford, nel collegio di Christ-Church, vadosi un disegno a penna del Mantegna rappresentante un Cristo deposto di croce. La composizione ricorda la famosa di Raffaello nella Galleria Borghese. Potrebbe esser quella che molti anni sono Lord Schippe avea rinvenuto in Roma. Cinquanta disegni originali del Mantegna (per lo più teste) preten- deva possedere sulla fine del passato secolo il P. Giovan Battista de Ru- beis udinese, disegni che furono poi incisi da Francesco Novelli. Ma se fossero veramente usciti dalla mano di Andrea, non potrei aft'ermare, per- chè io non li vidi mai, ed ora più non sono in Italia. Da una lettera inedita dell'abate Mauro Boni, scritta da Udine al predetto Novelli (4 ot- tobre 1795), rilevo che il Canova gli aveva anch' egli giudicati come del Mantegna; ma quando osservo le incisioni, non so consentire a tale giu- dizio, giacche dalla maniera del Mantegna son le mille miglia lontane. Vero è che il Novelli fu un di quegli incisori alla carlona, che tiravan via come vien viene, senza darsi un pensiero al mondo di star fedeli al carattere e allo stile degli esemplari. — (t Circa queste incisioni, vedi le Lettere Artistiche inedite, pubblicate dal marchese G. Campori). ' Veggasi per questi due disegni la citata opera del Waagen, Kunslwerke und Kiinstler ecc., tom. I, pag. 127. ^ L' Ottley pubblicò questi due disegni incisi a guisa di fac-simile per la citata sua magnifica opera: The Italian School of design, being a Series of fac-simile ecc. London 1823. t Alcuni disegni dell' Ottley passarono nel Museo Britannico, come il Cristo in croce, e un uomo sdrajato. Nello stesso Museo è il disegno a penna della Calunnia d'Apelle. Fu inciso dal Mocetto, aggiuntavi l'architettura del fondo, che nell'originale manca. Questo disegno era prima in Olanda, e fu copiato dal Rembrandt; la copia è nel detto Museo, il quale ne possiede ancora un altro bellissimo e tanto finito che pare una miniatura. Rappresenta Venere, Marte e Diana all'acquerello. Marte è rosso. Venere celeste, e Diana verde. DI ANDREA MANTEGNA 435 Incisioni del Mantegna Soggetti meri Maria Vergine col Bambino. Larga poli. 9,8; alta poli. 12,6. Ne esi- stono due copie antiche. Flagellazione di Gesù. Larga poli. 11 V- ; ^^ta 14 V^- Lo Zani è d'opi- nione che del Mantegna non sia che l' invenzione ; ma io credo s'inganni, giacche la maniera del taglio è uguale alle altre stampe certe di Andrea. Gesù Cristo deposto di Croce. Larga poli. 13,3 ; alta poli. 16,6. È fra quelle ricordate dallo Scardeone e dal Vasari; ed è assai probabile sia incisa sul disegno della stessa composizione e grandezza che sta ad Oxford nel collegio di Christ-Church. (V. pag. 434). Gesù Cristo portato al sepolcro, colla iscrizione: Human/' generis Re- demptori. Larga poli. 16,4; alta poli. 11. È il capolavoro del bulino di Andrea, e se ne trovano parecchie opere contemporanee, fatte da, altri incisori. La notò anche il Vasari. Gesù Cristo posto nel sepolcro. Larga poli. 11 V^ ; f-lta poli. 15 */* • Composizione diversa dalla precedente : sopra la croce, le iniziali /. N. E. T. Gesù Cristo alle porte del Limbo. Larga poli. 13, alta poli. 17. È ri- cordata dal Lomazzo nel suo Trattato della pittura, e ne esistono parec- chie copie antiche; fra le quali si distingue quella eseguita da Mario Cartario nel 1566, con qualche variazione. Cristo risorto. Larga poli. 12; alta 15. Ne esiste una copia antica, più piccola, attribuita- a Giovan Antonio da Brescia. È citata dal Vasari. Giuditta pone la testa di Oloferne entro ad un sacc© tenuto dalla serva. Larga poli. 8; alta poli. 11,5. Ve chi pensa sia tratta da un disegno del Mantegna, ma non eseguita da lui. Giuditta con la testa di Oloferne. Larga poli. 9,4 ; alta poli. 10,7. Sembra tratta dal famoso disegno dello stesso Mantegna, che sta nella Galleria degli Uffizj. — (t II signor Malcolm di Scozia possiede due altri disegni della Giuditta ). Maria Vergine col Bambino e san Giuseppe. Larga poli. 10,7; alta poli. 14,7. In questa rarissima stampa non terminata , il Mantegna inten- deva ad incidere lo spartimento centrale del suo trittico, che ora. con- servasi nella Galleria degli Uffizj. (V. nota 1, pag. 396). Soggetti profani Busto di vecchio soldato, posto sopra un guscio di lumaca. Largo poli. 3 ; alto poli. 5. Testa di vecchio con berretto in capo. Largo poli. 3 '/*> a^lto poli. 3 7*- 436 COMMENTARIO ALLA VITA Donna in piedi appoggiata sopra un tronco d'albero. Largo poli. 3 ^jn; alto poli. 4 '/*• Bacccanale col Sileno. Largo 15,7 ; alto 10,5. È una di quelle citate dal 'Vasari, ed è opera, a parer mio, inferiore di molto all'ingegno del Mantegna. Ve ne hanno iDareccliie copie antiche. Una scena di Fauni ubriachi, detta II Baccanale del Tino. Larga poU. 15,6; alta poli. 12,3. Trionfo di Nettuno (secondo altri. Combattimento degli Dei marini). Larga poli. 15,8 ; alta poli. 9,9. Sulla tavoletta che tiene in mano l' In- vidia sta scritto invid, e sotto v'è una cifra che qualcuno vorrebbe si- gnificasse l'anno 1481. Il Vasari cita questa incisione. Tritoni con Nereidi in groppa. Larga poli. 14 ; alta poli. 9,9. Se ne trovano copie antiche, ma una bellissima è quella che a guisa di fac- simile fece eseguire l'Ottley, sopra un disegno da lui posseduto, per la sua History of Engraving , pag. 508. Il Trionfo di Cesare ( in tre pezzi ). - A. Marcia degli elefanti : larga poli. 9,9; alta poli. 8,9. - B. Marcia dei soldati: larga poli. 8,10; alta poli. 8,9. - C. Marcia dei senatori. Queste incisioni, tuttoché s'accostino di molto alla composizione del celebre Trionfo che ora trovasi ad Hampton- Court vicino a Londi'a, pure manifestano che non sono tolte da quello, ma da alcuni disegni dello stesso Mantegna, due de' quali vedonsi nel- l'Ambrosiana a Milano. (V. nota 1, pag. 398). Furono riprodotte più volte da varj incisori. Ercole ed Anteo. Larga poli. 9,6; alta poli. 12,10. V'è l'iscrizione: Divo Herculi invicto. Se ne trovano tre copie di differenti incisori. Altro Ercole ed Anteo. Larga poli. 5,2; alta poli. 7,7. Il Ballo delle Ore. Larga poli. 11 ; alta poli. 8. Le movenze di queste quattro figure sono le stesse delle Muse danzanti in uno dei quadri allego- rici del Louvre. L' incisione pare tolta dal disegno originale del Mantegna eh' è nella Galleria degli Uffizj. ( Ved. a pag. 431, n° 6). Molti intelligenti vi ravvisano il bulino di Marcantonio, anziché quello di Andrea. Il Dominio dei Vizj sulle Virtù. - A. Coli' iscrizione Virtus combusta : larga poli. 15,7 ; alta poli. 11,8. - B. Colle epigrafi Virtus deserta, e Virtuti S. A. I. ( iniziali , a creder mio , significanti Squarzonius Andreas invenit): larga poli. 15,10; alta poli. 10,8: è continuazione dell'altra A. Queste due incisioni pajono tolte in parte dal disegno eh' è nella Galleria di Londra (v. pag. 433-34), e forse ci conservano la composizione di quel quadro del Mantegna, ora perduto, che descrive Jacopo Calandra in una lettera a Isabella Gonzaga, 15 luglio 1506. (Ved. Lett. Piti., tom. Vili, pag. 31 ). La finezza somma dei tagli indusse molti intelligenti a tenere queste due stampe come del Raimondi. DI ANDREA MANTEGNA 437 1 due contadini. Larga poli. 4; alta 5,6. Questa bella incisione non è ricordata che dallo Zanetti nel suo Catalogo delle stampe Cicognara. Egli, con molta finezza d'osservazione, la riconosce come lavoro del Mantegna. Nel Catalogo dell'Incisioni del Gabinetto Nazionale di Parigi vengono attribuite al Mantegna parecchie altre stampe ; ma siccome nessuno scrit- tore di cose calcografiche le ascrive al nostro pittore, così io qui le no- vero con quella riserva che procede dal dubbio, pregando poi gl'intel- ligenti a maturi esami su quelle a fine di chiarire la verità. Assunzione della Vergine. Larga poli. 7 ; alta poli. 9,4. Adorazione degli Angeli. Larga poli. 7 ; alta poli. 9,4. Santa Famiglia. Larga poli. 9,6; alta poli. 10. Altra Santa Famiglia. Larga poli. 9,5 ; alta poli. 8,3. Adorazione dei Pastori, col monogramma mf. Larga poli. 10; alta 13,7. Battesimo di Gesù Cristo. Larga poli. 8,3 ; alta poli. 10,9. Santa Caterina e Santa Lucia. Larga poli. 7,9 ; alta poli. 10. Ecce Homo, con due angeli. Larga poli. 4,8 ; alta polL 3,4. Altro Ecce Homo (senza angeli). Larga poli. 4,1; alta poli. 7,7. San Sebastiano. Larga poli. 3,5 ; alta poli. 6. Altro San Sebastiano. Larga poli. 4,1 ; alta poli. 6. La Cena cogli Apostoli. Larga poli. 11,9; alta poli. 9,10. Cristo dinanzi a Pilato. Larga poli. 8 ; alta poli. 10,9. Cena cogli Apostoli. Ve l'epigrafe Amen dico vobis qu uns vestrum me traci iturus e. Larga poli. 10,4 ; alta poli. 8,3. Flagellazione di Cristo. Larga poli. 10,11; alta poli. 14. Altra Flagellazione di Cristo. Larga poli. 10,6; alta poli. 15,6. È af- fatto simile alla precedente, fuorché nell'architettura del campo. Tre teste di cavallo. Larga poli. 6,11 ; alta poli. 6. Donna ignuda in piedi. Presso la testa della figura sta scritto santa. Larga poli. 3,10 ; alta 9,8. Uomo nudo. Nel mezzo sta scritto mato. Largo poli. 4,8 ; alto poli. 8,8. Torso di Ercole, colla doppia epigrafe in majuscolo e corsivo : Monte Cavallo. Largo poli. 3,9 ; alto poli. 6,1. Combattimento di Centauri. Largo poli. 11,10; alto poli. 7,5. Testa di donna giovane. Larga poli. 5,5 ; alta poli. 7,7. Bacco ignudo, colla marca 0. Largo poli. 9,4; alto poli. 6,2. Ercole col serpente. Ve l'epigrafe scritta in senso verticale: Divo Herculi mvicto, e le iniziali lE T. Largo poli. 7,5 ; alto poli. 10,7. Ritratto d'uomo. Largo poli. 4,2; alto poli. 4,9. Tre puttini nudi alati. Larga poli. 8,5 ; alta poli. 5,9. Donna ignuda dormiente, con epigrafe a caratteri inintelligibili. Larga poli. 15,10; alta poli. 11,7. 438 COMMENTARIO ALLA VITA Fontana con Nettuno e varj delfini e putti, col monogramma MF. Larga poli. 8,10; alta polL 12,4. Per molto tempo venne considerato come lavoro del bulino di Andrea quell'antico Giuoco di carte, cinquanta di numero, di cui la collezione Malaspina in Pavia possiede il più beli' esemplare : ma il modo dei tagli e il disegno mostrano ad evidenza che quelle carte furono incise da altra mano. Intorno a questo famoso Giuoco, come intorno ad altri di poco posteriori, è da consultare il libro recente del signor Vallardi, Manuale del raccoglitore e del negoziante di stampe. (Milano, 1843, pag. 1-6). Prospetto cronologico della vita e delle opere del Mantegna I documenti citati nelle note, con le iscrizioni poste su parecclii fra i dipinti del Mantegna, porgendomi modo di disporre in ordine non in- terrotto molte epoche relative alla vita ed alle opere di lui, penso non torni disutile darne qui un prospetto cronologico. 1431. Nasce Andrea in un villaggio del Padovano da un certo Biagio. 1441. È ascritto alla Fraglia de' Pittori padovani, come figlio adottivo dello Squarcione suo maestro. 1448. Dipinge una tavola da altare in Santa Sofia di Padova. 1450. Tavola a tempera rappresentante l'Annunziata, ora nella Galleria di Dresda. — (* Falsamente attribuitagli. Vedi a pag. 413, nota 1 ). 1452. Dipinge in fresco il San Bernardino ed il Sant' Antonio che è sopra la porta maggiore della Basilica del Santo in Padova. 1453-54. Ancona del San Luca per la Basilica di Santa Giustina di Pa- dova, ora nella Pinacoteca di Brera a Milano. 1454. Tavola della Santa Eufemia, ora nella Galleria pubblica di Napoli. 1453-59. Dipinge a fresco nella cappella degli Eremitani di Padova. Sposa Nicolosa figlia di Giacomo Bellini, e sorella di Gentile e di Giovanni. 1458. Dipinge imiti i ritratti di Galeotto Marzio da Narni, e di Giano Pannonio (Giovanni Viterzio Unghero, vescovo di Cinque Chiese), poeta latino di molta fama ai giorni del Mantegna. 1457-59. Dipinge la tavola in San Zeno di Verona per commissione del protonotario Gregorio Correr. 1459-60. Sua andata a Mantova a'servigj del marchese Lodovico Gonzaga. 1461. Dipinge la tavoletta che è ora posseduta dal duca Melzi in Milano. DI ANDREA MANTEGNA 439 1463. Dipingeva in Verona ; e Felice Feliciano gli dedica il suo libro delle Iscrizioni Veronesi, pubblicato in quell'anno. 1466. Era in Firenze, secondo una lettera dell' Aldobrandini de' 5 giugno, e forse allora dipinse il quadretto che ne aveva l'abate della Ba- dia di Fiesole. — (t Questa lettera fu pubblicata dal D'Arco, nel voi. n, pag. 12, Delle Arti e degli Artefici in Mantova). 1474-81. Dipinge in fresco la Camera del Castello di Mantova, ora Ar- chivio de'Notari. 1476. Sopra un fondo donatogli in Mantova, vicino alla chiesa di San Se- bastiano, dal marchese Lodovico Gonzaga, Andrea si costruisce dai fondamenti una casa, che in appresso ornò di pitture. 1481, 8 giugno. Dal marchese Francesco Gonzaga viene confermata al Mantegna la donazione di alcune terre che prima gli aveva fatta il marchese Lodovico. 1488. Conduce la Giuditta, eh' era un tempo nella Galleria Giustiniani a Roma, ora in quella di Berlino. 1488, 10 giugno. Con lettera di questo giorno il marchese Federigo invia il Mantegna al papa Innocenzo Vili, che l'avea richiesto per di- pingere una cappella a Belvedere. 1488-90. Dipinge in fresco a Roma la cappella d'Innocenzo Vili, ora distrutta: 1488-90. Conduce la piccola tavoletta colla Vergine ed il Bambino eh' è nella sala de' Pittori Lombardi nella Galleria degli Uffizj. 1489, 16 dicembre. Viei> richiamato da Roma dal marchese Francesco Gonzaga. 1490, 6 settembre. Ritorna in Mantova accompagnato da un onorevolis- simo Breve del Pontefice in data del 6 settembre del predetto anno. 1491, Dipinge la tavola della Galleria Malaspina in Pfivia (dubbia). 1491. Disegna all'acquerello con lumi di biacca una Giuditta colla fante. ( Faceva parte del famoso libro del Vasari , ora sta nella raccolta dei disegni posseduti dalla Galleria degli Uffizj ). 1492, 4 febbrajo. Francesco Gonzaga assegna al Mantegna dugento biolche di terreno, inter vivos, esenti da imposizioni, per rimunerarlo dei freschi in Camera del Castello e dei Trionfi dipinti nel palazzo di San Sebastiano. 1492. Lavorava a finire i Trionfi di Cesare nel palazzo di San Sebastiano a Mantova, ora ad Hampton-Court presso Londra. 1495. Colorisce la celebre tavola detta la Madonna della Vittoria, prima in Mantova, ora al Louvre. 1497. Dipinge il quadro per l'aitar maggiore di Santa Maria degli Or- gani di Verona, ora in casa Trivulzi a Milano. 440 COMMENTARIO ALLA VITA 1499, 4 luglio. Con testamento del notajo Eugenio Flamberta assegna come parte di dote, 260 ducati d'oro alla propria figlia Taddea, maritata a certo Viano Viani. 1504, 1 marzo. Testamento di Andrea in atti del predetto notajo Eugenio Flamberta. 1504, 11 agosto. Ferma col Clero di Sant'Andrea di Mantova le condizioni per fondare una cappella nella detta chiesa, ornarla di pitture e dotarla iDer una Messa quotidiana. 1505-6. Dipinge il Trionfo di Cornelio Scipione pel cardinale Francesca Cornaro. ( Ora nell' Istituto di Londra ). 1505-6. Cristo in scorto. ( Ora nella Pinacoteca di Milano ). 1505-6. San Sebastiano. ( Prima in casa del cardinal Bembo e suoi eredi, poi nella quadreria Scarpa alla Motta di Friuli). 1506, 24 gennajo. Altro testamento del Mantegna in atti del notajo man- tovano Giovambatista Zambelli, col quale modifica in parte il pre- cedente. 1506, 2 agosto. Stretto da angustie pecuniarie, vende alla marchesa Isa- bella Gonzaga una Faustina antica di marmo che gli era carissima. 1506, 13 di settembre. Muore in Mantova in una casa in contrada del- l' Unicorno. PARTE SECONDA Sul merito artistico del Mantegna Intorno ai pregi artistici del Mantegna molto fu detto da molti, ri- petendo con differente giro di parole quasi sempre le opinioni del Vasari e del Ridolfi; ma non so poi se neppure que'due biografi abbiano sempre toccato giusto. Il nostro pittore fu proclamato ingegnoso, buon prospet- tivo, corretto disegnatore, ammiratore ed imitatore dell'antico; ma non ci fu narrato mai, se nelle accennate parti superasse i contemporanei, o loro rimanesse inferiore. Non ci fu detto mai, se in tutti i pregi teste ricordati ( che erano quelli di molti Veneti e Toscani del suo tempo ) se- guitasse la strada medesima di que' sommi, od altra ne battesse. Per sa- pere veramente in quale stima debba tenersi relativamente al suo secolo fecondo di pittori grandissimi, panni sarebbe stato opportuno raffrontarlo con alcuni fra i pennelli più illustri di quella età. Dire che i confronti sono più odiosi che necessarj , è tórta sentenza, perchè sarà sempre infermo DI ANDREA MANTEGNA 441 quel giudizio che non si appuntella del confronto; ed io penso che molte opinioni, universalmente ripetute, spesso si muterebbero, se nel giudicare le opere di un grand' uomo si ponessero senza prevenzioni al paragone eoa quelle di un altro grande. Disegno Il disegno e la parte, in cui il Mantegna fu più lodato dai biografi, ma forse anche il meno compreso. E veramente torna difficile il poter fissare su fondamenti sicuri quanto in ciò valesse; difficilissimo il conside- rarlo sotto un solo punto di veduta: poiché egli si mostra vario come i diversi sistemi da lui in va,rj tempi seguitati. Ne' primi suoi anni imita, è vero, le secche maniere del maestro; ma tenta aggrandirle cogli antichi modelli, che da quello gli venivano di frequente posti sott' occhio. Per quanto però si arrovelli intorno a così fatti esemplari, non arriva mai a bene afferrarne le ragioni e lo spirito, impacciato com'era dal minuto ed arido stile del precettore, il quale (dicano i biografi ciò che vogliono) si opponeva direttamente alle massime antiche. Gli antichi, e specialmente i Greci, intesero, per dir così, a sempre idealizzare la natura, trasceglien- done il più grandioso, non mai curando ritrarre quanto eravi di minuto: il sistema tedesco in vece, imitato in alcune parti dallo Squarcione, mirava ad accarezzare tanto ogni minutaglia da sacrificare a tal vezzo le masse. Perciò severamente sì, ma giustamente disse il Mengs, quando osservò che il Mantegna non ebbe ne la grazia, ne la bellezza, ne il gusto degli anti- chi, ina il solo desiderio d' imitarli. * Al pauroso ed impigliato studio di quelle castigate forme greche sem- bra che il nostro autore unisca più tardi l'altro dei bronzi e marmi del Donatello. Su quei tipi insigni arriva finalmente a guadagnare un segno severo e puro sì, ma ad un tempo sgradevolmente statuino, ed una ma- niera così ben detta dal Vasari un pocJietto tagliente, e che tira talvolta piti alla pietra, che alla carne viva. I rimproveri del maestro, gli ammo- nimenti dei cognati gli apprendono non essere quella la via di arrivare l'armonia e la verità, nella forma dell'arte; per di là correre alle insi- pide convenzioni, non alla scelta imitazione della natura, primo scopo dell'artista. — Prende allora a guida i Bellini, e meglio il più valente dei maestri, la verità, e colorisce due opere, in cui è così corretto, così vario, così nobile, e sempre così vero, che a mirarlo e un incanto. In que'due spartimenti, dei quali Padova va gloriosa, tanta è la sapienza, la dottrina e lo ingegno, che oso affermare non lasciano sentire deside- rio dei più castigati dipinti lasciatici dai Quattrocentisti fiorentini. Parrà ' Mengs; Opere, tom. I, pag. 175, ediz. di Parma. 442 COMMENTARIO ALLA VITA forse esagerato questo elogio; ma chi tale lo stimasse, si porti ad osser- vare le due storie di San Cristoforo nella nostra chiesa degli Eremitani, e faccia ragione se io dico giusto. Felice il nostro pittoi'e se avesse con- tinuato sempre a battere quella sti*ada ! I due freschi ora accennati sono una vera anomalia nella carriera pittorica di quel sommo; ne si sa spie- gare come egli più tardi si distogliesse da un sistema che dovea fruttargli tanta solida gloria. Sennonché le convenzioni sono una infesta gramigna, che, appigliata una volta al terreno, non v'è più marra che valga a sra- dicamela: se vi lasci la più minuta barbolina, e quella cresce repente, e rampolla così, che tutta distrugge la buona semente che le cresce da lato. Verrà giorno, e spero non lontano, che non sarà più mestieri procla- mare la seguente verità, ora non mai ripetuta abbastanza. Chi fino dai più teneri anni si pone tutto a studiare i modi d'un maestro, poi lana- tura, non giungerà mai a formarsi il fedele interprete di essa; la vedrà sempre a traverso le massime preconcette ; vorrà su quelle assestarla ; cre- derà correggerla, annobilirla, aggrandirla, e la renderà invece monotona, fredda, anche rimpiccinita; e finalmente scorgendola sempre diversa dal traviato modo con cui nella mente propria la immaginò, rifiuterà consul- tarla, quasi impaccio importuno, e darà nella sempre odiosa maniera. È vecchio grido quello che i maestri, e non solamente i pittorici, avven- tano contro gì' imitatori delle opere altrui ; ma intanto nelle scuole ci insegnano prima a studiare i così detti classici, qualunque sia la religione, la civiltà, la morale, fra cui essi operarono: poi a guardare il vero, sem- pre però attraverso quel velo di troppo inculcati principj, i quali di forza sono convenzionali, perchè specchio d'altrui maniere; di forza diventano canoni invariabili, perchè mostrati come gemme nella età in cui ogni impressione si stampa indelebile. Bene disse quella somma luce d'Italia Alessandro Manzoni, che fra i varj espedienti che gli uomini hanno tro- vato per impacciarsi l' un l' altro , ingegnosissimo è quello di avere quasi X^er argomento due massime opposte tenute egualmente per infallibili. ,— « Applicando quest'uso (prosegue egli) anche ai piccoli interessi della « poesia, così dicono a chi la esercita: Siate originale, e non fate nulla, « di cui i grandi looeti non v'abbiano lasciato l'esempio ». ' — Quali in- terpreti od amici del vero debbano uscire da questo troppo accarezzato sistema, lo dica chi ha fior di senno; e meglio lo dicano (perchè è pru- denza limitare il discorso alle sole arti) tutti gli artisti presenti, fatti, cj[ual più qual meno , convenzionali dai tristi metodi usati dalla più parte delle Accademie. Così certo non la pensavano i sommi Quattrocentisti: ' Pensieri critici di Alessandro Manzoni: nel Raccoglitore italiano e stra- niero, anno IV, pag. 6. DI ANDREA MANTEGNA 443 poiché appena ponevano fra mano ai giovani la matita, voleano ricopias- sero la natura; poi le altrui maniere solamente osservassero. Ecco da ciò derivarne varietà nella purezza, e nella purezza independenza grande; independenza che intravvedete n-i-lle mistiche Madonne del Perugino, nei leggiadri angioletti del Francia, nelle pieghe e nelle carte dei Bellini; independenza che signoreggia mirabile nei severi cornicioni del Cronaca e dei Lombardi, negli eleganti capitelli del Formiggine e del Bramante ; independenza che intera non potè avere il nostro Mantegna, perchè, a differenza dei più grandi pennelli dell'età sua, si gettò alla imitazione di varie maniere, prima che formarsene una propria sul gran libro del vero. Perciò, dopo ch'egli avea pur dato prove, nei due spartimenti ac- cennati, cosa nell'arte sia veramente bellezza, fu come sopraffatto dai primi sistemi appresi; non più seguitò lo studio della natura, e tox'nò a quel suo statuino, a quella sua affettazione di sveltezza, che spiace tal- volta ai meno difjScili. Egli, che nei prenominati dij)inti degli Eremitani avea mutata l'altezza delle figure a seconda di quanto esige la verità, allora che ricadde nell' antico stile urtò spesso in un vizio strano : le di- segnò eccessivamente lunghe. Non è raro che una sua figura apparisca alta pili di nove teste. Anche nelle attitudini dà sovente nel duro e nell' af- fettato. In quelle che piantano , contorce d' ordinario il busto , rialza un fianco, scosta fra loro i piedi con una esagerazione che prova, meglio di tutto, come qualche volta non guardasse al vero. Il suo segno, quasi sem- pre composto di rette, non alternato da piccole curve che addolciscano i passaggi dall'una all'altra, è spesso arido oltre misura; ma però, con- siderato secondo le leggi prospettiche, dottissimo. Non avviene mai ch'egli ondeggi in incertezze: in ogni parte anche la più minuta v'è sempre la più rigorosa ragione prospettica : indizio sicuro d' immenso studio. Singo- lare materia a molte meditazioni è poi quel vedere in lui quelle parti perfettamente conformi al vero, daccosto ad altre tutte convenzionali. Strano accoppiamento, da cui possiamo inferire le intime lotte che in quella mente profonda dovea suscitare l'amore alla verità, combattuto di con- tinuo da pregiudizi e da abitudini involontariamente originate dalle mi- sere imitazioni d'altrui maniere. Neil' anatomia è molto addentro pe' tempi suoi. Non vi scorgi né lo spesso esuberante lusso dei muscoli di Michelangelo, né la sapiente par- simonia di Raffaello; ma ravvisi invece uno, che se molto non potè stu- diare sui cadaveri,' questo gran fondamento dell'arte, lo meditò come ' Uno dei primi artisti che, al dire del Vasari, studiò sui cadaveri l'ana- tomia fu Antonio del Pollajuolo, contemporaneo al Mantegna, cioè nato nel 1429 e morto nel 1497. 444 COxMMENTARIO ALLA VITA meglio potè sugli antichi marmi, e ne appi-ese quanto bastasse per non errai'e nella collocazione delle parti primarie, e nella difficile scienza delle appiccature , eli' egli conobbe con sì ingegnosa sottigliezza da superare in questo i più fra' contemporanei. — Se il Mantegna avesse sentita nell'in- timo petto la grazia, non dovrebbesi temere d'affei-mare essere egli il più ingegnoso disegnatore di quella età, come senza esitazione è da pro- clamarsi il più dotto; ma quella corda angelica, nell'anima sua scienti- ficamente fredda, non mandava suono. Quell'indefinibile pregio, che ne vegliate notti, ne studj sudati, ne parole di maestro varranno mai ad insegnare, egli non ebbe in dono dalla natura; ed è forse questo più che ogni altro difetto che rende" ai più degli osservatori non sempre grade- vole il suo disegno. Volete una irrefragabile prova quanto poco egli fosse temperato a quella gentile sorella della bellezza? Meno che lo potè fece entrar donne ne' suoi dipinti; e se pur di necessita e'ra forzato a porvene, in esse di certo non sapea trasfondere la voluttà del sorriso e le carezze- voli eleganze, ineffabili armonie dell'affetto che la donna così spesso rag- gia sui dolori della vita. Ciò si conosce ad evidenza nelle molte che do- vette colorare ne' due dipinti allegorici che stanno al Louvre. In quelle due insigni tavole , ove tante ingegnose invenzioni riunì, avea bel campo d'insaporar di grazie le tante Divinità che volea simbolo d' amore e di gioja serena: invece, anche lasciando il senso aspro che piomba sull'animo per quell'abuso sì grande di allegoria e mitologia, quelle Dee e quelle Muse pagane, quelle stesse ci-istiane Virtù mostrano spesso rigidezza sta- tuina; rigidezza che certo non vale ad inspirare soavemente il cuore, ma solo appaga la mente di chi adora la forma, per la somma dottrina del disegno; imica veramente e grandissima, anzi tale da non aver rivali se non nel divino Urbinate. Ove il Mantegna supera anche molti de' contemporanei è nelle estre- mità, che trattò veramente da valentissimo. Vorrei che i giovani, pur troppo condannati spesso da alcune Accademie a studiar male, o a non istudiar per nulla così importante parte del corpo umano, si facessero a ritrarre molti dei piedi e delle mani del nostro autore. Essi apprendereb- heto da tale esercizio un mezzo più prontamente efficace a ben sentire la verità, e a non vituperare lo ingegno in molte di quelle convenzioni che, lo ripeterò mille volte, sono la vera peste dell'arte e la più contagiosa. Così il sistema convenzionale non ricomparisse nelle drapperie del Mantegna, le quali di solito non sono molto da lodare ! Il Lomazzo ci narra coni' egli traesse le pieghe dei panni dai modelli vestiti di carta e tela incollate. Se ciò fosse vero, non sarebbe difficile il dar ragione per- chè i suoi panneggiamenti appariscano spesso così secchi ed angolosi, o, per raggentilire la frase colle parole del Vasari, cnidetti e sottili. Le pieghe DI ANDREA MANTEGNA 445 tolte da così fatti modelli non potranno mai appalesare il naturale, il semplice di quelle che rivestono l' uomo vivo : potranno forse acconciarsi al partito che chiude in mente Fautore, procurare opportuna piazza di luce in parte di quadro; ma conformarsi a verosimiglianza ed a bellezza,' difficilmente. Pur troppo questo detestabile sistema prese vigore quando la vera, la grande arte arte italiana rovinò a scadimento, e si abbietto sino a diventare decoratrice. Quelle menti grandissime di Michelangelo e Correggio, siccome furono i primi a trascinare la pittura fuori delle vie corrette, così i primi pur furono ad adottare, se non precisamente questa maniera di pieghe, una che per gran parte la somigliava. Dopo, tutti s'affaticarono come meglio sapeano a camminare per le orme di que' due grandissimi ; e quali informi masse , piuttosto simili a scogli che a drapperie, facessero uscir dal pennello, tutti sappiamo anche troppo. Che nei secoli del lussureggiante barocchismo si considerassero le pieghe ricopiate dalla lana e dal lino come nocevoli all' effetto generale del qua- dro, sta bene; perchè allora nell'arte ogni principio di verità e di ra- gione era ornai distrutto : ma che in tempi tanto castigati quanto quelli del Mantegna, e da un uomo al par di lui castigatissimo in ogni ramo della pittura si corresse a così brutta licenza, confesso che non posso com- prendere. Ben altra che quella accennata dal Lomazzo mi pare la causa dell'errore ora esposto. M'ingannerò; ma quando osservo scrupolosamente i panni del Mantegna, mi sembra riconoscervi due principj che lottano in modo strano fra loro, e nel disaccordo producono sconcezza. D'ordi- nario ogni falda, ogni seno di quelle drapperie è conforme a verità fino anche negli accidenti piìi minuziosi ; il partito generale poi spiace o per astruseria d'artifizj, o perchè caricatura dell'antico, e spesso dei bronzi di Donatello. Da ciò quindi argomento, che nel getto generale il nostro autore si proponesse d'imitare i marmi di Grecia, ma la peculiare esecu- zione studiasse sul vero; e per mostrare indi poi come a quella gran norma sapesse conformarsi, rintracciasse non già l'andamento caratteri- stico del panno che doveva dipingere, ma le falde casuali ed i seni con- trastati cercasse apposta colle mani, sulla drapperia che gli serviva di esemplare. Non fu solo il Mantegna a seguitare questo sistema; altri Quattrocentisti pure lo seguitarono : ed invece che foggiar le pieghe colla maestà dei Giotteschi e dell'Angelico, ne rintracciarono quella che sti- mavano bellezza non nei più minuti effetti di un vero non artificiato, ma in vece in certi accidenti ch'essi medesimi assestavano o congegnavano sui panni posti a modello. — Almeno i sommi d'allora acconciavano le pieghe suir uomo vivo, e di là scrupolosamente le traevano; né facevano come certi artisti moderni, che raddoppiano la colpa cercando quegli ac- cidenti sul rigido manichino, e menandone vanto. 446 COMMENTARIO ALLA VITA Ove talvolta il Mantegna è disegnatore senza menda è nelle sue inci- sioni, alcune delle quali per correzione, purezza e grazia superano quasi quelle dello stesso Raimondi. Che trovare di più castigato e di più gen- tile (nel solo contorno però) del Cristo portato alla tomba, della Depo- sizione di croce, di una delle tavole dei Trionfi? Ma io farei danno alla verità, ed al mio lettore, se continuando a parlare del Mantegna come incisore, non riportassi il giudizio che ne diede Alessandro Zanetti, nel suo bene illustrato Catàlogo delle stampe contenute nel Gabinetto Cicognara. « Le mérite d'André Mantegna comme graveur a été tantòt exagéré, « tantot abaissé sans raison. On a prétendu qu' il avait porte l' art a l'excel- « lence ; ce c[ui est loin de la verité : on a dit qu' il ne lui devait aucun « avancement ; ce qui est toi^t aussi faux. Malgré une certaine roideur et '< un manque de goùt dans la direction des hachures cjui sont presque « toujours parallèles, caractères géne'raux de l'art naissant, on ne peut « méconnaìtre dans ses estampes la plus grande beauté de dessin et une « admirable piu-eté de contours, que Marc-Antoine lui-mème atteignit, « mais ne pvit surpasser, jointes a un air de naiveté et de gràce qui . « leur est absolument particulier. Peut-ètre ne serait-il pas injuste d'af- « firmer que ces estampes étant sans comparaison plus précieuses pour « l'extréme correction des formes, que pour la mécanique des traits qui X marquent les ombres, elles sont plus propres a ètre appréciées de pré- « férence par les véritables connaisseurs , plutSt que goutées par les sim- « ples ama,teuvs ». Colorito Ma del disegno del Mantegna abbastanza; ora parliamo del suo colo- rito, che specialmente nei dipinti della sua età migliore è succoso, ro- busto, intonatissimo, quanto i migliori Veneti. Nelle prime opere si attiene ad un sistema di tingere sbiadito, debole, e quasi monocromato; effetto del lungo studio posto sui gessi e marmi antichi, o più forse dell' abitu- dine, non da lui solamente seguita, di disegnare le intere storie sopra modelletti di creta o di cera, senza far mai abbozzi dipinti. Mengs crede che per la medesima ragione anche Raffaello tenesse i pa,nneggiamenti e le figure sulla prima linea del quadro, senza alcuna differenza di toni fra loro, come fossero di un solo colore. Il nostro Mantegna non si di- partì da questa maniera, finche vide i Bellini; ma quando l'esempio di quei cari artisti gli provò quanto allettamento venga all'occhio ed al- l'animo da un bel colorito, si diede anch' egli a studiarlo con tutti i nervi. Infatti nelle storie di San Cristoforo agli Eremitani, condotte appunto allorché egli legossi d'amicizia e di parentela coi ricordati maestri veneti, disvelò una vigoria di tavolozza che ha pochi eguali. In alcune di que- DI ANDREA MANTEGNA 4-17 sfe teste pare scorra il sangue sotto la cute, e gli accessorj sono toccati con una diligenza e verità stupende. E ben lontano per altro dal possedere l'impasto, la freschezza, la varietà dei Bellini, e soprattutto di Giovanni, che in ciò fu principe; e può dirsi, senza tema d'errore, il più gajo e vero pennello del ciuattrocento. Ove non ha forse rivali, ove va ammirato quanto studiato il Mantegna, è nei magisteri pratici del colore, e nell'artifizio con cui lo conduce a riprodurre ogni più minuto accidente della verità. Dipinge egli una testa ? Ed eccolo andar cercando con un pennello sottilissimo le pieghette, le rughe, c[uasi direi i pori della pelle. Colora una drapperia? Non tralascia uno solo degli infiniti piani di quella, nelle falde fa riverberare i lumi ribattuti dai seni, e sullo stringersi dei seni stessi digrada il lume via via con tanta ingegnosa intelligenza di toni e di prospettiva, che inna- mora i men teneri dell' accuratezza. Perciò ebbe ragione il Lomazzo ' di osservare, che « Andrea Mantegna ha colorito con diligenza ed acutezza « d'ingegno talmente, che in quella parte ha di gran lunga superati « tutti gli altri ». Qualche volta questa minuta diligenza del Mantegna nuoce in alcuna parte all'effetto; ma più spesso giova. Ne può non giovare; perchè, di- cano quanto vogliono gli amici di quell'ideale che inventa, e di qael grandioso che omette le squisitezze della verità, essere questo il modo di ammiserire i larghi effetti, di cui devono far pompa i dipinti, non sarà per ciò men giusto che nelle piccole differenze, piìi che nelle grandi, sta così la bellezza tecnica come la spirituale delle opere d'arte, e che ad arrivarle entrambe vuoisi diligenza di mente e di mano. Non è difficile accorgersi come il nostro artista più avesse la consue- tudine del dipingere in fresco che in olio. Le carni, specialmente delle donne e dei putti, spesso colora troppo brune, e le sue ombre mancano il più delle volte di trasparenza ed anche di giustezza nella tinta locale. Difetto opposto i^resentano le sue tempere, troppo di frequente o fiacche 0 stonate. Al pari di quasi tutti i frescanti, quando colorisce ad olio dà un po' nel monotono, nel pesante e nel fosco. Nei freschi urta assai di rado in così fatti mancamenti: e quindi solamente sugli intonachi dob- biamo giudicare la perizia del suo colorire. Chiaroscuro Nel chiaroscuro fu del pari molto dotto pe' tempi suoi. Non parlo dei quadri primi, a cui in questa parte possono apporsi mende moltissime; ' Idea del Tempio della Pittura, pag. 50. 448 COMMENTAEIO ALLA VITA parlo de'suoi più belli, nei quali se non è peritissimo a trovare l'effetto delle masse ed a staccare fra loro le figure, non ostante palesa molta co- noscenza del fermarsi e dello sfuggir della luce. Può dirsi di lui ciò che pure può attestarsi di molti fra' suoi illustri contemporanei: conobbe e trattò da maestro il partito individuale di ogni figura; quello generale della composizione talvolta o non intese affatto, od intese male. Ogni cosa è chiaroscurata in modo, come se dovesse stare da se sola in un quadro ; non mostra cioè nessuna dipendenza dalla luce e dal colore delle sue vicine. Spesso serrò un po' troppo i lumi a fine di trovare sulla ta- volozza mezzi a riprodurre con precisione squisita ogni piii minuta parte. Anche questo rimprovero cessa però dal meritarlo e nelle più volte ri- cordate storie di San Cristoforo agli Eremitani di Padova, e nei freschi di Mantova. Chi guarda a quei soli dipinti dà ragione al Lomazzo, il quale scrive: ' « che (il Mantegna) si applicò ad un lume pronto e mi- •K nuto, ma graziato armonicamente e con somma melodia riflessato ». Prospettiva La parte, in cui fu veramente sommo, e non ebbe chi '1 superasse neppure nel lodatissimo Cinquecento, fu nella prospettiva, scienza che conosceva profondamente in ogni più riposto secreto; sicché a ragione •scrisse il più volte citato Lomazzo : ^ « essere il Mantegna stato il primo « che in tale arte abbia aperti gli occhi, perchè comprese che la pittura « senza questa è nulla ». È d'opinione M. Rio nel suo bel libro svlVArte cristiana, che il no- stro pittore tale scienza apprendesse dallo Squarcione, il quale proba- bilmente ne aveva fatto grande studio sulle gigantesche figure dipinte da Paolo Uccello in Padova nelle case dei Vitaliani. Viene ad appoggio di questa sentenza l'osservare, che altri seguaci della scuola Squarcionesca, -come Melozzo da Forlì, Marco Zoppo, Cosimo Tura detto il Cosmè, Fran- cesco Cossa, riuscirono parimente abilissimi prospettivi. Io credo per altro che il Mantegna e gli altri che ho testé nominati , meglio s' impossessas- sero delle regole prospettiche frequentando la scuola di prospettiva che a quei tempi erasi istituita in Padova a servigio del pubblico. ' La prospet- tiva, portata a regole fisse e ad un'utile applicazione dal Brunellesco e da Piero della Francesca nei primi anni del secolo xv, ben presto fu va- gheggiata 0 meglio idoleggiata da tutti gli artisti italiani, che facevano ' Opera citata, pag. 52. "^ Opera citata, pag. 17. ' Michele Savonarola, Be laiidibns Patavii, nel voi. XXVI, pag. 1180, •della Raccolta Muratoriana Rer. Ital. Script. DI ANDREA MANTEGNA 449 a gara d'insignorirsene e praticarla con sicurezza. Così gran voga ebbe ìillora questa scienza, che verso la meta di quel secolo già ne erano cat- tedre non solamente, come dicemmo, in Padova, ma ben anche in molte altre città. Ed in Venezia Girolamo Malatini, matematico insigne pe' tempi suoi, ne teneva pubblico insegnamento, e la apprendeva al Bellini ed a Vettore Carpaccio ; ed in Milano Vincenzo Foppa ne dettava trattati ; e ne scriveva con profonda cognizione in Firenze Leone Battista Alberti. Fu tale in quei tempi il furore, dirò quasi, degli artisti per la prospet- tiva, che persino gli scultori si faceano vanto di conoscerla e di usarla. Quindi vedemmo i gentili Lombardi a Venezia adoperarla con male ap- plicata verità ottica persino nei bassorilievi. Non è dunque da sorprendere se il Mantegna, per seguitare la moda e piìi quel sottile suo ingegno, che godeva ravvilupparsi nei più astrusi misteri dell'arte, si ponesse con ogni sforzo a studiarla, e la portasse più innanzi di tutti gli altri con- temporanei. Dovette essere in cuor suo molto lieto per tante fatiche du- rate, quando vide comparire sotto il pennello ed archi e loggie e portici benissimo tirati per ben intesi sfuggimenti. Quanta profonda conoscenza nel collocare il punto visivo e l'altro della distanza è mai nelle pro- spettive del maestro padovano ! quanta dotta composizione di linee e pe- rizia nel dar rilievo a colonne e ad ornati ! — Per questo suo tanto valore , troviamo sommamente lodato il Mantegna da tutti quelli che di lui par- larono, e specialmente dal Lomazzo, ' il quale con quel suo stile semi- I barbaro volle dire, e non '1 seppe, come l'artista padovano conosceva più i d'ogni altro le finezze della pi'ospettiva. « Benché possedesse (dice egli) -« tutte le eccellenze della pittura, pur nella prospettiva, che fu la prin- ■« cipale, non potè levare alcuno la sua maniera e gli intrichi di quella, ■« sicché non paresse fatta con arte ». Se ascoltiamo anzi questo autore, pare che il Mantegna avesse la- sciato un pregevolissimo scritto intorno a simile importantissimo ramo •dell' arte. Ecco le parole con cui il Lomazzo ^ fa menzione di ciò : « Fra « quei pochi che hanno intese e speculate le ragioni nelle distanze della « prospettiva, non le hanno però ad alcuno insegnate ne scritte, salvo « Vincenzo Fo]Di3a, Andrea Mantegna e Bernardo Zenale; delle cui opere •« scritte di mano loro, oscuramente però, io ne ho assai vedute ». Ma il gran passo che sembrami il Mantegna abbia fatto dare alla pro- spettiva, il passo, per cui mi pare degno della riconoscenza di tutti gli artisti, è, secondo ch'io penso, l'applicazione ch'egli seppe trovare di questa difficile scienza alle varie posizioni e movimenti del corpo umano. ' Idea del Tempio della Pittura, pag. 150. * Trattato di Pittura, pag. 254. VtsiR-, Opere — Voi III. 29 450 COMMENTARIO ALLA VITA Gli altri suoi contemporanei, anche i Y>m ciotti, si valgono della prospet- tiva per isfoggiare in magnifiche architetture, e digradare case ed uomini secondo regola ; ma così poco poi mostrano di conoscere le varie apparenze d'essa nelle diiferenti movenze dell'uomo, che negli scorti danno spesso in errori madornali. — L' acuta mente del Mantegna vide più là ; vide che senza sottomettere alle norme di prospettiva una figura, era difficile che le varie sue parti somigliassero a verità; vide che, per giungere a ciò, era forza saper dare ragione d'ogni scortar delle membra, e rilevarne con ogni cura le più piccole differenze ed effetti ; ne potersi far ciò senza ve- nire ajutati dalle più fine cognizioni di prospettiva. Eccolo quindi con minuta, ma dottissima attenzione rendere di ogni fermaglio o fettuccia le grossezze, la profondità, lo scorto; eccolo riporre nelle piccole diffe- renze, direi quasi, il fine principale della parte tecnica dell'arte. — Mi- rabile, quantunque troppo da lui accarezzato magistero, che raccoman- diamo alla osservazione di quei giovani bene avviati, i quali non pongono ogni loro gloria ad emulare i larghi e macchinosi partiti di chiaroscura lasciatici dai Caracci; ne, accecati da rea educazione, stimano sia ignobile od inutile la imitazione di ogni più minuta apparenza del vero. — Questa mia opinione intorno al Mantegna parmi la confermi il Lomazzo nel passo seguente : ' « Andrea Mantegna ha fatto alcuni disegni di prospettiva « dove ha delineate le figure poste secondo il suo occhio, delle quali io « ne ho veduto alcune di sua mano, con suoi avvertimenti in iscritto, « presso Andrea Gallerate, grande imitatore di quest'arte ». Se fu per altro il Mantegna dottissimo nella lineare, no '1 fu egual- mente nella prospettiva aerea, che al pari di quasi tutti i pittori di quella età curò meno di tutto il resto. E raro che le sue figure lontane, de- gradate matematicamente colla più scrupolosa scala prospettica, mostrino quelle ombre incerte e quei lumi foschi, che nel sito ove fingono esser l^oste dovrebbero pure appalesare. È raro che gli oggetti dieno apparenza di staccarsi l'uno dall'altro, come se per mezzo spaziasse l'aria. Tutto vi e particolareggiato, anche in distanza, con la diligenza e la precisione delle i^arti vicine; tutto vi serba la medesima forza, il medesimo valore di chiaroscuro. Fossero pure ignari di questa bella parte della prospettiva molti fra i pittori italiani d' oggidì ; ma almeno conoscessero la scienza quanto il nostro Mantegna : forse non si vedrebbero in tanti dipinti quelli impu- dentissimi farfalloni, che accusano la lercia ignoranza dei loro autori. Tante figure non si mostrerebbero, così mal collocate; tanti edifizj dise- gnati sul campo non parrebbero disegnati in aria ; i personaggi disgiunti ' Idea del Teinpio della Pittura, pag. 2-^4. DI ANDREA MANTEGNA 451 dalla prima linea del quadro non somiglierebbero a nani od a giganti. Ma pur troppo ho paura che sia tutt' altro che vicino il giorno, in cui vedremo svelti dalla radice errori così goffamente madornali, perchè mi pare che in Italia sieno ancora troppo pochi gli artisti che studiano dav- vero le regole e le ragioni della prospettiva. Ne perchè muovo queste querele è già mia intenzione di persuadere i giovani a studiare sulla scienza come il nostro iMantegna. Io tengo anzi per fermo, che la mag- gior parte delle colpe che in queste osservazioni dovetti apporgli, sieno frutto del troppo amore da lui posto a così fatta scienza. L'abuso degli scorti, quei problemi di disegno così difficili a scioglier bene, od almeno gradevolmente, sono colpe, a mio credere, prodotte dal bisogno, e quasi direi dalla vanità eh' egli provava di mostrarsi inviscerato nelle dottrine prospettiche. Senza anche portarsi ai tempi del Mantegna, in cui questa severa disciplina doveva affascinare gli occhi fino allora inesperti, e stra- nieri onninamente a' suoi miracoli, essa è di per sé scienza ammaliatrice, la quale quando si appiglia fittamente nel cervello di un artista, cotanto il padroneggia, che gli fa credere l'arte altro non essere che un gran quesito di prospettiva. E siccome tutto quanto si presenta allo sguardo può venire sottoposto alle sue leggi, accade che il pittore, il quale ne piglia vaghezza, te la fa comparire non soltanto nelle linee del fondo, negli atrj, nelle loggie, ma ben anche nelle mani, nelle braccia dell' uomo, nel piegarsi del corpo. Difficile e astrusa nelle sue teorie, piìi difficile nelle sue applicazioni pratiche, è chiaro ch'essa torna acconcia a lusin- gare l'amor proprio del pittore, il quale può sceglierne ogni più arduo quesito; e quindi agevolmente lo eccita a proporsi alcune difficoltà, onde mostrarsi valente a superarle. Ecco quindi le ragioni che spinsero il no- stro autore ad applicarla alla figura umana sino allo scrupolo, e quindi ad essere uno dei i^rimi che tentassero quegli arditi scorti, i quali seb- bene sieno conformi a veiùtà, pure la presentano sotto aspetto qualche volta sgradevole. La prospettiva, applicata coii savia e ponderata tem- peranza, sarebbe stata un vero bene per l'arte; le avrebbe impresso un movimento progressivo, sarebbe divenuta davvero, come la chiamò il gran Leonardo, yuida e timone della pittura: ma usata senza misura ne modo, usata con tanta sfrenatezza da far tacere le ispirazioni del cuore caldo di un concetto sublime, per sommetterle ad agghiadate regole, finì ad es- sere dannosa alla pittura, regalandole quegli scorti affettati, contorti, veri sì, ma inverosimili, per cui andarono sì pazzi alcuni artisti sul finire del secolo xv. È forza credere che un così fatto delirio sia pece che non si stacca più dall'uomo, quando ne fu una volta invescato. Infatti il no- stro Mantegna giunse a dimenticare l' aridezza del maestro ; dimenticò an- che i freddi studj fatti sull'antico; abbandonò il colore falso che era 452 COMMENTARIO ALLA VITA solito usare, e seguì quello vagliissimo del Bellini: ma non dimenticò mai r amore smodato per lo scorto , in cui fu sì valente , e sgraziatamente così lodato e così imitato. Architettwa Se il Mantegna fu grande nelle prospettive, noi fu certo meno nelle architetture, che in gran copia e con variato sfarzo ci presenta ne' suoi quadri. Ben lontano dal manifestare uno stile secco e peritoso, appalesa la grandiosità delle moli romane senza ombra di timida imitazione. Cosa che sembra meravigliosa, quando si considera come sempre accarezzasse un fare minuto, secco, e qualche volta troppo impeciato d'imitazioni. — Si vede chiaro che l' architettura conosceva ben più che da pittore ; e quando si osservano i fondi de' suoi dipinti, non reca più stupore che in Mantova architettasse, come affermano alcuni scrittori, e la propria abitazione, e Santa Maria della Vittoria, e la celebre Rotonda tanto lodata dal Betti- nelli. — Tutti i campi nell' opere del Mantegna sono sparsi di magnifici atrj, d'archi di trionfo, di portici, di superbe colonne, specialmente co- rintie. Se così corretta sontuosità si scorgesse soltanto negli edifizj da lui posti nelle ultime sue fatiche , si potrebbe credere eh' egli la imparasse , quando fu in Roma a dipingere in Belvedere per Innocenzo Vili; ma egli la disvela forse maggiore nelle sue prime, quando non era ancora uscito da Padova, od almeno dalle venete citta. Chi dunque gliela inse- gnò? Probabilmente lo stesso Squarcione, che ne' suoi viaggi avrà dise- gnati molti di quei greci e romani ruderi, e li avrà poi dati ad esem- plare al discepolo. Mi viene per altro sospetto che il Mantegna apprendesse il gusto della romana architettura misurando egli stesso gli edifizj antichi di Verona, che era allora fra le città italiane quella che, dopo Roma, serbava i più grandiosi avanzi di vetuste moli. A questa congettiira mi conduce l' osservare , che sovra l' arco trionfale da lui posto in una delle storie di Sant' Jacopo ai nostri Eremitani scrisse in un canto Lucius Vitru- rius Cerdo, che fu un antico architetto di Verona, il quale alzò colà l'arco de'Gavj, ora miseramente atterrato. Vero è che il Mantegna per nulla intese d' imitare quell' illustre monumento ; ma avrebbe egli forse colle accennate parole voluto farci comprendere che i maestosi avanzi veronesi gli erano stati guida nell' apprendere 1' architettura ? Che che ne sia di ciò, è certissimo che sui ruderi ancora surgenti in Verona e nella pro- vincia egli pose studio particolare; perchè Felice Feliciano nel suo Libro di antiche lapidi, scritto nel 1463, ci narra essersi aggirato in compagnia del nostro pittore e di Samuele da Tradate per varj luoghi presso il Lago di Garda, misurando menumenti e ricopiando lapidi antiche. Ne certo DI ANDREA MANTEGNA 453 queste escursioni erano accidentali , o straniere alle inclinazioni del Man- tegna, che egli anzi godeva mostrare profondità nella scienza archeologica; e perciò, quando gliene veniva il destro, inframmetteva a quelle sue cor- rettissime architetture o qualche fregio o qualche bassorilievo antico, o qualche epigrafe romana. Paese Chi seppe si maestrevolmente rappresentare le architetture e le j)ro- spettive, era poi debolissimo nel frappeggiare le frondi, nel colorare i sassi, nel toccare finalmente tutti quegli oggetti che gli artisti conoscono sotto il generico titolo di paese. In ciò il Mantegna si mostra più arido, più stentato di tutti i contemporanei, che, per dir giusto, non valsero gran che a raffigurare la campestre natura. Giovanni Bellini fu secco, è vero, ne' suoi paesi; ma le sue tinte incantano per soavità. Cima da Cone- gliano anch' egli non foggia sassi ed alberi colla squisitezza di un Ruysdael ; ma ebbe però somma perizia a scegliere i paesaggi, con cui ornava le cristiane ispirazioni del suo pennello. Quelle sue rupi, que' suoi colli pajono spandere ilarità , come il cielo purissimo , sotto cui respirò le prime aiire di vita. Sempre fresco e vigoroso nel colore, sia ch'egli rappresenti un rustico ponte, o le capanne de' suoi colligiani, o le spume de'patrj tor- renti, tutto così dispone col sentimento del vero e del pittoresco, che se anche non avesse quel sì gran nome come artista cristiano, meriterebbe d'occupare come paesista un posto luminoso nella storia dell'arte. Il troppo celebre Fra Filippo Lippi ed il figlio di lui Filippino trattarono il paese con tale vaghezza e varietà, che sarebbero pure ammirati a' giorni nostri, in cui tanto domandiamo ai pittori di questo genere. Perchè l' artista possa toccar frondi, acque e monti leggiadramente, è pur necessario che abbia l'anima informata alla grazia; ed il Mantegna, come vedemmo, tanto pregio lascia desiderare. Invenzione e comjwsizlone Dire di un artista eccellente, che mostra sempre molto merito nelle sue composizioni, è d'ordinario arrischiata sentenza; perchè a fare che ciò fosse vero, bisognerebbe che in tutta la sua vita avesse trattato una sorte sola di oggetti. Già parmi non vi sia bisogno di lunghi ragiona- menti ad andar persuasi come non sia tutto da tutti : le menti universali sono più rare di quello si pensa: e se Michelangelo dovesse tenersi in pittura tanto valente come in architettura, non so quanti ammirerebbero i Profeti della Sistina. È chiaro che quello, il quale pose profondi studj 454 COMMENTARIO ALLA VITA nelle sacre carte, e sente nell'animo veramente la fede, condurrà meglio un dipinto tolto dai Vangeli, che dalla storia in'of'ana. Chi visse fra il popolo, ed innamorò de' suoi poetici costumi, più che ad ogni altra rap- presentazione darà caloi-e alle scene popolari. Chi invece a lungo meditò sulla storia antica, o si nutrì di erudite letture, nei soggetti mitologici, allegorici o storici sarà valente come il nostro Mantegna, il eguale e per indole propria e per educazione riuscì in argomenti così fatti, e mag- gior di se stesso, e superiore ai contemporanei. Chi vuol sapere quanto egli nella invenzione potesse, si fermi dinanzi ai due quadri allegorici che ne ha Parigi, ovvero alle incisioni del Trionfo di Cesare, e lo vedrà com- positore vario, dotto, ingegnosissimo: v'è tutto l'uomo là dentro; l'iiomo che gode mostrare quanto sapesse congiungere la sottigliezza alla erudi- zione. Si guardi un quadro sacro del Mantegna; e la composizione, quan- tunque severa, si vedrà sovente mancare di sobrietà, di raccoglimento, e mostrarsi slegata, fredda. Coli' anima non molto temperata all'affetto, cre- sciuto fra studj austeri , proclive a cercare col fuscellino ogni occasione a farsi conoscere abilissimo in tutto quello, in cui voleasi dottrina varia, acume d'intelletto, e perizia vasta dei più difficili problemi prospettici, non è a maravigliare se qualche volta perde di vista il soggetto princi- pale per non accarezzare che gli accessorj ; se per manifestarsi sicuro nello scorto, ed attirar su ciò l' attenzione , usa molti artifizj, in cui l'arte non è mai nascosta; se va in cerca di affettati contrasti; se troppo lussureggia di fabbriche nei fondi ; se troppo affaldella sulle vesti e fettuccie e nastri : troppo stracarica d' ornamenti gli abiti e le armature. Per amore del vero devesi dire, che questi rimproveri non meritano i più volte ricordati due spartimenti di San Cristoforo agli Eremitani di Padova; ma, come già notai, que'due dipinti sono una rera anomalia nella carriera 2)>ttorica del Mantegna. Espressione Ne certo la dotta ma non calorosa anima del Mantegna valeva ad improntare quanto bastasse nei volti e negli atti il multiforme movimento delle passioni, senza che vi fosse peccato o i^er eccesso o per difetto. Ed in vero due differenze notabilissime scorgonsi d' ordinario nelle sue teste , per quanto spetta alla espressione. In quelle cavate dal naturale , in cui avea vaghezza di colorire ogni minuzia, leggesi, direi quasi, lo stupore e la noja che si stampano sul volto di coloro che dm-ano immobili lunghe ore per farsi ritrarre. V ha nei ritratti del Mantegna una verità ed una scienza maravigliosa ; ma il soffio di vita, la parola, l'anima in somma, vi manca. Bisogna credere eh' egli non la pensasse come il sommo Leo- DI ANDREA MANTEGNA 455 nardo, il quale, mentre ritraeva la bellissima Lisa del Giocondo, ' voleva vi fosse chi nella stanza cantasse o suonasse, a fine brillasse nel volto dell'avvenente donna l'allegria e la gajezza ch'egli desiderava trasfondere .sulla tela. Di fatto ella è viva, ella parla c^uella bella Lisa. Il Mantegna, così freddo nei ritratti, esagera poi stranamente la passione nelle teste ideali, forse perchè sentendo, l'anima poco disposta alle delicate vibra- zioni dell'affetto, correva in eccesso per timore di apparire insignificante. Specialmente nelle persone atteggiate al dolore dà spesso in contorcimenti troppo lontani da verità, abbassando piìi del bisogno gli angoli della bocca, allargando e contraendo di soverchio gli occhi, le ciglia e le na- rici. Qualche volta mi pare che anche in questa parte s' affisasse nelle opere di Donatello, il quale, per dir vero, cade spesso nell'esagerazione quando si propone di commuovere il cuore. — Il Mantegna non sentì gran che la espressione biblica e cristiana ; e qviesto fu certo più colpa dei metodi di educazione e degli esemplari da lui seguiti , che non di un' anima sprovveduta intieramente di poesia. Dico ciò perchè, ove potè dimenti- carsi e lo Squarcione e Donatello e le statue, valse anch' egli a raggiun- gere, quasi al paro degli artisti fiorentini ed umbri, i soavi tipi tradi- zionali del Salvatore, della Vergine e dei santi. Ed il Rio medesimo, che alla piig. 148 accusò il Mantegna di non aver mai saputo scuotere intieramente il giogo impostogli dallo Squarcione, e di aver considerato la imitazione delle statue antiche come il fine supremo dell'arte, dovette, poche pagine dopo, contraddicendo a sé stesso, confessare che le due in- signi allegorie del Mantegna, che stanno al Louvre, disvelano (pag. 450) invincibilmente come le immaginazioni cristiane potevano concepire il bello in una maniera indipendente anche trattando soggetti profani. Non consiglierei per altro quel giovanetto che si sentisse chiamato a ripro- durre i fatti insigni dei due Testamenti, ed i misteri della benigna nostra religione, a pigliarsi per guida il Mantegna. Invece egli fermi lo sguardo sui capolavori di Giotto, di Fra Angelico, del Perugino, di Raffaello nelle tavole sue prime, e sentirà, per non so eguale assimilazione, direi quasi magnetica, il pensiero proprio collegarsi al pensiero di quegli uomini sommi, e le inspirazioni loro penetrare in se stesso: onde, per sceverare la parte pratica dell'arte dalla spirituale, apprezzare l'esattezza delle linee, la perfezione del colorito, gli sarà d'uopo di tranquillità e di matura ri- flessione. Per contrario, quando osserverà la maggior parte delle opere del Mantegna, le vedrà non altro essere che il prodotto di un uomo, il quale considerava la dottrina tecnica dell' arte non altrimenti come un mezzo, ma come un fine; di un uomo che con magistero insigne tentava '■ V.\SARi, Vita di Leonardo da Vinci. \ 456 COMMENTARIO ALLA VITA combinare gl'infiniti processi di lei; d'una mente che di rado prende fiamma dal cuore, ma invece sottilmente cerca di sfoggiare in ritrovati difficili, od in composizioni erudite, od in allegorie rappresentate da dotta pili che da facile mitologia; allegorie astruse alle intelligenze comuni, ma, che domandano immaginazione nutrita da profondi e vari studj. Ne sia da sorprendersi se col cuore, diro così, meno artistico di molti fra i grandi dipintori dell' età sua potè conseguire lode pari ad essi, e j)resso i contemporanei anche maggiore. Due cause, a mio parere, contri- buirono a ciò. Prima di tutto la pendenza dei tempi, i quali professavano una specie d' idolatria ad ogni artista che si fosse proposto a modello le grandezze lasciateci da Atene e da Roma. La potente scoperta di quel secolo, la stampa, col piti diffondere i Classici greci e latini poco noti prima, indi il tanto dissotterrarsi di statue e marmi antichi, furono le vere cause di ciò. Un artista dotto nelle antichità, e delle antichità imitatore, saliva allora in moda prestissimo. Ed infatti il Mantegna cominciò ad avere grande rinomanza di sommo, quando dipinse in Mantova i Trionfi di Giulio Cesare ; soggetto acconcio a spiegare la molta erudizione archeologica che pe' suoi tempi egli possedeva, e la inclinazione sua a ricopiare dagli antichi marmi. La seconda causa, che giovò a renderlo notissimo e lodatissimo, fu, se- condo ch'io penso, la popolarità da lui acquistata per mezzo del bulino, che uno de' primi trattò con valore veramente mirabile, considerando ai tempi in cui visse. In un tempo in cui, e pei difficili viaggi e pei peri- colosi commerci, i lumi- potevano così scarsamente diffondersi, e le pro- duzioni dello ingegno, come la fama degli autori, doveano spesso per lunga età rimanersi serrate nelle brevi cerchie dei singoli municipj ; l' in- venzione di un abile pittore, moltiplicata per centinaja di copie, dovea ingenerare una specie di fermento, un entusiasmo che facilmente persua- deva gli spiriti a credere ancor pivi valente di quello fosse in fatto l'au- tore di tanto miracolo. L' incisione allora era per la pittura ciò che fu la stampa per gli scritti : chi faceva uscire dai torchi un libro additavasi come intelletto singolare ; chi incideva le proprie composizioni si metteva al di sopra di qualunque pennello illustre. Per certo Raffaello fu il primo ar- tista del famoso suo secolo e dei susseguenti ; ma crediamo noi che così presto sarebbe salito in tanto nome universalmente senza le beWe incisioni di Marcantonio, che lo fecero conoscere da per tutto? Non taciamo un' ultima causa che dovette valere a rendere più estesa la ben giusta rinomanza del nostro pittore. Si amicò molti dotti o con- versando soventi volte con essi, o riproducendo le immagini loro in ta- vola 0 sugli intonachi ; ed essi que' dotti, educati alla letteratura piacen- tiera dell'antica Roma imperiale, ricambiarono la dimestichezza e la cor- tesia di lui con cento di quelle lodi che sarebbero giusta testimonianza DI ANDKEA MANTEGNA 457 del merito vero, quando fossero scevre da adulazione; ma invece al merito vero sono danno gravissimo. Così la critica de' nostri giorni le avesse poste in conveniente dispregio, che non avremmo a lamentare tanti encomj malamente prodigati a misere mediocrità Ma torniamo al Mantegna. Felice Feliciano, a fine di mostrargli la propria riconoscenza perchè gli fu compagno in molte delle sue peregrinazioni archeologiche, gli dedica il suo libro di antiche lapidi, e senza titubazione lo chiama principe, unico lume e cometa dei pittori.^ Giovanni Vitezio unghero, vescovo di Cinque Chiese, per ringraziare il nostro artefice di un ritratto ch'ebbe in dono da lui, gli consacra la seconda delle sue Elegie latine; e fra mille spiattellate adulazioni gli dice che Mercurio creollo di stirpe divina, e eh' egli sovrasta di molto agli antichi per ingegno e per arte. ^ Matteo Bosso, canonico di Verona, abate nella Badia di Fiesole, e scrittore ai suoi giorni celebratissimo , a cui il Mantegna avea donato un quadro, lo chiama in certe sue lettere qui primam gloriam nostro aevo est assecutus. ' Il poeta Battista Spagnuoli, detto il Mantovano, nella Selva vi del Libro secondo, enfaticamente apostrofandolo, esclama: tu decus Italiae nostrae , tu gloria saecli ; e poi con matti encomj lo pone al di sopra di Parrasio , di Apelle , di Protogene:' superiorità facile a provarsi, dappoiché di quegli insigni antichi non ci rimane neppure un segno. Spinge poi a tanto la sfronta- tezza, che per rilevare il merito del Mantegna nel trattare anche il marmo lo dice niente altro che emulatore di Lisippo, di Fidia, di Policleto!!! Non finirei così presto, se tutte volessi ridire le sconfinate lodi che il nostro pittore s' ebbe dagli amici letterati. Gli scritti degli uomini di lettere fa- ceano a que' giorni ben più impressione che a' nostri, sulle moltitudini, e quindi doveano condurle facilmente nelle opinioni da essi esternate. Un'ele- gia latina, un epigramma, un sonetto in lode, valeva allora come a' dì nostri un articolo di giornale incensatore: con questa differenza, che adesso la stampa periodica smentisce immediatamente i torti giudizj e l' encomio eccessivo; ed in que' tempi invece, poche cose andando pei torchi , spesso un errore stampato si perpetuava di generazione in generazione. Non però le scuole pittoriche dell' Italia assentirono allora intieramente ai tanti elogi prodigati al Mantegna ; e se ne ammirarono il sapere ver- satile, non vollero però seguitare quel suo secco sistema. Cosa veramente ' Felicis Feliciani Veronensis Epigraìmnata ecc. Nella Biblioteca Capitolare di Verona, al n° 269-FF. ^ Jani Pannoni Quinque Ecclesiarutn olim Antistitis Poemata. 1784, in-8. voi. U, Parte I, pag. 276. ' Matthaei Bossi Opuscula atque Epistolae. Epist. lxxii. ' Baptistae Mantuani Opera omnia; Bononiae, per Benedictum Hectoris, 1502, in-fol. Sylvarum, lib. II, Sylva vi, pag. 48. 458 COMMENTARIO ALLA VITA curiosa; in un tempo in cui ogni maestro di grido avea tanti imitatori, il Mantegna, pur così levato a, cielo da mille voci, n'ebbe sì pochi. La sua maniera finisce cj[uasi con lui ; prova non dubbia eh' essa non parlava all'animo la inspirata parola dell'affetto. Tutti i seguaci ch'egli ebbe si riducono ai seguenti. I suoi due figli Lodovico e Francesco, Carlo del Mantegna suo ajuto , qualche ignoto , di cui il Lanzi ricorda non pregevoli dipinti sparsi per Mantova, il Carotto che più di tutti gli si accostò da valente , ed il Monsignori che in virile età dallo stile del maestro alquanto si allontanò. Che insegnasse al Correggio fu già provato esser falso. Lasciò scritto il Vasari, che fu maestro al Montagna, allo Speranza, al Veruzio. Ma quando si osservano attentamente le opere di Bartolommeo Montagna, specialmente le ultime, si ravvisa esser egli ligio allo stile dei Bellini. Cciovanni Speranza parmi vada noverato piuttosto fra gì' imitatori dello Squarcione, che non fra quelli del Mantegna, tanto s'attiene a quel secco stile; ed intorno al Veruzio, se mai, come pretese il Lanzi in una sua nota, ' è lo stesso che soscrivesi in alcuni dipinti Frunciscus Verlus de Vicentin, anziché al sistema del Mantegna, sembrami vòlto all' altro dei veneti maestri. Quanta differenza fra questo piccolo numero e quello gran- dissimo dei pennelli usciti dalla scuola bellinesca! Ned è già difficile a trovare la ragione, perchè anche vivendo in tanta prossimità di Venezia, anche essendo legato di parentela coi Bellini, il Mantegna non trovasse in quella metropoli fautori. Vedeano i Veneziani che Gentile e Giovanni aveano ben altro e più giusto scopo, che non il Mantegna; vedeano che per quei potenti intelletti era unico elemento dell' arte la fedele imitazione del vero; norma preziosa, finche rimase nelle mani loro, e solo contaminata quando in più tardo secolo i veneti pen- nelli stimarono unico fine dell' arte la materiale e prosaica rappresenta- zione della forma. L' elemento classico che avea per unica mèta di segui- tare gelidamente l' antichità . pagana , quello su cui pur tanto studiò il Mantegna, non poteva attecchire in una Venezia, ove statue greche eran poche, e non in pubblico;' ove rovine di edifizj antichi non si vedeano; ove ogni sasso ricordava libere glorie e recenti ; ove la repubblica non mirava a foggiare il pensiero sulle leggi e sulle pompe romane ; ma s' at- teneva alle repubblicane del medio evo, ma cercava quella popolarità che era nerbo a paese, in cui il patrizio si lanciava nel commercio al paro del popolano. Concludiamo finalmente, che n'è già tempo. Il Mantegna non ebbe la mistica ispirazione, il cristiano sentire di Lorenzo di Credi e del Pin- turicchio, il savio comporre del Perugino e il soffio ispirato delle sue teste, ' Lanzi, Storia pittorica dell' Italia, eJiz. di Venezia 1838, voi. VI, pag. 64. DI ANDREA MANTEGNA 459 la bellezza nei panni del Ghirlandajo, la freschezza nel tingere dei Bel- lini, la inviscerata conoscenza dei tipi tradizionali ed insieme il più scelto studio della natura di Francesco Francia, la inarrivabile squisitezza nel- r osservare il vero del Vinci; ma più di tutti questi sommi contempo- ranei fu dotto nel disegno, appunto perche la scienza prospettica applicò con istupenda accortezza ad ogni parte eh' era chiamato a rappresentare. Li avrebbe forse uguagliati e superati anche nelle altre doti della pit- tura, se non gli fossero falliti, celeste raggio, la grazia e l'afietto. Ma egli, come quasi tutti gì' ingegni profondi ed acuti, tante cose potea col pensiero, nessuna col sentimento. Lo stile suo è sempre castigato e severo, e la sua maniera potrà forse condurre a qualche convenzione, ma non però ai delirj del baroccume; perchè ogni segno uscito dalla sua mano, quantunque all'occhio sgradevole, è raro non porti il marchio della ra- gione. Accortosi che non riusciva ad ai-ri vare la grazia, innamorò delle difficoltà, e le. sfi^dò da grande; sicché vedi in lui chi cerca a bella posta il difficile, per mostrarsi valente a superarlo. Un suo dipinto potrebbe paragonarsi a quelle musiche dagli intelligenti chiamate dotte, ma che mai non ci danno un palpito di commozione. Mente geometrica, appaga r intelletto ; al cuore non scenderà mai. Cercatore passionato della forma, poche volte seppe sacrificarne le inutili minuzie all'impeto dell'idea, forse perchè all'idea raramente era fiamma l'affetto. Ingegno penetrativo, avreb- besi potuto applicare il detto che Michelangelo male a proposito appose airUi-binate divino: era una prova di ^quanto possa fare lo studio pro- fondo. Farmi in brevi parole sia lecito dire di lui, ch'egli sapeva tutto quanto puossi in così difficile arte insegnare; nulla di quello né maestri, né modelli, ne studj varranno mai ad apprendere : intendo dire quella indefinibile potenza, quella scintilla maravigliosa , che presto s'avviva in fiamma sacra e divina; scintilla che fece operare miracoli allo scalpello di Fidia, ed ai pennelli del Vinci e del Sanzio; che spinse la feroce bile dell'Alighieri a valersi della più unificatrice delle forze, la religione, per tuonare ai re ed ai popoli un aspro ma santo vero; che infiammò Tor- quato misero a cantare, alnche fra le perfidie di tenebrosa Corte, la sacra conquista; lanciò a coraggiose fantasie la ricca musa dell'Ariosto; dettò gl'Inni al Manzoni, l'Ildegonda al Grossi, la Norma al Bellini; quel- r est Deus in nobis, senza cui le inspirazioni dell' arte si convertono in aridume di scienza, e la scienza non giunge, sublime suo segno, il vero. — Bene Ovidio quell'impulso somigliò a divinità, perchè quando l'uomo sente nell'animo ala potente a trattar grandi voli, è uno spirito sceso dall' alto che lo ajuta a sollevarsi da terra. 461 FILIPPO LIPPI PITTORE FIORENTINO ( Nato nel 1437 ; morto nel 1504 ) b Fu in questi medesimi tempi in Firenze, pittore di bellissimo ingegno e di vaghissima invenzione Filippo/ figliuolo di Fra Filippo del Carmine ; il quale seguitando nella pittura le vestigie del padre morto, fu tenuto ed ammaestrato, essendo ancor giovanetto, da Sandro Bot- ticello, non ostante che il padre, venendo a morte, lo raccomandasse a Fra Diamante, suo amicissimo e quasi fratello." Fu dunque di tanto ingegno Filippo, e di si copiosa invenzione nella pittura, e tanto bizzarro e nuovo ne' suoi ornamenti, che fu il primo, il quale ai moderni mostrasse il nuovo modo di variare gli abiti, e che ab- bellisse ornatamente con veste antiche succinte le sue figure.^ Fu primo ancora a dar luce alle grottesche che somiglino l'antiche, e le mise in opera di terretta e ' *Egli è generalmente appellato Filippino, e cosi talvolta si sottoscrisse «gli stesso per distinguersi da Fra Filippo suo padre. ^ 'Nella Vita di Fra Filippo, e più nel Commentario di essa Vita, si hanno notizie di Fra Diamante, col quale Filippino fu a Roma e lo ajutó nelle pitture della Sistina. ' Più esattamente si sarebbe espresso il Vasari qualora avesse detto: fu uno dei primi, ovvero il primo tra' Toscani. La lode d'avere introdotto nella pittura moderna le foggie antiche, la meritarono prima di Filippo lo Squarcione e il Mantegna. 462 FILIPPO LIPPI colorite in fregi, con più disegno e grazia che gV innanzi a lui fatto non avevano. Onde fu maravigliosa cosa a vedere gii strani capricci che egli espresse nella pittura. E, che è più, non lavorò mai opera alcuna, nella quale delle cose antiche di Roma con gran studio non si ser- visse in vasi, calzari, trofei, bandiere, cimieri, ornamenti di tempj, abbigliamenti di portature da capo, strane fogge da dosso, armature, scimitarre, spade, toghe, manti, ed altre tante cose diverse e belle, che grandissimo e sempiterno obbligo se gli debbe, per aver egli in que- sta parte accresciuta bellezza e ornamenti all'arte.^ Costui, nella sua prima gioventù, diede fine alla cap- pella de'Brancacci nel Carmine in Fiorenza, cominciata da Masolino e non del tutto finita da Masaccio per essersi morto.^ Filippo, dunque, le diede di sua mano l'ultima perfezione; e vi fece il resto d'una storia che mancava, dove San Piero e Paulo risuscitano il nipote dell'impe- ratore; nella figura del qual fanciullo ignudo ritrasse Francesco Granacci, pittore allora giovanetto; e simil- mente messer Tommaso Sederini, cavaliere; Piero Guic- ciardini, padre di messer Francesco che ha scritto le ' *Intorno a questo genere di studj da lui fatti, vedi la nota 3 a pag. 461. - 'Dalla età che mostrano alcune persone ritratte da Filippino nella cappella Brancacci, e dal sapersi gli anni precisi, ne' quali esse vissero, molto ragione- volmente si viene a presumere che egli ponesse mano a quel lavoro non più tardi del 1484, o 85 (Vedi nel tom. II, a pag. 318-319); al qual tempo Filip- pino contava ventisei o ventisette anni, e avea già fatto la bella tavola del San Bernardo per Pietro del Pugliese, e l'altra del San Girolamo per la fami- glia Ferranti. (Vedi le note 1 a pag. 464, eia pag. 475). È anche naturale il credere, che quando la famiglia Brancacci si risolvè ad allogare il compi- mento delle pitture di quella cappella a Filippino, egli avesse già dato saggio della sufficienza sua. Per il che noi non dissentiamo dal barone di Rumohr {Ricerche Italiane, 11^ 274), a cui parve di vedere la mano. giovanile di Fi- lippino nelle dodici piccole lunette che decorano l'oratorio della Congregazione de'Buonomini di San Martino; nelle quali sono espresse le opere di carità eser- citate da quei pii provveditori dei poveri vergognosi. La quale opinione si av- valora per le ragioni che appresso. Il criterio artistico sulla maniera di Masaccio essendosi da molti e per molto tempo formato erroneamente su quelle storie della cappella Brancacci, che non a lui ma a Filippino appartengono (Vedi il Commen- FILIPPO LIPPI 463 storie; Piero del Pugliese, e Luigi Pulci, poeta; pari- mente Antonio Pollajuolo, e se stesso così giovane come era; il che non fece altrimenti nel resto della sua vita, onde non si è potuto avere il ritratto di lui d'età mi- gliore: e nella storia che segue ritrasse Sandro Botticello, suo maestro, e molti altri amici e grand' uomini ; e infra gli altri, il Raggio sensale,' persona d'ingegno e spiri- tosa molto ; quello che in una conca condusse di rilievo tutto l'Inferno di Dante, con tutti i cerchi e partimenti delle bolgie e del pozzo, misurate appunto tutte le figure e minuzie, che da quel gran Poeta furono ingegnosis- simamente immagiuate e descritte; che fu tenuta in que- sti tempi cosa maravigliosa. ^ Dipinse poi a tempera , nella cappella di Francesco del Pugliese alle Camperà, luogo de' monaci di Badia fuor di Firenze, in una ta- vola, un San Bernardo, al quale apparisce la Nostra Donna con alcuni Angeli , mentre egli in un bosco scrive : la qual pittura in alcune cose è tenuta mirabile; come in sassi, libri, erbe e simili cose, che dentro vi fece. Ol- treché vi ritrasse esso Francesco di naturale tanto bene, che non pare che gli manchi se non la parola. Questa tario alla Vita dì Masaccio), falsando il giudizio, ha indotto alcuni a scrivere e molti a credere che Masaccio stesso fosse autore delle precitate pitture di San Mar- tino; mentre è certo che esse non poterono esser fatte se non circa cinquanta- due anni dopo la morte di questo artefice. Difatti, la Congregazione dei Buono- mini, istituita da Sant'Antonino nel 1441, sino al 1470 si adunò in una porzion di chiesa concessa loro dall'abate di Badia; né venne ad abitare la stanza, che è il presente oratorio, prima del 1481, allorquando essa ne divenne padrona per compera fatta da' monaci stessi di Badia. E quindi ragionevole il supporre che i Buonomini non vi facessero dipingere sino a che quel luogo non fu proprietà loro: ed ecco che Filippino nel 1482, quando lo strumento di compera fu rogato, e nella età sua di ventidue anni, potè fare quell'opera, la quale, coincidendo appunto con la prima gioventù di questo pittore, può benissimo aver preceduto il lavoro della cappella Brancacci. ( V. Richa, Chiese fiorentine, I, 208, 209, 227). ' t Forse questi è Raggio di Noferi Raggi, il quale essendo nato circa il 1470, doveva esser giovane di 17 o 18 anni, quando fu dipinto da Filippino. ^ * Intorno alla interpretazione da darsi a questo racconto, e alla parte di esse pitture spettante a Filippino, vedi il Commentario alla Vita di Masaccio, e quello posto in fine di questa. 464 FILIPPO LIPPI tavola fu levata di quel luogo per T assedio, e posta, per conservarla, nella sagrestia della Badia di Fiorenza/ In San Spirito della medesima città lavorò in una tavola la Nostra Donna, San Martino, San Niccolò e Santa Ca- terina, per Tanai de'Nerli. ' Ed in San Brancazio, alla cappella de'Rucellai, una tavola;^ ed in San Raffaello ' * Questa bellissima e ben conservata tavola ora si vede nell'altare della prima cappella a man sinistra entrando. Il Resini ne diede un intaglio nella tav. Lix della sua Storia. Il Cinelli, e innanzi a lui il Puccinelli ( Cronica della Badia fiorentina, Milano, 1664), ci lasciarono scritto che quest'opera fu ordi- nata non da Francesco, come dice il Vasari, ma da Piero di Francesco del Pu- gliese l'anno 1480; e che oltre al ritratto di Piero il pittore vi fece quello della moglie di lui nella testa della Vergine, e nei volti degli angeli quelli de' figliuoli, t Nel voi. Ili Camporearitm dell'Archivio di Badia conservato nell'Ar- chivio di Stato in Firenze, si legge che Pietro di Francesco del Pugliese spese nella tavola dipinta da Filippino, per la sua cappella della chiesa delle Campora, per r oro e per la cortina la somma di 250 ducati. ^ *Se il Vasari, quando fece cenno di questa tavola, l'avesse avuta più pre- sente alla memoria, non avrebbe errato nel descriverla e vi avrebbe speso pa- role di lode; perciocché noi ce ne appelliamo ai conoscitori dell' arte se essa non è tal opera da stare a paragone di quanto si potè far di meglio in quei tempi fortunati. Questa mirabile tavola a tempera rappresenta Nostra Donna seduta col Putto nelle braccia, il quale fa atto di prendere la croce che con tanta grazia gli porge il piccolo Giovanni inginocchiato a pie del trono dalla destra banda. Da questa parte medesima è inginocchioni Tanai de'Nerli presentato alla Vergine dal vescovo san Martino. A sinistra è parimente in ginocchio la moglie di Tanai presentata dalla santa vergine e martire Caterina; la cui testa e quella di san Gio- vannino sono di tanta grazia e bellezza da non desiderare di più. Nel fondo, di bella prospettiva e graziosissimo, è la veduta del borgo San Frediano, con la porta di questo nome, e Tanai che sceso da cavallo, e consegnatolo ad un servo, bacia una sua figliuoletta venuta fin sulla soglia di casa in compagnia di una fante ad incontrarlo. ' *Dopo la soppressione della chiesa di San Pancrazio, questa tavola fu por- tata in casa Rucellai, dove si conserva tuttavia. Rappresenta Nostra Donna se- duta, che allatta il Divino Infante, con alla destra san Girolamo, e san Dome- nico alla sinistra, ambidue in ginocchio. Il fondo è di paese, e a destra la rupe dov'è la grotta del santo. A questa tavola era unito un gradino, il quale, diviso da quella, è nella medesima casa. Nel mezzo di esso è Cristo morto sostenuto da Giuseppe d'Arimatea, ai lati san Francesco e la Maddalena, in mezze figure: nell'estremità di detto gradino sono le armi della famiglia Rucellai. Lo stile di queste opere si attiene alla ultima maniera. A questa occasione rammenteremo un'altra opera di Filippino esistente in Firenze, nella Galleria Corsini, camera sull'Arno. E un tondo di diametro maggiore di tre braccia, colla Vergine in piedi, sur un pavimento fatto di marmi a più colori, innanzi a un ricco seggio, la quale tiene fra le braccia il Divino fanciullo nudo, con un mazzolino di fiori nella si- nistra, mentre colla destra altri ne prende da un bacino presentatogli da un I FILIPPO LIPPI 465 un Crucifisso e due figure in campo d' oro.* In San Fran- cesco, fuor della porta a San Miniato, dinanzi alla sagre- stia fece un Dio Padre con molti fanciulli: ^ ed al Palco, luogo de' frati del Zoccolo fuor di Prato, lavorò una tavola; ' e nella terra fece, nell'udienza de' Priori, in una tavo- letta molto lodata, la E'ostra Donna, San Stefano e angelo in bianca veste. Dietro a questo, un altro angelo in veste rossa reca in- grenabo nuovi fiori. Dal lato sinistro della Vergine, altri tre angeli stanno in ginocchio cantando; uno tra questi tiene in mano una cartella di musica. Nel fondo di un atrio aperto, donde si vede una campagna, appare san Giovanni Battista, adulto, di piccola proporzione; mentre tutte le altre figure sono non molto minori del vivo. Similmente riconoscemmo la mano maestra di Filippino in due tondi che si conservano in San Gemignano, in una stanza del palazzo pub- blico, dove ora si aduna il magistrato municipale. Nell'uno di essi è l'Angelo annunziante, nell'altro la Vergine annunziata. t La tavola con la sua predella, già in San Pancrazio, fino dal 1857 fa parte della Galleria Nazionale di Londra, per compra fattane dal cav. Giuseppe Rucellai. * *La chiesa di San Raffaello, o meglio di San Ruffello, come aveva detto il Vasari nella prima edizione, oggi è soppressa. Il Del Migliore, nella Firenze illustrata, pag. 155, descrivendo le cose d'arte che erano in quella chiesa, non fa parola del Crocifisso di Filippino. Singoiar cosa è poi vedere come il Borghini, nel suo Riposo, alle notizie di Filippino, descrive questa tavola in San Procolo alla cappella Valori; dove parimente la cita il Richa ( Chiese fior., I, 254), asse- gnandola però a Fra Filippo Lippi, invece di dir Filippo Lippi, per l'abituale er- rore di confondere il padre col figliuolo. La identità del subietto, la particolarità del fondo dorato, e la descrizione che ce ne lasciò il Borghini, corrispondono pun- tualmente al Crocifisso assegnato a Filippino nella Pinacoteca di Berlino, descritto dal Catalogo di essa con queste parole, che confrontano per l'appunto con quelle •dell'autore del Riposo sopra citato: « Cristo in croce. In aria, tra le nuvole, tre angeli che raccolgono dentro calici il sangue che sgorga dalle piaghe del costato ■e delle mani. Appiè della croce la divina Madre e san Francesco. Tavola a tem- pera su fondo d'oro ». * *Non ne abbiamo notizia. ' *É questa la tavola che nel 25 giugno 1491 era stata allogata a Domenico •del Ghirlandajo, e che fu poi eseguita da Filippino intorno al 1495. Soppresso quel convento nel 1785, questa tavola fu venduta, ed ora si conserva nella Gal- leria di Monaco. (V. Baldanzi, Pitture di Fra Filippo Lippi nel coro di Prato, pag. 58). Togliamo dal Catalogo della detta Galleria la descrizione di questa ta- vola: « Il Redentore, con segni delle sue piaghe, apparisce in una campagna alla sua divina Madre; sopra le nuvole si vede il Dio Padre. Nel gradino è il corpo di Cristo nel sepolcro, sostenuto da un angelo, con ai lati san Francesco, san Domenico, sant'Agostino e san Celestino ». t Abbiamo certissimi documenti che a' 20 d'agosto 1490 Fra Francesco del Vernaccia allogò a dipingere pel convento del Palco a Domenico e David del ■Ghirlandajo una tavola, nella quale dovevano andare una Nostra Donna col V ^3ABl, Opere. — Voi. III. 30 466 FILIPPO LIPPI San Giovau Battista.' In sul canto a Mercatale, pur di Prato, dirimpetto alle monache di Santa Margherita, vicino a certe sue case, fece in un tabernacolo a fresco una bellissima Nostra Donna, con un coro di Serafini in campo di splendore: ed in quest'opera, fra l'altre cose, dimostrò arte e bella avvertenza in un serpente che è sotto a Santa Margherita, tanto strano ed orribile, che fa conoscere dove abbia il veleno, il fuoco e la morte; e il resto di tutta V opera è colorita con tanta freschezza e vivacità, che merita perciò essere lodato infinitamente.^ In Lucca lavorò parimente alcune cose : e particolarmente nella chiesa di San Ponziano, de' frati di Monte Oli veto, una tavola in mia cappella, nel mezzo della quale in una nicchia è un Sant'Antonio benissimo, di rilievo, di mano d'Andrea Sansovino, scultore eccellentissimo.'' Divin Figliuolo in collo, ed ai lati i santi Francesco, Buonaventura, Antonio da Padova e Bernardino da Siena ; e nella predella sette mezze figure. Il tutto pel prezzo di 35 fiorini d'oro in oro larghi. Ed è ancora certissimo che questa ta- vola fu fatta, perchè si trova che a' 17 di dicembre 1492 David del Ghirlandajo in nome di Domenico suo fratello fa ricevuta del final pagamento di detto lavoro. Bisogna dunque dire che per la chiesa del suddetto convento furono allogate a dipingere due tavole, Tuna al Ghirlandajo nel 1490 oggi perduta, se forse non è quella della Galleria di Berlino di numero 84, e l'altra a Filippino circa il 1495,. la quale, come è detto, si trova presentemente nella Galleria di Monaco. ' *Nella Galleria della Comunità di Prato si custodisce un tondo, nel quale da Filippino fu dipinta la Madonna con san Giovanni Battista; ma non vi si vede la figura di santo Stefano. Fu allogata a Filippino nel 15 febbrajo 1501 (st. e. 1502), per fiorini trenta d'oro. (Vedi Baldanzi, op. cit. ). t L'allogazione è riferita nell'operetta Alcuni quadri della Galleria Co- munale di Prato, descritti ecc. da Gaetano Guasti. Prato, Guasti, 1858, in-8. - * Questo affresco esiste tuttavia, sebbene in qualche parte danneggiato, se- gnatamente nel panno azzurro della Vergine; la quale sta in mezzo, ritta in pie, sostenendo tra le braccia il Divino Figliuolo. Dietro di lei è un seggio ricca- mente ornato di sfingi, sul quale posano due libri. Sopra il capo della Madonna due angioletti sostengono la corona, e attorno è un coro di serafini. Negli sguanci del tabernacolo sono effigiati sant'Antonio abate, e santa Margherita in ginocchio, col drago, a destra; san Stefano e santa Caterina delle ruote, a si- nistra. Filippino esegui questa bellissima opera nel mcccclxxxxviu, come scrisse dentro due triangoli posti tra gli ornamenti dell' interno dell' arco. Un' incisione di questo tabernacolo, divisa in due tavole, è nell' opuscoletto del Baldanzi intito- lato : Una pittura di Filippino Lippi in Prato ezQ,. Prato, Giachetti, 1840, in-8. ' Dalla descrizione della chiesa di San Ponziano, anteriore alla soppressione della medesima (che leggesi nella Guida di Lucca compilata dal Trenta e dal FILIPPO LIPPI 467 Essendo Filippo ricerco d'andare in Ungheria al re Mattia, non volle andarvi; ma in quel cambio lavorò in Firenze per quel re due tavole molto belle, che gli furono mandate; in una delle quali ritrasse quel re, se- condo che gli mostrarono le medaglie. ' Mandò anco certi lavori a Genoa: e fece a Bologna, in San Domenico, al- lato alla cappella dell'aitar maggiore, a man sinistra, in una tavola un San Bastiano; che fu cosa degna di molta lode.' A Tanai de'Nerli fece un'altra tavola a San Salvadore fuor di Fiorenza; e a Piero del Pugliese, amico suo, lavorò una storia di figure piccole, condotte con tanta arte e diligenza, che volendone un altro cit- tadino una simile, glie la dinegò, dicendo esser impos- sibile farla.^ Dopo queste opere, fece, pregato da Lorenzo vecchio de' Medici, per Olivieri Caraffa, cardinale napo- litano, amico suo, una grandissima opera in Roma: là dove andando per ciò fare, passò, come volle esso Lo- renzo, da Spoleto, per dar ordine di far fare a Fra Fi- lippo, suo padre, una sepoltura di marmo a spese di Lo- renzo, poiché non aveva potuto dagli Spoletini ottenere il corpo di quello per condurlo a Firenze: e così disegnò San Quintino), rilevasi che la tavola qui nominata fin d'allora non era più in detto luogo. t Di Filippino è in San Michele di Lucca una tavola con i santi Rocco, Sebastiano, Girolamo ed Elena, in mezzo ad un prato smaltato di fiori. ' t Le due tavole pel re Mattia Corvino erano già terminate nel 21 settem- bre 1488, come si rileva dal mandato di procura fatta da Filippino nel detto giorno a Francesco di Filippo del Pugliese per riscuotere il prezzo e consegnarle al mandatario del detto re. Questo mandato si legge in fine del testamento di Filippino, del quale parleremo più innanzi. ^ * La tavola che vedesi anche al presente in San Domenico di Bologna rap- presenta lo Sposalizio di santa Caterina, e i santi Paolo, Sebastiano ecc. Sotto vi è scritto: opvs phiuppini flor. pict. a. s. mccccci. ' Questa tavola fatta per Tanai de'Nerli non sappiamo ove presentemente sia, ed è difficile il rintracciarla, non essendone dichiarato il soggetto : lo stesso dicasi dell'altra pittura di figure piccole fatta a Piero del Pugliese. t Noi crediamo che la tavola per Tanai de'Nerli in San Salvadore fuori di Firenze sia quella stessa che il Vasari ha detto essere stata fatta da Filippino in San Francesco fuori della Porta di San Miniato, essendoché questa chiesa ebbe 1' appellazione anche di San Salvadore. 468 FILIPPO LIPPI Filippo la detta sepoltura con bel garbo: e Lorenzo in su quel disegno la fece fare, come in altro luogo si è detto, sontuosa e bella.* Condottosi poi Filippo a Roma, fece al detto cardinale Caraffa, nella chiesa della Mi- nerva, una cappella; nella quale dipinse storie della vita di San Tommaso d'Aquino, ed alcune poesie molto belle, che tutte furono da lui, il quale ebbe in questo sempre propizia la natura, ingegnosamente trovate. Vi si vede, dunque, dove la Fede ha fatto prigiona T infedeltà, tutti gli eretici ed infedeli. Similmente, come sotto la Spe- ranza è la Disperazione, cosi vi sono molte altre Virtù che quel Vizio, che è loro contrario, hanno soggiogato. In una disputa è San Tommaso in cattedra, che difende la Chiesa da una scuola d'eretici; ed ha sotto, come vinti, Sabellio, Ario, Averroe, e altri, tutti con graziosi abiti in dosso : della quale storia ne abbiamo di propria mano di Filippo, nel nostro Libro de' disegni, il proprio, con alcuni altri del medesimo , fatti con tanta pratica che non si può migliorare. Evvi anco quando orando San Tom- maso, gli dice il Crucifisso: Bene scripsisti de me, Thoma', ed un compagno di lui, che, udendo quel Crucifisso così parlare, sta stupefatto e quasi fuor di se.* Nella tavola ' Vedi la Vita di Fra Filippo. ^ *Si può argomentare che questi affreschi fossero finiti poco innanzi il 1493, dal breve di Alessandro VI, dato li 19 maggio di quell'anno, scolpito in marmo sotto l'affresco, dove è detto che il cardinale Oliviero Caraffa, dopo aver com- piuta la cappella e fattala ornare di pitture, supplicò il papa di visitarla: il quale concesse varie indulgenze ai fedeli che fossero andati ad orare in essa. Le pitture però della parete sinistra, dove era sinaboleggiata la Fede che imprigiona la Infedeltà, la Speranza con sotto la Disperazione ecc., perirono allorché dovettero cedere il luogo al monumento di papa Paolo IV. Della Disputa di san Tommaso si ha un intaglio a contorno nella tav. x del voi. Ili àeWApe Italiana delle Belle Arti, cou illustrazione di G. Melchiorri, dalla quale abbiamo ricavato le soprascritte notizie. Un altro intaglio simile è nella tav. lxviii della Storia del Rosini. t A proposito delle, pitture nella Minerva di Roma noi abbiamo nella filza xlvi a e. 556 del Carteggio Mediceo avanti il principato, che si conserva nell'Archivio di Stato di Firenze, una lettera del cardinale Oliviero Caraffa a don Gabbriello abate di Montescalari, scritta da Ptoma il 2 settembre 1488, dalla quale si hanno alcune notizie che meglio chiariscono questo particolare della vita artistica di FILIPPO LIPPI 469 e la Vergine annunziata da Gabbriello;' e nella faccia, l'Assunzione di quella in cielo, e i dodici Apostoli in- torno al sepolcro: la quale opera tutta fu ed è tenuta molto eccellente, e, per lavoro in fresco, fatta perfetta- mente. Vi è ritratto di naturale- il detto Olivieri Caraffa, cardinale e vescovo d'Ostia, il quale fu in questa cap- pella sotterrato l'anno 1511/ e dopo condotto a Napoli nel Piscopio. Ritornato Filippo in Fiorenza, prese a fare con suo commodo, e la cominciò, la cappella di Filippo Strozzi vec- chio, in Santa Maria Novella; ma fatto il cielo, gli bi- Filippino. Da essa lettera adunque si cava che il nostro pittore fu messo innanzi al cardinale dal detto abate, e che poi Lorenzo il Magnifico glielo raccomandò caldamente. Che giunto Filippino a Roma il 27 d'agosto del detto anno, subito fu menato dall'oratore fiorentino Gio. Antonio Lanfredini al cardinale, il quale lo vide volentieri, e fecegli gran festa, e che ben presto fu pattuita e conclusa tra loro r opera di quelle pitture, non ostante che alcuno avesse fatto pratica presso il cardinale in favore di un altro pittore venuto da Firenze. Ma il Caraffa scrive, che essendogli stato indirizzato Filippino dal Magnifico Lorenzo non lo avrebbe cambiato per quanti altri pictori forano mai in Grecia antiqua. Nel medesimo giorno di settembre Filippino parti alla volta di Firenze, donde poco dopo tornò novamente a Roma per dare cominciamento all'opera, la quale pare che egli avesse compita intorno al 1490. Innanzi di partire per Roma, fece Filippino a' 21 di settembre 1488 il suo testamento ricevuto ne' rogiti di ser Giovanni di ser Marco da Romena. In esso lascia per fondo dotale ad Alessandra sua so- rella, e moglie di Giovanni Ciardi della Villa di Tavola nel contado di Prato, una casa posta in Prato nella via detta delle tre Gore. In ogni altra sua cosa e beni chiama suo erede universale lo Spedale di Santa Maria Nuova di Firenze, coli' obbligo di somministrare ciascun anno a madonna Lucrezia sua diletta madre e figliuola di Francesco de'Buti cittadino fiorentino, durante la sua vita, 30 staja di grano, 15 barili di vino, due cataste di legna di quercia, dodici some di fra- sconi, tre moggia brace, 50 libbre di carne porcina salata, un barile d'olio e 50 lire di contanti. La qual madonna Lucrezia vuole che goda ed usufruisca le case che il testatore comprò da' monaci degli Angeli, e possa abitarle insieme colla casa di Prato posta vicino all'altra lasciata alla sua sorella. Al detto Spe- dale, qualora non accettasse la sua eredità o non facesse le cose suddette, so- stituisce l'altro degl'Innocenti, ed a questo, per le dette cagioni, madonna Lu- crezia sua madre. ' *Esiste tuttavia, con un ornamento nobilmente intagliato e dorato. Oltre le figure principali, vi ritrasse il cardinal Caraffa genuflesso, presentato alla Vergine da san Tommaso. ^ *Qui è errore nell'anno, e facilmente di stampa. Il cardinale Oliviero Caraffa mori nel 1551, a di 20 di gennajo, di anni ottanta, dieci mesi e dieci giorni. 470 FILIPPO LIPPI sognò tornare a Roma: dove fece, per il eletto cardinale, una sepoltura di stucchi; e di gesso, in uno spartimento della detta chiesa, una cappellina allato a quella, ed al- tre figure; delle quali Raffaellino del Garbo, suo disce- polo, ne lavorò alcune. Fu stimata la sopraddetta cap- pella da maestro Lanzilago padoano, e da Antonio detto Antoniasso romano, pittori amendue de' migliori che fos- sero allora in Roma,' duemila ducati d'oro, senza le ' *Di questi due pittori non abbiamo alcuna, notizia. Solamente il Morelli, nelle note all'Anonimo scrittore di Belle Arti, sospettò che Lansilago pittore padovano potesse essere quello stesso che il detto Anonimo cita con queste parole: La prima ]palla a man manca intrando in chiesa (San Francesco di Padova )/ìf de mano de Resilao . . . . , fatta nel 1447, de la maniera quasi degli Muranesi , a guazzo. (Pag. 11). Resilao, secondo il Morelli, sarebbe il nome di Lansilago Ietto male dallo scrittore. t Noi invece crediamo che il pittor Lanzilago nominato qui dal Vasari sia persona diversa dal Resilao dell'Anonimo Morelliano. Questo Resilao lavorava nel 1447, cioè cinquantatre anni innanzi al 1490, in cui Filippino dipingeva la cappella Caraffa alla Minerva. Un Lanzilago pittore da Padova è scritto nel libro Rosso de' Pittori fiorentini sotto l'anno 1472, e forse è colui del quale parla il Vasari. Quanto ad Antoniasso o Antoniazzo Romano, oggi se ne hanno buone no- tizie nell'opera più volte citata dei signori Crowe e Cavalcasene (III, 167) e in un articolo del signor cav. Costantino Corvisieri stampato nel giornale di Roma Il Buonarroti, fascicoli di giugno e luglio del 1869. Altre notizie si hanno ancora nello scritto del signor Eugenio Muntz Melozzo da Forlì, inserito nella Revue Archéologique. Fu l'Antoniasso nativo di Roma e figliuolo d'un Benedetto di cognome Aquilìo. Da Paolina Vessechia, sua moglie, ebbe quattro figliuoli : Giro- lamo, Marcantonio, Mario e Bernardino; de'quali il secondo e l'ultimo furono pari- mente pittori. Ajutó Melozzo da Forlì nelle pitture della Libreria Vaticana al tempo di Sisto IV. Fece per commissione di Alessandro Sforza signore di Pesaro la copia d'una tavola di Nostra Donna della Basilica di Santa Maria Maggiore, che si di- ceva dipinta da san Luca. Nel 1460 dipinse pel cardinal Bessarione la cappella di sant'Eugenia in Santi Apostoli. Colorì nel 1468 l'arme di pietra del cardinal di Rohan, posta sulla facciata del convento degli Agostiniani in Campo Marzio. Nel 1470 dipinse la chiesa di Santa Maria della Consolazione; e fece nel 1483 per la chiesa cattedrale di San Clemente di Velletri, nella seconda cappella intitolata alla Concezione, una tavola, copiando un antico dipinto bizantino. Sotto la qual tavola è scritto : antonatius romanus me pinxit. mcccclxxxiii. Nel 1491 ornò di pitture in Santa Maria della Pace la cappella di Pietro Altissen abbreviatore de Parco majori e segretario di papa Innocenzio Vili. Nel 1497 fece pei France- scani di Santa Maria di Campagnano nel suburbio di Roma, una tavola con No- stra Donna in trono, ed ai lati i santi Pietro, Paolo, Gio. Battista e Francesco. In un breve si legge: anton^tivs • romanus me pinxit mcccc97. L'ultima opera d'Antonazzo fu nella chiesa di San Luigi de' Francesi, che è ricordata nella scritta del suo sepolcro, dove Girolamo suo figlio depose la salma del genitore vicino a quella di Paolina sua madre premorta al marito. Da questa scritta si conosce FILIPPO LIPPI 471 spese degli azzurri e de' garzoni: la quale somma riscossa che ebbe Filippo, se ne tornò a Fiorenza: dove fini la detta cappella degli Strozzi : ' la quale fu tanto bene con- dotta e con tanta arte e disegno, ch'ella fa maravigliare chiunche la vede per la novità e varietà delle bizzarrie che vi sono; uomini armati, tempj, vasi, cimieri, arma- dure, trofei, aste, bandiere, abiti, calzari, acconciature di capo, veste sacerdotali, e altre cose con tanto bel modo che Antonazzo aveva dipinto in quella chiesa una tavoletta. Ora in quel luogo né la tavoletta, né la sepoltura esistono più. Fra le sue opere sono ricordate come tuttavia in essere le seguenti autenticate dal suo nome. Nella sagrestia di Sant'An- tonio del Monte di Rieti è una Vergine che allatta il Bambino Gesù. I laterali, ora nel coro, hanno san Francesco che riceve le stimate e sant'Antonio. Nella base è scritto: Antonius de Roma pinxit 1464. Forse sono dello stesso autore gli affreschi ai lati dell'aitar maggiore della chiesa parrocchiale di Forano con i santi Francesco e Sebastiano e colla data del 1465. Nella chiesa del convento di San Paolo di Poggio Nativo, nell'Umbria, è una tavola a tempera col fondo d'oro, in cui è rappresentata Maria Vergine in trono e il Bambino Gesù, ed ai lati san Pietro e san Paolo. Nel gradino si legge : Anthonatius Romanus pinxit. Un'altra gua tavola a tempera in forma di trittico con Cristo seduto in atto di benedire, san Sebastiano e san Michele Arcangelo, si vede nella chiesa dell'An- nunziata del detto luogo. Probabilmente è di sua mano anche la tavola con Maria Vergine in trono, san Francesco a destra, e sant'Antonio a sinistra, che € posta sull'altare della prima cappella della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Scandriglia nell'Umbria. Nel basamento del trono sotto il gradino di detta ta- vola sono su fondo celeste delle figure messe a oro come fossero di bassorilievo, 483 dere die, finito il resto di quella storia, la cappella avesse avuta la sua ultima perfezione, sarebbe di mestieri provare che veramente nient' altro rimanessevi a fare. E qui sta la difficoltà. Se prendendo il Vasari in mano ci facciamo sul luogo a riscontrare ad uno ad uno i soggetti delle pitture di Masolino e di Masaccio, questo esame non ci condurrà giammai a leg- gere descritto tutto ciò che nella cappella è dipinto ; perchè oltre a non esser parola delle due storie poste nella grossezza dell' aTco (San Paolo che visita in carcere San Pietro, e San Pietro che è liberato dal carcere), vi mancheranno sempre le due storie sopraccitate, che sono poste in basso della parete a destra di chi guarda. E non essendo queste storie, come non potevano essere, descritte fra quelle dipinte dai due primi maestri, •quaP altra conseguenza si può cavare se non che Filippino, oltre al finire quello che Masaccio aveva lasciato imperfetto, facessevi altresì non solo le storie dell' arco , ma anco le pitture che sono in basso della parete sud- detta, colle quali a buon diritto può dirsi avere avuto la capiiella la sua ultima perfezione? Obietta il nostro oppositore, che il Vasari togliendo a Filippino nella seconda edizione le due storie controverse che gli aveva già date nella prima, viene a fare una manifesta confessione che egli si era ingannato sul vero autore di esse. Già noi cercammo di provare nel Commentario alla Vita di Masaccio, che il Vasari, invece di correggere nel secondo rac- conto un errore, guastò il concetto chiaro ed esatto del primo, e fu prima e x^rincipale cagione di false interpretazioni: nondimeno vogliamo per poco seguitare la opinione del i^rofessor Rosini, e credere che tutta la chiarezza, la precisione e la verità sia nel secondo racconto. Come fa- remo allora a uscire da questo intrigo V II Vasari dà a Filippino una volta quelle due storie; un'altra, non che dirne lui autore, neppure le ricorda. Cerchi ixire a sua posta il xarofessor pisano e nella Vita di Ma- saccio ed in quella di Filippino il luogo, dove sia una parola chiara ed esplicita delle predette istorie : noi siamo certissimi che egli farà opera vana. Se questo veramente è, come avviene che il Vasari, dopo aver descritto tutti i soggetti delle pitture di Masaccio, dopo averne notati i pili minuti particolari, ne della Disputa innanzi a Nerone, ne della Cro- cifissione di san Pietro discorre ? Può mai credersi che egli abbia dimen- ticato il più bello affresco che sia non solo in quella cappella, ma in tutta la stessa Firenze? Ecco a che si risolverebbe la grande esattezza del secondo racconto vasariano, tanto proiiugnata dal professor Resini: nel tralasciare il più bello affresco di quella cappella! Da questo si può conoscere che anche delle cose che aveva, si può dire, innanzi agli occhi, non sempre il Vasari è stato accurato istorico e descrittore. Che se non fosse così, non ci occorrerebbe talvolta che per supplire al suo silenzio. 484 COMMENTAEIO ALLA VITA o per compiere una sua espressione tronca, o per raddrizzarne un con- cetto, avessimo bisogno di cercare nelle sue parole quel senso che pivi le accordi colla storia e con la intenzione dell'autore medesimo. Ed in- vero, nel caso presente abbiamo un chiarissimo esempio di questo: dove se noi non prendessimo lume dal primo racconto, nel quale ogni cosa è al suo luogo, ogni fatto, ogni circostanza è diligentemente narrata, ci troveremmo assai impacciati a cavar dal secondo racconto un costrutto che buono e ragionevole fosse. Onde per liberare il Vasari , se non dalla taccia di confuso, almeno da quella di smemorato ed a se contradicente, è d'uopo mostrare nuovamente che cosa egli ha inteso dire nella seconda edizione colle parole : « e nella storia che segue ». Noi sostenemmo nel primo Commentario che colle parole : « Luigi Pulci poeta » il Biografo lascia la parete a sinistra di chi guarda ; e colle altre , « parimente An- tonio Pollajuolo, e se stesso ( Filippino ) » , che vengon subito dopo , entra a far cenno della storia eh' è dipinta nella parete dicontro ; cioè la Di- sputa dinanzi al Proconsolo: del qual trapasso ci fa avvertiti il riscon- trare che i ritratti del Pollajuolo e di Filippino stesso sono, come pro- vammo allora, appunto in questa storia. Posto ciò, la espressione e nella stoì'ia che segue ritrasse Sandro Botticella, e indubitabile che si riferisce alla Crocifissione di san Pietro, dove abbiamo mostrato trovarsi appunto il ritratto del Botticelli: e che questa istoria sia di mano di Filippino, giovi qui ricordare la insigne testimonianza che ne abbiamo di Francesco Al- bertini, scrittore contemporaneo al pittore medesimo. Al professor Rosini dà grandissima noja questa interpretazione : ma da ben altro sentimento siam noi commossi, allorché veggiamo lui alla espressione e nella storia che segue, interpolare le parole tutte sue : la resurrezione del figliuolo del- l'Imperatore ; col quale inganno non si avvede che non solo non giova al proprio assunto , ma nuoce ancora e fa ingiuria grande al Vasari, che egli ha preso a difendere; il quale avendo già descritta, ed assegnata a Masaccio la storia della Cattedra di san Pietro, la sola che nella stessa parete segua la Resurrezione del figliuolo dell'imperatore, sarebbe in aperta contradizione con se stesso, se ora la dicesse di Filippino.' ' Di questo suo procedere, inconsiderato e peggio, ci ha dato egli un altro «sempio collo spacciare per opera di Stefano, da cui nacque Giottino, e fu di- scepolo di Giotto, una tavola che è nella Pinacoteca di Brera, nella quale uno Stefano, forse da Verona, dipinse l'Adorazione dei Magi nel 1435, e cosi un se- colo dopo al padre di Giottino. Né può credersi mai che, avendo egli fatto inda- gare da per tutta Italia se si trovavano pitture certe di Stefano (voi. II, p. 125 della sua Storia), siasi risoluto inconsapevolmente a scegliere quella di Brera, che, oltre allo stile del comporre e alle fogge di vestire del xv secolo, ha un segno certissimo nella scritta appostavi, e da lui taciuta: Stefanus pinxit mccccxxxv, , §■- z: 2 o 5 ^ g^ s 3 _o "o ^ tS c4 z oCh^ S-=^ 53 D g oQ < S £^ j ^ .s--g fa ?> ^ o .ri (s P^ s O.S 1 cS ^1 ^ -^ «-^ o Q ìtS^^to „^o!g:f^=« o 3 H a a Cd -^-S^ ° 2 0,^ 2 o" 5=5 S != g o,S^ S Ed ^-S^z-S « = -|S.^o.9 m w^ -f o s ^ o o ► Ss C/3 *— 1 fa h-< o h1-i H ^ a — M j S » ^ g u "ì.'^'Si H s HH é °.S tó t s p:^ M ^ » ^ P hJ fi H K _ i;eni che dal 1446 al 1519 aveva fatti scrivere e miniare a sue spese, per servigio del coro, l'Opera del Duomo di Siena : i quali da una stanza a ciò destinata, e prossima alla sagrestia, non furono trasportati nella Libreria Piccolomini, se non sul principiare del secolo passato.^ Da questo errore di confondere i libri co- rali, proprietà del Duomo, con quelli della Libreria suddetta, discese r altro di credere che il cardinale di Burgos , allorché per Carlo V impe- ratore era governatore in Siena, rubasse alcuni libri corali del Duomo, e XDortasseli in SpaSgna; imperciocché certissima cosa è che essi libri non soffrirono giammai questo danno, ritraendosi dagl' inventarj del Duomo, compilati e innanzi e dopo il governo di quel cardinale, che il numero di essi fu sempre lo stesso.' Che se, come opinano alcuni autori, il cardinale di Burgos e Don Diego di Mendozza rapirono dal Duomo senese alcuni libri ornati di miniature, non deve intendersi che di quelli della Libreria Pic- colomini, e specialmente dei miniati da Liberale e da Pietro da Peru- gia. Ed in questa credenza ci conforta il vedere che fra i codici della Libreria pubblica senese, dove furono trasportati e gli avanzi dei mano- scritti della Biblioteca de' canonici del Duomo, e dei piccolominei, non àvvene nessuno con miniature che si possano riferire al tempo di quei maestri od alla loro maniera. catione ipsius, non soivatur . nec solvi debeat aliqua cabella; sed libere et imjyune et sine ulla solutione conducantur et mictantur in civitatem, non obstantibus quibusqumque etc. » ' Così è da intendere la espressione « tutti i libri che lasciò Pio II», nella Vita del Pinturicchio (pag. 497); e le parole del testamento del cardinale tolgono su questo proposito qualunque dubbio. 2 Vedi tom. I, pag. 642, nota 3. ' Sappiamo da memorie contemporanee che il cardinale spogliò il Duomo se- nese di libri, di varie statue ed utensili d'argento, e Don Diego di libri. I DI BERNARDINO PINTURICCHIO 517 L' ornamento marmoreo fuori della Libreria è composto di tre pila- stri che reggono l'architrave, sul quale girano due archi, dentrovi di ri- lievo r arme piccolominea sorretta da due putti. Mettono in mezzo gli archi altri tre pilastri piccoli per sostegno del fregio e della cornice che vi cammina sopra. Gli arabeschi, i candelabri, i festoni, le frutta ed ogni altra cosa di rilievo sono squisito lavoro di maestro Lorenzo di Mariano, detto Mari' ina.' Ne' due spazj che restano fra i pilastri grandi, è da un lato la porta della Libreria, ornata anch'essa di bassorilievi, e dall'altro un piccolo altare dedicato a San Giovanni Evangelista. Chiudono la porta ■due cancelli di bronzo a doppia imposta, gettati nel 1497 da Antonio di * Lorenzo di Mariano di Domenico di Nanni, orafo, detto Murrina, nacque in Siena agli 11 di agosto del 1476. Dopo avere avuto i primi principj del di- segno dal padre suo, fu posto allo scultore nella bottega dell'Opera del Duomo, dove udì in prima Antonio Federighi, e poscia Giovanni di maestro Stefano, capiraaestri di quella fabbrica. Ma quanto il Marrina passasse i suoi istitutori, e conducesse l'arte della scultura ad un segno non toccato fino allora in Siena, si vede manifesto dalla sceltezza delle forme e degli ornamenti, dalla grazia e varietà del comporre, e dalla finita esecuzione che diede alle sue opere. Il Man- cini {Ragguaglio ms. delle cose di Siena) lo loda per la delicatezza delle foglie, per la gentilezza de' putti, pel vago de' candelabri e delle grottesche: pregj che ben s'incontrano nell'esterno ornamento della Libreria del Duomo, e negli altri suoi lavori in Siena; come nelle sculture dell'altare e nelle figure a graffito nel pavimento della cappella Piccolomini in San Francesco, allogategli nel 1504; nel gentilissimo e stupendo altare maggiore della chiesa di Fontegiusta, comin- ciato intorno al 1512 e finito nel 1517; e finalmente negli altari de'Marsilj, l'uno in San Martino commessogli nel 1522 e l'altro in San Francesco. Nel taccuino di Giuliano da San Gallo che si conserva nella pubblica comunal Biblioteca di Siena, è un disegno dell'altare fatto erigere dal cardinale Piccolomini in Duomo, dove il Sangallo ha notato il nome del Marrina. Ma poi, accorgendosi di avere sbagliato, corregge: anzi Sansovino del Monte; che non può essere altro ar- tefice che Andrea Contucci dal Montesansavino. Noi nondimeno stimiamo errore anche la correzione, giacché è cosa certissima che il lavoro di quell'altare fu allogato ad Andrea Fusina milanese, come testimonia la scritta che è sopra la nicchia di mezzo, nell'ordine superiore, la quale dice cosi: opvs axdreae medio- LANENSis MccccLxxxv. Morto Giovanni di maestro Stefano, che aveva il carico di capomaestro del Duomo, successegli il Marrina: il quale ufficio, dopo qualche anno, non sappiamo se per essergli stato tolto, o per averlo lasciato, fu dato a Giacomo Cozzarelli. Lavorò Lorenzo anche negli ornamenti del palazzo di Gia- como ed Andrea Piccolomini, oggi del Governo; come si conosce da una lite che nel genuajo del 1510 fu agitata innanzi al Giudice civile fra esso Lorenzo € gli eredi del detto messer Giacomo Piccolomini, a cagione del prezzo di lire 7132, soldi 12, denari 4, di cui gli erano debitori per opere date nel nomi- nato palazzo, t Intagliò Lorenzo il bellissimo seggio di marmo che è nel fianco destro della Loggia della Mercanzia dove egli fece conoscere che sapeva trattare la scultura anche in cose maggiori. Dilettossi ancora il Marrina di lavorare di terra cotta invetriata; e di questa sorte fece per la chiesa delle monache del 518 COMMENTARIO ALLA VITA maestro Giacomo Ormanni.' Sopra a questo ornamento architettonico è raffresco della Incoronazione di Pio III, con una infinita moltitudine spet- tatrice di quella solenne cerimonia. Diisinselo il Pinturicchio dopo la morte di quel Pontefice, per commissione di Andrea fratello di lui, come chia- ramente appare dalle armi piccolominee inquartate con quelle di Aragona e di Castiglia. Compito il lavoro così esterno come interno di questo edifizio, fattovi fare i banchi per collocarvi i libri, da Antonio Barili, intagliatore cele- bre ; " pensò il cardinale che a dar vaghezza e nobiltà maggiore ad essa Libreria avrebbero grandemente conferito le pitture delle sue pareti. A questo bello e magnifico intendimento si accompagnò altresì un senso gentile di gratitudine; imperciocché volle che soggetto di quelle fossero le pi'incipali azioni della vita del suo grande zio materno Pio II, dal qu5,le egli e la famiglia sua molti beneficj, e insieme la presente gran- dezza e splendore, ripetevano. Si acconciò adunque il cardinale con Bernardino Betti detto il Pin- turicchio, il quale, per le opere fatte a Roma, a Perugia ed a Spello, era salito in fama d' uno de' principali artefici de' suoi tempi. Soggetto di lunga controversia, e campo di molte congetture più o meno proba- bili, è stato fino ai nostri giorni il determinare il tempo, in cui furon commesse quelle pitture: ma ogni conghiettura è inutile, ogni dubbio è tolto via, oggi che per nostra grande ventura ci e dato di leggere il con- tratto di quella allogazione, ritrovato da noi negli archivi senesi: im- perciocché per esso sappiamo non solo l'anno, il mese ed il giorno di quella allogazione, ma ancora i patti ed i modi che piacque al cardinale di porre all'artefice, affinchè quella magnifica opera riuscisse qual si con- veniva alla dignità sua, alla nobiltà del luogo ed alla grandezza della Paradiso, monastero abolito, una Nostra Donna grande quanto il vivo, con un angelo; e una mezza Santa Caterina, che fu già sulla porta del detto monastero, ed oggi si vede nella chiesa della contrada del Drago. Mori nel 1534. * Antonio, detto Toniolo, di maestro Giacomo (t nato in Siena a' 27 dicem- bre del 1457), fu reputatissimo gettatore in bronzo. Oltre i cancelli della libreria Piccolomini, fece pel Duomo la graticola di bronzo all'apertura del pavimento che guarda sul sottoposto Battistero: (t gettò nel 1512 la porta parimente di bronzo della chiesa di San Paolo per gli Ufficiali della Mercanzia e il cancello della cappella Bichi in Sant'Agostino), e fuse ancora molte artiglierie pel Co- mune di Siena. Gli scrittori patrj lo dissero dei Marzini, famiglia che non è mai esistita in Siena; noi, coli' appoggio di sicuri documenti, possiamo affermare che egli fu degli Ormanni. Mori nel 1519. -Antonio di Neri Barili, maestro eccellentissimo d'intaglio e di tarsia, nacque in Siena nel 1453 ai 12 di agosto, e vi mori nel 1516. Di lui e delle sue opere ci riserbiamo a parlare più largamente in un Commentario alla Vita di Raffaello da Urbino. f DI BERNARDINO PINTURICCHIO 519 persona, le cui illustri gesta voleva il cardinale perpetuate anche collo strumento delle linee e de' colori. La luce nuova che da questo docu- mento si diftbnde sopra la materia che trattiamo, ci consiglia di metterlo qui in tutta la sua interezza; stimando di far dono gradito non meno agli amatori delle cose dell' arte , che ai curiosi della lingua. ' « In nomine Domini amen. Sia noto a qualunche leggiarà o vedara la presente scripta, come el Reverendissimo signor Cardinale di Siena questo dì xxviiij di giugno MCCCCCII alluoca et cottima a M.» Bernardino detto el Pentorichio, pictore Perusino, a dipengiare una Libraria sita in nel duomo di Siena, cole infrascripte conditioni et pacti, cioè: Che du- rante el tempo che quella si dipengiarà, non pigli altro lavoro a dipin- giare o fare in tauola o muro tanto in Siena quanto altroue , per lo quale la pictura de essa Libraria si habbia a differire o tardare. « Item sia tenuto et debba lauorare la volta de essa Libraria con quelle ' fantasie, colori et spai-timenti che più vaga, più bella et vistosa iudicara, di buoni, fini et recipienti colori, a la forgia et disegni che hoggi chiamano grot- tesche, con li campi variati, come più belli et più vaghi saranno stimati. « Item sia tenuto et debba, quando in mezzo de la volta non sia arme di Monsignor Reverendissimo dipinta, farne una richa et bella di quella grandezza che sarà indicata proportionalmente necessaria secondo la grandezza et altezza de la volta. Et quando vi sia dipinta, rifarla di nuovo. Et essendovi di marmo, similmente sia tenuto dipingiarla come di sopra, indorarla et farla bella. « Item sia tenuto, oltra la volta, in fresco fare diece Istorie, ne le quali, secondo li sarà dato in memoriale et nota, habbia a dipingiare la vita de la Santa Memoria di papa Pio, con quelle persone convenienti, gesti et habiti che ad exprimerla bene sonno necessarij et oportuni, con oro, azzurro oltramarino, smalti, verdi azzurri, et altri colori recipienti ch'ai pagamento, istoria, loco et allui si conviene. « Item sia tenuto decte figure lavorate in fresco, come di sopra, ri- toccharle in secho, et rifinirle di buoni colori, nudi, veste, appannamenti, arbori, paesi, città, arie, et finbrie, et fregiature. « Item volendo la mezza lunetta ricingiarla, che viene sopra el qua- dro, fargli figure o altro sia in suo arbitrio, o vero sfondarla a paesi et altro, come indicar possa. « Item sia tenuto fare li pilastri che spartano et ricengano li quadri in li quali vanno le istorie depinte, li capitelli, cornici et base ornate ' Archivio de' Contratti di Siena: Rogiti di ser Francesco di Giacomo da Montalcino. 520 COMMENTARIO ALLA VITA d'oro, et similmente li lavori, cioè fregi vanno in quelle, di buoni colori et fini, come meglio et più vaghi siano. « Item sia tenuto fare tutti li disegni delle istorie di sua mano in cartoni et in muro, fare le teste di sua mano tutte in fresco, et in seclio ritocchare et finire infino a la perfectione sua. « Item sia tenuto da pilastro a pilastro sotto le istorie fare un qua- dro, in nel quale sarà uno epithaphio o vero indice della istoria sopra quello dipenta, et quello in verso o prosa vi si possa seri vare, facendo in le base de esse colonne et pilastri le armi di Monsignor Reveren- dissimo. « Et acceptato per M.° Bernardino prefato fare la volta di quella per- fectione si richiede et li quadri diece della richezza et bontà, è conve- niente, per suo salario et mercede esso Reverendissimo Cardinale pro- mette darli Ducati mille d'oro di camara, cioè Ducati 1000 d'oro di camara, in questo modo cioè : che inprima esso Reverendissimo Cardinale in Venetia gli farà pagare ducati dui cento d' oro di camara per com- prare oro et colori necessarij , et cento altri ducati simili fare in Perugia pagarli ad suo beneplacito per suoi bisogni et condurre robbe et garzoni a Siena. Per li quali trecento ducati che avanti se li sborsano, esso M.° Bernardino sia tenuto dare bone et idonee cautioni, scontarli in esso lavoro. Et quando Dio altro facesse, farli buoni et restituirli ad esso Cardinale interamente : intendendosi però che quando hauesse facto parte del lauoro, prò rata di quelli si habbino a scontare. El resto sieno li fideiussori tenuti al prefato Reverendissimo Cardinale restituire intera- mente senza exceptione alchuna. « Item finito sia ogni quadro, esso Cardinale in Siena li farà pagare ducati cinquanta d' oro di camara, et così continuarà in tutto. Et finiti siano interamente, li pagarà li duicento ducati restanti infine del lavoro et pictura. « Item promette esso Reverendissimo Cardinale a M." Bernardino prefato inprima per suo habitare in Siena gratis, durante el tempo che pingiarà essa Libraria, farli prestare una casa vicina al duomo et chiesa. Item legname per fare li ponti : farli etiam dare calcina et arena a bastanza. « Et perchè esso M." Bernardino, fino lavo rara in essa Libraria in Siena, ha di bisogno di grano, vino et olio; per lo pari prezzo el com- prarà da altri, sia tenuto pigliarlo dal factore di esso Cardinale in sconto et pagamento dell'opera et pictura farà. « Et per observantia di decte cose le parti sopradecte, cioè Monsignor Reverendissimo, obliga sé personalmente et suoi beni et heredi, mobili et stabili , presenti et futuri , che interamente se observarà al decto M.° Bernardino tutti i capitoli et conventioni vi so' connominati et expressi. DI BERNARDINO PINTURICCHIO 521 et pagarli interamente la decta quantità di ducati Mille d'oro in oro di camara in nel modo et tempi sopradecti. « Et el decto M.° Bernardino dall'altra parte promette et obligasi interamente observare quanto di sopra si contliiene al prefato Reveren- dissimo Cardinale, et dare sufficiente cautione per li trecento ducati d'oro di camara che gli sì prestano come di sopra: obligando ancbora se per- sonalmente et suoi beni et heredi, mobili et stabili, presenti et futuri, che in ogni et ciaschediina parte interamente observara a tutte le cose conuenute et di sopra promesse et capitulate, intendendosi ogni cosa a buona fede, et senza fraudo alchuna. « Et Io F. Cardinale Senese sopradecto so' contento e prometto come di sopra; et per fede de la uerità ho scripto questi uersi di ''mia jjropria mano, anno dì et mese sopradecto. « Io M.° Bernardino detto di sopra so' contento e prometto quanto di sopra si conthienj, e prometto quanto disopra si chontiene, e per fede dela uerità ò iscritto queste uersi di mia propria mano, anno dì et mesi sopradecto. « Anno Domini Millesimo quingentesimo secundo. Inditione quinta, die vero vigesimanona mensis Junij. « Constituti personaliter coram me Notarlo piiblico et testibus infra- scriptis Reverendissimus in Cristo pater et dominus, dominus Franciscus de Picolominibus S. R. E. Cardinalis Senensis, et discretus vir Magister Bernardinus, alias Penthorichio, Perusinus Pictor, et ostensa eisdem supra- dicta scripta et supra dictis subscriptionibus eorum propria manu respective factis, ipsaque scripta eis seriatim lecta et ipsa diligenter cum supra- dictis subscriptionibus diligenter inspecta; confessi fuere, medio juramento, ad delationem mei notarij infrascripti ; videlicet idem Reverendissimus Dominus supra dictam suam subscriptionem que incipit: Et io F. Cardi- nale, et finit sopradecto, fuisse et esse scriptam sua manu propria. Et dictus Magister Bernardinus suam supradictam subscriptionem que in- cipit: Io M.° Bernardino, et finit supradecto, fuisse et esse scriptam ejus manu propria. Et omnia et singula tam in supradicta scripta, quam in ipsis subscriptionibus descripta, fuisse et esse nera, et ea attendere et observare prout in eis continetur in nerbo veritatis asseruerunt, et sibi ad invicem promiserunt omni meliori modo. « Acta fuerunt premissa Senis in domo habitationis prefati Reveren- dissimi Domini Cardinalis sita apud ecclesiam et in parochia ecclesie Sancti Vigilij de Senis, coram et presentibus ibidem venerabilibus et discretis viris. Domino Francisco Nannis Sarteanensi canonico cathedralis ecclesie Senensis; Cappellano Luca Bartolomei Cerini de Senis ipsius Re- verendissimi Domini Cardinalis familiaribus ; Fortino Laureati Magistri 522 COMMENTARIO ALLA VITA Marci, et Luca Salvij de Vieris, civibus Senensibus, testibus xsresentibus vocatis et rogatis. « Et ego Franciscus Jacobi Ilcinensis, publicus Apostolica et ImxDeriali auctoritate notarius et judex ordinarius Senerisis, et ad presens Archie- piscopalis Curie Senensis scriba, predictis recognitionibus et aliis in eis et dieta scripta contentis, dum sic, ut premittitur, dicerentur et fierent, interfui et ea rogatus scripsi ». Conosciuti così i termini tutti di questo contratto, e le intelligenti condizioni dal cardinale appostevi , fra le quali è da tenere in gran conto quella di « fare tutti li disegni delle istorie di sua mano in cartoni et in muro », perchè su questo punto s'aggira una delle parti più controverse del presente argomento; andremo ora ricercando in qual tempo potè il Pinturicchio aver dato principio al suo lavoro. Noi dobbiamo confessare che in questa investigazione ci si parano fin da principio non leggiere difficolta, mancandoci prove sicure per stabi- lire alcun che di certo in proposito. Che se volessimo pigliare esempio dagli scrittori passati, le supposizioni sarebbero infinite, ma non giunge- remmo giammai a toccare quel punto che sgombra ogni dubbio, ed in- genera nell' animo altrui la morale certezza di un fatto. Nondimeno, non potendo mettere in disparte questa ricerca, perchè senza di essa tutto l'edificio critico del nostro Commentario verrebbe a riceverne danno e mancamento, e' ingegneremo di usare in essa quel discreto e ragionevole riserbo, che dalla incertezza sua ci vien consigliata. 11 lavoro commesso al Pinturicchio era di tanta importanza, così nuovo e grande, che doveva egli usare le maggiori diligenze perchè riuscisse in modo e da sodisfare alla giusta aspettativa del cardinale , e da conservare a sé , se non accre- scere, la fama che con altre opere aveva meritamente acquistata: onde noi crediamo che, sia per disporre le cose sue a Perugia, e accordarsi con quei giovani che dalla patria o da altrove avrebbe chiamati ad aiu- tarlo; sia per preparare le materie, per far gli schizzi delle storie da di- pingere, e ridurli poi in disegni ed in cartoni, non potevano occorrere al perugino maestro,' per quanto pratico e spedito egli fosse, meno di dieci in dodici mesi. La quale opinione pare a noi che abbia appoggio anche nello stesso testamento del cardinale fatto ai 30 di aprile del 1503, dove le j)itture della Libreria son ricordate come se ancora non fossero cominciate, con queste parole : « Item, quia magistro Bernardino pictori perusino, vacato el Pintorichio, Zocar/Hms de2)ingendam istoriam sanate me- morie domini Pii in Libraria nostra Senensi / volumus qiiod, si no- bis decedentibus non fuerit per feda, heredes nostri curam perficiendi et satisfaciendi suscipiant ». Se a quel tempo il Pinturicchio aveva finiti DI BERNARDINO PINTURICCHIO 523 probabilmente i cartoni delle storie, forse appena aveva posto mano a dipingere le grottesche e gli ornamenti della volta della Libreria. Congbietturato, molto ragionevolmente, al nostro vedere, che il Pin- turicchio nello spazio di dieci mesi, o di un anno, non distratto da nes- sun altro lavoro, avesse loreparato tutto ciò che abbisognava per por mano a dipingere quelle istorie, passeremo adesso all'altra questione che riguarda il tempo, in cui il pittore diedele finite. Dalle memorie contemporanee e dalla testimonianza degli scrittori si raccoglie, che il Pinturicchio dal 1503 al 1506 quasi continuamente di- morasse in Siena, e che in questo spazio di tempo facessevi, oltre le .'pitture della Libreria, altre opere: come gli otto piccoli affreschi della [cappella di San Giovanni Battista in Duomo, compiti nell'agosto del 1504; ' la tavola per Y altare de' Piccolomini in San Francesco , finita nel settem- bre dello stesso anno; e finalmente il cartone della Fortuna pel pavi- mento del Duomo , pagatogli nel marzo del 1505. ^ Dal che si verrebbe a risolvere, che il Pinturicchio lavorando nelle storie della Libreria inter- rottamente fra lo spazio che corre dal 1503 al 1506, non le abbia con- dotte al loro compimento prima dell' ultimo di questi anni.' Ne questo ter- ' Degli affreschi nella cappella di San Giovanni ebbe, nel 14 di agosto del 1504, lire settecento. (Archivio del Duomo di Siena: Libro Rosso d'un Leone, carte 630). - «1504 (stile conuuie, 1505). A maestro Bernardino Pentorichio dipentore» « per la sua fadiga d'auere fatto uno cartone di disegnio per la storia de la « Fortuna, la quale al presente si fa in duomo; questo di 13 marzo L. do- dici ». (Archivio del Duomo di Siena: Libro d'Entrata e Uscita, ad annuniy a carte 467). ^ L'anno preciso in che furono finiti gli affreschi della Libreria, si sarebbe avuto dal lodo che su quella vasta opera dovette certamente esser dato da per- sone probe e dell'arte appena compiuta: ma tutte le ricerche nostre, per quanto diligenti, sono riuscite infruttuose. Alla mancanza però del lodo supplisce in qualche maniera 1' atto da noi ritrovato, col quale donna Agnese del fu mes- ser Andrea Piccolomini paga al Pinturicchio quattordici ducati e mezzo d'oro, per residuo e saldo d'ogni suo avere per opere di pittura da lui fatte al detto suo padre. Esso è del seguente tenore: « Anno Domini 1508 (stile comune, 1509) « die xviij januari. Cura hoc sit quod Bernardinus olim Beneditti ditto el Pen- « torichia de Perusia, habitator magnifìce Civitatis Senarum, pictor, fecerit « multa opera et picturas olim magnifico domino Andreae olim domini Naunis « de Piccolominibus de Senis, et ejus heredibus, videlicet: librariam in ecclesia « catedrali senensi, cum omnibus picturis ibidem existentibus : et extra dictam « librariam inpariete muri videlicet incoronationem sanctissimi papae Pii Tertii, « et tabulam cum omnibus fornimentis circum circa, que debet poni in cappella « dicti olim magnifici domini Andreae in ecclesia Sancti Francisci de Senis ;^ « prò quibus operibus fuit integre satisfactus ab eis, prout ipse asserii, exceptis « ducatis quatuordecim cum dimidio auri, secundum conventiones et locationes « ad invicem factas concorditer etc. Et cum sit quod magnifica domina Agnes 524 COMMENTARIO ALLA VITA mine da noi assegnato sembri troppo breve; attesoché, oltre la ragione che dopo il 1506 egli ebbe a fare fuori di Siena altre opere,' ci è l'altra della nota speditezza del pittore, il quale e dai giovani che aveva chia- mato di fuori, e da ciucili che dovette trovare in Siena, fu grandemente ajutato in quel lavoro.^ E tanto più ci persuadiamo in questa opinione, dal vedere aver lui condotto a fine nel tempo di sette o otto anni le pitture di Roma, di Orvieto, di Perugia e di Spello, le quali, cumulate insieme, formano una somma maggiore di quelle della Libreria del Duomo senese. ' Arduo e di più difficile soluzione si presenta adesso il secondo punto del nostro Commentario , nel quale dobbiamo esaminare quanta parte di vero sia nell'opinione del Vasari, rispetto al concorso ed all'azione del divino Raffaello nell' opera della Libreria. Se noi ci tenessimo paghi alla testimonianza del Biografo aretino, ed alla divulgata tradizione, sarebbe inutile il disputare. Ma, per nostro istituto, noi siamo risoluti di non accettare l'avitorità de' passati scrittori, se non quando avesse l'appoggio de' documenti, od almeno da alcun che di verisimile fosse giustificata. Cosicché, usando la maggior considerazione, tenteremo di sceverare dal racconto vasariano quello che ci parrà meno conforme al vero, e ridurre la sua asserzione entro i più circoscritti confini del probabile. Ed in questa ricerca è da tenere in conto principalmente la preoccupazione poco favo- revole dell'Aretino scrittore sopra il merito artistico del Pinturicchio, perchè da essa è quasi sempre informato il giudizio suo; onde venendo egli a parlare d'un' opera, nella quale sono pregj grandissimi così di com- posizione come di esecuzione, per non contradirsi doveva attribuire tutto ciò che di buono o di bello era in essa, non al merito del perugino maestro, ma all'ingegno ed al concorso principalissimo del Sanzio. Gli argomenti, su i quali s'appoggia la opinione che attribuisce a Raffaello le invenzioni delle storie della Libreria, possono ristringersi a tre : 1" la tradizione, 2° la esistenza dei disegni della prima e della quinta istoria, 3° la bellezza delle composizioni di quelle istorie tutte. « olim magnifici domini Andreaepredicti, nomine filiorunti suorum et heredum ditti « olim magnifici domini Andreae voluerit ipsum Bernardinum de predictis satisfa- « cere de ditto residuo ;hinc est quodsupraditta magnifica domina Agnes. . . dedit, « solvit et numeravi! ditto Bernardino ducatos quatuordecim cùm dimidio « auri ecc. ». (Arch. de' Contratti di Siena: Rogiti di ser Angelieri Cittadini). ' Vedi Prospetto Cronologico a pag. 529. - Erano a quei tempi in Siena giovani di valore : fra i quali son da ricor- dare principalmente Baldassarre Peruzzi, salito poscia in fama bellissima, e Gi- rolamo del Pacchia, di cui avremo occasione di parlare più a lungo nella Vita del Sodoma. Contemporanei a questi vissero parimente Benvenuto del Guasta e Girolamo suo figliuolo, il Fungai e Giacomo Pacchiarotti. ' Vedi nel cit. Prospetto Cronologico. DI BERNARDINO PINTURICCHIO 525 E venendo al primo capo della tradizione, osserveremo che essa ebbe per principale interprete il Vasari. Innanzi a lui, mal si potrebbe trovare altro scrittore che la riferisca; se non forse l'autore anonimo della Vita di Raffaello pubblicata dal Comolli, sebbene non manchino alcuni che la vogliono scritta posteriormente a quella del Vasari, e composta in gran parte sulle notizie date da lui. Ma il Vasari pare o che ricevesse questa tradizione gili corrotta, o che l'alterasse, innestandovi tali fatti, i quali, piuttosto che circondarla di maggiori prove, abbiano concorso in quella vece a renderla più dubbiosa e confusa. Raffrontando in ambedue le edizioni dell' opera del Vasari il capitolo della Vita del Pinturicchio e di Raffaello, ove si parla di questo fatto, noi vi riscontriamo notabile differenza; imperciocché nella prima si danno a Raffaello o tutti i cartoni degli schizzi delle istorie inventati dal Pintu- ricchio, od alcuni di essi: e nella seconda si dicono di lui non solo i car- toni, ma, quel che è più, tutti gli schizzi ancora di quelle invenzioni. ' Da questa aperta dfformità. e contradizione nel racconto d' un fatto così importante, apparisce che il Biografo aretino e circa i particolari e circa la sostanza di esso non era ben chiaro, o che notizie migliori avute dopo lo persuadessero ad attenuare in gran parte, nella Vita di Raffaello, quella troppo assoluta asserzione. Ad ogni modo, qualunque de' due rac- conti si voglia seguitare, sarà sempre stabilito da essi, che Raffaello per nessun' altra cagione fu chiamato a Siena dal Pinturicchio , che per fargli i disegni delle istorie della Libreria. ' Affinchè i lettori possano vedere d'un tratto la differenza della lezione, po- niamo qui il testo di ambedue le edizioni : Prima edizione (Vita del Pinturicchio) Seconda edizione Era in quel tempo ancor giovinetto Raf- Ma è ben vero che gli schizzi e i car- faello da Urbino, pittore, che in compagnia toni di tutte le storie che egli vi fece, /"it- erano stati con Pietro: ond' egli lo condusse rono di mano di Raffaello da Urbino, al- in Siena: dove di tutti gli schizzi delle lora giovanetto, il quale era stato suo com- istorie della Libreria fece i cartoni Raf- pagno , e condiscepolo appresso al detto /aeZZo , che benissimo aveva appresa la ma- Pietro, la maniera del quale aveva benis- niera di Pietro : et di questi se ne vede simo appreso il detto Raffaello : e di questi oggi ancora uno in Siena. cartoni se ne vede ancor oggi uno in Siena, ed alcuni schizzi ne sono di mano di Raffaello nel nostro libro. Prima edizione (Vita di Raffaello) Seconda edizione In questo tempo ( dopo aver finita la ta- In questo mentre, avendo egli acquistata vola dello Sposalizio della Vergine avendo fama grandissima nel seguito di quella ma- egli acquistato fama grandissima nel seguito niera , era stato allogato da Pio II ( Pio III) di quella maniera, era stato allogato da pontefice la Libreria del Duomo di Siena al Pio II (Pio HI) pontefice nel Duomo di Pinturicchio, il quale essendo amico di Raf- Siena la libreria a dipingere al Pinturicchio, faello, e conoscendolo ottimo disegnatore, il quale avendo dimestichezza con Raffaello, lo condusse in Siena ; dove Raffaello gli fece opera di condurlo a Siena, come buon fece alcuni dei disegni e cartoni di quella disegnatore, acciò gli facesse i disegni e i opera. cartoni di quella opera; et egli, pregato, quivi si trasferi, et alcuni ne fece. 526 COMMENTARIO ALLA VITA Ora è da vedere se, disegnandole, possa intendersi ancora che le in- ventasse ; 0 non più tosto che mettesse pulitamente in cartoni i disegni o gli schizzi fatti dal Pinturicchio.* Certo, se noi ci atteniamo al Vasari nella seconda edizione della Vita del Pinturicchio , è forza seguire la prima interpretazione ; cioè che Raffaello e inventasse e disegnasse i sog- getti di quelle istorie. Ma, con pace del Biografo, ci sia permesso di aver qualche dubbio sulla intera verità, del suo asserto; e che, posti nella ne- cessità di scegliere fra i due racconti, noi francamente abbracciamo quello che a Raffaello in questo lavoro non dà alti-a parte che di semplice dise- gnatore. Imperciocché, oltre al considerare come di grandissimo peso la condizione espressa del contratto : « di fare tutti gli disegni delle storie di sua mano, et in cartoni et in muro », imposta non senza buone ragioni dal cardinale al pittore, e dalla quale egli non poteva ne doveva dipar- tirsi, si può mai credere che il Pinturicchio, ormai giunto ai cinquantanni, avuto a' suoi giorni per maestro pratico e valente, ricerco ed accarezzato da tanti principi e signori, soffocando un giusto sentimento di sfe e delle proprie forze, sia ricorso per la invenzione di quelle storie ad un giovane ventenne, contentandosi della parte di meccanico esecutore degli altrui concetti e pensieri? Si può egli credere che in un'opera delle maggiori e più nobili che egli mai avesse a fare, e dalla quale ben conosceva es- sergli per venire lode grandissima appresso i contemporanei, e fama im- mortale nella memoria de' posteri, che gli reggesse l'animo di prender per guida, e farsi discepolo e garzone d'un giovanetto, nel quale si ve- devano, è vero, quelle disposizioni che poi lo resero eccellentissimo, ma che allora appena cominciava a segnar nel campo dell' arte i passi primi, e ancor dietro le orme del maestro? Per quanto grande si voglia figu- rare la virtù del Pinturicchio, e l'affezione e la stima sua all'Urbinate, noi immagineremmo in lui una abnegazione, uno sforzo sublime che nella comune degli uomini è raro, negli artefici singolarissimo, per non dire impossibile. Ma che, dall'altro canto, facessegli alcuni disegni, se non tutti, di quelle storie, che riducesse cioè in forma maggiore e pulita gli schizzi inventati dal Pinturicchio, non si può porre in dubbio, giacche, ne esi- stono ancora tre, ne' quali uomini intelligenti della maniera del Sanzio non esitano a riconoscervi la sua mano. Uno di essi si custodisce nella Galleria di Firenze, e rappresenta Enea Silvio Piccolomini che accom- pagna il cardinale Capranica al Concilio di Basilea; l'altro è posseduto ' Perchè i nostri lettori sieno ben chiari del significato artistico che hanno in sé i vocaboli schizzo, disegno e cartone, li preghiamo a rileggere la defini- zione e distinzione assegnata loro dal Vasari medesimo nel capitolo II della Pit- tura nella Introduzione. DI BERNARDINO PINTURICCHIO 5^7 dal Baldeschi di Perugia, e figura l'incontro fuori della porta Camollia di Siena di Federigo III, imperatore, con Eleonora di Portogallo sua sposa. Nel terzo, a Chatsworth in Inghilterra, è raffigurato Enea Silvio innanzi a papa Eugenio IV.' In tutti e tre i disegni sono alcune cose che differiscono dalle pitture corrispondenti, e più nel primo che nel secondo. Le quali diversità e cangiamenti è naturale che il Pinturicchio avrà sti- mati buoni e necessarj, allorché si pose a tradurre sul muro e colorire quelle composizioni : il che pare a noi non si potesse fare se non dall' in- ventore loro. E rispetto all'altro argomento che si vorrebbe trarre dalle parole che si leggono nel disegno di Perugia « Questa è la quinta N° V .... afad » , non si può da quella scritta dedun-e le due conseguenze, che essa sia di mano dell'Urbinate, e che stia ad indicare che quella è la quinta stòria inventata e disegnata da lui: imperciocché è chiaro che quelle parole sonvi state poste dopo, e che non vogliano significare altro che in quel disegno è il soggetto della quinta storia dipinta. ^ L'ultimo argomento portato in campo da coloro che sostengono di Raffaello le invenzioni delle storie della Libreria, è la bellezza di esse e la grande inferiorità del Pinturicchio d'innanzi a quel miracolo dell'arte. Questa opinione falsa ed avventata non può esser nata in loro che dalla lettura del Vasari, il quale ha portato sì ingiusto giudizio sul merito del Pinturicchio , che de' molti lavori commessigli non sa trovare altre ca- gioni, che il suo far presto con che sodisfece assai a molti principi e si- gnori, e la fortuna che spesso ajuta chi non è dotato di molta virtù; quasi che nelle cose dello ingegno, e nelle creazioni dell'arte, come negli accidenti della vita e nei casi del mondo, quella cieca signora potesse avere azione principalissima e fatale. Dominati da questa erronea preoc- cupazione, chi sa dire quanti argomenti ha saputo edificarvi sopra la fe- race fantasia degli scrittori? Ora questi riconoscono nelle pitture della Libreria non solo la mano, ma fino i tocchi del pennello dell'Urbinate- Quelli ti sanno dire quali le figure, quali le storie, quali le composizioni debbono essere sicuramente sue: ne, infine, è mancato chi tanto ha dato di quell'opera a Rafi'aello, che al povero Pinturicchio non restasse nulla ! Questo modo di vedere nell'arte e d'interpretare la storia è pure stra- ' Vedi Crowe e Cavalcaselle, III, 287. "- t Questo noi dicevamo nel 1849 ; ma essendo andati nel giugno del 1867 a Perugia, potemmo per mezzo del prof. Adamo Rossi vedere il cartone di casa Baldeschi. E quale non fu la nostra meraviglia, leggendovi, come innanzi a noi vi aveva letto il detto professore, queste semplici parole: « Questa è la quinta di papa pio ». Il nome di Raffaello non v'è; e non essendovi, ci pare che sia molto indebolito uno de' più forti argomenti, fondato sulla scritta di quel cartone, per sostenere del giovane Sanzio le pitture della Libreria di Siena. 528 COMMENTARIO ALLA VITA DI B. PINTURICCHIO nissimo. Ora se noi ci facciamo a porre continuamente in esame, e spesso a riconoscere per false le altrui asserzioni, con che giustizia ci vien data la taccia di sistematici contradittori all'autorità del Vasari? Con che giustizia questa nostra contradizione è chiamata rabbia di gettare abbasso le altrui opinioni per solo amore di singolarità e d' indipendenza ? Non rabbia, no, ma profonda convinzione di fare opera utile ed onesta ci ha fatto mettere per questa via, ci ha fatto afferrare tutte le occasioni, dove potessimo mostrare che il Vasari e coloro che lo hanno seguitato, pre- stando piìi tosto facile orecchio ai romori del volgo, a certe prevenzioni e preconcetti, che ai consigli d' una logica sapiente , ed alle regole di una sana critica, su quei mal fermi fondamenti hanno spesso innalzato il loro storico edificio. Pareva ben tempo che profittando degl' insegnamenti che da tant'anni vengono loro dalla dotta Germania, dove sulle arti e sulla storia nostra si scrive e si stampa tuttodì con diligenza squisita, con acvita critica, e con una indipendenza imitabile, si ponessero gl'Italiani con animo meglio disposto a studiare i fonti e gli argomenti della pro- pria istoria, gli ragguagliassero, interpretasserli , affinchè quel vero, alla cui ricerca debbe lo scrittore rivolgere quanto sa e può, uscisse fuori sgombro dalla molta nebbia che fino ad ora lo ha tenuto nascosto a noi. Per questa sola via potremo cacciarci di dosso il ben meritato rimprovero che continuamente c'introna le orecchie, di esser noi poco solleciti delle proprie cose , e di lasciar che gli stranieri facciano nei campi nostri , ancor ricchi, messe abliondante e nuova. Dopo tutto ciò che abbiamo detto e considerato nella presente questione, chi vorrà oggi, se leale e di buona fede è, e sa spogliarsi de' vecchi pregiudizj, non temperare la troppo as- soluta sentenza: che quanto di bello, di grande, di magnifico è nelle pitture della Libreria del Duomo senese, tutto, più che ad altri, all'in- gegno ed alla mano dell' Urbinate devesi ascrivere ? 529 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DEL PINTURICCHIO 1454. Nasce in Perugia da Benedetto di Biagio. 1492, giugno. È chiamato ad Orvieto , e gli sono allogate alcune pitture nella Cattedrale di quella città. Questa è la prima data certa che abbiamo sulle opere del pittore. — Gli affreschi nel palazzo di Sant'Apostolo per Sciarra Colonna , quelli nel palazzo di Belvedere, e la tavola in San Pietx'O per Innocenzo Vili, e le pitture di Santa Maria del Popolo cadono negli anni anteriori al 1492. 1492. Ha cinquanta ducati per parte del lavoro fatto nel Duomo di Orvieto. 1493. Forse in quest'anno comincia per Alessandro VI le pitture dell'ap- partamento Borgia e quelle di Castel Sant' Angelo. 1493, circa. Ritorna ad Orvieto. 1494, 9 marzo. È richiesto da papa Alessandro VI agli Orvietani, per compire i lavori cominciati per lui a Roma. 1495, Ottiene in affitto da Alessandro VI due tenimenti di terra nel Chiugi perugino. 1496, 13 febbrajo. Gli è allogata una tavola per i Clavistrali di Santa Maria de' Fossi in Perugia, ora nella Pinacoteca dell'Accademia di quella cittk. 1496, 15 marzo. Si accorda coi soprastanti della Fabbrica del Duomo di Orvieto a dipingere nella cappella grande dell'aitar maggiore due figure di Dottori, pel prezzo di cinquanta ducati. 1496, novembre. Ultimo pagamento fattogli per le dette pitture. 1497, 28 luglio. Gli è ridotto a sole due libbre di cera il canone che do- veva pagare per i due tenimenti di terra del Chiugi soprannominati. 1498, Erano terminate le pitture fatte per Alessandro VI. Vasabi, Opere. — Voi. IT 3-1 530 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA ! 1497-1500. Pitture della cai^pella Bufalini in Araceli di Roma. 1501. Affreschi della cappella Baglioni in Santa Marife Maggiore di Spello. j 1501. È del Magistrato dei Decemviri, in patria. } 1502, 29 giugno. Allogazione degli affreschi della Libreria Piccolomini i nel Duomo di Siena. i 1504, 23 agosto. Finisce le otto storie della cappella di San Giovanni nel Duomo suddetto. 1504, 8 settembre. Si scopre al pubblico la tavola da lui fatta per la cappella Piccolomini in San Francesco di Siena. 1504. Compra alcune terre da donna Lucrezia Paltoni, vedova di Neroc- cio di Bartolommeo, pittore e sciatore senese. 1505. 13 marzo. È pagato del cartone della storia della Fortuna che fu graffita nel pavimento del Duomo Senese. 1506. È matricolato al Collegio de' Pittori di Perugia. 1506, 24 marzo. Si obbliga per cento ducati d'oro con Eusebio da San Gior- gio, pittore perugino. 1506, 80 novembre. Gli nasce in Siena un figliuolo chiamato Giulio Cesare. 1506, 15 dicembre. La Balìa di Siena approva la donazione fattagli dal Comune di Montemassi, di venti moggia di terreno. 1507, marzo. Domanda alla Balìa di Siena di essere esentato per trea- t'anni dal pagare dazj e gabelle: esenzione che gli fu concessa, salvo quella della gabella delle porte. 1508, Tavola con Nostra Donna e varj santi nella chiesa de' Minori Con- ventuali di Spello. 1509, 7 gennajo. Nascegli in Siena un altro figliuolo di nome Camillo Giuliano. 1509, 18 detto. Riceve dagli eredi di Andrea Piccolomini il finale paga- mento delle pitture della Libreria del Duomo, di quella della In- coronazione di Pio III, e della tavola nella cappella di San Fran- • Cesco di Siena. 1509, 8 ottobre. Vende a Pandolfo Petrucci ed a Paolo di Vannoccio Biringucci, provveditori della Camera del Comune di Siena, una casa posta nel Terzo di Città pel prezzo di quattrocentoventi fiorini. 1509, 1 di novembre. Fa il suo primo testamento in Siena. 1508-1510. Dentro questi anni dipinge due affreschi nel palazzo di Pan- dolfo Petrucci. 1510, 27 gennajo. Gli nasce in Siena Faustina Girolama. 1511, 21 novembre. Compra da Antonio Primaticci di Siena una posses- sione detta il Chiostro, nel Comune di Pernina. 1513. Tavoletta con Cristo che porta la croce, ora nel palazzo Borromeo' a Milano. I E DELLE OPERE DEL PINTURICCHIO 531 1513. (?) Dipinge per la cappella di Filippo Sergardi in San Francesco di Siena una tavola colla Natività di Nostra Donna. 1513, 7 di maggio. Essendo corpore languens fa il suo ultimo testamento. Codicilla il 13 di settembre e il 14 d'ottobre. 1513, 11 dicembre. Muore in Siena, ed è sepolto nella parrocchia de' Santi Vincenzo ed Anastasio, al presente Oratorio della contrada del- l' Istrice. 1515. Donna Grania di Niccolò da Modena, o da Bologna, vedova del Pinturicchio , vende a Sigismondo Chigi due terze parti di alcuni tenimenti di terra. 1516. Fa istanza di poter vendere la parte dei beni spettanti a Faustina sua figliuola. 1518, 22 maggio. Fa testamento. 533 FEANCESCO FRANCIA BOLOGNESE, OREFICE E PITTORE (Nato nel 1150; morto nel 1517) (*) Francesco Francia,^ il quale nacque in Bologna Tanno HòO di persone artigiane, ma assai costumate e da bene, fu posto nella sua prima fanciullezza air orefice; nel qual esercizio adoperandosi con ingegno e spirito, si fece, cre- scendo, di persona e d'aspetto tanto ben proporzionato, e nella conversazione e nel parlare tanto dolce e piace- vole, che ebbe forza di tenere allegro e senza pensieri, col suo ragionamento, qualunche fusse più malinconico ; (*) A render più piena la illustrazione di questa Vita ci han giovato grandemente le cure dei benemeriti signori Gaetano Giordani e Michelangelo Gualandi di Bologna^ i quali han voluto farci copia dei m.ateriali e delle no- tizie da loro raccolte intorno al Francia. E di questi cortesi ajuti ci dichia- riamo a loro grati pubblicam.ente. ' *I1 Francia ha rinomanza ancora qual niellatore, cesellatore e coniatore; come a quei tempi erano necessariamente quasi tutti gli orafi. ^ *0ssia Francesco di Marco di Giacomo Raibolini. Il marchese Antonio Bolognini Amorini ( Vite dei Pittori ed Artefici Bolognesi, parte II, pag. 45), seguendo lo Zanetti {Illustrazione delle Stampe del C. L. Cicognara), dice che il Francia, come scolare di meter (meister) Due detto il Francia, celebre orefice, ne adottò il nome o soprannome. Il Mazzoni Toselli, per certi documenti tratti dai pubblici archivi di Bologna, tiene che T appellativo Francia sia l'abbreviato di Francesco: e questa è la opinione più accettabile. Intorno al Francia scrisse al- cune memorie Jacopo Alessandro Calvi, le quali furono pubblicate dal cav. Luigi Salina nel 1812 in Bologna. 534 FRANCESCO FRANCIA per lo che fu non solamente amato da tutti coloro che di lui ebbono cognizione, ma ancora da molti principi italiani ed altri signori.' Attendendo dunque, mentre stava air orefice, al disegno, di quello tanto si compiacque, che, svegliando l'ingegno a maggior cose, fece in quello grandissimo profitto ; come per molte cose lavorate d'ar- gento in Bologna sua patria si può vedere, e particolar- mente in alcuni lavori di niello eccellentissimi:" nella qual maniera di fare mise molte volte, nello spazio di due dita d'altezza e poco più lungo, venti figurine pro- porzionate e belle. Lavorò di smalto ancora molte cose d'argento, che andarono male nella rovina e cacciata de' Bentivogii. E per dirlo in una parola, lavorò egli qua- ' * Nella prima edizione la Vita del Francia comincia cosi: « Di gran danno fu sempre in ogni scienza il presumere di sé, e non pensare che l' altrui fatiche possino avanzare di gran lunga le sue; e per natura e per arte aver dai cielo non solamente le doti eccellenti e rare, ma ancora prerogative di grazia, di agi- lità e di destrezza nell' operare, molto maggiori, che altri non ha. Perchè alle volte s'incontra e vedesi le opere di tale, che mai non si sarebbe creduto, es- sere si belle e si ben condotte, che lo ingannato dalla folle credenza sua ne ri- mane tinto di gran vergogna e tutto confuso. E quanti si sono trovati, che nel vedere l'opere d'altri, per il dolore del rimanere a dietro hanno fatto la mala fine? come è opinione di molti che intervenisse al Francia, bolognese pittore ne' tempi suoi tenuto tanto famoso, che e' non pensò che altri non solo lo pareg- giasse, ma si accostasse a gran pezzo alla gloria sua. Ma vedendo poi l'opere di Raffaello da Urbino, sgannatosi finalmente di quello errore, ne abbandonò l'arte e la vita ». Nella seconda edizione il Biografo, accortosi forse d'aver usato qui espressioni alquanto ingiuriose e gratuite verso il Francia, modificò il suo giudizio. Sulle cagioni del fatto narrato in fine di questo preambolo, avremo occasione di esporre alcuni dubbj nella Parte Prima del Commentario. ^ *Due Paci niellate dal Francia si conservano nelle stanze della Presidenza della Bolognese Accademia di Belle Arti. Esse furon descritte minutamente dal Calvi stesso nelle citate Memorie, e dal Giordani neW Almanacco statistico Bo- lognese per l'anno 1838, notizie riprodotte anche nelle note alla nuova edizione del Malvasia. Da questa descrizione noi caveremo quel tanto che basti a dar contezza di que' lavori. In una di esse, su fondo di smalto, è Cristo risorto, ed in basso le guardie cadute per terra. Intorno intorno gira un ornamento dorato, con fogliami di bassorilievo eleganti e nitidissimi. Vi sono due scudetti, con gli stemmi delle famiglie Ringhieri e Felicini. Si ha notizia che questa Pace fu fatta fare da Bartolommeo Felicini, e forse nella occasione delle sue nozze con ma- donna Dorotea Ringhieri. Neil' altra è inciso, nel mezzo : Cristo in croce, con due angioli librati in aria, ai lati. In basso è l'addolorata Madre e il diletto di- scepolo; e più indietro, san Girolamo inginocchione e un altro santo (forse FRANCESCO FRANCIA 535 lunclie cosa può far quell'arte, meglio che altri facesse giamai. Ma quello di che egli si dilettò sopramodo, e in che fu eccellente , fu il fare conj per medaglie ; nel che fu ne' tempi suoi singularissimo, come si può vedere in alcune che ne fece, dove è naturalissima la testa di papa Giulio II,* che sfottono a paragone di quelle di Cara- dosso.' Oltra che fece le medaglie del signor Giovanni Bentivogh, che par vivo; e d'infiniti principi, i quali nel passaggio di Bologna si fermavano, ed egli faceva le me- daglie ritratte in cera, e poi finite le madri de' conj, le mandava loro:^ di che, oltra la immortalità della fama, trasse ancora presenti grandissimi. Tenne continuamente, mentre che e' visse, la zecca di Bologna: e fece le stampe san Francesco), e in lontananza un paese. Nella parte superiore è la Pietà con (lue angeli. I fregi bellissimi che ornano il lavoro e lo ricingono, sono di bassorilievo. Da una parte è lo stemma Denti vogli, dall'altra quello della fami- glia Riario. La prima di queste Paci esisteva nella suburbana chiesa della Mi- sericordia fuori la porta di Strada Castiglione: la seconda appartenne alla chiesa di San Giacomo Maggiore; forse donata da Giovanni II Bentivoglio in occasione delle sue nozze con Ginevra Sforza. Che fosse operata dal Francia per questo signore, lo dimostrano anche le sigle M. Z. , da doversi leggere Messere Zoanne. Di queste Paci parla lo Zani, Materiali ecc., a p. 129, e il Cicognara, Mem. ecc., a pag. 41. Sappiamo dal Negri {Annali di Bologna, anno 1494) che lo stesso Francia, per ordine del Bentivoglio, esegui un'altra Pace d'argento del valore di trecento ducati, la quale fu presentata in dono a Giovanni Sforza signore di Pesaro nello ammogliarsi con Lucrezia Borgia; Pace che si crede perduta, aven- done fatte inutilmente le possibili ricerche, ovvero sia andata in paesi stranieri. Per altre notizie su i nielli del Francia, vedi Roscoe, Vita e Pontif. di Leone X, voi. IX, pag. 106-108, 204, 209; e Duchesne, Essai sur les Nielles ecc. Pa- rigi, 1826, in-8, pag. 139, 169, 177, 228, 309. ' * Gaetano Giordani, in un articolo sopra la Moneta Bolognese di Giulio II, inserito ueW Almanacco statistico bolognese, anno 1841, dimostra l'equivoco del Vasari e del Cicognara circa la medaglia rappresentante l'effigie di questo pontefice, e quali sieno le vere e rare monete di Francesco Francia. " Ambrogio Foppa, soprannominato il Caradosso, era di Pavia, quantunque sia detto milanese. Egli fu valente non solo nel lavorare di conj, come qui ac- cenna il Vasari, e come assicura Benvenuto Cellini nella Vita che di sé scrisse, € nel Trattato dell' Orificeria; ma fu inoltre eccellente plasticatore, niellatore ed orefice. Di lui produssero memorie Ambrogio Leone nella sua opera De Nobili- tate Rerum , e il De Pagave in una nota a questo passo del Vasari nell' ediz. di Siena. Fiori circa il 1500. Non bisogna confonderlo con Vincenzo Foppa, pur milanese, di cui è parola nella Vita di Michelozzo e in quella del Filarete. ' Vedasi la nota 11 a pag. 52-53 del citato Almanacco. 536 FRANCESCO FRANCIA di tutti i conj per quella, nel tempo che i Bentivogli reggevano; e poi che se n'andarono, ancora mentre che visse papa lulio: come ne rendono chiarezza le moneta che il papa gittò nella entrata sua; dove era da una banda la sua testa naturale, e dall'altra queste lettere: BONONIA PER JULIUM A TYRANNO LIBERATA.* E fu talmente teuuto eccellente in questo mestiero, che durò a far le stampe delle monete fino al tempo di papa Leone. E tanto sono in pregio le 'npronte de' conj suoi, che chi ne ha, le stima tanto, che per danari non se ne può avere. ^ Avvenne che il Francia desideroso di maggior gloria, avendo co- nosciuto Andrea Mantegna^ e molti altri pittori, che ave- vano cavato della loro arte e facultà ed onori, deliberò provare se la pittura gli riuscisse nel colorito, avendo egli sì fatto disegno , che e' poteva comparire largamente con quegli. Onde, dato ordine a farne pruova, fece al- cuni ritratti ed altre cose piccole, tenendo in casa molti mesi persone del mestiero che gì' insegnassino i modi e l'ordine del colorire;* di maniera che egli, che aveva * *Nel 1508 fu commesso al Francia di fare due con^ o stampe con l'im- magine di esso papa e l'insegna del Comune di Bologna, e n'ebbe cinquanta du- cati d'oro; con questo però, ch'ei fosse obbligato di fare i conj che potessero abbisognare per la Zecca bolognese. Le parole della partita sono le seguenti: « 1508, die XXI novembris solvantur etc. magistro Francisco Francia aurifici « ducatos quinquaginta auri prò mercede sua duarum stamparum sculptarumcum « imagine S. D. N. ( Giulio II) et insignibus Communis Bononiensis, prò cudendis- « monetis novis et prò mercede etiam quarumcumque aliarura stamparum que con- « ficiende forent prò cecca ». (Liber Partitorum et mandatorum del Senato, Rep. e Stato di Bologna). Nel 1543 fu eletto conductor officine monetarie ecc. ad quin- quennium Alessandro di Domenico del Francia, nipote di Francesco. * La rarità di queste medaglie o monete, come è facile a credersi, è andata in processo sempre crescendo. — *Una serie di monete bolognesi in bronzo, ar- gento ed oro da lui lavorate, portano scolpito il ritratto di Giovanni BentivoglioII, e nel rovescio la iscrizione: Maccimiliani Imperatoris munus 1494. (Vedi Litta,. Famiglia Bentivoglio, e le cit. Memorie del Calvi, pag. 12). ' t Può aver conosciuto il 'Mantegna, allorché questi fu nel 1472 a Bologna. ' Credono alcuni, e tra questi è il Baldinucci, che il maestro di lui per la pittura fosse Marco Zoppo, del quale è stato parlato nella Vita del Mantegna. t Pare più probabile che egli apprendesse la pittura da Lorenzo Costa (Vedi Crowe e Cavalcaselle, History of Painting in North Italy, I, 557). FRANCESCO FRANCIA 537 giudizio molto buono, vi fé la pratica prestamente. E la prima opera che egli facesse fu una tavola non molto grande a messer Bartolommeo Felisini, che la pose nella Misericordia, chiesa fuor di Bologna; nella qual tavola è una Nostra Donna a seder sopra una sedia, con molte altre figure, e con il detto messer Bartolommeo ritratto di naturale, ed è lavorata a olio con grandissima dili- genza:* la quaP opera, da lui fatta l'anno 1490, piacque talmente in Bologna, che messer Giovanni Bentivogli,^ desideroso di onorar con l'opere di questo nuovo pit- tore la cappella sua in Sant'Iacopo di quella città, gli fece fare in una tavola una Nostra Donna in aria, e due figure per lato, con due AngioU da basso che suonano; * la qual' opera fu tanto ben condotta dal Francia, che meritò da messer Giovanni, oltra le lode, un presente onoratissimo. Laonde incitato da questa opera monsi- gnore de'Bentivogli,* gli fece fare una tavola per l'ai- tar maggiore della Misericordia, che fu molto lodata, dentro vi la Natività di Cristo; dove, oltre al disegno che ' *É ora nella Pinacoteca della Pontificia Accademia di Belle Arti. Oltre la Vergine ed il putto, vi sono sant'Agostino, san Francesco, san Giovan Batista, san Sebastiano, san Procolo martire e santa Monica; con un angioletto che tocca un mandolino, ed il ritratto di Bartolommeo Felicini. Nel colmo. Cristo morto sostenuto da due angeli ; e nella predella varie storiette. Il pittore vi scrisse: opvs FRANCiAE AVRiFicis MCccoLXXx. ( Vedi GIORDANI, Catalogo dei quadri di detta Pinacoteca, num. 78). Della Vergine col putto si vede un contorno inciso nella pag. 125 del tomo IV della Storia del Resini. ^ * Giovanni II Bentivoglio, signor di Bologna. Varie ed importanti notizie intorno al Francia possono cavarsi dalle Memorie per la Vita di Giovanni II Bentivoglio, scritte dal' conte Gio. Gozzadini (Bologna 1839, in-8 fig.); ed altre dai Cenni Storici sul medesimo Bentivoglio, di Ignazio Neumann Rizzi (Venezia, Alvisopoli, 1846, in-8). ' *E tuttavia nella cappella Bentivogli in Sant' Jacopo maggiore. Le due figure per lato sono: a destra, san Floriano e sant'Agostino; a sinistra, san Gio- vanni Evangelista e san Sebastiano; tutte figure in piò, di grandezza poco meno del vivo. Una magnifica e ornata architettura compie questa tavola, dove è scritto: lOANNi BENTivoLO II. FRANCIA AVRiFEX piNxiT. In questa bellissima pittura si am- mirano alcune teste degne del pennello del Sanzio. 'Antonio Galeazzo, detto il Protonotario, figlio del nominato Giovanni II Bentivoglio, del quale si ha notizia nel Fantuzzi. 538 FRANCESCO FRANCIA. non è se non bello, T invenzione e il colorito non sono se non lodevoli.' Ed in qnesta opera fece monsignore ritratto di naturale; molto simile, per quanto dice chi lo conobbe, ed in quello abito stesso che egli, vestito da pellegrino,^ tornò di lerusalemme. Fece similmente in una tavola, nella chiesa della Nunziata, fuor della porta di San Mammolo, quando la Nostra Donna è annunziata dall'Angelo, insieme con due figure per lato; tenuta cosa molto ben lavorata. ^ Mentre, dunque, per T opere del Francia era cresciuta la fama sua, deliberò egli, si come il lavorare a olio gli aveva dato fama ed utile, così di vedere se il medesimo gli riusciva nel lavoro in fresco. Aveva fatto messer Gio- vanni Bentivogli dipignere il suo palazzo * a diversi mae- stri e ferraresi e di Bologna, ed alcuni altri modonesi; ' 'Questa tavola porta scritto 1' anno mcccclxxxxviii nell'ornamento bellis- simo per intagli, il quale racchiude la detta pittura, che fu lavoro compito in due mesi, come dice la seguente memoria scritta nell'ornato stesso: pictorum CURA OPUS MENSIBUS DUOBUS CONSUMATUM ANTONIUS GALEAZ. IO. II. BENTIVOLI FIL. viRGiNi DicAviT. Restano nel sopraornato tre mezze figure dipinte dar Francia stesso, come si ha nella nota 3, tom. I, pag. 43 della nuova edizione del Mal- vasia. Anche questa tavola, dopo essere stata un tempo a Milano, è ora nella Pinacoteca di Bologna. (Giordani; Catalogo eie. , num. 81 ). Vedesi la stampa di essa nella raccolta delle pitture di quella Pinacoteca intagliata da Francesco Rosaspina. Un'incisione a contorni è pure inserita nell'opera Pinacoteca t^t ikft- lano, pubblicata da Michele Bisi incisore, col testo di Robustiano Gironi. Milano, 1812-1833. Scuola Bolognese. ^ *Non da pellegrino, ma dell'abito di cavaliere della croce rossa. E di più, nella figura d'un pastore coronato di lauro si crede essere effigiato il poeta cavaliere Girolamo da Casio, amico del pittore. Si vuole inoltre che questi vi facesse anche il proprio ritratto, non già in un angelo, come asserì il Bottari, ma piuttosto in quella figura a mani giunte che dicesi San Francesco. ' * Questa bellissima tavola è all'aitar maggiore. Oltre alla Madonna e al celeste annunziatore, vi sono diversi angeli, san Francesco e san Giorgio, san Bernardino e san Giovanni Evangelista. Si raccomanda ai marchesi Tanari di provvedere meglio e prontamente alla conservazione di questo capolavoro, nel quale già si fanno vedere screpolature nel colore deplorabili. * *Per la descrizione del palazzo Bentivoglio, vedasi la nota 1, pag. 44 del tomo I della nuova edizione del Malvasia. Dipinsero in questo palazzo Francesco Cossa, Lorenzo Costa, Ercole Grandi, se dobbiam credere ad alcune memorie, le quali però non son corredate da documenti. È da consultare ancora il libro del precitato Gozzadini. FRANCESCO FRANCIA 539 ma vedute le pruove del Francia a fresco, deliberò che egli vi facesse una storia, in una facciata d'una camera, dove egli abitava per suo uso; nella quale fece il Fran- cia il campo di Oloferne, armato in diverse guardie ap- piedi ed a cavallo, che guardavano i padiglioni: e men- tre che erano attenti ad altro, si vedeva il sonnolento Oloferne preso da una femmina succinta in abito ve- dovile; la quale con la sinistra teneva i capelli sudati per il calore del vino e del sonno, e con la destra vi- brava il colpo per uccidere il nemico; mentre che una serva vecchia, con crespe, ed aria veramente da serva fidatissima, intenta negli occhi della sua ludit per ina- nimirla, chinata giù con la persona, teneva bassa una sporta per ricevere in essa il capo del sonnacchioso aman- te: storia che fu delle più belle e meglio condotte che il Francia facesse mai; la quale andò per terra nelle rovine di quello edifizio nella uscita de'Bentivogli/ in- sieme con un' altra storia sopra questa medesima ca- mera, contraffatta di colore di bronzo, d'una disputa di filosofi, molto eccellentemente lavorata ed espressovi il suo concetto. Le quali opere furono cagione che messer Giovanni, e quanti eran di quella casa, lo amassino e onorassino, e dopo loro tutta quella città. Fece nella cappella di Santa Cecilia, attaccata con la chiesa di Sant'Iacopo, due storie lavorate in fresco; ^ in una delle quali dipinse quando la Nostra Donna è sposata da Giu- ' La cacciata cle'Bentivoglio avvenne nel 1507, come si è accennato nella Vita di Lorenzo Costa. — *I1 disegno di questa storia fu promesso dal Francia a Raffaello; come si ritrae da quella lettera del Sanzio stesso al Francia, da noi riportata nel Commentario. Forse dobbiamo compiangere, insieme con quella dell'affresco, anche la perdita del disegno. - * Poiché fu soppressa questa chiesa, e la fabbrica venne destinata ad altro uso, le pitture qui descritte hanno sofferto notabilmente. Dobbiamo pertanto esser grati al prof. Giuseppe Guizzardi, che ne trasse diligenti disegni, i quali da Gae- tano Canuti, come meglio seppe, furono pubblicati in litografia. Una breve de- scrizione di esse si ha nella citata Memoria del Gozzadini, ed un'altra, del- Tavv. Giuseppe Roncagli, fu inserita in un giornale bolognese. 540 FRANCESCO FRANCIA seppo; ' e nell'altra, la morte di Santa Cecilia;^ tenuta cosa molto lodata da' Bolognesi. E nel vero, il Francia prese tanta pratica, e tanto animo nel veder caminar a perfezione l'opere che egli voleva, eh' e' lavorò molte cose che io non ne farò memoria; ^ bastandomi mostrare, a chi vorrà veder l'opere sue, solamente le più notabili e le migliori. Ne per questo la pittura gì' impedì mai che egli non seguitasse e la zecca e le altre cose delle me- daglie, come e' faceva sino dal principio. Ebbe il Francia, secondo che si dice, grandissimo di- spiacere della partita di messer Giovanni Bentivogli, perchè, avendogli fatti tanti benefizj, gli dolse infinita- mente; * ma pure, come savio e costumato che egli era, attese all'opere sue. Fece, dopo la partita di quello, tre tavole che andarono a Modena; in una delle quali era * Il soggetto è quando Santa Cecilia è sposata da Valeriane. — * Il Resini ne dà un piccolo intaglio a pag. 126 del tom. IV della sua Storia. t Nella chiesa di Santa Cecilia di Bologna sono dieci quadri di pittura sulle pareti fatti dal Francia, da Gio. Maria Chiodarolo, da Cesare Tamaroccio bolognese, dal Costa ferrarese, e da Amico Aspertini. Quelli del Francia rap- presentano lo sposalizio di Santa Cecilia, e la deposizione di lei nel sepolcro. Il Chiodarolo vi fece santa Cecilia e Valeriane inginocchiati, mentre un angelo librato sulle ali depone sul loro capo una ghirlanda di rose; e a certa distanza gli sposi suddetti in colloquio con Tiburzie fratello di Valeriane, e la santa che disputa innanzi al prefetto Almachio. Il Tamaroccio dipinse in uno la santa con- dannata al bagno d'olio bollente e poi ad esserle tagliata la testa, e in un altre il battesimo di Valeriane. Il Costa nei suoi affreschi rappresentò la santa che dispensa le sue ricchezze ai poverelli; la conversione al cristianesimo di Valeriane speso di santa Cecilia, fatto nel 1506, come si legge in un cartellino sull'arco d' un ca- stello o villa che vi è dipinta. Di Amico Aspertini è la decapitazione de' martiri Tiburzie e Valeriane. Queste pitture che erano ridotte in cattivissime state seno state restaurate nel 1875 dal cav. Luigi Cavenaglia di Milano. (Vedi Frizzoni Gustavo, Gli affreschi di Santa Cecilia in Bologna: articolo stampato nel giornale romano II Buonarroti, fase, di luglio 1876 a pag. 125 e seg. ). ^ Anzi, la sepoltura del corpo di essa. ' *A questo abbiamo cercato di supplire noi nella Parte Seconda del Com- mentario peste in fine della presente Vita. ' *Di questo dispiacere dà un cenno Raffaello, e lo conforta nella medesima lettera sua sopra citata, colle parole: «Fatevi intante animo, valetevi della vo- « stra solita prudenza, et assicuratevi che sento le vostre afflittioni come mie « preprie ». FRANCESCO FRANCIA 541 quando San Gliovanni battezza Cristo;' nell'altra, una Nunziata bellissima; ^ e nella ultima, una Nostra Donna in aria, con molte figure, la qual fu posta nella chiesa de' Frati dell'Osservanza.' Spartasi, dunque, per cotante opere la fama di cosi eccellente maestro, facevano le città a gara per aver dell'opere sue. Laonde fece egli in Parma, ne' Monaci Neri di San Giovanni, una tavola con un Cristo morto in grembo alla Nostra Donna, ed intorno molte figure; tenuta universalmente cosa bellissima : " perchè trovan- dosi serviti i medesimi frati, operarono ch'egli ne fa- cesse un'altra a Reggio di Lombardia, in un luogo loro; dov' egli fece una Nostra Donna con molte figure.^ A Ce- sena fece un'altra tavola, pure per la chiesa di questi * *I1 Battesimo di Cristo al presente fa parte della moderna raccolta di Dresda. Oltre il Cristo e san Giovanni, vi sono due angeli; figure quasi quanto il vivo. Questa tavola porta scritto: frangia avrifex bon. m. v. viii (1508). * Questa era nell'appartamento del già Palazzo Ducale di Modena, pervenu- tavi dalla chiesa della Santissima Annunziata, ossia di Santa Maria dell'Asse. t Ora è nella Galleria di Modena. Ma essa non è del Francia. Dalle me- morie tratte dall'archivio della Confraternita della Santissima Annunziata, degli anni 1506, 7, 8 e 1511 e 12, apparisce che questa tavola fu lasciata non finita alla sua morte nel 1510 da Francesco Bianchi Ferrari pittore modenese, e com- pita da Gio. Antonio Scaccieri nel 1512. (Vedi Andrea Cavazzoni Pederzini, Intorno al vero autore d'un dipinto attribuito al Francia. Modena, 1864). * 'Questa magnifica tavola ora si conserva nella R. Galleria di Berlino. Evvi rappresentata la Vergine col Bambino incoronato da cherubini. In basso stanno in atto di adorazione i santi Bernardo, Dorotea, Caterina, Girolamo, Lodovico e san Gemignano patrono della città di Modena. V'è la scritta: frangia avri- FABER • BONON • 1502. (Waagen, Catalogo della Pinacoteca di Berlino, ediz. tedesca del 1841). t Fu dipinta per Santa Cecilia di Modena, e trasportata nel 1737, dopo la demolizione di quella chiesa, nell'altra di Santa Margherita. * *Si conserva nella pubblica Galleria di Parma. Di questa bellissima com- posizione si ha un intaglio del Rosaspina nelle Pitture Parmensi, pubblicate dal Bodoni. ' S'ignora il destino di questa tavola. — *Una tavola del Francia fu trovata e comprata a Reggio dal signor Giovanni Lombardi di Firenze ; e si conserva nella sua raccolta. In essa è Nostra Donna seduta, col Putto parimente seduto sulle sue ginocchia, colla destra in atto di benedire, e con due ciliegie nella sinistra. A'iati di lei sono san Giovanni Evangelista, a destra; san Giorgio (?) a sinistra: mezze figure sur un fondo di paese. Le teste della Vergine e del bam- bino sono un poco alterate dal ritocco. 542 FRANCESCO FRANCIA monaci, e vi dipinse la Circoncisione di Cristo, colorita vagamente.' Ne volsono avere invidia i Ferraresi agli altri circonvicini; anzi, diliberati ornare delle fatiche del Francia il loro Duomo, gli allogarono una tavola, che vi fece su un gran muro di figure, e la intitolarono la tavola di Ogni Santi.' Fecene in Bologna una in San Lo- renzo, con una Nostra Donna e due figure per banda, e due putti sotto; molto lodata.^ Ne ebbe appena finita questa, che gli convenne farne un'altra in Sant'Iobbe, con un Crucifisso, e Sant'Iobbe ginocchioni appiè della Croce, e due figure da' lati. * ' *0ggi si ammira nel Palazzo pubblico di Cesena. Se ne vede un intaglio nel tom. II, tav. xiii, nell'opera intitolata la Pinacoteca di Milano ecc. (dove stette alcun tempo). Un altro è nella tav. xxv dell'anno III dell'ape Italiana, giornale romano di Belle Arti, con un'illustrazione di Gaetano Giordani, ripro- dotta neW Almanacco Bolognese del 1838. con note intorno alla Vii;a del Francia stesso. Finalmente un altro intaglio ce ne dà la tavola lxxix della Storia dei Rosini, delle cui parole ben volentieri usiamo per descrivere questa mirabile pittura: « Quantunque così [la Purificazione di Cesena) venga or chiamato « questo celebre quadro, rappresenta la Purificazione a un tempo della Vergine, « e la presentazione del Divin Fanciullo a Simeone. \\ bassorilievo nel disotto « dell'ara, cosa non consentita dall'uso degli Ebrei ne' loro templi, è una inno- « vazione del Francia. Rappresenta il sacrifizio di Abramo, emblema del sacri- « Azio che si compirà di li a non molto sul Golgota; ed ha con ciò voluto il « pittore mancar piuttosto alla verisimiglianza storica, che perder il merito di « si felice occasione ». Nella base dell'ara è scritto: frangia • avrifex • bon • f. ^ "Rappresenta la Incoronazione di Nostra Donna circondata da una molti- tudine di santi. Evvi scritto: franciscvs frangia avrifex fagiebat. ^ *Questo quadro, che era nella chiesa detta di San Lorenzino de'Guerrini, fu trasportato in Roma dall'arcivescovo cardinale Ludovisi, sostituendovi una copia; e non sappiamo poi come passato in casa Lanci, pervenne in questa no- bilissima casa Hercolani di Strada maggiore, fatta erede della suddetta casa Lanci. Esso è conservatissimo ; ed a man destra del quadro sta dipinto un san Lorenzo in piedi in attitudine divota e graziosa, ed un san Girolamo, a si- nistra, in abito cardinalizio, con due bellissimi angioli sedenti sul primo piano, che suonano strumenti; ed in alto, nel mezzo, su di un piedistallo, una maestosa e bella Beata Vergine col santo Bambino in braccio: il tutto dipinto con un gusto mirabile. E nel piedistallo sta scritto cosi : dominvs lvdovicvs de calcina OEGRETORVM DOCTOR CANONICVS : S. P. BON. R^DIFIGATOR AVGTORQ. DOMVS ET RESTAVRATOR HVIVS ECGLESIAE FECIT FIERI P. ME FRANGIAM AVRIFIGEM BON. ANNO M. ccccc. É illustrata dal pittore Calvi nelle Prose e versi per la colle- zione di pitture di casa Hercolani, a stampa. Fu venduta, non è molto, dagli amministratori del patrimonio Hercolani all'imperatore di Russia, e fu posta nella Galleria àeW Hermitage. * *Fu venduto con altre pitture a Londra dal conte Cesrae Bianchetti. FRANCESCO FRANCIA 543 Era tanto sparsa la fama e l' opere di questo artefice per la Lombardia, che fu mandato di Toscana ancora per alcuna cosa di suo; come fu da Lucca, dove andò una tavola, dentro vi una Sant'Anna e la Nostra Donna, con molte altre figure, e sopra un Cristo morto in grembo alla madre : la quale opera è posta nella chiesa di San Fri- diano, ed è tenuta da' Lucchesi cosa molto degna.' Fece in Bologna, per la chiesa della Nunziptta, due altre ta- vole, che furon molto diligentemente lavorate: ^ e cosi fuor della porta a Strà Castione,^ nella Misericordia, ne fece un' altra a requisizione d' una gentildonna de' Man- zuoli ; nella quale dipinse la Nostra Donna col Figliuolo in collo, San Giorgio, San Giovanni Batista, Santo Ste- fano e Sant'Agostino, con un Angelo a' piedi, che tiene le mani giunte con tanta grazia, che par proprio di pa- radiso.* Nella compagnia di San Francesco, nella mede- sima città, ne fece un'altra;^ e similmente una nella compagnia di Sant'Ieronimo.^ Aveva sua dimestichezza ' 'Questa bellissima tavola, che porta scritto frangia avrifex bononiensis p. (pinxit), stava nella cappella dei marchesi Buon visi in detta chiesa. Poi passò nella Galleria del già palazzo ducale, dove per varj anni fu ammirata come uno de' suoi più preziosi ornamenti. Ora arricchisce la Galleria Nazionale di Londra ; ma divisa dalla sua parte superiore, o lunetta, esistente ancor essa nella detta Galleria. Questa pittura è descritta co' più minuti particolari nella bella opera di Mistriss Jameson, A Handbook to the 'public Galleries of art in near London. With Catalogues of the Pictures ecc. London 1841. Parte I, num. 179 e 180. - *In questa chiesa sono veramente due altre tavole del Francia. L'una alla cappella Scappi, con Nostra Donna e il Divino Infante, san Giovannino a' piedi, e i santi Paolo e Francesco. L'altra, nella cappella Graffi, già Bolo- gnetti, con il Crocifisso, la Vergine Madre, la Maddalena, ei santi Girolamo e Francesco. Essa porta scritto: frangia avrifex. ' 'Porta di Strada Castiglione. ' Dopo essere stata nella Pinacoteca di Milano, fu restituita a Bologna, ove ora conservasi nella Pontificia Accademia di Belle Arti. (V. Pinacoteca di Mi- lano ecc., e Giordani, Catalogo ecc., tom. II, tav. v, n. 80). — *Si trova incisa dal Rosaspina nella Pinacoteca di Bologna. ^ Questa tavola, ov'era dipinta la Madonna con san Francesco e sant'Antonio, fu venduta; ed oi'a è nella R. Galleria di Berlino. — *Tra le molte tavole del Francia e de' suoi discepoli che sono nella detta Pinacoteca, non ne troviamo nessuna con questi santi. (Vedi il Catalogo del 1841). " Ossia di San Girolamo di Miramonte. Questa pittura, riguardata come una 544 FEANCESCO FEANCIA messer Polo Zambeccaro; e come amicissimo, per ricor- danza di lui, gli fece fare un quadro assai grande, den- trovi una Natività di Cristo; che è molto celebrata delle cose che egli fece : ' e per questa cagione messer Polo gli fece dipignere due figure in fresco, alla sua villa; molto belle. Fece ancora in fresco una storia molto leg- giadra in casa messer leronimo Bolognino, con molte, varie e bellissime figure: le quali opere tutte insieme gli avevano recato una reverenza in quella città, che v'era tenuto come uno iddio.^ E quello che glie l'ac- crebbe in infinito, fu che il duca d'Urbino gli fece di- pignere un par di barde da cavallo, nelle quali fece una «elva grandissima d'alberi, che vi era appiccato il fuoco, e fuor di quella usciva quantità grande di tutti gli ani- mali aerei e terrestri, ed alcune figure: cosa terribile, spaventosa e veramente bella; che fu stimata assai per il tempo consumatovi sopra nelle piume degli uccelli e nelle altre sorti d'animali terrestri, oltra le diversità delle frondi e rami diversi, che nella varietà degli al- lò eri si vedevano: la quale opera fu riconosciuta con doni di gran valuta, per satisfare alle fatiche del Francia; oltra che il duca sempre gli ebbe obligo per le lodi che ^gli ne ricevè.' Il duca Guido Baldo, parimente, ha nella ■32 g S 2 g '«ZiB ^ '^^■n'S ■^ 1 ^ 0 MARCO Giacomo ato all'Arte 1 ra il MIO e i 3l 1412 fa tes s co s, o*"Z 0 u •c 5 a C ■Jj e 0 0 0) fc s Eh 0 a, 1— H is Z W JIh 0 o"*" EH . ^ ^ § J H 2 ^ 0- 2 0 h-^ e J « ^-< <1 ^ 0 5 .a C^ 0 i^to (N 551 COMMENTARIO ALLA. Vita di Francesco Francia PARTE PRIMA Brevi considerazioni intorno alle cagioni della morte del Francia 11 Malvasia prese a mostrare esser falso il supposto del Vasari, che il Trancia morisse di dolore e di melanconia per la maraviglia cagionatagli dalla rara bellezza della Santa Cecilia di Raffaello. E sebbene l' argomento, ■del quale egli si fa piìi forte, cioè la durata della vita di Francesco Fran- cia oltre al termine assegnato dal Vasari, oggi non abbia più valore; * tuttavia riman sempre degli altri argomenti una parte, che nel nuovo esame che si faccia di tal questione debbonsi oggi tenere in conto. Egli divise il suo ragionamento in due capi. Nel primo provò non esser vero «he la Santa Cecilia fosse la prima opera del Sanzio dal bolognese pittore veduta; citando, fra le altre, la celebre Visione di Ezechiello, già in casa Hercolani, oggi nella Galleria dei Pitti. ' E al Quatremère, il quale oppone che il piccolo quadro di casa Hercolani non poteva forse esser sufficiente a convincere il Francia della sua inferiorità., si risponde: che avanti a questo egli aveva già veduto, oltre ad altre cose, il Presepio da ' Egli dice che il Francia nel 1520 e 1522 operava ancora. Ma le opere ch'egli cita, è stato scoperto ormai appartenere a Giacomo suo figliuolo. Vedi nella terza parte di questo Commentario; e, quel che vai più d'ogni altro, i do- cumenti da noi riferiti nella nota 4, pag. 547, i quali determinano precisamente l'anno della sua morte. ^ Questo quadretto era giunto a Bologna nel 1510, come trovasi notato nei libri delle spese del conte Vincenzo Hercolani, il quale rimise in Roma la va- luta di otto ducati d'oro per tal' opera, sul banco de'Lianori. (Malvasia, Fel- sina Pittrice). 552 COMMENTARIO ALLA VITA Raffaello stesso rammentato nella sua lettera del 5 settembre 1508; let- tera che intanto qui riportiamo, inquanto che mostra eziandio di quale affettuosa stima ed amicizia scambievole fossero congiunti gli animi de' due egregi artefici. m A messer Francesco RaihoUni, detto il Francia. ' « Messer Francesco mio caro. Ricevo in questo punto il vostro ritratto « recatomi da Bazotto, ben conditionato, e senza offesa alcuna: del che « sommamente vi ringratio. Egli è bellissimo, e tanto vivo, che m'in- « ganno tallora, credendomi di essere con esso voi, e sentire le vostre « parole. Pregovi a compatirmi, e perdonarmi la dilatione e lunghezza « del mio, che, per le gravi et incessanti occupationi, non ho potuto « sin ora fare di mia mano, conforme il nostro accordo, che ve l'avrei « mandato fatto da qualche mio giovine, e da me ritocco; che non si « conviene, anzi converriasi, per conoscere non i^otere aguagliare il vo- « stro. ^ Compatitemi per gratia, perchè voi bene ancora avrete provato ' Questa lettera fu pubblicata per la prima volta dal Malvasia, che la trova in copia originale tra le carte di Antonio Lambertini ; fu quindi ristampata tra le Pittoriche. t Se di questa lettera noi non mettiamo in dubbio l'autenticità, certo ab- biamo qualche ragione di credere che sia stata nella copia del Lambertini o- nella stampa del Malvasia non solo rimodernata nella lingua, ma ancora in qualche parte alterata nelle espressioni. Per esempio, ci pare strano che Raffaello sottoscrivendosi si dicesse Sanzio e non da Urbino, come usa in altre sue let- tere, essendoché quel cognome gli fu dato dagli scrittori seguenti; e non meno strano l'indirizzo. Parimente abbiamo fortissimi dubbj circa il sonetto del Fran- cia, nel quale sono certi pensieri espressi con certe forme poetiche, che, se non e' inganniamo, appartengono ai tempi posteriori del pittor bolognese. ^ Questo passo, se non si ha da credere viziato nella lezione, è almeno molto oscuro. Forse è da intendere : Non si conviene mandarvi il mio ritratto fatto da un mio giovine, subito che il vostro donatomi è dipinto di vostra mano. Ma poi trovo che converrebbe che io non lo facessi da me proprio, perchè cosi verrei a confessare di non aver saputo agguagliare il vostro fatto da voi stesso. Gaetano Giordani sospetta che il ritratto del Francia donato a Raffaello sia quello oggi conservato nella Galleria del conte D'Harrache in Torino, segnato della marca FF: bellissimo invero e quasi sconosciuto ai biografi. Altro ritratto del Francia, che alcuni opinano fatto da sé stesso ed altri lo vogliono del pennello di Lorenzo Costa, si conserva colle debite cure presso la nobile famiglia Boschi in Bologna. Da questo dipinto Carlo Faucci cavò un intaglio nel 1763, come dice una lunga iscrizione appostavi. Esso parimente ha servito alle due edizioni del Malvasia (Bologna, 1678 e 1841), e dal medesimo crediamo traesse il Vasari quello per le sue Vite, sebbene molto infedelmente e rozzamente eseguito. La più pregevole incisione di questo ritratto è quella di Antonio Marchi, la quale adorna la citata opera del Bolognini-Amorini. DI FRANCESCO FRANCIA 553 « altre volte, che cosa voglia dire essere privo della sua libertà, et vivere « obbligato a patroni, che poi ec. Vi mando intanto per lo stesso, che « parte di ritorno fra sei giorni, un altro disegno, et è quello di quel « Preseppe, se bene diverso assai, come vedrete, dall'operato, e che voi « vi siete compiaciuto di lodar tanto, sicome fate incessantemente del- « l'altre mie cose; che mi sento arrossire, sicome faccio ancora, di que- « sta bagatella, che vi goderete perciò più in segno di obbedientia e di «amore, che per altro rispetto. Se in contracambio riceverò quello della « vostra istoria della Giuditta , io lo riporò fra le cose più care e pretiose. « Monsignore il Datario aspetta con grand' ansietà la sua Madonella, « e la sua grande il cardinale Riario; come tutto sentirete più precisa- « mente da Bazotto. Io i^ure le mirerò con quel gusto e sodisfattione, « che vedo e lodo tutte l'altre, non vedendone da nissun altro più belle « e più divote e ben fatte. Fatevi intanto animo, valetevi della vostra « solita prudenza, et assicuratevi che sento le vostre afflittioni come mie « proprie. Seguite d'amarmi, come io vi amo di tutto cuore. « Roma, il dì 5 di settembre 1508. « A servirvi sempre obligatissimo « Il vostro RAFAELLE SANZIO ». Il secondo capo del ragionamento del Malvasia sta a dimostrare non men falso del primo l'altro supposto del Biografo: che, cioè, conferisse alla morte del Francia la stolta presunzione della folle credenza sua di. es- ser più valentuomo di Raffaello. E questo veramente è il punto che im- porta alla iDresente questione, e che si può confutare con ragionevoli argomenti. Di fatto, quel basso sentimento non poteva albergare nel cuore di chi alle opere del Sanzio compartiva incessantemente tali lodi da farlo arrossire, e tutta l'ammirazione sua i^er quell'ingegno esjjrimeva nel se- guente sonetto, che egli spontaneo dettava e mandava aìV Eccellente Pit- tore Raffaello Sanzio : ' Non son Zeusi ne Apelle, e non son tale. Che di tanti tal nome a me convegna; Ne mio talento, ne vertude è degna Haver da un Raffael lode imortale. ' Anche questo sonetto fu pubblicato per la prima volta dal Malvasia, tro- vatolo in copia originale tra le scritture del nominato Antonio Lambertini. Il titolo suo è questo: All' exceliente pictore Raffaello Sanxio, Zeusi del nostro secolo. Di me Francesco Raibolini decto il Francia. 554 COMMENTARIO ALLA VITA Tu sol, cui fece il ciel dono fatale, Che ogn' altro excede, e sora ogn' altro regna, L' exceliente artificio a noi insegna Con cui sei reso ad ogn' antico uguale. Fortunato garxon, clie nei primi anni Tant' oltre passi ; e che sarà poi quando In piìi provecta etade opre migliori? Vinta sarà natura ; e , da' tuoi inganni Resa eloquente, dirk, te lodando, Che tu solo il pictor sei de'pictori. PARTE SECONDA Opere certe del Francia dal Vasari non citate Non vi ha quadreria, in tutta Italia e fuori, sì pubblica come pri- vata, la quale, se e un po' ragguardevole, non abbia da citare qualche opera di Francesco Francia. Non potendo per altro noi rispondere della, autenticità di tutte quante nei Cataloghi e Guide si veggono registrate, seguiteremo, come abbiam fatto sin qui, a non dar conto se non di quelle che ci sono certificate o per iscrizioni ad esse apposte, o per documenti, 0, infine, per altre prove scritte o di nostra propria veduta. Bologna. Chiesa di San Martino Maggiore. — La Madonna col Putto e varii santi, con sopra, nell'ornato, un Cristo morto, e sotto una testa del Salvatore , bellissima. Porta scritto : frangia avrifex. Galleria Zambeccari da San Paolo. — Tavola con Nostra Donna, la quale tiene sulle ginocchia il Divin Figliuolo nudo , che colla de- stra benedice e nella sinistra tiene un cardellino. Evvi pure san Francesco in piedi colla croce in mano. Figure poco minori del vivo, le quali si vedono per due terzi della persona, di là, da un muro, dove è scritto: F. FRANCIA PAULO ZAMBECHARIO PINXIT MCCCCCII. t Nella Pinacoteca comunale sono due tavole, che erano nella seconda e terza cappella della chiesa della Santissima Annunziata fuori della porta San Mammolo. Nell'una è Maria Vergine in trono con Gesù Bambino, da un lato è san Paolo e dall' altro san Francesco. In terra è san Giovannino con la croce. Vi è scritto: Joannes Scappus oh immaturum Lactanti filli obitum pìentissimo affectu hoc Vìrgini et Paulo dicavit. Neil' altra è il Cro- cifisso colla Maddalena a pie della croce; Maria Vergine, e san Francesco a sinistra; a destra san Girolamo inginocchiato, e un santo in piedi. Ha la sottoscrizione , della cui autenticità si può dubitare : frangia avrife. DI FRANCESCO FRANCIA 555 Galleria Hercolani. — Un Dio Padre, più che mezza figura piccola, con sotto questa iscrizione: Petronio burgugnino masario, jo. Francisco Ma- sino PRIORE, AC PETRO ANTONIO SOLETTA DEPOSITARIO, NEC NON HERCULE GRI- MANTO CONSERVATORE, FRANCIA AURIFEX FACIEBAT, A. MDXIIII. Parma. Galleria dell' Accademia delle Belle Arti. — Tavola con No- stra Donna nel mezzo, seduta sur un piedistallo innalzato sur una gra- dinata a foggia di trono, con in grembo il Divin Figliuolo in atto di benedire. Al lato destro del trono stanno santa Giustina e san Benedetto; al sinistro, santa Scolastica e san Placido. Più in basso, nel mezzo, e precisamente sotto il piedistallo, siede san Giovannino. Porta scritto in lettere dorate : f. frangia aurifex bononiensis m. d. xv. Questa assai ben conservata tavola appartenne alla famiglia Sanvitale. Lucca. Chiesa di San Frediano. — In uno degli altari della navata sinistra è una tavola con Nostra Donna, che assunta in cielo riceve la benedizione dall'Eterno Padre, con attorno angioletti e serafini. In basso, i santi Anselmo e Agostino, David e Salomone, in pie; dinanzi al sepolcro fiorito, sant'Antonio da Padova inginocchione, volto di schiena. Opera veramente stupenda in ogni sua parte. Che cara cosa è mai il gradino con quattro storie di piccole figure a chiaroscuro ! Questa tavola non f)orta scritto il nome del Francia, ma è abbastanza autenticata dalla maniera. Galleria Mansi da San Pellegrino. — Una graziosissima tavoletta con Nostra Donna e il putto, molto finamente condotta. Milano. — Si trova in casa Pertusati una tavola del Francia rappre- sentante la Madonna in trono e due santi , coli' epigrafe del nome e dell'anno 1511. Ciò si rileva da un estratto di lettera inedita del consi- glier De Pagave al canonico Crespi, del dicembre 1778. t Torino. — Nel Museo è una tavola con Gesù morto sostenuto da san Giovanni Evangelista e dalla Maddalena colla Madonna piangente. In dietro è un santo monaco con un giglio in mano e Nicodemo. Vi si legge : FRANCIA aurifex BONONIENSIS. Vienna. Galleria di Belvedere. — Nostra Donna, seduta in un trono molto elevato, sostiene il Divin Figliuolo che ritto sulle sue ginocchia guarda san Francesco d'Assisi, dandogli la benedizione; il qual santo è ritto in basso del quadro, e sostiene una croce, rivolgendo lo sguardo al Salvatore supplichevolmente. Dalla parte sinistra della Vergine è santa Ca- terina martire , che, appoggiando la sinistra sullo strumento del supplizio, coir altra tiene una i^alma. Dinanzi al leggio sta san Giovan Batista fan- ciullo, che riguarda in alto sollevando il braccio destro. Il fondo è un'aperta campagna. Nello zoccolo si legge : Francia avrifaber bonon. Se ne ha un intaglio nel III tomo della Galerie Imperiale Royale au Belvedére à Vienne (Vienne et Prague, 1825). 556 COMxMENTARIO ALLA VITA Ungheria. -:- Gabriele Fejervarij possiede una Madonna col Bambino, san Francesco e san Giuseppe, figure intere; colla scritta: fkanciscds FRANCIA AVRIFEX FACIEBAT MDII. Berlino. Pinacoteca Reale. — Nostra Donna che tiene ritto in pie su un parapetto di pietra il Santo Fanciullo, con a destra san Giuseppe. Il fondo e un montuoso paese con un ruscello. Il Francia dipinse questa tavola per il suo amico e concittadino Bartolomraeo Bianchini , come dice la seguente iscrizione posta sotto ad essa: Bartholomei sumptu Bianchini lìmxima matrum Hic vivit manihus, Francia, piota tiiis. La quale iscrizione teniamo per certo che sia fattura dello stesso Bianchini, come colui che era uomo di lettere. Egli nella Vita di Codro, scritta latinamente, pose alcune righe in elogio del Francia, che furono riferite dal Malvasia. Monaco. Pinacoteca Reale. — Tavola con Nostra Donna inginocchione, la quale, colle mani incrociate al petto, rimira il suo Divin Figliuolo steso sul terreno smaltato di rose. 11 fondo è di paese: le figure, grandi quanto il vivo. A lettere d'oro vi è scritto: frangia avkifex fecit. ' Inghilterra. Raccolta di Lord Dudley. ^ — Nostra Donna che porge al suo Divin Figliuolo una frutta, sur un fondo di paese. Porta scritto : jaco- BDS GAJIBARUS BONON. PER FRANCIAM AURIFABRUM HOC OPUS FIERI CURAVIT, 1495. * È dunque da ri^Dorre tra le sue prime opere. i Nella Galleria Nazionale sono due tavole del Francia. La prima raj)- presenta Maria Vergine , l' infante Gesù e sant'Anna introno, circondato da santi. Avanti il trono e in mezzo è san Giovannino con l' agnello e la bandiera : a sinistra stanno san Sebastiano e san Paolo ; a destra san Lo- renzo e san Romualdo. Questa pittura è segnata: frangia • avrifex • bo- NONiENSis • p. Nella lunetta, ora distaccata dal quadro, è la Vergine con due angeli che piangono sopra il corpo morto del Redentore. Era nella cappella Buonvisi della chiesa di San Frediano di Lucca. Fu poscia com- prata dal duca di Lucca; quindi, portata in Inghilterra nel 1840 cogli ' DiLLis, Catalogne des Tableanx de la Pinacothèque Rogale à Munic; edizione del 1839. Questa bellissima tavola era in Mantova. È descritta minuta- mente neW Antologia (febbrajo 1821, pag. 197), in un articolo sulle gallerie di Germania trad. dal Knnstblatt. Ma è notabile che l'autore dell'articolo riporta diversamente dal Dillis la scritta del quadro, cioè: frangia avrifex bonon. ^ "Waagen, Kunstioerke und Kilnstler in England. Berlino 1838, tom. Il, pag. 204, 205. ' Di Giacomo del Gambaro si hanno notizie nel B'antuzzi, Scrittori Bolo- gnesi, IV, 47. Nelle fedi battesimali di Bologna si trova che nel 30 agosto del 1500 ser Jacopo Del Gambaro e maestro Pranza furono compari di Laura di-Bartolommeo del fu Niccola De Luminari, nata il 13 dello stesso mese. I Gam- bari, o del Gambaro, erano orefici e saggiatori di zecca; e i discendenti, nel secolo XVI, furono anche zecchieri. DI FRANCESCO FRANCIA 557 avanzi della raccolta del detto duca, fu acquistata dal signor E. G. Flight, che là rivendè nel 1841 alla Galleria Nazionale. Nella quale per acquisto del 1860 è l'altra tavola che figura Maria Vergine col putto e due santi. Il Bambino Gesù benedicente e stando sopra un parapetto è sostenuto dalla madre. ( Catalogne of the pictures in the National Gallery. Lon- dra, 1877). Firenze. Galleria degli Uffizj. — Il bellissimo ritratto di Evangelista Scappi, che dal palazzo Pitti passò in questa Galleria nel 1773, è stato sempre ammirato per opera del Francia. È una mezza figura di un gio- vane uomo, con berretto e capelli neri distesi a zazzera, con veste e mantello nero. Ha la mano sinistra vestita di un guanto bianco, e nella destra nuda tiene una lettera dove è scritto : D'"'° Evangelista de Scappi. In Bolo(gmi). Il fondo è una campagna con veduta di paese. Se ne vede un intaglio nella cit. Galleria degli Uffizj illustrata ecc., fase. 14; ma perchè quello riuscì pessima cosa, gli editori ne fecero fare un altro, che è molto migliore, e lo pubblicarono nel fase. 49. — Il Malvasìa dice che in casa Scappi erano pitture del Francia. La Raccolta dei Disegni nella stessa Galleria (cassetta num. V) ha un ritratto di giovane uomo, veduto quasi di faccia, grande poco meno del vivo. Ha i capelli sciolti, il mento raso, il berretto in testa, e la sopravveste legata sotto il collo da un nastro. E disegnato a lapis nero e rosso. Esso con molta ragione si addita per opera del Francia. Nel fondo, a sinistra di chi vede, si legge di lettere romane grosse: M.» ALEX."* ACHILLIN.S AN. XXIII. Alessandro Achillini, professore di medicina e di filosofia a Bologna, sua patria, nacque nel 1463, e morì nel 1512. ' Ciò posto, l'anno vigesimo- terzo dell' età sua cadrebbe al 1486, quando, stando al Vasari, il Francia non aveva ancora incominciato a operar di pennello. Nella stessa cassetta, ai numeri 31 e 32, sono due altri disegni attribuiti con ragione a Fran- cesco Francia. Il primo rappresenta una santa Conversazione. In un fondo di campagna siede Nostra Donna con Gesti Bambino nudo , il quale stende le mani verso santa Elisabetta genuflessa a sinistra del riguardante: e dietro a questa san Zaccaria, con lunga barba e a mani giunte. Dalla parte opposta si vede san Giovannino ritto in pie , appoggiato al sinistro ginocchio della Vergine; e presso a lui san Giuseppe seduto, colle mani ' Vedi Fantuzzi, Scrittori Bolognesi, I, 49; III, 366; IX, 11. 558 COMMENTARIO ALLA VITA appoggiate al suo bastone. All'estremità del quadro, e più indietro del san Giuseppe, sta in piedi una santa vecchia, probabilmente Anna pro- fetessa, la quale con ambe le mani tiene una tavoletta scritta. — Acque- rello in carta tinta lumeggiato a biacca. Neil' altro disegno sono tre figure stanti. Quella di mezzo è santa Ca- terina regina di Alessandria, con la testa alquanto piegata, e le mani ap- poggiate alla ruota, strumento del suo martirio. A sinistra, altra santa giovane coronata di fiori con un libro nella sinistra, ed una palma nella destra. A destra sta, quasi in profilo, un santo barbato, cocollato, che si pone la destra al petto e coli' altra sostiene un lembo della cocolla. — Disegno a penna lumeggiato a biacca, leggermente tinta. Alto sol. 8,2; lar. 6,2. In Firenze non sapremmo colla stessa certezza citare per opera del Francia quella tavola che è nella Galleria dell'Accademia delle Belle Arti , con Nostra Donna seduta e san Francesco d'Assisi e sant' Antonio di Pa- dova inginocchiati ai lati. PARTE TERZA Di Giacomo, di Giulio e di Giovambatista Francia Il Vasari tacque che per opera dei figliuoli e del nipote di Francesco Francia l'arte della pittura si continuò nella famiglia Raibolini. Che Giacomo fosse suo figliuolo non è disputato. Ma quanto a Giu- lio, il Malvasia il primo e dietro lui tutti gli altri scrittori han perpe- tuato r errore che e' fosse cvxgino dì Francesco. Colla scorta de' documenti oggi è provato che Giulio invece fu uno de' tre figliuoli del Francia. Vaglia sopra ogn' altra testimonianza la fede battesimale che di lui s'è rinvenuta, favoritaci, insieme con altri preziosi appunti cavati dagli ar- chivj , dal benemerito Michelangelo Gualandi. Essa ci dice : « 1487, 25 ago- sto, Julius fiUus Francisci aurificis nafus die 20 augusti et haptizatus die 25 ».' Di questo Giulio non conosciamo di certo che quelle tavole, le quali ei dipinse in società con Giacomo, distinte sempre coli' epigrafe J. J. FRANCIA. Se ci mancano notizie dell'esser di Giacomo, rimangono però le opere sue. E cominciando da quelle che sono nella sua patria, diremo che si ' Il Malvasia, in uno istrumento di compra de' 2 agosto 1510, trovò nomi- nato un Giulio di Andrea Raibolini. Questi non deesi confondere col pittore Giulio figliuolo di Francesco. DI FRANCESCO FRANCIA 559 vede ancora in San Petronio, nella cappella della Madonna della Pace, la tanto lodata tavola rappresentante un musicale concerto di viole, soa- vemente toccate da bellissimi angeli, la quale ricinge la nicchia dove si conserva un'antica e venerata immagine di Nostra Donna di rilievo. Dob- biamo deplorare la vandalica barbarie di chi fece coprire di bianco le storie della Vita di Gesù Cristo dipinte in questa stessa cappella da Gia- como, in concorrenza del Bagnaca vallo , di Girolamo da Cotignola, di Amico Aspertini e di altri suoi condiscepoli ; dove nell'Ascensione di Cristo al cielo era questa scritta: hieronim. casivs medicvs eq. gavdivm maru. ASCENDENT. lESV. GB SVAM ET lACOBI F. PIETATEM DICAVIT. lA. FRANCIA FACIES. Nella P. Pinacoteca di Bologna si conserva una tavola che era nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, rappresentante San Frediano vescovo, l'apostolo San Giacomo e le sante martiri Lucia ed Orsola; nella quale dicesi essere il ritratto del pittore (altri credono del committente), che vestito di nero sta a mani giunte. Appesa a un ramoscello è una cartella col motto I. I. frangia: la quale scritta mostra che al pennello di Giacomo si associò quello di Giulio suo fratello; come fece in altre pitture che descriveremo più sotto. Evvi pure im' altra tavola, che rappresenta la Vergine seduta col putto, in grembo, il quale è in atto di prendere la croce che il piccolo san Giovanni gli porge stando inginocchioni. Ai lati, stanno in piedi san Sebastiano e san Giorgio; e più indietro, inginocchioni, san Fran- cesco e san Bernardino. In alto è una gloria d'angeli. A pie dell'albero, cui è legato il san Sebastiano, si legge la seguente scritta: i. i. frangia avrif. bonon. fé. mdxxvi. Era nella chiesa di San Francesco. Il D'Agin- court ne ha dato un piccolissimo intaglio nella tav. clviii, num. 5, della Pittura; ed il gruppo della Madonna col putto e San Giovannino si vede intagliato a pag. 133 del tomo IV della Storia del prof. Rosini. Nella chiesa di Santo Stefano è un San Girolamo adorante Cristo Cro- cifisso, con la Maddalena e San Francesco. Esso fu dal Malvasia attribuito a Francesco Francia; ma la data del 1520 segnata nel quadro basta senz'altro a farlo escludere dalle opere di lui. Similmente è forza resti- tuire a Giacomo Francia il San Sebastiano, di cui.il Malvasia fa le più magnifiche lodi, se vero è, come egli dice, ma non prova, ch'esso fosse fatto nel 1522; la qual cosa è difficile -per noi a riscontrare, perciocché questa celebrata tavola fino dal 1606 fu tolta dalla chiesa della Miseri- cordia dal cav. Giustiniani, e in luogo dell'originale, trasportato non si sa dove, posta una copia, anch'essa smarrita. Rammenteremo ancora, sebbene perduta, la immagine di Nostra Donna dipinta in fresco sotto il portico dei signori Ratta, di cui ci ha serbato memoria un intaglio che si vuole di Agostino Caracci. 560 COMMENTARIO 'ALLA VITA % Nella chiesa eli San Donato, il San Giovanni Evangelista in tavola. In quella di Santa Caterina, la Natività di Cristo, e nel gradino il Viaggia de' tre Magi. Tavola fatta fare da una monaca di casa Vizzani, del 1552. ' In San Domenico, F arcangelo Michele in mezzo ad altri santi nella cappella Pepoli. Nella sagrestia della chiesa di San Clemente dell'almo Collegio di Spagna è una tavola, dentro la quale sono tre figure in piedi, cioè: santa Margherita in atteggiamento devoto, san Francesco intento a leg- gere, e san Grirolamo cogli occhi rivolti al cielo. Questa tavola ha la se- guente scritta: i. i. frangia mdxviii. x. iulii. Parma. — Nella chiesa di San Giovanni Evangelista è una Natività di Cristo colla iscrizione : j. j. feancia bon. mdxviii. ^ Milano. Pinacoteca di Brera. — Tavola colla Vergine, il Divino In- fante, due angioletti, due santi guerrieri, santa Giustina, santa Caterina ed altre quattro figure ; tutte grandi quanto il vivo. Essa porta scritto : JACOB. FRA. MDXLIV. ' Berlino. Pinacoteca Reale. — Nostra Donna incoronata con attorno cherubini ed angeli. In basso, i santi Paolo, Caterina martire, Francesco e Giovan Batista ; il fondo è paese. Vi si legge : j. j. frangia avhifi. bo- NON. FECER. MDxxv. Qucsta è quclla tavola che il Malvasia e le Guide ci- tano nella chiesa di San Paolo in Monte, detta comunemente l'Osser- vanza. Parimente, evvi un' altra tavola con Nostra Donna col Divino Infante e i santi Guglielmo vescovo e Sebastiano a destra, e san Girolamo e san Giovan Batista a sinistra. In alto il Padre Eterno e il Divino Spirito. Questa tavola esisteva in Bologna nell' aitar maggiore della chiesa di San Guglielmo. ' Di Giovambatista ' Francia sappiamo dal Malvasia, che egli si adoperò e colla persona e colle faculta, nel 1569, perchè dopo una lunga lite ^ fossero separati i pittori dall'arte dei sellari, guainai e spadari, e venis- ' Vedi Guide di Bologna degli anni 1706 e 1782. ^ Vedi II Parmigiano servitor di piazza (del P. Affò); Parma 1706. ' Se ne ha un intaglio nel tom. II, tav. xxiv della Pinacoteca di Milano ecc. più volte citata. * Malvasia, op. cit. ' Negli spogli delle fedi battesimali, mandatici dall'amico Gualandi, tro- viamo: un Giov. Battista di Giulio del Pranza nato il 27 di giugno del 1533: questi, a quanto sembra, è il nipote di Francesco Francia, e il pittore, di cui parliamo. * Della famosa lite dei Pittori e Compagnia delle Arti si può aver contezza alla nota 9, pag. 48, della Guida per la P. Accademia delle Belle Arti di Bo- iogna, pubblicata da G. Giordani nel 18-16. DI FRANCESCO FRANCIA 561 4' sero uniti a quella de' bombaciari ; ottenne che le comuni entrate fossei-o separate, e che si eleggesse un numero di trenta conservatori, dieci de'quali fossero dell' arte de' bombaciari , e gli altri venti di quella de' pittori. Egli morì il 13 maggio del 1575. Come pittore, essendo assai ricco, poco operò e debolmente ; ed attese piuttosto a spendere le sue ricchezze. Le antiche . Guide di Bologna citano alcune pitture di lui; ma perchè non abbiamo riscontri che le certifichino, così ce ne passeremo. Pitture di Giambatista Francia si dicono sempre quelle di minor merito che appartengono alla scuola del Francia. Opere sue veramente non si conoscono. V-siBi. Crcre — Vo! mi 36 563 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA E DELLE OPERE DI FEANCESCO FRANCIA 1450. Nasce Francesco Raibolini, detto il Francia, da Marco di Giacomo. 1482, 10 dicembre. Si matricola all'Arte degli Orafi. 1483, 2° trimestre. Eletto Massaro dell'Arte degli Orafi. 1486. (?) Ritratto disegnato di Alessandro Achillini. 1487. Nozze di Annibale II Bentivoglio. Intorno a questo tempo sono da porsi i lavori di orificeria fatti dal Francia per questo signore. 1489, 1" trimestre. Eletto Massaro dell'Arte degli Orafi. 1490. Tavola per Bartolommeo Felicini, già nella chiesa della Misericordia, ora nella Pontificia Pinacoteca di Bologna. 1494. Pace d'argento pel Bentivoglio, donata a Giovanni Sforza signore di Pesaro. 1495. Tavola con Nostra Donna e il Putto, per Jacopo Del Gambaro, ora in Inghilterra. 1499. Natività di Cristo, già nella chiesa della Misericordia, ora nella Pinacoteca Bolognese. 1500. Tavola per San Lorenzo di Bologna, ora in casa Hercolani di Strada Maggiore. 1502. Tavola, già nella chiesa dell'Osservanza di Modena, ora nella Pi- nacoteca di Berlino. 1502. Tavola posseduta da Gabriele Fejervarij in Ungheria. 1503. Tavola per Paolo Zambeccari, presso la famiglia. 1506, 11 novembre. E creato Massaro per l'Arte degli Orafi da papa Giulio IL 1506, 4° trimestre. Rieletto Massaro per l'Arte degli Orafi. 564 PROSP. CRONOL. DELLA VITA ecc. DEL FRANCIA 1508. Fa i conj delle monete col ritratto di Giulio II e l'insegna del Comune di Bologna. 1508. Tavdla col Battesimo di Cristo, già a Modena, ora nella Galleria di Dresda. 1508, 3° trimestre. Massaro dell'Arte degli Orafi. 1511. È eletto uno dei sedici Gonfalonieri del Popolo. 1511. Tavola in casa Pertusati a Milano. 1512, 4° trimestre. Massaro dell'Arte degli Orafi. 1514. È nuovamente eletto Massaro dell'Arte degli Orafi. 1514, 1" trimestre. Massaro delle quattro Arti. 1514. Tavoletta in casa Hercolani a Bologna. 1515. Tavola con Nostra Donna, già nella Galleria Sanvitale, ora nella Parmense. 1517, 5 gennajo (stile nuovo, 1518). Muore. 565 PIETEO PERUGINO (Nato nel 1-U6; morto nel 1523) Di quanto beDefizio sia agli ingegni alcuna volta la povertà, e quanto ella sia potente cagione di fargli venir perfetti ed eccellenti in qual si voglia facultà, assai chiaramente si può vedere nelle azioni di Pietro Perugino:* il quale partitosi dalle estreme calamità di Perugia e condottosi a Fiorenza, desiderando col mezzo della virtù di pervenire a qualche grado, stette molti mesi, non avendo altro letto, poveramente a dormire in una cassa; fece della notte giorno, e con grandissimo fervore continuamente attese allo studio della sua pro- fessione; ed avendo fatto l'abito in c^uello, nessuno altro piacere conobbe, che di affaticarsi sempre in quell'arte e sempre dipignere. Perchè avendo sempre dinanzi agli ' *I1 suo cognome è Vannucci. Le fonti principali, donde possono attingersi copiose ed importanti notizie intorno a questo pittore, sono le Lettere Pitto- riche Perìigine di Annibale Marietti; Perugia 1788; la Vita^ Elogio e Memorie dell' egregio pittore Pietro Perugino , e degli scolari di esso, di Baldassarre Orsini; Perugia 1804; il Commentario della Vita e delle Opere di Pietro Van- nucci ecc., del prof. Antonio Mezzanotte; Perugia 1836: e le Memorie di Ber- nardino Pinturicchio raccolte e pubblicate da Gio. Batista Vermiglioli; Peru- gia 1837; dove sono illustrazioni nuove e copiose, anciie della vita e di qualche opera di Pietro Perugino, per emendare i biografi suoi, ed alle omissioni loro notabilmente supplire. 566 PIETRO PERUGINO occhi il terrore della povertà, faceva cose per guada- gnare, che e' non avrebbe forse guardate, se avesse avuto da mantenersi: e per avventura tanto gli arebbe la ric- chezza chiuso il camino , da venire eccellente per la virtù, quanto glielo aperse la povertà e ve lo spronò il bisogno ; disiderando venire da si misero e basso grado,' se e' non poteva al sommo e supremo, ad uno almeno, dove egli avesse da sostentarsi. Per questo non si curò egli mai di freddo, di fame, di disagio, d'incomodità, di fatica, ne di vergogna, per potere vivere un giorno in agio e ri- poso; dicendo sempre e quasi in proverbio, che dopo il cattivo tempo è necessario che e' venga il buono ; e che quando è buon tempo si fabricano le case, per potervi stare al coperto quando e' bisogna. Ma perchè meglio si conosca il progresso di questo artefice, cominciandomi dal suo principio, dico, secondo la publica fama, che nella città di Perugia nacque ad una povera persona da Castello della Pieve, detta Cri- stofano, un figliuolo, che al battesimo fu chiamato Pie- tro:' il quale, allevato fra la miseria e lo stento, fu dato dal padre per fattorino a un dipintore di Perugia; il quale non era molto valente in quel mestiero, ma aveva in gran venerazione e 1' ' arte e gli uomini che in quella erano eccellenti.' Ne mai con Pietro faceva altro che ' Egli non era di bassa condizione, quantunque fosse povero. La famiglia Vannucci godeva della cittadinanza perugina fin dal 1427. ^ Sebbene il Vasari lo dica nato in Perugia, è oggi provato ch'egli ebbe i natali in Castel della Pieve (e lo aveva detto il Vasari stesso nella Vita di Pier della Francesca) nel 1446 ; il quale castello in quel tempo era soggetto a Perugia. Infatti egli stesso usò in molti quadri segnarsi Petrus de Castro Plebis, e cosi lo vide scritto il Marietti in varie carte, e perfino nel catalogo dei pittori col- legiati del 1506, fra quelli di porta San Piero. In altre carte nondimeno lo trovò appellato civis perusinus ; il che conferma avere egli goduto il privilegio di quella cittadinanza. ° *I più tengono che fosse suo primo maestro Benedetto Ronfigli; ma nes- sun documento ce ne accerta. Anzi il Vasari stesso c'induce ad escluderlo col dirci che il dipintore di Perugia, datogli dal padre per maestro , non era molto valente in quel mestiero: qualificazione che il Biografo non avrebbe data al PIETRO PERUGINO 567 dire, di quanto guadagno ed onore fusse la pittura a chi ben la esercitasse; e contandoli i premj già delli antichi e de' moderni, confortava Pietro allo studio di quella. Onde gli accese T animo di maniera, che gli venne ca- priccio di volere (se la fortuna lo volesse aiutare) es- sere uno di quelli. E però spesso usava di domandare, qualunque conosceva essere stato per lo mondo, in che parte meglio si facesseno gli uomini di quel mestiero; e particularmente il suo maestro: il quale gli rispose sempre di un medesimo tenore; cioè, che in Firenze, più che altrove, venivano gli uomini perfetti in tutte l'arti, e specialmente nella pittura; atteso che in quella città sono spronati gli uomini da tre cose: Tuna, dal biasi- mare che fanno molti e molto, per far quell'aria gli in- gegni liberi di natura, e non contentarsi universalmente dell'opere pur mediocri, ma sempre più ad onore del buono e del bello, che a rispetto del facitore, conside- rarle: l'altra, che a volervi vivere bisogna essere indu- strioso; il che non vuole dire altro, che adoperare con- tinuamente l' ingegno ed il giudizio, ed essere accorto e presto nelle sue cose, e finalmente saper guadagnare; non avendo Firenze paese largo ed abbondante, di ma- niera che e' possa dar le spese per poco a chi si sta, come dove si trova del buono assai: la terza, che non può forse manco dell'altre, è una cupidità di gloria ed Bonfigli, dopo che nella Vita del Pinturicchio avea scritto di lui, che fu assai stimato nella sua patria, inttanzi che venisse in cognizione Pietro Perugino. Altri gli assegnano per primo maestro Niccolò da Foligno: e il barone di Rumohr credè di trovarlo in quel Fiorenzo di Lorenzo, nelle cui opere autentiche che sono in Perugia scòrse certe proprietà di disposizione e di movenza nelle figure, certa delicatezza di forme, quali ritornano nei primi lavori del Perugino. {Ri- cerche Italiane [ Italienische Forschungen J , II, 320-324). Ma in tanta diversità d'opinioni concluderemo, come dice il Rosini, che il suo primo maestro, quello che gli pose in mano lo stile e quindi il pennello, è ignoto. t É bensì da notare che il Vasari, nella Vita di Pietro della Francesca, sebbene lo dica un po' confusamente, assegnerebbe quell'artefice per maestro del Vannucci. I signori Crowe e Cavalcasene per ultimo congetturano eh' egli avesse i principj dell'arte da un Francesco pittore suo conterraneo. 568 PIETRO PERUGINO onore, che quella aria genera grandissima in quelli d'ogni professione; la qual in tutte le persone che hanno spirito non consente che gli uomini veglino stare al pari, non che restare in dietro, a chi e' veggono essere uomini come sono essi, benché gli riconoschino per maestri; anzi gli sforza bene spesso a desiderar tanto la propria gran- dezza, che, se non sono benigni di natura o savi, riescono maldicenti, ingrati e sconoscenti de'benefizj. E ben vero, che quando l'uomo vi ha imparato tanto che basti, vo- lendo far altro che vivere come gli animali giorno per giorno, e desiderando farsi ricco, bisogna partirsi di quivi, e vender fuora la bontà delle opere sue, e la riputazione di essa città, come fanno i dottori quella del loro studio. Perchè Firenze fa degli artefici suoi quel che il tempo delle sue cose; che fatte, se le disfa e se le consuma a poco a poco.* Da questi avvisi, dunque, e dalle persua- sioni di molti altri mosso, venne Pietro in Fiorenza, con animo di farsi eccellente: e bene gli venne fatto, con- ciosiachè al suo tempo le cose della maniera sua furono tenute in pregio grandissimo. Studiò sotto la disciplina d'Andrea Verrocchio ; " e le prime sue figure furono fuor della Porta al Prato, in ' Se nella Vita d'Ercole Ferrarese il Vasari si lasciò sfuggire alcuna ardita espressione contro i Bolognesi, accusandoli d'essere avversi ai forestieri; in questa tirata ch'ei pone in bocca all'anonimo precettor del Vannucci, non tratta piti cortesemente i Fiorentini; anzi gli accusa di più grave colpa, quale si è la crudeltà verso i propri concittadini: eppure in mezzo ad essi viveva e nella loro città stampava le opere sue! Invece, dunque, di essere adulator dei medesimi, come altri falsamente asseri, egli scrisse di loro tutto ciò che a lui sembrò es- sere la verità. ^ Il Marietti e il Pascoli credono che il Verrocchio non sia mai stato mae- stro di Pietro, perchè a quel tempo egli aveva abbandonato la pittura: ma il Lanzi e l'Orsini non giudicano improbabile che quell'artefice ammaestrasse il Perugino nel disegno, nella plastica e, sebbene ei più non trattasse i pennelli, anche nel buon gusto della pittura, avendolo saputo si bene instillare nel Vinci e nel Credi. «Le tradizioni (dice il primo ) non nascono dal nulla; qualche cosa « han di vero ». t A noi pare che si potrebbe mettere in dubbio che il Verrocchio non fosse stato maestro del Perugino, per tutt' altra ragione che per quella addotta PIETRO PERUGINO 569 San Martino, alle monache, oggi ruinato per le guerre. Ed in Camaldoli un San Girolamo in muro, allora molto stimato da' Fiorentini e con lode messo innanzi, per aver fatto quel Santo vecchio magro ed asciutto, con gli occhi fisso nel Crucifisso, e tanto consumato, che pare una no- tomia; come si può vedere in uno cavato da quello, che ha il già detto Bartolomeo Gondi. Venne, dunque, in pochi anni in tanto credito, che dell'opere sue s'empiè non solo Fiorenza ed Italia, ma la Francia, la Spagna, e molti altri paesi,, dove elle furono mandate. Laonde tenute le cose sue in riputazione e pregio grandissimo, cominciarono i mercanti a fare incetta di quelle, ed a mandarle fuori in diversi paesi, con molto loro utile e guadagno. Lavorò alle donne di Santa Chiara, in una tavola, un Cristo morto, con si vago colorito e nuovo, che fece credere agli artefici d'avere a essere maraviglioso ed eccellente. Veggonsi in questa opera alcune bellissime teste di vecchi; e similmente certe Marie che, restate di piagnere, considerano il morto con ammirazione ed amore straordinario: oltreché vi fece un paese, che fu tenuto allora bellissimo, per non si esser ancora veduto il vero modo di fargli, come si è veduto poi.' Dicesi che Frau- dai Mariotti e dal Pascoli, non essendo vero che il detto artefice fiorentino a quel tempo avesse abbandonato la pittura, la quale fu T ultimo esercizio a cui egli si diede. Anzi noi sappiamo che nel 1476 vi attendeva ancora, e che nella sua bot- tega era tuttavia Lionardo da Vinci. Noi invece siamo condotti a negare questa cosa osservando che allorché il Perugino venne a Firenze, e vi esercitò l'arte sua, egli era già maestro fatto né aveva perciò bisogno di porsi sotto la disci- plina e l'insegnamento altrui. Che se veramente fosse stato nella bottega del Ver- rocchio, non si saprebbe intendere, come non dovesse cambiare, se non in tutto, almeno in qualche parte la maniera che aveva appresa dai maestri dell' Um- bria, massime da Niccolò da Fuligno, e, se si vuole credere al Vasari, da Pietro della Francesca. Al contrario egli nella sua lunga dimora in Firenze la conservò tenacemente. ' 'Questa stupenda tavola si conserva ora nella R. Galleria de' Pitti. Nel sasso, su cui posa il corpo del Redentore, si legge scritto a lettere d'oro: petrus • PERvsiiNVS . PiNxiT • A. D. Mcccc • Lxxxxv. Tra gì' intagli fatti di questa opera. 570 PIETRO PERUaiNO Cesco del Pugliese volle dare alle dette monache tre volte tanti danari, quanti elle avevano pagato a Pietro, e farne far loro una simile a quella di mano propria del medesimo; e che elle non vollono acconsentire, per- chè Pietro disse che non credeva poter quella paragonare. Erano anco fuor della porta a Pinti, nel convento de' frati Giesuati,* molte cose di man di Pietro; ma per- chè oggi la detta chiesa e convento sono rovinati,^ non voglio che mi paia fatica con questa occasione, prima che io più oltre in questa vita preceda, dirne alcune poche cose. Questa chiesa dunque, la quale fu architettura d'An- tonio di Giorgio da Settignano,^ era longa braccia qua- ranta e larga venti. A sommo , per quattro scaglioni ov- vero gradi, si saliva a un piano di braccia sei, sopra il qual era V aitar maggiore con molti ornamenti di pietre intagliate; e sopra il detto altare era posta con ricco ornamento una tavola, come si è detto, di mano di Do- menico Ghirlandaio. A mezzo la chiesa era un tramezzo di muro, con una porta traforata dal mezzo in su, la quale mettevano in mezzo due altari, sopra ciascuno de' quali era, come si dirà, una tavola di mano di Pietro uno è quello che correda la Galleria de' Pitti ecc. , pubblicata per cura di L. Bardi; l'altro vedasi nella tav. lxii della Storia del Resini. Ecco un altro esempio come non sia da prestare nessuna fede al Vasari quando ragiona di date. Qui pone fra le prime opere che facesse Pietro in Firenze una tavola del 1495, mentre noi abbiamo memorie della sua dimora in quella città sin dal 1482. Vedi nel Prospetto cronologico. • Furon soppressi da papa Clemente IX l'anno 1668. I Gesuati erano valen- tissimi nel dipingere in vetro ; e si vuole che Pietro imparasse da loro molti buoni metodi per preparare e adoprare i colori minerali. • Questa chiesa, detta San Giusto alle Mura, fu demolita, insieme col con- vento, nel 1529 a cagione dell'assedio allor minacciato da Filiberto d' Grange, il quale alla testa dell'esercito imperiale sosteneva le pretensioni di Clemente VII a danno della Repubblica fiorentina. Assai importante riesce adunque la descri- zione che or ne fa il Vasari. • t Costui fu della famiglia Marchissi da Settignano e nacque nel 1450 da maestro Giorgio di Checco muratore e scarpellino. Mori il primo di settembre del 1522. Di lui si parlerà più a lungo nella Vita d'Andrea da Fiesole. PIETRO PERUGINO 571 Perugino; e sopra la detta porta era un bellissimo Cru- cifisso di mano di Benedetto da Maiano, messo in mezzo da una Nostra Donna ed un San Giovanni di rilievo. E dinanzi al detto piano dell'aitar maggiore, appoggian- dosi al detto tramezzo, era un coro di legname di noce e d'ordine dorico, molto ben lavorato: e sopra la porta principale della chiesa era un altro coro, che posava sopra un legno armato, e di sotto faceva palco ovvero soffittato, con bellissimo spartimento, e con un ordine di balaustri che faceva sponda al dinanzi del coro che guardava verso V aitar maggiore : il qual coro era molto commodo, per l'ore della notte, ai frati di quel convento; e per fare loro particolari orazioni, e similmente per i giorni feriati. Sopra la porta principale della chiesa; che era fatta con belhssimi ornamenti di pietra, ed aveva un portico dinanzi in sulle colonne, che copriva insin so- pra la porta del convento; era in un mezzo tondo un San Giusto vescovo, in mezzo a due Angeli, di mano di Gherardo miniatore, molto bello: e ciò perchè la detta chiesa, era intitolata a detto San Giusto, e la entro si serbava da que' frati una reliquia, cioè un braccio di esso Santo. All'entrare di quel convento era un picco! chiostro di grandezza appunto quanto la chiesa, cioè lungo braccia quaranta e largo venti; gli archi e volte del quale, che giravano intorno , posavano sopra colonne di pietra, che facevano una spaziosa e molto commoda loggia in- torno intorno. Nel mezzo del cortile di questo chiostro, che era tutto pulitamente e di pietre quadre lastricato, era un bellissimo pozzo, con una loggia sopra, che po- sava similmente sopra colonne di pietra, e faceva ricco e bello ornamento. Ed in questo chiostro era il capitolo de' frati, la porta del fianco che entrava in chiesa, e le scale che salivano di sopra al dormentorio, ed altre stanze a commodo de' frati. Di là da questo chiostro, a dirittura della porta principale del convento, era un an- 572 PIETRO PERUGINO dito lungo quanto il capitolo e la camarlingheria, e che rispondeva in un altro chiostro maggiore e più bello che il primo. E tutta questa dirittura, cioè le quaranta brac- cia della loggia del primo chiostro, l'andito, e quella del secondo, facevano un riscontro lunghissimo e bello, quanto più non si può dire ; essendo massimamente fuor del detto ultimo chiostro, e nella medesima dirittura, una viottola dell'orto, lunga braccia dugento: e tutto ciò, venendosi dalla prihcipal porta del convento, faceva una veduta maravigliosa. Nel detto secondo chiostro era un refet- torio lungo braccia sessanta, e largo diciotto, con tutte quelle accommodate stanze, come dicono i frati, officine che a un sì fatto convento si richiedevano. Di sopra era un dormentorio a guisa di T; una parte del quale, cioè la principale e diritta, la quale era braccia sessanta, era doppia, cioè aveva le celle da ciascun lato, ed in testa, in uno spazio di quindici braccia, un oratorio, sopra l'al- tare del quale era una tavola di mano di Pietro Peru- gino; e sopra la porta di esso oratorio era un'altra opera in fresco, come si dirà, di mano del medesimo. Ed al me- desimo piano, cioè sopra il capitolo, era una stanza grande , dove stavano que' padri a fare le finestre di ve- tro, con i fornegli ed altri commodi che a cotale eser- cizio erano necessari : e perchè mentre visse Pietro, egli fece loro per molte opere i cartoni, furono i lavori che fecero al suo tempo tutti eccellenti. L'orto poi di que- sto convento era tanto bello e tanto ben tenuto, e con tanto ordine le viti intorno al chiostro e per tutto ac- commodate, che intorno a Firenze non si poteva veder meglio. Similmente la stanza dove stillavano, secondo il costume loro, acque odorifere e cose medicinali, aveva tutti quegh agj che più e migliori si possono imaginare. Insomma quel convento era de' begli e bene accommo- dati che fussero nello stato di Fu-enze : e però ho voluto farne questa memoria; e massimamente essendo di mano PIETRO PERUGINO 573 del nostro Pietro Perugino la maggior parte delle pit- ture che vi erano. Al qual Pietro tornando oramai, dico, che dell'opere che fece in detto convento non si sono conservate se non le tavole, perchè quelle lavorate a fresco furono per lo assedio di Firenze, insieme con tutta quella fabrica, gettate per terra, e le tavole portate alla porta a San Pier Gattolini, dove ai detti frati fu dato luogo nella chiesa e convento di San Giovannino.* Le due tavole , adunque, che erano nel sopradetto tramezzo, erano di man di Piero: e in una era un Cristo nell'orto, e gli Apostoli che dor- mono; ne' quali mostrò Pietro quanto vagha il sonno centra gli affanni e dispiaceri, avendogli figurati dormire in attitudini molto agiate. E nell'altra fece una Pietà, cioè Cristo in grembo alla Nostra Donna, con quattro figure intorno non men buone che l' altre della maniera sua: e, fra l'altre cose, fece il detto Cristo morto così intirizzato, come se e'fusse stato tanto in croce, che lo spazio ed il freddo l'avessino ridotto così; onde lo fece reggere a Giovanni e alla Maddalena, tutti afflitti e pian- genti.^ Lavorò in un'altra tavola un Crucifisso con la ' La qual chiesa cominciò allora ad esser chiamata della Calza: nome che ritiene tuttavia, e che ebbe origine dalia curiosa foggia del cappuccio usato da que' frati. ' * Ambedue queste tavole ora fanno parte della Galleria della R. Accade- mia delle Belle Arti; e dell'una e dell'altra si ha un fedele intaglio nell'opera della Galleria suddetta, pubblicata per cura di una Società di Artisti. Nella chiesa della Calza, all'altare a destra entrando, esiste però una copia della Pietà, fatta, secondo il Richa, dal Vannini. Pietro ripetè questa composizione, con qualche varietà, in un'altra tavola, che nel passato secolo era in Francia in possesso del duca d' Orléans. Le più notevoli varietà sono queste : La Maddalena fisa lo sguardo nella morta faccia del Salvatore; ed ha a lato il vaso degli unguenti: i piedi non calzati. Nudi e più scoperti fece i piedi della madre. Gli archi e i pilastri del fondo sono quattro solamente; donde più aperta e spaziosa appare una campagna montuosa ed alberata, con in alto il Calvario e piccole figure intorno alle croci: tra le quali le Marie: per il che questa tavola vien chiamata più pro- priamente Deposto di Croce. Se ne ha un intaglio nel voi. I del Recueil d'estam- pes d'après les plus heaux Tàbleaux et d'aprés les plus heaux Dessins qui sont en France dans le Cabinet du Roy etc, et dans celiti du due d' Orléans, 574 PIETRO PERUGINO Maddalena, ed ai piedi San Girolamo, San Giovanni Bat- tista, ed il Beato Giovanni Colombini fondatore di quella religione, con infinita diligenza.' Queste tre tavole hanno patito assai, e sono per tutto, negli scuri e dove sono r ombre, crepate; e ciò avviene perchè quando si lavora il primo colore che si pone sopra la mestica (perciocché tre mani di colori si danno, Tun sopra T altro) non è ben secco; onde poi col tempo nello seccarsi tirano per la grossezza loro, e vengono ad aver forza di fare que'cre- pati: il che Pietro non potette conoscere, perchè appunto ne' tempi suoi si cominciò a colorire bene a olio. Essendo dunque dai Fiorentini molto comendate V opere di Pietro, un priore del medesimo convento degl'Ingesaati, che si dilettava dell'arte, gli fece fare in un muro del primo chiostro una Nati vita coi Magi, di minuta maniera, che fu da lui con vaghezza e pulitezza grande a perfetto fine condotta : dove era un numero infinito di teste va- riate, e ritratti di naturale non pochi; fra i quali era la testa d'Andrea del Yerrocchio, suo maestro. Nel mede- simo cortile fece un fregio sopra gli archi delle colonne, con teste quanto il vivo, molto ben condotte: delle quali era una quella del detto priore, tanto viva e di buona maniera lavorata, che fu giudicata da peritissimi arte- fici la miglior cosa che mai facesse Pietro. Al quale fu fatto fare nell'altro chiostro, sopra la porta che andava et dans d' autres Càbinets; Paris, 1729-42, voi. II, in-fol. : opera conosciuta sotto il nome di Gabinetto del Crozat. Nella illustrazione è detto che questo quadro può credersi fatto per Claudio Gouffier, duca di Roanne, grande scu- diere di Francia, morto assai vecchio nel 1570; essendovi dipinte le armi sue con quelle di Giacomina de la Tremouille. Nella stessa Raccolta è pure un fac- simile di un disegno, dove il Perugino schizzò di penna il primo pensiero di questa composizione; il quale dal gabinetto del conte Malvasia passò in quello del Crozat. Dopo la morte di Filippo duca d' Orléans, questo quadro passò in Inghilterra, dove si conserva tuttavia. (Vedi Waagen, iCwnsJMJer/ie und Kun- stler in England, I, 504). * *Neir altare di contro a quello dov'è la copia della Pietà, si vede una ta- vola precisamente con lo stesso soggetto descritto dal Vasari ; sennonché evvi PIETRO PERUGINO 575 in refettorio, una storia, quando papa Bonifazio ' con- ferma r abito al Beato Giovanni Colombino; nella quale ritrasse otto di detti frati, e vi fece una prospettiva bel- lissima che sfuggiva; la quale fu molto lodata, e meri- tamente, perchè ne faceva Pietro professione particolare. Sotto a questa, in un'altra storia, cominciava la Natività di Cristo con alcuni Angeli e pastori, lavorata con fre- schissimo colorito: e sopra la porta del detto oratorio fece, in un arco,' tre mezze figure; la Nostra Donna, San Girolamo, ed il Beato Giovanni; con si bella ma- niera, che fu stimata delle mighori opere che mai Pietro lavorasse in muro. Era, secondo che io udii già raccon- tare, il detto priore molto eccellente in fare gli azzurri oltramarini; e però avendone copia, volle che Piero in tutte le sopradette opere ne mettesse assai : ma era non- dimeno sì misero e sfiducciato, che, non si fidando di Pietro, voleva sempre esser presente quando egli azzurro nel lavoro adoperava. Laonde Pietro, il quale era di natura intero e da bene, e non disiderava quel d'altri se non mediante le sue fatiche, aveva per male la diffi- denza di quel priore ; onde pensò di farnelo vergognare : e così presa una catinella d'acqua, imposto^ che aveva o panni o altro che voleva fare di azzurro e bianco, fa- ceva di mano in mano al priore, che con miseria tor- nava al sacchetto, mettere l' oltramarino nell'alberello, di più una figura, che è san Francesco. Essa è tenuta dagli scrittori per l'opera del Perugino qui rammentata. Ma questo dipinto, mentre annunzia alcun che della maniera di Pietro, è poi (a senso nostro) ben lungi, per la esecuzione sua, dalle schiette proprietà e caratteristiche della mano di lui : di maniera ch& tenghiam per fermo che il Vasari abbia errato. A questa nostra opinione fanno sostegno e il silenzio del Baldinucci e la smentita del Biscioni nelle note al Riposo del Borghini. ' Non papa Bonifazio IX, ma Urbano V, approvò nel 1367 la istituzione dell' Ordine de' Gesuati. ^ i Imporre, parola dell'arte, e valeva preparare, dar la prima mano di colore ad un dipinto. Questa parola ha usata altre volte il nostro autore, e nel- l'Introduzione, e nella Vita del Fattore. 576 PIETRO PERUGINO dove era acqua stemperata: dopo, cominciandolo a met- tere in opera, a ogni due pennellate Pietro risciacquava il pennello nella catinella; onde era più quello che nel- l'acqua rimaneva, che quello che egli aveva messo in opera: ed il priore, che si vedeva votar il sacchetto ed il lavoro non comparire, spesso spesso diceva: Oh quanto oltramarino consuma questa calcina ! Voi vedete ; rispon- deva Pietro. Dopo partito il priore, Pietro cavava l'ol- tramarino che era nel fondo della catinella; e quello, quando gli parve tempo, rendendo al priore, gli disse: Padre , questo è vostro : imparate a fidarvi degli uomini da bene che non ingannano mai chi si fida; ma sì bene saprebbono, quando volessino, ingannare gli sfiducciati, come voi siete. Per queste, dunque, ed altre molte opere venne in tanta fama Pietro, che fu quasi sforzato a andare a Siena: dove in San Francesco dipinse una tavola grande, che fu tenuta bellissima;* e in Santo Agostino ne dipinse un'altra, dentro vi un Crucifisso con alcuni Santi.^ E poco dopo questo, a Fiorenza, nella chiesa di San Gallo fece una tavola di San Girolamo in penitenzia, che oggi è in Sant'Iacopo tra' Fossi,' dove detti frati dimorano, vi- cino al canto degli Alberti. Fu fattogli allogazione d' un Cristo morto, con San Giovanni e la Madonna, sopra le scale della porta del fianco di San Pier Maggiore; e la- vorollo in maniera, che, sendo stato all' acqua ed al vento. ' *Il furioso incendio di quella chiesa, accaduto nel 24 di agosto del 1655, •distrusse, insieme con molte opere di altri chiari maestri, anche questa di Pietro, nella quale era rappresentata la Natività di Nostro Signore. Feccia per la cap- pella dei Vieri, e si può congetturare che gli fosse commessa fra il 1508 e il 1509. Il lodo del 5 settembre 1510 dato da quattro pittori, cioè Girolamo del Guasta, Giacomo Pacchiarotto, Girolamo del Pacchia, senesi, e Girolamo Genga da Urbino è pubblicato nel voi. Ili, pag. 47, Ae" Documenti dell'Arte Senese. ^ Esiste ancora in detta chiesa; ed è stata modernamente incisa da Giuseppe Rossi col disegno di Gaetano Pieraccini. Per questa pittura furon pagati al Van- nucci scudi 200 d'oro. {Guida di Siena; ediz. del 1832). ' Non sappiamo il destino del San Girolamo eh' era in Santo Jacopo tra'Fossi. PIETRO PERUGINO 577 s'è conservato con quella freschezza come se pur ora dalla man di Pietro fosse finito.' Certamente i colori furono dalla intelligenza di Pietro conosciuti, e cosi il fresco come l'olio; onde obligo gli hanno tutti i periti artefici, che per suo mezzo hanno cognizione de' lumi che per le sue opere si veggono. In Santa Croce, in detta citta, fece una Pietà col morto Cristo in collo, e due figure che danno maraviglia a vedere, non la bontà di quelle, ma il suo mantenersi sì viva e nuova di colori dipinti in fresco.^ Grii fu allogato da Bernardino de' Rossi, cittadin fiorentino, un San Sebastiano per mandarlo in Francia; e furono d'accordo del prezzo in cento scudi d'oro: la quale opera fu venduta da Bernardino al re di Francia quattrocento ducati d' oro. A Valle Ombrosa dipinse una tavola per lo aitar maggiore ; ' e nella Cer- tosa di Pavia lavorò similmente una tavola a que' frati. * ' Quando fu demolita affatto la chiesa di San Piero, che nel 1784 aveva incominciato a rovinare, la pittura qui nominata fu fatta trasportare dal sena- tore Albizzi in una cappelletta del secondo piano del suo palazzo in Borgo degli Albizzi, ove tuttora conservasi. — *Essa fu ragionevolmente incisa nel 1787 da Giovanni Ottaviani. ^ 'P'^rancesco Albertini, nel suo Memoriale più volte citato, rammenta in Santa Croce una pittura del Perugino, in tavola. Ma in tavola o in fresco che Pietro operasse per questa chiesa, fatto è che non vi rimane più nulla di lui. ' * Questa tavola, molto grande, vedesi oggi nella Galleria della R. Acca- demia delle Belle Arti di Firenze. Rappresenta Maria Vergine Assunta in cielo, in mezzo a un coro d'angeli sonanti; e più in alto, il Dio Padre dentro un cer- chio di luce e di serafini, ed ai lati due altri angeli adoranti, che insiem con lui aspettano la divina ancella. In basso, invece degli apostoli, come il su- bietto richiederebbe, pose san Bernardo degli Uberti cardinale, san Giov. Gual- berto, san Benedetto e l'arcangelo san Michele. Questo capolavoro è autenticato dalla seguente scritta posta in basso: petrvs pervsinvs pinxit a. d. mccccc. Se ne ha un molto bene inteso intaglio nella Galleria dell' Accademia suddetta, pubblicata per cura di una società di artisti. La Galleria medesima possiede due mirabili tavolette, uscite parimente dalla Vallombrosa, nell'una delle quali è il ritratto del venerabile don Biagio Milanesi, generale dell'ordine, e nell'altra quello di don Baldassarre abate del monastero stesso, che si vuole facesse fare la sopra descritta tavola. ' Dice l'Orsini che fin dal 1795 il quadro della Certosa, diviso in sei parti- menti, era passato in proprietà della famiglia Melzi di Milano. Ciò non è intie- ramente vero, poiché alcuni pezzi, e tra questi il Padre Eterno circondato da Vasari, Onere — Voi IH. 37 578 PIETRO PERUGINO Dipinse al cardinal Caraffa di Napoli, nello Piscopio,. allo aitar maggiore, una Assunzione di Nostra Donna, e gli Apostoli ammirati intorno al sepolcro:' ed all'ab- bate Simone de'Graziani, al Borgo a San Sepolcro, una tavola grande, la quale fece in Fiorenza; che fu portata in San Gillo del Borgo sulle spalle de' facchini, con spesa grandissima.^ Mandò a Bologna, a San Giovanni in Monte, una tavola con alcune figure ritte, ed una Madonna in aria. * Perchè talmente si sparse la fama di Pietro per Italia e fuori, che e' fu da Sisto IV pontefice, con molta sua gloria, condotto a Roma a lavorare nella cappella, in compagnia degli altri artefici eccellenti: dove fece la storia di Cristo quando dà le chiavi a San Pietro,* in compagnia di Don Bartolomeo della Gatta, abate di serafini, esistono sempre alla Certosa, al secondo altare a man sinistra, ove in luogo degli altri trasportati a Milano sono state messe pregevoli copie antiche, t I tre pezzi principali della tavola della Certosa sono ora nella Galleria Nazionale di Londra, per vendita fatta nel 1856 dal duca Melzi. In quel di mezzo è Maria- Vergine che adora il Divin Figliuolo presentatole da un angelo. In aria appariscono sopra nuvole tre angeli che cantano. Nel pezzo laterale a sinistra di chi guarda è l'Arcangelo Michele, in quello a destra l'Arcangelo Raffaello col giovane Tobia. {Catalogne of the pictures in the National Gallery). ' Conservasi tuttavia nella Cattedrale di Napoli, ma non più all'aitar mag- giore, bensì sopra la piccola porta. Questa tavola veduta dal celebre Sabbatini, detto Andrea da Salerno, gli fece nascere il desiderio d'uscir di Napoli per met- tersi a studiare sotto il Perugino: ma udito per via esaltare le opere di Raf- faello, si trasferi a Roma, e si fece scolaro dell'Urbinate. Tornato dipoi nella patria sua, divenne capo di fioritissima scuola. — *Tra gli apostoli, v'è san Gen- naro che presenta alla Vergine il cardinale Oliviero Caraffa. - *É tuttavia nella cattedrale del Borgo Sansepolcro. Rappresenta Cristo asceso al cielo dentro un'aureola di luce e di serafini, con ai lati quattro angeli che suonano varj strumenti, e due in sul volare. In basso è la Vergine madre in mezzo agli apostoli. ' Questa tavola, tolta già dalla cappella Vizzani e trasportata a Parigi, con- servasi adesso nella Pinacoteca bolognese. Vi è espressa la Madonna sedente sulle nubi con Gesù Bambino stante sulle ginocchia di lei: e nel piano le figure di san Michele, santa Caterina, sant'Appollonia e san Giovanni Evangelista. (Gior- dani, Catalogo ecc., n° 197). — "Nella ruota di santa Caterina leggesi : petrvs PERVsiNvs PiNxiT. Fu intagliata dal Rosaspina per la Pinacoteca di Bologna. ' *É il quinto a cornu epistolae. Se ne ha un intaglio nella tav. cxli del voi. VIII del Vaticano descritto e illustrato da Erasmo Pistoiesi ; e nella tav. xxx del voi. I dell'/lpe Italiana delle Belle Arti. Il Battesimo di Cristo, qui appresso PIETRO PERUGINO 579 San Clemente di Arezzo ; ' e similmente la Natività e il Battesimo di Cristo, e il Nascimento di Mosè, quando dalla figliuola di Faraone è ripescato nella cestella: e nella medesima faccia dove è l'altare, fece la tavola in muro, con l'Assunzione della Madonna; dove ginocchioni ritrasse papa Sisto. Ma queste opere furono mandate a terra per fare la facciata del Giudicio del divin Miche- lagnolo, a tempo di papa Paolo III.'^ Lavorò una volta in torre Borgia nel palazzo del papa, con alcune storie di Cristo e fogliami di chiaro oscuro; i quali ebbero al suo tempo nome straordinario di essere eccellenti/ In Roma medesimamente, in San Marco fece una storia di due Martiri allato al Sacramento; opera delle buone che egli facesse in Roma.* Fece ancora nel palazzo di Sant'Apostolo, per Sciarra Colonna, una loggia ed altre stanze.^ Le quali opere gli misero in mano grandissima quantità di danari. nominato, è la prima storia dalia parte medesima, ora assai guasto nella parte inferiore da un cattivo restauro. Più conservata è la superiore, nella quale, entro una ruota di nubi, sta Dio Padre corteggiato da angeli e cherubini, con altre figure davanti e in lontananza. ' *Vedi a pag. 216. ^ * Dalle confuse parole del Vasari non si ritrae bene quali di queste storie ■ furono mandate a terra per dar luogo al Giudizio di Michelangelo. Per più chia- rezza, diremo dunque che gli affreschi distrutti sono quello colla Nascita di Crisio e l'altro del ritrovamento del fanciullo Moisè, i quali mettevano in mezzo la pit- tura dell'altare coli' Assunzione di Nostra Donna, anch'essa distrutta. * *Sono queste le pitture che anche al presente si veggono nella camera del Vaticano, dove Raffaello dipinse l'Incendio di Borgo. Sono quattro tondi, ne' quali piuttosto che storie di Gesù Cristo, come dice il Vasari, debbonsi ri- conoscere quattro poesie simboliche. Neil' un tondo sembra che intendesse rap- presentare la santa Triade, con angeli intorno. Nell'altro si vede un vecchio con due figure allegoriche. Nel terzo, l'Eterno Padre circondato dagli angeli. Nel quarto, una rappresentazione con diverse figure, molto oscura ad intendere. Si vedono tuttora, perchè in memoria ed in venerazione del suo maestro volle Raffaello fossero rispettate, quando gli fu dato a ridipingere queste sale. ' * Questa storia è perita. La tavola a tempera col santo titolare si attribuisce allo stesso Perugino. — t Altri invece la crede opera d'un veneziano della scuola de'Vivarini. (Crowe e Cavalcaselle, III, pag. 191, n. 1). ^ t Nel palazzo Sciarra è una tavola dipinta a olio con un San Sebastiano alla colonna in mezzo ad un arco col fondo di paese. Nella base si legge: Sa- gitte tue infixe sv.nt mihi. (Crowe e Cavalcaselle, III, 249). 580 PIETRO PERUGINO Laonde risolutosi a non stare più in Roma, partito- sene con buon favore di tutta la corte, a Perugia sua patria se ne tornò, ed in molti luoghi della città finì tavole e lavori a fresco; e particolarmente in palazzo, una tavola a olio, nella cappella de' Signori, dentro vi la Nostra Donna ed altri Santi/ A San Francesco del Monte' dipinse due cappelle a fresco : in una la Storia de' Magi che vanno a offerire a Cristo; e nell'altra, il martirio d'alcuni frati di San Francesco, i quali andando al Sol- cano di Babilonia furono occisi.' In San Francesco del convento* dipinse, similmente a olio, due tavole: in una, la Resurrezione di Cristo; e nell'altra. San Giovanni ' *Andò questa tavola soggetta a varie vicende, che a lungo racconta e di- ligentemente il Marietti nelle Lettere Penigine. Giova sapere adunque, come fin dal giugno del 1479 essa fu data a dipingere a un Pietro di messer Galeotto pittore perugino; il quale dopo tre anni, per essere partito da Perugia e quindi sopraggiunto dalla morte, la lasciò imperfetta. Allora il magistrato convenne di allogarla ad altro pittore; e questi fu Pietro Vannucci; col quale fu stipulato il contratto nel 28 di novembre del 1483; ma pochi giorni dopo, Pietro parti da Perugia, richiamato senza dubbio a Roma. Allora il magistrato, non senza qualche sdegno contro il Vannucci, nelF ultimo di dicembre dello stesso anno, commise quel lavoro ad un Santi di Apollonio (del Celandro), altro pittore col- legiato perugino, il quale dopo avere ritratti nel timpano di essa tavola i Priori del Comune non pensò più per anni ed anni al lavoro della tavola grande; sino a che nuovamente, nel 6 marzo del 1495, dalla magistratura ne fu dato nuovo incarico a Pietro Perugino. Si vede in questa tavola Nostra Donna seduta in maestoso trono col Divin Fanciullo in braccio; ed ai lati i quattro santi pro- tettori di Perugia; cioè, Lorenzo, Ercolano, Costanzo é Lodovico vescovo di Tolosa. Nel timpano al di sopra della tavola è dipinta un Pietà, ossia Cristo ignudo in mezza figura, colle braccia distese e le mani aperte, in luogo de' ri- tratti de' Priori che vi fece il Celandro, i quali furono da Pietro cassati. Questa piccola tavola della Pietà rimase sempre in Perugia, ed ora si conserva nelle camere di residenza del magistrato. La parte principale fu trasportata prima a Parigi, e fu incisa nel tom. II della seconda collezione degli Annali del Museo Napoleone , pubblicata dal Landon. Tornò quindi in Italia, ma si fermò in Roma nella quadreria del Vaticano. Essa fu novamente incisa nel tom. IX delle Pitture dell' appartamento Borgia, illustrate dal Guattani. L' autenticità sua è provata dalla seguente iscrizione: hoc {opus) petrvs de castro plebis pincxit {sic). ^ Chiesa e convento dei PP. Minori Osservanti, fuori di porta Sant'Angelo. ' *A questi due affreschi del Perugino, oggi molto danneggiati, è da aggiun- gere un terzo in un'altra cappella, rappresentante il Presepio. Queste tre cap- pelle rimangono sulla sinistra del cortile. ' Ossia de'PP. Conventuali. PIETRO PERUGINO 581 Battista ed altri Santi/ Nella chiesa de' Servi fece pari- mente due tavole: in una, la Trasfigurazione del Nostro Signore; e nell'altra, che è accanto alla sagrestia, la storia de' Magi. Ma perchè queste non sono di quella bontà che sono l'altre cose di Pietro, si tien per fermo eh' elle siano delle prime opere che facesse.^ In San Lo- renzo, duomo della medesima citta, è di mano di Piero, nella cappella del Crucifisso, la Nostra Donna, San Gio- vanni e l'altre Marie, San Lorenzo, San Iacopo ed altri Santi. ^ Dipinse ancora all'altare del Sagramento, dove sta riposto l' anello con che fu sposata la Vergine Maria, lo Sposalizio di essa Vergine.* Dopo, fece a fresco tutta l'udienza del Cambio; cioè, nel partimento della volta i sette pianeti tirati aK)pra certi carri da diversi animali, secondo l'uso vegchio; e nella facciata quando si entra * *La Resurrezione di Cristo ora fa parte della ragguardevole Pinacoteca del Vaticano. Si pretende di riconoscere in essa il ritratto di Raffaello in un soldato che dorme, e quello di Pietro in un altro che fugge. Il Guattani ne dà r intaglio nella tav. xi della citata opera. L' altra tavola ha san Giovanni Bat- tista che predica, san Girolamo, san Sebastiano, san Francesco e san Bernar- dino da Siena. — t Essa però non è più in San Francesco, ma è stata portata nella Pinacoteca della città. ^ * La chiesa de' Servi, oggi è appellata Santa Maria Nuova. ( t La tavola colla Trasfigurazione e quella colTAdorazione de' Magi sono ora nella Pinacoteca di Perugia). Gli scrittori perugini citano in quella chiesa altre opere di Pietro, che il Vasari non rammenta. " Non è più nella Cattedrale di Perugia. ' *Questa famosa tavola, a quanto si può credere, fu dipinta dal Vannucci nel 1495, imperciocché il Mariotti trovò che nel 22 febbrajo di quell'anno la Compagnia di San Giuseppe nel Duomo perugino chiese ed ottenne dal magi- strato qualche sussidio «.prò ima tabula facienda in Cappella Sancii Josephi in ecclesia Sancii Laurentii ». Questa opera preziosissima fu rubata a tempo della invasione francese negli Slati romani, e dopo il Trattato di Tolentino (1797) s'ignorò sino a' nostri giorni la suasorie, la qut^le ha dato luogo a varie e cu- riose congetture. Chi disse essere stala donata da Pio VII a un generale fran- cese, e che si conservasse a Lione. Altri volle che si trovasse a Grenoble : altri a Nimes ; ed havvi finalmente chi credette che questo quadro fosse inviato per l'America, e perisse in mare insieme colla. nave che lo portava. Ma per buona ventura questo capolavoro del Perugino non è perduto ; e il felice possessore è il Museo della città di Caen, capitale del dipartimento del Calvados in Francia. Dobbiamo questa notizia al dotto nostro amico prof. ab. Antonio Buonamici di Pistoja, che uell' ultimo de' suoi viaggi la vide e ne ebbe conferma dalla Guida 582 PIETRO PERUGINO dirimpetto alla porta, la Natività e la Resurrezione di. Cristo;' ed in una tavola, un San Giovanni Batista in mezzo a certi altri Santi.^ Nelle facciate poi dalle bande dipinse, secondo la maniera sua, Fabio Massimo, Socrate, Numa Pompilio, Fulvio Camillo, Pitagora, Traiano, L. Si- cinio, Leonida Spartano, Orazio Code, Fabio, Sempronio, Pericle Ateniese, e Cincinnato; nell'altra facciata fece i profeti Isaia, Moisè, Daniel, Davit, ler ernia, Salomone, e le sibille Eritrea, Libica, Tiburtina, Delfica, e T altre: e sotto ciascuna delle dette figure fece, a uso di motti in scrittura, alcune cose che dissero, le quali sono a pro- posito di quel luogo. Ed in uno ornamento fece il suo ritratto, che pare vivissimo; scrivendovi sotto il nome suo in questo modo: PETKUS PERUSINUS EGREGIUS PICTOR. PERDITA SI FUERAT, PINGENDO HIC KETULIT ARTEM : SI NCMQUAM INVENTA ESSET HACTENUS, IPSE DEDIT. ANNO D.' M. D. di Caen compilata da G. S. Trebutien (Caen 1848). Debbesi però per debito di giustizia dichiarare, che mentre in Italia e a Parigi ignoravasi il destino di questa tavola, la dotta Germania conosceva dove essa fosse ita a ripararsi; e fino dal 1839 il dott. J. Passavant, nella sua Vita del Sanzio (II, 29), l'additava come esistente nella città di Caen sopra nominata. ' La Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor, e non la Risurrezione, come qui dice il Vasari, e tutti gli altri scrittori che l'han copiato. ^ *Questa tavola è nell'altare della cappella annessa alla Sala; in essa non è san Giovanni ed altri santi, ma il Battesimo di Cristo con gli angeli ingi- nocchiati che tengono le vesti del Salvatore, ed altre figure che, spogliate, at- tendono il battesimo. ' * Veramente dice: anno salvt(/s). — t La iscrizione della Sala del Cambio riferita dal Vasari è sbagliata e deve dire cosi: PETRUS PERUSINUS EGREGIUS PICTOR Perdita si fuerat pingendi, Hic rettuUt artem Si nusquam inventa est, Hactenus ipse dedit. Anno salut. m. d. (Giorn. d' Erudiz. Artist., Ili, 11). t II Perugino pose mano alle pitture del Cambio sul principiare del 1499. Avevale finite nel 1500. Nel 15 di giugno 1507 fece quietanza di 350 ducati d'oro ricevuti pel prezzo di quel lavoro. Nel quale fu detto che egli avesse per ajuto PIETRO PERUGINO 583 Questa opera,' che fu bellissima e lodata più che al- cun'altra che da Pietro fusse in Perugia lavorata, è oggi dagli uomini di quella città, per memoria di un si lo- dato artefice della patria loro, tenuta in pregio.^ Fece poi il medesimo nella chiesa di Sant'Agostino, alla cap- pella maggiore, in una tavola grande isolata, e con ricco ornamento intorno; nella parte dinanzi, San Gio- vanni che battezza Cristo; e di dietro, cioè dalla banda che risponde in coro, la Natività di esso Cristo; nelle teste, alcuni Santi, e nella predella, molte storie di figure piccole, con molta diligenza.' Ed in detta chiesa Andrea Luigi chiamato T Ingegno, ed anche Raffaello. Del primo si dubita, e con ragione, e si nega dell'altro. Pare invece che il Vannucci si servisse d'un Giovanni di Francesco detto il Fantasia, pittore perugino, e di un Roberto, che forse è colui che dal Vasari è chiamato il Montevarchi, dalla patria. (Vedi Adamo Rossi, Storia artistica del Cambio di Perugia, nel voi. Ili del Giornale di Erudizione Artistica). * La sala del Cambio è per la fama di Pietro ciò che sono per quella di Raffaello le stanze del Vaticano ; la iscrizione per altro ora riferita vi fu apposta dai Perugini, non da Pietro stesso, come farebbe supporre T espressione usata dal Vasari. • ^ *La somma che per quest'opera pagò il Collegio al valente pittore, fu di 350 ducati d'oro. (Mariotti, Lettere Perugine, pag. 158). Oltre le molte descrizioni che di queste pitture si hanno negli scrittori perugini, àwene una poetica in cinque canti in ottava rima, del prof. Antonio Mezzanotte, edita prima in Perugia, poi riprodotta in Siena coi tipi del Porri nel 1823. ' * Questo lavoro fu allogato a Pietro nel 1502, come afferma il Mariotti, che vide le carte del convento. Ma la esecuzione di esso non solo pare che si protraesse per varj anni, ma che anche alla morte del pittore vi restasse qualche cosa da compiere; imperciocché nel 30 di marzo 1512 egli scrive al Priore dei PP. Agostiniani di Perugia, che gli mandi una soma di grano, a quel che pare in conto di prezzo. Nel 1524 poi i figliuoli di Pietro vengono a composizione con quei Padri per tutto ciò e quanto essi eredi potessero esigere a cagione della detta pittura, mediante lo sborso di 10 ducati d'oro che loro facessero i frati, i quali si assumevano di fare ultimare quell'opera a proprie spese ecc. (Vedi Lett. Perug. , 182-184, e vedi la nota 2 a pag. 51 ). Il ricco ornamento di le- gname fu opera di maestro Mattia di Tommaso da Reggio, allogatagli nel 1495. Ma questa duplice tavola nel 1683 fu divisa nel mezzo, e i due quadri ora si ve- dono collocati nei primi altari, l'un di contro all'altro, entrando in chiesa. Quattro piccole storie della predella sono nella sagrestia, e rappresentano l'Ado- razione de' Magi, la Circoncisione, l'ultima Cena e la Predicazione di san Gio. Batista. Componevano le teste quattro tavole più piccole, quadrilunghe, con due figure per ciascuna, cioè : i santi Sebastiano e Irene, Giacomo Minore ed un ve- 584 PIETRO PERUGINO fece, per messer Benedetto Calerà, una tavola alla cap- pella di San Niccolò. ' Dopo, tornato a Firenze, fece ai monaci di Cestello^ in una tavola San Bernardo;^ e nel capitolo, un Cruci- fisso, la Nostra Donna, San Benedetto, San Bernardo e San Grio vanni/ Ed in San Domenico da Fiesole, nella seconda cappella a man ritta, una tavola, dentro vi la scovo, Filippo e Agostino, Girolamo e Maria Maddalena. Quest'ultima sola è ri- masta per gran ventura, essendo state le altre tre preda della rapina francese, t Molti pezzi della tavola di Sant'Agostino sono ora nella Pinacoteca di Perugia. ' *In Sant'Agostino si stima con certezza del Perugino quella tavola che stava nella cappella di patronato della famiglia Capra, dedicata a san Tommaso di Villanuova, la quale distrutta, ora si vede sopra la porta della sagrestia. In essa è rappresentata Nostra Donna seduta sulle nubi, col Divin Figliuolo sulle ginocchia, e ai lati, san Bernardino da Siena e san Tommaso da Villanuova ; e più sotto, i santi Girolamo e Sebastiano: tutti e quattro in ginocchio. In basso è un portello col Redentore. Nella predella, ora spiccata dal quadro, una sto- rietta coli' ultima Cena di Cristo ; dove è notato : anno salutis md. Se questa sia la tavola dipinta per Benedetto Galera, non possiamo accertarlo, perchè il Vasari non ce ne dice il subietto. t La tavola fu dipinta per Filippo di Benedetto Capra, e non Galera, come per errore facilmente di stampa si dice nel Vasari, ed è ripetuto in tutte le po- steriori edizioni. Questa tavola aveva una predella nella quale era scritto: 4nna salutis M. D. 2 *Oggi il monastero di Cestello si appella, come altre volte abbiamo notato, di Santa Maria Maddalena de' Pazzi. La tavola del San Bernardo disparve. t Questa tavola fu allogata al Perugino nel 1488 da Bernardo e Filippo Nasi per la loro cappella, che era la prima a destra dell'aitar maggiore, intitolata a San Bernardo. Vi spesero cinquanta ducati, e nell'anno seguente il pittore die- dela finita. ' * L' affresco del Capitolo, ben conservato, rimane tuttora; ma da pochi co- nosciuto, perchè situato nella parte del monastero soggetta a clausura. Occupa esso tutta quanta la parete principale del Capitolo, e si divide in tre arcate. In quella di mezzo è Cristo Crocifisso, il cui corpo può dirsi in tutte le sue parti veramente divino; e a pie della croce la Maddalena inginocchiata. Nell'arcata destra si vede l'afflitta Madre stante, e san Bernardo genuflesso con le mani giunte. Nella sinistra, è san Gio. Evangelista in pie, e san Benedetto inginoc- chiato colle braccia incrociate al petto. Tutte queste figure campeggiano in un fondo di paese che si distende per tutta la parete. Quest'opera, tanto per la grandio- sità dello stile, per la bellezza delle forme, per la nobiltà di espressione, quanto per la freschezza e verità di colorito, è senza dubbio da tenere tra le più per- fette che Pietro facesse. t Oggi questo stupendo affresco è reso visibile al pubblico. Esso fu dato a dipingere nel 1493 a Pietro da Dionisio Pucci e da Giovanna sua moglie, pel prezzo di cinquantacinque ducati d'oro, e fu finito a' 20 d'aprile 1496. PIETRO PERUGINO 585 Nostra Donna con tre figure; fra le quali un San Ba- stiano è loclatissimo. ' Aveva Pietro tanto lavorato, e tanto gli abonclava sempre da lavorare, che e' metteva in opera bene spesso le medesime cose; ed era talmente la dottrina dell'arte sua ridotta a maniera, eh' e' faceva a tutte le figure un'aria medesima. Perchè essendo ve- nuto già Michelagnolo Buonarroti al suo tempo, deside- rava grandemente Pietro vedere le figure di quello, per lo grido che gli davano gli artefici. E vedendosi occul- tare la grandezza di quel nome, che con sì gran prin- cipio per tutto aveva acquistato , cercava molto con mor- daci parole offendere quelli che operavano. E per questo meritò, oltre alcune brutture fattegli dagli artefici, che Michelagnolo in publico gli dicesse, eh' egli era goffo nell'arte. Ma non potendo Pietro comportare tanta in- famia, ne furono al magistrato degli Otto tutti due; dove ne rimase Pietro con assai poco onore." Intanto i frati de' Servi di Fiorenza avendo volontà di avere la tavola dello aitar maggiore, che fusse fatta da persona famosa, e avendola, mediante la partita di Lionardo da Vinci, che se ne era ito in Francia, renduta a Filippino; egli, quando ebbe fatto la metà d'una di due tavole che v'andavano, passò di questa all'altra vita; ^ onde i frati,. ' *Questa bella tavola, fino dal 1786, orna la tribuna della Galleria degli Uffizj. In una cartelletta posta in mezzo agli ornameuti del piedistallo del trono si legge : petrvs pervsinvs pinxit an. mcccc. lxxxxiii. Se ne ha un intaglio nella tav. XXX delia Etruria Pittrice, ed un altro migliore nell'opera della Galleria illustrata di Firenze, tav. xxxii. ^ L'aspra sentenza del Buonarroti, essendo dettata da risentimento, non fa autorità; e niuno dee servirsene a danno della fama di Pietro, come colla sua consueta saccenteria ardi fare il P. Della Valle in due note apposte alla Vita del medesimo nell'edizione di Siena; imperocché colui che non apprezza le opere del Perugino, non ha anima capace di gustar quelle dell'Urbinate. Sagacemente e rettamente giudicò un cospicuo Britanno, allorché, dopo aver contemplato in Bologna le due tavole di questi pittori eh' erano in San Giovanni in Monte, disse: « Io vedo nel quadro di Pietro, Raffaello che ha da venire, e nel quadra (.li Raffaello, Pietro eh' è stato ». ' *Vedi la nota 2, pag. 475. 586 PIETRO PERUGINO per la fede che avevano in Pietro, gli feciono allogazione di tutto il lavoro. Aveva Filippino finito in quella tavola, dove egli faceva Cristo deposto di Croce, i Niccodemi che lo depongono; e Pietro seguitò di sotto lo svenimento della Nostra Donna, ed alcune altre figure. E perchè an- davano in questa opera due tavole, che Tuna voltava in verso il coro de' frati, e l'altra in verso il corpo della chiesa; dietro al coro si aveva a porre il Diposto di croce, e dinanzi l'Assunzione di Nostra Donna: ma Pietro la fece tanto ordinaria, che fu messo il Cristo deposto di- nanzi, e l'Assunzione dalla banda del coro: e queste oggi per mettervi il tabernacolo del Sacramento sono state l'una e l'altra levate via, e per la chiesa messe sopra certi altri altari; \ è rimase in quell'opera solamente sei quadri, dove sono alcuni Santi dipinti da Pietro in certe nicchie.^ Dicesi che quando detta opera si scoperse, fu da tutti i nuovi artefici assai biasimata; e particolarmente perchè si era Pietro servito di quelle figure che altre volte era usato mettere in opera: dove tentandolo gli amici suoi dicevano, che affaticato non s'era, e che aveva tralasciato il buon modo dell'operare o per avarizia o per non perder tempo. Ai quali Pietro rispondeva: Io ho messo in opera le figure altre volte lodate da voi, e che vi sono infinitamente piaciute: se ora vi dispiacciono e ' La tavola fatta per metà da Filippino è, come abbiamo già avvertito, nel- TAccademia delle Belle Arti. L'altra colTAssunzione di Maria Vergine sta ora in detta chiesa alla cappella della famiglia Da Rabatta, eh' è la quarta a sinistra dopo quella della Santissima Annunziata. t Con jstrumento del 5 d'agosto 1505 rogato da ser Ottaviano da Ripa, gli Operaj della chiesa de' Servi allogarono al Perugino pel prezzo di 150 ducati a finire la tavola dell' aitar maggiore, lasciata imperfetta, per morte, da Filip- pino. Francesco di Niccolò pittore detto Del Dolzemele mise a oro l'ornamento della tavola, che era già compiuta nel 1506 ; nella quale i frati vi spesero in tutto 240 ducati. ^ *Questi sei santi andarono venduti. Due di essi sono tuttavia in Firenze, nella raccolta dei fratelli Metzger, e rappresentano, l'uno una santa che tiene ia mano un vaso con una fiammella accesa, l'altro san Giov. Battista, ambedue ritti in pie dentro una nicchia. PIETRO PERUGINO 587 non le lodate, che ne posso io? * Ma coloro aspramente con sonetti e pubbliche villanie lo saettavano. Onde egli, già vecchio, partitosi da Fiorenza e tor- natosi a Perugia, condusse alcuni lavori a fresco nella chiesa di San Severo, monasterio dell'ordine di Canial- doli; nel qual luogo aveva Raffaello da Urbino, giova- netto e suo discepolo, fatto alcune figure, come nella sua Vita si dirà.^ Lavorò similmente al Montone, alla Fratta,^ ed in. molti luoghi del contado di Perugia' e particolarmente in Ascesi a Santa Maria degli Angeli; dove a fresco fece nel muro dietro alla cappella della Madonna, che risponde nel coro de' frati, un Cristo in ' *Una prova visibile di questo suo mettere bene spesso in opera le mede- sime cose si ha nelle tre tavole de' Servi, di Vallombrosa e di Borgo San Se- polcro; imperciocché almeno quattro o cinque apostoli delle tavole dei Servi si ritrovano nell'Ascensione di Cristo in Borgo San Sepolcro ; e gli stessi angeli della gloria, s'incontrano medesimamente nelle tre tavole. ^ * Nella cappella della Madonna dell'ex monastero di San Severo, gli affre- schi del Perugino che sottostanno alla Trinità da Raffaello dipinta nel 1505 sono sei figure di santi, che pongono in mezzo una statua in terra cotta colorita di Nostra Donna; cioè santa Scolastica, san Girolamo e san Giovanni Evangelista a destra; san Gregorio Magno, san Bonifazio martire e santa Maria a sinistra. Vi si legge la seguente iscrizione: petrvs de castro plebis pervsinvs tempore DOMINI silvestri STEPHANI VOLATERRANI A DEXTRIS ET SINISTRIS DIVAE CHRISTI- FERAE SANCTOS SANCTASQUE PINXIT A. D. MDXXI. * * L'Orsini { Vita di Pietro, pag. 208 e seg.) vide nella chiesa de' Minori Conventuali di Montone (terra della diogesi di Città di Castello) ed attribuì al Perugino una tavola che prima stava nell'altare maggiore, con entro Nostra Donna sedente in trono col Divin Figliuolo; san Giov. Battista e san Gregorio, a destra; san Giov. Evangelista e san Francesco a sinistra. In alto quattro angio- letti genuflessi si> leggiere nuvolette, in atto di adorazione. Nella predella tre storie di piccole figure, cioè la Nascita di Maria Vergine, lo Sposalizio e l'As- sunzione al Cielo. Nello scalino del trono, la data a. d. mdvii. Questa tavola in- sieme con altre, nel 1787, fu trasportata in Ascoli, nel palazzo dei marchesi Odoardi. (Vedi Orsini, op. cit., pag. 211, e sua Guida d'Ascoli, pag. 71). Nella chiesa de' Minori Osservanti di Fratta, terra della diogesi di Gubbio, il medesimo Orsini trovò una tavola con la Incoronazione di Nostra Donna, e in basso i dodici apo- stoli divisi in due gruppi, nel mezzo ai quali san Francesco genuflesso. Questa tavola pure fu rapita nella invasione francese; poi fu venduta, ed ora fa parte della Pinacoteca del Vaticano. La predella, mirabilmente sottratta ai predatori, fu più tardi comprata dal francese pittore Vicar. ' *Per altre opere di Pietro nel contado di Perugia, vedi il Commentario aggiunto a questa Vita. 588 PIETRO PERUGINO croce con molte figure/ E nella chiesa di San Piero, badia de' monaci Neri in Perugia, dipinse all'altare mag- giore, in una tavola grande, l'Ascensione, con gli Apo- stoli abbasso che guardano verso il cielo : nella predella della quale tavola sono tre storie con molta diligenza lavorate; cioè i Magi, il Battesimo e la Resurrezione di Cristo;^ la quale tutta opera si vede piena di belle fati- che, intanto eh' eli' è la migliore di quelle che sono in Perugia, di man di Pietro lavorate a olio. Cominciò il medesimo un lavoro a fresco di non poca importanza a Castello della Pieve; ma non lo fini." Soleva Pietro, si ' *Nel 1804 scriveva V Orsini, che, dalle figure ia basso in fuori, di quest' af- fresco non si vedeva altro: perchè, nella demolizione del coro, rimase tronca la sommità del muro. In quella occasione fu dato di bianco anche al rimanente della pittura; ma il buon sagrestano di quel tempio la fece rinettare. ^ * Questa tavola fu allogata a Pietro il di 8 di marzo dell'anno 1495 pel prezzo di 500 ducati d'oro, insieme colla cassa o fornimento di essa, ornato e dipinto, pel prezzo di 60 ducati d'oro, come appare dalli istrumenti, stampati dall' Orsini nelle sue Memorie del Perugino a pag. 140 e seg. in nota. Di que- sta incomparabile opera oggi agl'Italiani non rimane altra memoria, che nella lunga e minuta descrizione lasciataci dall'Orsini medesimo; imperciocché, rapita dai Francesi invasori, fu data da quel Governo alla Cattedrale di Lione, e poi rilasciata ad essa in dono da papa Pio VII. Nel 1845 la pittura fu trasportata dalla tavola sulla tela, e la operazione, che riuscì bene, costò 14 mila franchi. (Vedi il Moniteur Universel, anno 1845 a pag. 2890). La predella, coU'Adora- zione de' Magi, il Battesimo di Cristo e la Resurrezione, fu rapita anch'essa, e il Passavant dice che è a Rouen. Nella Raccolta del Vaticano sono tre mezze figure, appartenute forse alle testate della detta tavola. Oggi nella sagrestia di San Pietro di Perugia non rimangono che cinque tavolette con varj santi, le quali un tempo fecero parte di questa grandiosa opera. ° *Questo lavoro a fresco, che il Vasari non descrive, tutti gli scrittori si accordano a dire essere quella Adorazione de' Magi che si ammira nell'Oratorio della Compagnia della Beata Vergine detta de' Bianchi. Le condizioni del con- tratto si rilevano da due preziosi autografi di Pietro rinvenuti nel febbrajo 1835 da Giuseppe Belletti, dentro un tubo di latta insieme con due vasi di terra, forse gli alberelli dei colori usati da Pietro stesso; quando, per provvedere alla con- servazione di questa pittura e liberarla dall'umidità, si sgombrò un terrapieno che occupava l'opposta parete. Dal primo autografo, dato da Perugia sotto il di 20 di febbrajo 1504, e diretto al Sindaco de' Disciplinati di Castello della Pieve, si ritrae che da que' fratelli eragli stato fatto invito di portarsi a dipin- gere in quell'Oratorio : imperocché in esso, parlando del prezzo di questo lavoro, dice che ve vorrieno a meno ducente florene, ma che egli si contenterebbe, ■come paisano, di soli cento; con patto di averne subito venticinque, e il rima- nente in tre anni a fiorini venticinque per ogni rata. Il secondo autografo é dato PIETRO PERUGINO 589 come quello che di nessuno si fidava, nell'andare e tor- nare dal detto Castello a Perugia portare quanti danari aveva sempre addosso; perchè alcuni, aspettandolo a un passo, lo rubarono: ma raccomandandosi egli molto, gli lasciarono la vita per Dio; e dopo, adoperando mezzi ed amici, che pur n'aveva assai, riebbe anco gran parte de' detti danari che gli erano stati tolti; ma nondimeno fu per dolore vicino a morirsi. Fu Pietro persona di assai poca religione, e non se gli potè mai far credere l'immortalità dell'anima: anzi, con parole accomodate al suo cervello di porfido, osti- natissimamente ricusò ogni buona via. Aveva ogni sua speranza ne' beni della fortuna, e per danari are1)be fatto ogni male contratto.' Guadagnò molte ricchezze, e in Fiorenza murò e comprò case ; ' ed a Perugia ed a Ca- ugualmente da Perugia il 1" di marzo dello stesso anno 1504, dove il pittore generosamente acconsente di calare venticinque fiorini dai cento, e cosi ridurre la somma a soli settantacinque. Il Vasari dice che quest'opera non fu da Pietro finita: ma noi abbiamo due argomenti ch'essa fu terminata ed anzi sollecita- mente: il primo è la data a. d. mdiiii, che a grandi caratteri si vede segnata sotto l'affresco medesimo; l'altro sta nell' istrumento stipulato sotto il di 20 di marzo del 1507 (Vedi Orsini, Mem. cit., pag. 218 in nota), che porta un nuovo contratto fra il Vannucci e Maddalo di Cristoforo Mazzetta, Sindaco di quella Compagnia, in virtù del quale i Fratelli Disciplinati cedevano a Pietro, per la valuta de' venticinque fiorini di saldo che rimaneva ad avere, la proprietà di una casa, posta in Castel della Pieve in terzeria Burgi intus; che oggi non si sa bene in qual luogo precisamente fosse situata. (Vedi Vermiglioli, Due scritti autografi del Pittore Pietro Vannucci da Castello della Pieve ecc. sco- 2ìerti nella sua patria in febbrajo dell'anno i(555. Perugia, Baduel, in-4). Di altre opere del Vannucci in Città della Pieve, parleremo nel Commentario che segue. ' *A questo proposito reciteremo quanto fu da noi detto altra volta: «Dal- l'accusa ch'egli fosse malcredente, e di poca o nessuna religione, vagliano a purgarlo, oltre la elevazione religiosa delle sue opere, che per noi non è di lieve peso, certi fatti che, se non distruggono l'accusa, ci fanno almeno dubi- tare del suo fondamento. Per questi, mandiamo i nostri lettori a quello che ne ha detto il Vermiglioli neWe sue Memorie del Pinturicchio ecc., pag. 271-279». {Vedi Delécluze, Saggio intorno a Leonardo da Vinci, trad. dal francese, con note ecc. Siena, Porri, 1844, in-8, a pag. 58). ^ *Nel volume 142, segnato R. 2°, a pag. 507 degli Zibaldoni manoscritti del Del Migliore, esistenti nella Magliabechiana, troviamo questo ricordo di compera del Vannucci fatta in Firenze : « 1496. Petrus Christofori vocatus Pe- 590 PIETRO PERUGINO stello della Pieve acquistò molti beni stabili.' Tolse per moglie una bellissima giovane, e n'ebbe figliuoli; e si dilettò tanto che ella portasse leggiadre acconciature e fuori ed in casa, che si dice che egli spesse volte rac- conciava di sua mano. ^ Finalmente, venuto Pietro in vecchiezza d'anni settantotto, finì il corso della vita sua nel Castello della Pieve, dove fu onoratamente sepolto, Tanno 1524.^ Fece Pietro molti maestri di quella maniera, e uno fra gli altri che fu veramente eccellentissimo, il quale, datosi tutto agli onorati studj della pittura, passò di gran lunga il maestro ; e questo fu il miracoloso Kaffaello San- zio da Urbino, il quale molti anni lavorò con Pietro in rugino de Perusio, habitator in populo S. Petri Majoris , emit unum petium terre apte ad faciendum unam domum, positum in populo S. Petri Majoris ». Similmente sappiamo che nel 1515, a' 30 di luglio, comprò per il prezzo di fio- rini sei d'oro in oro larghi, dai frati della Santissima Annunziata di Firenze, una sepoltura perse e per i suoi discendenti, posta in chiesa, nel frammezzo dell'andito, nella cappella de' Falconieri, a riscontro del pilastro dov'è il pergamo. (Gualandi, Memorie di Belle Arti, Serie IV, pag. 115). ' *11 Marietti, in quel passo delle sue Lettere Perugine (pag. 176), dove prese a difendere il Perugino dalla taccia di avaro datagli dal Vasari, è dolente di non aver potuto trovare altra notizia de' possessi da lui acquistati, se non quella che nel 1512 egli comprò dai fratelli Salvucci un podere con case nelle pertinenze di Castel Rigone e di Bagnaja, in vocabolo le Capanne, per mille fiorini; e un altro podere cuni palatio, claustro et puteo, posto nelle pertinenze della villa di Bisciano fuori di Porta Santa Susanna, per seicento fiorini. - t Si chiamava Chiara ed era figliuola di Luca Fancelli architetto stato ai servigi de' marchesi di Mantova e morto capomaestro del Duomo di Firenze sul finire del 1495. Pietro la sposò il primo di settembre 1493 nella canonica di Fie- sole. Da madonna Chiara ebbe il Perugino sette figliuoli, cioè Gio. Battista che fu scultore, e si trova essere stato condannato alla galera nel 1537 per sentenza degli Otto; Francesco, Michelangelo, Cristofano che premori al padre, una fan- ciulla innominata morta in fasce, Paola e Giulia che furono monache. Ma- donna Chiara sopravvisse al marito diciotto anni, essendo morta in Firenze nel 1541. ' *É ormai provato per documenti, che il Vannucci mori nel castello di Fontignano, posto verso la metà della strada che da Perugia conduce a Castel della Pieve; imperciocché nel 1524, 30 dicembre, i frati di Sant'Agostino di Perugia, oltre a dare i dieci ducati d'oro che i figliuoli avanzavano per la pit- tura fatta dal loro padre ( vedi la nota 3 a pag. 583 ) , si obbligano di far traspor- tare il cadavere di Pietro da Fontignano a Perugia, e dargli sepoltura nella loro chiesa. Questa traslazione per altro pare non avesse altrimenti effetto. Si PIETRO PERUGINO 591 compagnia di Giovanni de' Santi, suo padre.* Fu anco discepolo di costui il Pinturicchio , pittor perugino; 'il quale, come si è detto nella vita sua, tenne sempre la maniera di Pietro. Fu similmente suo discepolo Rocco Zoppo, pittor fiorentino; di mano del quale ha in un tondo una Nostra Donna molto bella Filippo Salviati; ma è ben vero ch'ella fu finita del tutto da esso Pietro.^ Lavorò il medesimo Rocco molti quadri di Madonne, e fece molti ritratti, de' quali non fa bisogno ragionare; dirò bene che ritrasse in Roma, nella cappella di Sisto, Grirolamo Riario e Fra Pietro cardinale di San Sisto. Fu anco discepolo di Pietro il Montevarchi, che in San Giovanni di Valdarno dipinse molte opere; e par- vuole altresì che il Perugino rimanesse vittima del terribile contagio che in quegli anni afflisse quelle contrade. (Vedi Mariotti, Orsini e Mezzanotte, nella op. cit.). Nella prima edizione il Vasari aggiunge: «Né dipoi è mancato « chi gli abbia fatto questo epitaffio : Gratta si qua fuit picturae^ si qua venustas. Si vivaXj ardens, conspicuusque color ^ Omnia sub Petri (fuit hic Perusinus Apelles) Divina referimt emicuisse manu. Perpulchre hic pinxit ^ miraque ebur arte polivit, Orbis quae lotus viditj et obstupuit. » t Dalla petizione di Gio. Battista, il maggiore de' figliuoli del Perugino,, presentata il 4 novembre 1523 per essere investito della tutela di Michelangelo suo fratello costituito in età minore, si rileva che Pietro era morto da nove mesi incirca, cioè tra il febbrajo e il marzo del suddetto anno. ' *Nella Vita di Raffaello mostreremo che quando egli andò alla scuola del Perugino , Giovanni Santi era morto. ^ *Abbiamo già dubitato della verità di questo fatto nella Vita del Pintu- ricchio. ' *Di questo tondo non abbiamo notizia, né alcuno oggi saprebbe additare in Firenze opere di questo pittore, a noi quasi che ignoto. Sennonché la Pina- coteca di Berlino, che è tra le più preziose per l'autenticità sua, può vantarsi di possedere una tavola da lui dipinta e segnata del suo nome. Essa rappre- senta l'Adorazione de' Pastori, presso un diroccato magnifico edifizio, con san Giu- seppe, e nel lontano montuoso paese i tre Re Magi che si avanzano. Porta scritto: ROCCO ZOPPO. t Rocco Zoppo si chiamò per proprio nome Giovan Maria di Bartolommeo. Cosi è detto in uno strumento del 1497, nel quale il Perugino lo elegge suo pro- curatore insieme con Giovanni Peruzzi. Rocco Zoppo mori nel 1508 e fu sepolto- in Sant' Jacopo tra' Fossi ai 17 d'agosto. 592 PIETRO PERUGINO ticolarmente nella Madonna, l'istorie del miracolo del latte. Lasciò ancora molte opere in Montevarchi sua patria. * Imparò parimente da Pietro, e stette assai tempo seco, Gerino da Pistoia, del quale si è ragionato nella vita del Pinturicchìo : ' e così anco Baccio Ubertino fio- rentino, il quale fu diligentissimo così nel colorito come .nel disegno, onde molto se ne servì Pietro. Di mano di costui è nel nostro Libro un disegno di un Cristo bat- tuto alla colonna, fatto di penna; che è cosa molto vaga. ^ Di questo Baccio fu fratello, e similmente discepolo ■di Pietro, Francesco che fu per soprannome detto il Bac- chiacca: il quale fu diligentissimo maestro di figure pic- cole, come si può vedere in molte opere state da lui lavorate in Firenze, e massimamente in casa Giovan- maria Benintendi,* ed in casa Pierfrancesco Borgherini. Dilettossi il Bacchiacca di far grottesche ; onde al signor Duca Cosimo fece uno studinolo pieno d' animali e d' erbe rare ritratte dalle naturali, che sono tenute bellissime; oltre ciò, fece i cartoni per molti panni d'arazzo, che poi furono tessuti di seta da maestro Giovanni Resto fiammingo, per le stanze del palazzo di Sua Eccellenza. Fu ancora discepolo di Pietro, Giovanni Spagnuolo, detto per soprannome lo Spagna; il quale colorì meglio che nessun altro di coloro che lasciò Pietro dopo la sua ' *Di questo pittore, che prese il cognome dalla patria sua, non conosciamo li nome ne le opere; imperciocché né in San Giovanni né in Montevarchi oggi si additano più sue pitture. — t Vuoisi che si chiamasse Roberto. ^ Vedi a pag. 506, nota 3. ' *Di questo Baccio libertini non abbiamo altre notizie. Del Bacchiaeca qui appresso nominato, e di Antonio, ottimo ricmnatore , altro fratello di Baccio, torna il Vasari a parlare più lungamente nella Vita di Bastiano da San Gallo, detto Aristotele. * Le pitture che Francesco libertini fece a Gio. M. Benintendi, erano due quadri di tre braccia incirca per traverso, di figure piccole, dipinti con forte co- lorito e diligenza ammirabile, i quali, non molti anni sono, con uno del F'rancia- bigio, che gli faceva accompagnatura , passarono nella Galleria di Dresda. (Nota della edizione di Firenze 1771 ). PIETRO PERUGINO 593 morte: il quale Giovanni, dopo Pietro, si sarebbe fermo in Perugia, se l'invidia dei pittori di quella città, troppo nimici de' forestieri, non l'avessino perseguitato di sorte, che gli fu forza ritirarsi in Spoleto; dove per la bontà e virtù sua fu datogli donna di buon sangue, e fatto di quella patria cittadino : * nel qual luogo fece molte opere, "^ ' *È questi Giovanni di Pietro, detto lo Spagna dal luogo della sua origine. Sappiamo da un documento citato dal Mariotti {Lettere Perugine, pag. 195) che sino dall'anno 1516 questo pittore ottenne la cittadinanza di Spoleto per sé e per i suoi figliuoli e discendenti in linea mascolina soltanto, con partito del Ma- gistrato di quella città, fatto nel 7 dicembre di quell'anno, dopo esservisi trat- tenuto per molto tempo ed avervi già preso per moglie una chiamata Santina; e di più, che nel seguente anno 1517, 31 agosto, fu eletto capitano dell'Arte dei Pittori di Spoleto. Queste sono le sole memorie autentiche di lui, sinora note. È falso dunque che egli partisse da Perugia dopo la morte del Perugino, avvenuta otto anni dopo la data del riferito documento ; e quanto alla cagione della sua partenza da Perugia, è più ragionevole di credere che egli trasferisse la sua dimora in Spoleto, perchè stretto a quest'ultima città da vincoli di parentela per il contratto matrimonio, ed anche di gratitudine. - *Allo Spagna sembra ormai non senza buone ragioni e storiche e arti- stiche restituito il quadro per lungo tempo creduto opera giovanile di Raffaello, coll'Adorazione de'Re Magi, già esistente nella Abazia di San Pietro di Feren- tino presso Spoleto, appartenente alla famiglia Ancajani, la quale nel 1733 ot- tenne di poterlo trasportare nella sua cappella gentilizia in Spoleto, sostituendovi una copia. Si legga quanto ne scrisse il cav. Fontana di Spoleto in una nota a pag. 21 della Vita di Raffaello del Quatremère de Quincy, tradotta dal Lon- ghena. Questo quadro, dipinto a guazzo sopra tela sottilissima senza imprimitura, fu portato a Roma nel 1825 ; e nel 1833 fu comprato per conto della Reale Pi- nacoteca di Berlino, dove oggi si ammira, ma sempre sotto il nome di Raffaello: opera di lui, ed importante, la stima pure il signor Passavant (I, ?>(i). Nel 1836 E. Eichens ne esegui un buon intaglio. Lo stesso Passavant indica in Spoleto per opera dello Spagna certe figure allegoriche, cioè la Giustizia, la Carità e la Clemenza. Similmente egli fa menzione di una Madonna col Bambino, e coi santi Girolamo, Niccolò da Tolentino, Brizio e Caterina d'Alessandria. Questa era nell'antico castello dei duchi di Spoleto: poi fu trasportata nella sala del Palazzo Comunale, dove oggi si vede, ed evvi apposta la seguente iscrizione: lOANNlS SPAGNA SPOLETINl OPVS ANNO MDCCO KALENDIS MARTII EX ARCE HUC PIEN- TissiME TRANSLATUM DYNASTiCARUM DECRETO. Similmente egli tiene per dello Spagna, ma delle ultime cose, gli affreschi nella chiesetta di San Giacomo, che rimane fuori della porta di Spoleto che va a Fuligno, già accennati dall'Orsini stesso. Nel coro è l'apostolo Giacomo in piedi, in mezzo a due storie tratte dalla sua leggenda; ed è segnato dell'anno mdxxvi. Sopra, nella volta della nicchia, è la Incoronazione della Madonna. Accanto, in due tondi, l'Annunziazione, santa Barbara e santa Apollonia. Quindi, a sinistra, in una piccola nicchia. Nostra Donna sulle nuvole, circondata da angeli; e in basso san Sebastiano, san Rocco e san Fabiano. Queste figure portano la data del 1527. Poi Maria in Vasari, Opere. — Voi. III. 38 594 PIETRO PERUGINO e similmente in tntte l'altre città dell' Umbria;- ed in Ascesi dipinse la tavola della cappella di Santa Caterina, nella chiesa di sotto di San Francesco, per il cardinale Egidio spagnnolo, e parimente una in San Damiano.' gloria sopra gli apostoli Pietro e Paolo e sant'Antonio, del 1530. (Passavant, Raphael von Urbino, tmd sein Vater- Giovanni Santi. Lipsia 1839). L'affresco citato dal Passavant si ha inciso nella tav. civ delia Storia della Pittura del Rosini. t Le pitture della tribuna di Sant' Jacopo erano già finite nel febbrajo del 1528, trovandosi in un libro di memorie di quella chiesa una quitanza di mano dello Spagna sotto il 29 del detto mese, di 130 fiorini, colla quale egli si chiama interamente pagato delle dette pitture. (Vedi Crowe e Cavalcaselle, op. cit.. Ili, 323). Lo Spagna deve esser morto avanti il 1530, perchè in quest'anno ai 30 di luglio Dono Doni d'Assisi riceve i-l pagamento di 12 fiorini in conto della pittura della cappella opposta a quella di san Sebastiano, nella quale fece Maria Vergine in gloria, con san Pietro, san Paolo e sant'Antonio, che il Passavant attribuisce allo Spagna. ' *Dipinse lo Spagna in Todi per la chiesa de' Riformati la tavola delTIncoro- razione, e si sa per documenti che fu fatta nel 1507, con spesa di dugento ducati d'oro. L'Orsini soggiunge che questa è copia di quella di Raffaello eh' è nella chiesa de'Riformati fuori di Narni. Ma, come consta dai libri di quel convento, è certo che essa è una ripetizione dello Spagna medesimo. (Vedi Longhena, note alla Vita di Raffaello del Quatremère, pag. 331). Secondo il citato Pas- savant, in Trevi condusse anche queste opere: Una Pietà nella chiesa della Madonna delle Lacrime, sulla via che conduce a Spoleto. In quella de' France- scani di San Martino, all'aitar maggiore, una Incoronazione di Nostra Donna con angeli, e in basso piccole figure di santi, la maggior parte francescani. Egli giudica pure della mano dello Spagna il San Martino che dona il mantello al povero, e San Francesco che ricevete Stimate, sopra la porta che mette nel coro. Nella stanza mortuaria nel chiostro, un affresco colla Vergine in gloria coi santi Giov. Batista, san Girolamo, san Francesco ed altro santo di quell'ordine, colla data del 1512. Nella chiesa collegiata di San Bartolomeo di Montefalco, una tavola da altare nel coro, con san Vincenzo, santa Illuminata e san Niccolò, su fondo d'oro. t Lo strumento dell'allogazione fatta allo Spagna nel 1507 della tavola per la chiesa de'Riformati- del Monte Santo di Todi fu pubblicato dal conte Lo- renzo Leon] a pag. 119 delle Memorie Storiche di Todi. La tavola parimente della Incoronazione che era in San Martino di Trevi ed oggi si vede n«lla Pina- coteca di detta città, fu commessa allo Spagna, per quanto pare, nel 1522. (Vedi nei Giornale dì Erudizione Artistica ecc., voi. Ili, pag. 174, un articolo del detto conte Leonj, intitolato: La Tavola della Incoronazione di Maria della Pina- ■coteca Municipale di Trevi). - *Delle due tavole che qui il Vasari dice fatte dallo Spagna in San Fran- cesco e in San Damiano, non abbiamo notizia. Si cita però nella chiesa di sotto di San Francesco, una tavola nella cappella di santo Stefano, dove si vede No- stra Donna in alto trono col Divin Figlio nelle braccia, con due angeli ingi- mocchiati e in atto d'adorazione, e con i santi Caterina d'Alessandria, France- PIETRO PERUGINO 595 In Santa Maria degli Angeli dipinse, nella cappella pic- cola, dove morì San Francesco, alcune mezze figure grandi quanto il naturale; cioè, alcuni compagni di San Fran- cesco, ed altri Santi molto vivaci, i quali mettono in mezzo un San Francesco di rilievo. ' Ma fra i detti discepoli di Pietro miglior maestro di tutti fu Andrea Luigi d'Ascesi, chiamato l'Ingegno; il quale nella sua prima giovanezza concorse con Raffaello da Urbino sotto la disciplina di esso Pietro, il quale lo adoperò sempre nelle più importanti pitture che facesse; come fu nell'udienza del Cambio di Perugia, dove sono di sua mano figure bellissime, in quelle che lavorò in Ascesi, e finalmente a Roma nella cappella di papa Sisto: nelle quali tutte opere diede Andrea tal saggio di se, che si aspettava che dovesse di gran lunga trapassare il suo maestro. E certo così sarebbe stato; ma la fortuna, che quasi sempre agli alti principj volentieri s'oppone, non lasciò venire a perfezione l'Ingegno; perciocché ca- dendogli un trabocco di scesa negli occhi, il misero ne divenne, con infinito dolore di chiunque lo conobbe, cieco del tutto. Il qual caso, dignissimo di compassione, udendo papa Sisto, come quello che amò sempre i virtuosi, or- dinò che in Ascesi gli fusse ogni anno, durante la vita di esso Andrea, pagata una prò visione da chi là maneg- sco e Rocco da un lato, e Chiara, Lodovico e un frate dall'altro. Nello zoc- colo del trono si legge questa iscrizione: a. d. mcccccxvi. xv jvlii. Essa è sti- mata il capolavoro dello Spagna: opera veramente raffaellesca che rammenta la Madonna detta del Baldacchino; di un colorito forte e scuro; il che non è ne' suoi affreschi. t Nella chiesa arcipretale di Santa Maria d'Arrone nell'Umbria, lo Spa- gna in compagnia di Vincenzo Tamagni da San Gimignano, dipinse in fresco nell'abside della navata di mezzo l'Incontro di Maria Vergine con sant'Anna, lo Sposalizio della Madonna, il Nome di Gesù secondo il monogramma di san Ber- nardino, la Fuga in Egitto, la Disputa coi dottori, l'Incoronazione di Maria Vergine, il suo Transito, e i pastori ài Presepio. Vi si legge: Vincentius de Sanato Geminiano et Ioannes de Spoleto faciehant. ' 'Questi affreschi esistono tuttavia, e sono considerati tra le migliori opere dello Spagna. I 596 PIETRO PERUGINO • giava r entrate. E così fu fatto insino a che egli si morì d' anni ottantasei. ' Furono medesimamente discepoli di Pietro, e peru- gini anch' eglino, Eusebio San Giorgio,' che dipinse in Sant'Agostino la tavola de' Magi; ^ Domenico di Paris, che fece molte opere in Perugia ed attorno per le ca- stella, seguitato da Orazio suo fratello; * parimente Grian- nicola^ che in San Francesco dipinse in una tavola Cristo ' *Intorno a Andrea di Luigi, detto l'Ingegno, e alle quistioni, cui il rac- conto del Vasari ha dato luogo, vedi la Parte IH del Commentario che segue a questa Vita. ^ *Eusebio Sanglorgio si trova registrato nella Matricola de' pittori perugini per porta Sant'Angelo, con le seguenti parole: Eusepius Jacobi Christophori. Nel 1501 egli fu uno de' tre pittori che dipinsero i pennoni delle trombe del Magistrato di Perugia. Nel 1527 fu tra quei cittadini che in numero di cento per ogni porta vennero scelti a formare un particolar consiglio per i rilevanti affari della città. Queste date contradicono al Pascoli che lo fa vissuto fino al 1580. (Mariotti, Lelt. Perug., 232, 233). ' *Questa tavola, colla sua predella, esiste tuttavia in Sant'Agostino. Altre opere certe del Sangiorgio si conoscono. In San Damiano d'Assisi sono due storie in fresco, rappresentanti l' Annunziazione di Nostra Donna, e le Stimate di san Francesco, e nel fondo frate Rufino contemplante, colla scritta: evsebivs PERvsiNvs piNxiT. A. D. MDVii. La chicsa de' Francescani di Matelica, a dieci miglia da Fabriano, possiede una tavola con Maria Vergine in trono e il Divin Putto, e ai lati san, Giovanni evangelista e san Francesco, san Pietro e sant'An- tonio. Negli scalini del trono, il piccolo san Giovanni che mostra un libro, dove è scritto: Si queris miracula, mors . errar, calamitas ; e nello scalino: Dionysius Petri Berti faciund . . . . vii {faciundum ctiravit) quindi la scritta: EVSEBius • DE • SCO • GEORGio • PERVSINVS • piNxiT 1512. Questa tavola è citata anche dal Lanzi, che brevissimamente la descrive. (Passavant, op. cit., I, 511, 512). Nel Prospetto Cronologico della vita e delle opere del Pinturicchio, ab- biamo noi riferito sotto il 24 di marzo del 1506 una obbligazione per la somma di 100 ducati d' oro fatta dal Pinturicchio a questo artefice. Peccato che il do- cumento relativo manchi nei protocolli di ser Guidone Alberti notaro senese che se ne rogò! ' *Di Domenico di Paris Alfani e di Orazio suo figliuolo e non fratello, veda il lettore la Parte Sesta del Commentario. ' *Giannicola, ossia Giovanni Niccola, fu figliuolo di un tal Paolo Manni e nativo di Città della Pieve. Ciò si ritrae dal Catasto comunitativo della Pieve sotto l'anno 1543, dove tra' possidenti trovasi notato: Nicolaus quondam Manni, e in altro luogo: Haeredes quondam Nicolai pictoris; ed altrove: Haeredes Papi Pardi Manni, et prò eis Nicolaus. Questo Papi, fratello di Giannicola, fu suo erede. Giannicola risiedè nel perugino Magistrato pel primo trimestre del 1527. Ebbe la matricola nel Collegio de' Pittori per porta San Pietro, ma non è detto in qual anno. Cessò di vivere il giorno 27 di ottobre 1544. (Mariotti e Orsini, op. cit.). PIETRO PERUGINO 597 nell'orto, e la tavola d' Ognissanti in San Domenico alla- cappella cle'Baglioni/ e nella cappella del Cambio istorie di San Giovanni Battista, in fresco. ^ Benedetto Caporali,' altrimenti Bitti, fu anch' egli discepolo di Pietro, e di sua mano sono in Perugia, sua patria, molte pitture; e nell' architettura s'esercitò di maniera, che non solo fece molte opere, ma comentò Yitruvio, in quel modo che si può vedere ognuno es- ' "Della tavola con Cristo nell'Orto, fatta per San Francesco di Perugia, dopo il Morelli (1683) gli scrittori patrj non fanno più parola. Quella d'Ognis- santi in San Domenico ora si ammira nella perugina Pinacoteca dell' Accade- mia di Belle Arti. In alto è Cristo seduto: da un lato è la Vergine Madre ge- nuflessa, dall'altro san Giovanni Battista che piega a terra un ginocchio. Due angeli con graziose movenze suonano varj strumenti. In basso sono effigiati molti santi, ed altri cinque a sinistra. Il fondo è un'amena campagna. ^ 'Sappiamo dal Mariotti, sulla fede di documenti, che fino dal 26 giù* gno del 1515 l'Arte del Cambio stipulò contratto con Giannicola per fare dentro un dato tempo certas picturas nella cappella del loro Collegio. Scorso il ter- mine prefisso, ed avendo il pittore ricevuto 45 fiorini a conto del lavoro, senza che si curasse di terminarlo, fu obbligato nel 19 febbrajo del 1518 a dare si- curtà di compire l'opera dentro il prossimo futuro mese di agosto; e per lui entrò mallevadore Mariotto di Mario orefice perugino, il quale si sottomise alla multa di fiorini 150 nel caso che Giannicola mancasse alla sua promessa. Ma egli soddisfece al suo dovere, e le pitture esistono tuttora, e sono le storie di san Giovanni Batista nelle pareti della nominata cappella. Abbiamo dal Marietti sicure notizie di altre opere da Giannicola eseguite in Perugia, e che ora più non esistono. Dagli annali Decemvirali si sa che nel 1493 contrattò la pittura della stanza destinata per la mensa dei Priori del Magistrato, obbligandosi a dipin- gere in essa la Cena del Redentore. Fece anche un' altra pittura nel Palazzo Pubblico, innanzi alla camera del capo d'uffìzio; sulla quale nel 1499 lodarono i pittori perugini Bartolommeo Caporali e Fiorenzo di Lorenzo. Nel 1502 dipinse l'arme della città in una bandiera che allora dicevasi di Porta San Pietro; e nel 1505, tre pennoni per le trombe del Magistrato, in compagnia di Fra Pompeo di Anselmo; e finalmente nel 1511 gli ornati della sfera del pubblico orologio. Più e diverse pitture del nostro Manni citano gli scrittori perugini; ma noi ce ne passeremo, per la tante volte ripetuta ragione che la loro autenticità non è sostenuta da documenti. ' *I1 Caporali ebbe nome veramente Giovan Battista, e fu detto Bitte o Bitti, che è accorciamento di Battista. Nacque intorno al 1476 da Bartolommeo Caporali, pittore anch'esso, del quale si hanno parimente notizie nel Mariotti. Ambidue si trovano ascritti alla Matricola de' Pittori. Giovan Battista sedè tra i Decemviri nel terzo trimestre del 1519. Nel 1543 le monache di Monte Luci gli allogarono a dipingere nella facciata della loi-o chiesa sopra la tribuna la Crocifissione di Cristo colle pie donne e molta turba di armati e di farisei. Quest' affresco fu gettato a terra nel 1788. Ad egual destino soggiacquero le altre pitture da lui fatte a Montemorcino, ora distrutto. Avea egli dipinto nella chiesa del convento 598 PIETRO PERUGINO sendo stampato;* nei quali studj lo seguitò Giulio suo figliuolo, pittore perugino.' Ma nessuno di tanti disce- poli paragonò mai la diligenza di Pietro, ne la grazia che ebbe nel colorire in quella sua maniera; la quale tanto piacque al suo tempo, che vennero molti di Fran- cia, di Spagna, d'Alemagna e d'altre provincie per im- pararla.' E dell'opere sue si fece, come si è detto, mer- canzia da molti, che le mandarono in diversi luoghi, innanzi che venisse la maniera di Michelagnolo ; la quale, la volta con diverse storie e varj fregi di rabeschi e festoni, e in una cappella l'Adorazione de' Magi. Nel refettorio, sedici quadri, già finiti nel 1547, ed altri dodici che rimaneva ancora a dipingere, quando tutti questi lavori furono stimati da Lattanzio della Marca e Adone Doni d'Assisi, pittori, nel di 28 novembre del detto anno 1547, i quali li valutarono 116 scudi, oltre le spese per conto dei frati. Oggi vuoisi che in Perugia non sia altra pittura di sua mano, se non quella da tutte le Guide citata, nella chiesa del Gesù, ov'è ritratto il cardinale Fulvio delle Corgna con varj Gesuiti, quasi supplichevoli per la erezione del loro Collegio in questa città: ma su quali documenti c'è ignoto. Nella sua scienza architettonica il Caporali fu meno sfortunato; e il solo Galeazzo Alessi uscito dalla sua scuola può bastargli per elogio grandissimo. Il Vitruvio dal Caporali tradotto e commentato (stampato nel 1536) è lavoro che onorerà in ogni tempo il suo nome; e Pietro Aretino, cui egli ne mandò un esemplare, con una let- tera del di 3 ottobre 1537 lo ringrazia del dono, gli ricorda l'antica amicizia, e gli mostra il desiderio di riabbracciarlo in Venezia. Fu anche nell'amore di Bramante, che in Roma lo invitò nella propria casa (forse tra il 1509 e il 1512 > ad una cena in compagnia di Pietro Perugino, del Pinturicchio e di Luca Si- guorelli, come si ritrae da una nota al suo Vitruvio. Dilettossi anco di poesia. Fece testamento nel 1533, e mancò ai vivi circa il 1560 in età assai vecchia. ( Mariotti , Leu. Perug. ). ' *Il titolo di questo libro è il seguente: Con il suo contento et figure Vetruvio in volgar lingua raporlato per M. Giambatista Caporali di Perugia. In-folio. In line si legge : Stampato in Pertugia nella Stamperia del Conte Jano Bigazzini: Il dì primo d' aprile l'anno m. d. xxxvi. Sono i soli, primi cinque libri; e trasse le note e le figure dal Vitruvio di Cesare Cesariani. ^ *Di Giulio suo figliuolo sappiamo che fu ammesso al Collegio dei Pittori nel 1559. Egli fu anche architetto, e per ben due volte (negli anni 1579 e 1583) concorse, ma invano, al posto di architetto della Città. (Mariotti, Lett. Perug., pag. 260). * *I1 Vasari nel seguito della sua opera trattando di Girolamo Genga, di Bastiano da San Gallo e di Niccolò Soggi, dice cha essi del pari appresero l'arte di dipingere da Pietro. L'Orsini e il Mezzanotte poi vi aggiungono i se- guenti, colle loro notizie : Tiberio di Assisi ; Pompeo di Piergentile Cocchi; Cesare Rossetti, detto Cesarino da Perugia; Ercole Ramazzano, di Rocca Con- trada; Gaudenzio Ferrari; Sinibaldo Ibi, perugino; Giacomo di Guglielmo di ser Gherardo, Berto di Giovanni Paolini, e Matteo di Giuliano Balducci; tutti PIETRO PERUGINO 599 avendo mostro la vera e buona via a queste arti, Tlia condotte a quella perfezione, che nella terza seguente parte si vedrà: nella quale si tratterà dell' eccellenza e perfezione dell'arte, e si mostrerà agli artefici, che chi lavora e studia continuamente, e non a ghiribizzi o a capricci, lascia opere, e si acquista nome, facultà ed amici. e tre di Cittadella Pieve; Giovanni "di M° Giorgio ; Francesco Melanzi; Mariano di ser Eusterio Mariani e Assalonne di Ottaviano, perugini; Lattanzio di Gio- vanni; Lattanzio di Vincenzo Pagani, detto della Marca; e finalmente, anche Teodora Danti perugina. t Di Matteo Calducci sono alcune opere in Siena, come una tavola in Santo Spirito, nella cappella Borghesi, falsamente attribuita a Matteo di Gio- vanni da Siena, e varie tavolette nella Galleria dell'Istituto di Belle Arti di quella città. Tra gli scolari di Pietro sono da annoverare Bartolo di Bernardo Fancelli da Settignano, cugino della Chiara moglie del Perugino, del quale ab- biamo parlato altrove (toni. II, pag. 463, nota 1), e Auliste o Euliste d'Angelo da Perugia. — Contro a quest'ultimo e contro al Perugino è notabile una sen- tenza data dagli Otto di Custodia e Pratica di Firenze, sotto il 10 luglio 1487, colla quale condannano Pietro in venti fiorini d'oro ridotti alla metà pagando dentro un giorno dalla sentenza, ed a quattro tratti di corda e poi al bando perpetuo dalla, città e dominio di Firenze, Auliste, uomo di mala condizione di vita e fama, e reo di varj delitti ed eccessi, avendo in Roma ammazzato un perugino, e ferito in diversi tempi e luoghi altre persone: e li condannano, per- chè nel dicembre dell'anno avanti essi armati di bastone erano stati di notte tempo ad aspettare presso San Pier Maggiore un loro nemico con animo ed intenzione di percuoterlo, e ciò per causa turpe. 601 oS 55 a _ tì.S o 0:5 a u P > j o o e z: «s « S m ón Z. g rt a) 603 COMMENTARIO ALLA Vita di Pietro Perugino PARTE PRIMA Altre opere di Pietro Perugino ■autentiche, a noi natii Di Pietro Perugino, come di tutti i caposcuola, forse non avvi qua- dreria che non abbia da citare qualche opera. E di vero, se non tutte le registrate sotto questo nome nelle Guide, nei Cataloghi, e nei biografi stessi del Vannucci, possono dirsi veramente del suo pennello, facile a scambiarsi con quello di alcuni suoi valenti scolari ; tuttavia non sapremmo ne vorremmo poi negare che molte di esse non sieno veramente opere di questo laborioso maestro. Noi pertanto, fedeli al nostro pro^wslto, non faremo ricordo in questa aggiunta, se non di quelle (e non son poche) le quali hanno la prova della autenticità, o nei documenti o nelle iscrizioni ad esse apposte; mettendole per ordine di tempo. 1478. Cerqueto. Diocesi di Perugia. — Dipinse una cappella, della quale non rimane che la figura di san Sebastiano. L' Orsini riporta una. iscrizione in volgare molto curiosa, che era a pie dell'opera dipinta, dalla quale si ritrae che questo affresco fu ordinato come voto fatto per ces- sata pestilenza; e l'epigrafe petrvs pervsinvs pinxit m. ecce, lxxviii. (Orsini, Meni, dei Perugino, pag. 204, 205). 1491. Roma. Galleria Albani (ora nella villa di questo nome). — Ta- vola a tempera colla Vergine che adora il suo Divino Figliuolo giacente sul terreno; a sinistra sta san Michele, graziosa figura, e san Giovanni Battista; a destra san Giorgio e il santo dottor della Chiesa Girolamo. In alto, dentro una lunetta. Cristo in croce, e ai lati la Vergine, san Gio- vanni e la Maddalena. Nelle parti laterali, l'Annunziazione. Nei pilastri è scritto: PETRVS de pervsia pinxit. m". eece^. vini", primo (cioè 1491, e I 604 COMMENTARIO ALLA VITA " non 1481, come j>er errore dice il Rumohr nelle sue Ricerche Italiane, IT, pag. 341). Le figure di sotto sono grandi la metà del vivo; quelle in alto, più piccole. 1494. Firenze. Galleria degli Uffizj. — Ritratto del Perugino, dipinto (li sua propria mano. Questa tavoletta era attribuita nel vecchio inven- tario a Giacomo Francia; ma è merito del cav. Antonio Ramirez di Mon- talvo, già direttore di essa Galleria, l'averla restituita a Pietro, avendo scoperto dietro l'asse, incisa con una punta di ferro questa scritta, che ha tutti i caratteri di autenticitti : lidi d Liiglo Pietro Perugino Finse Leggasi la storia di questa scoperta in una lettera del Montalvo al Ver- miglioli, de' 22 aprile 1837, stampata da quest'ultimo nella nota 294 del suo Commentario sul Pinturiccliio. Questo ritratto si vede intagliato nella tav. vi della cit. Galleria di Firenze illustrata ecc. t II cav. Montalvo, che ebbe certamente il merito di restituire al Pe- rugino questo ritratto, cadde poi in errore credendolo il proprio del pit- tore. Il che non gli sarebbe accaduto se avesse letto tutta intera la iscri- zione che è dietro all'asse, la quale dice così: li9é d' luglio Pietro Peru- gino pinse frane'' de lope (dell'Opere). Questo Francesco dell'Opere fu fiorentino e fratello del celebre Giovanni delle Corniole. Esso morì in Ve- nezia nel 1496. 1494. Cremona. Chiesa di Sant'Agostino. — Neil' altare della famiglia Eoncatelli e una tavola di Nostra Donna seduta col Divino Figliuolo , ed ai lati i santi Agostino e Giacomo. Nei gradini del trono è questa scritta: TETRVS PERVSiNvs piNxiT MCCccLxxxxiiii. Il primo a parlare di questa ta- vola fu l'Anonimo Morelliano. Nella conclusione della pace del 1815 ■essa tornò in Francia, ove era stata trasportata; e nel 1817 riprese la .sua antica sede. 1497. Fano. Chiesa di Santa Maria Nuova. — Tavola da altare, rap- presentante Nostra Donna seduta in trono, con in grembo il Divino In- fante; a sinistra stanno san Giovanni Evangelista, san Francesco ed un vescovo; a destra san Pietro, san Paolo e santa Maria Maddalena. Il fondo è di paese. Nel gradino del trono è la seguente iscrizione : dvrantes PHAN. AD INTEMERATE VIRGINIS LAVDEM TERCENTVM AVREIS ATQU. HVIVS TEMPLI BONOE. CENTVM SVPERADDITIS HANC SOLERTI CVRA FIERI DEMANDAVIT , MATEO DE MARTINOTIIS FIDEICOMMISSARIO FROCVRANTE MCCCc97. PETRVS PERVSINVS PINXIT. ' Nel colmo si vede Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo che discendono dalla ' Questa iscrizione è data anche dal Passavant, ma mancante di due righe. Abbiamo potuto riportarla intera secondo la copia cortesemente mandatacene dal signor Torello Torelli di Fano. Molti furono, dice l'erudito fanese, in quel torno i consiglieri della spenta famiglia Duranti: e questo della riferita iscrizione sembra DI PIETRO PERUGINO 605 croce il corpo di Cristo: Maria e Giovanni ai lati. Nella predella, cinque storie della Vita della Madonna, cioè la sua Nascita, l'Annunziazione, 1» Sposalizio, la Presentazione al tempio e l'Assunzione. Lo schizzo originale dello Sposalizio è nella ricca raccolta dell'Arciduca Carlo a Vienna, e si trova litografato nell' opera dei Fac-simili del Mansfeld e compagni. Nella edizione di Milano del Vasari si riferiscono in nota alla Vita del Peru- gino alcune postille di mano del Tassoni in un esemplare della seconda edizione delle Vite vasariane. Da esse apparisce che Pietro era in Fano nel 1488, trovandosi testimone ad un contratto rogato ai 21 d'aprile del detto anno; e che la tavola sopraddetta fagli pagata 300 piastre d'oro. 1498. Perugia. Cappella della Confraternita di San Pietro martire in San Domenico. — La tavola che Pietro fece nel 1498 per la Compagnia di Santa Maria Novella di Perugia, detta anche della Consolazione, rap- presenta Maria Vergine col Putto in grembo, seduta sur un seggio in aperta campagna. In alto sono due piccoli angeli in sul volare; e intorno a Nostra Donna, inginocchiati, sei uomini della Confraternita in bianca cappa, tutti ritratti parlanti. 1502. San Francesco al Monte. — Tavola dipinta a terapera da due parti, posta nell' aitar maggiore. Dalla parte dinanzi è iigurata Nostra Donna in pie addolorata, e santa Maria Maddalena in ginocchio da un lato, e dall'altro san Giovanni Battista stante e san Francesco genuflesso. Al di- sopra, due piccoli angeli che raccolgono il sangue spicciante dalle ferite di un antico Crocifisso di legno che sta in mezzo alle dette figure dipinte. Nel di dietro, che guarda il coro, è la Incoronazione di Maria con gli apostoli. Questo lavoro, che esiste ancora nella detta chiesa, fu allogato al Perugino il 10 settembre del 1502, per il prezzo di 120 fiorini d'oro. È opinione del Passavant (voi. I, 496 dell' op. cit. ) che la parte di dietra di questa tavola appartenga ad un debole scolare di Pietro. 1502, 1 ottobre. Coro di Sant'Agostino. — I monaci di Sant'Agostino' di Perugia allogarono a Baccio d'Agnolo Paglioni legnajuolo fiorentino il coro della loro chiesa; il disegno del quale fu dato da Pietro, se- condo che opina, con buoni documenti, il Marietti. 1503. In quest' anno è commesso al Vannucci dal Magistrato di Perugia di dipingere le armi di Giulio II nelle pareti #el Palazzo de' Priori e alle cinque porte della città, in occasione della esaltazione di quel pon- tefice. (Makiotxi, op. cit., 170). debba essere un Durante di Giovanni Duranti, il quale si legge consigliere sempre dal 1492 al 1497, in che forse morì, ordinando quel legato al Martinozzi, più anni suo collega municipale; e nel 28 febbrajo 1497 si trova essergli stato sostituito un maestro Camillo del fu maestro Francesco Duranti, studente di medicina. 60G COMMENTARIO ALLA VITA L505. Panicale, presso Perugia. Chiesa delle monache di San Bastiano. — Affresco col martirio del santo titolare, che occupa tutta la parete prin- cipale di quella chiesa. Nei pilastri dell' atrio , che è il luogo ove si rap- presenta l'azione, il pittore segnò l'anno mdv. Che c^uesta pittura sia di mano del Perugino, è provato da ciò che si trova in nota a pag. 170 delle Lettere Pittoriche Perugine, dove il Mariotti riferisce un istrumento del 2 giugno 1507, in cui Pietro da in prestito ai Panicalesi quattordici drappelloni dipinti, per onorare la solennità, del Corpus Domini di quel- r anno ; col patto che se il Comune di Panicale gli avesse pagato gli undici fiorini d'oro che restavano del prezzo della figura di san Sebastiano, fatta e costruita per detta Comunità, il Comune di Panicale non sarebbe tenuto a restituirgli i nominati drappelloni; come di fatto avvenne nel dì 1" settembre dell'anno medesimo. 1512. Perugia. — Fa il disegno di una nave d'argento allogata dal Magistrato di Perugia nel dicembre del detto anno a Giovan Battista di Mariotto Anastagi, orefice perugino. (Makiotti, 170 e seg. ). Di questo sin- golare utensile da mensa si può leggere la descrizione di Girolamo Frol- lieri, riferita dal Vermiglioli nelle Memorie del Pinturicchio, pag. 217. 1512. Bettona, terra non lontana da Perugia. Chiesa dei Padri Fran- cescani Minori. — Tela (nel coro) con San Diego in piedi, con una face nella destra ed un libro nella sinistra. A' piedi del santo è la figura di un guerriero inginocchione con le mani giunte, il quale è colui che fece dipingere questa tela per grazia ricevuta, come si ritrae dalla seguente iscrizione appostavi : Boto de Maraglia da Perogia quando fo pregione de Franciose che fo addì XI febbraio MDXII. — Petrus pinxit de Castro Plebis. Questo Maraglia fu certamente un soldato di Malatesta Baglioni, il quale nel 1512, nella rotta di Eavenna, fu mortalmente ferito. (Mezzanotte, Commentario sulla Vita e sulle Opere di Pietro Perugino, p. 145 in nota). 1513. Città della Pieve. Duomo. — Tavola con Nostra Donna, col Bara- bino, accompagnata da due angeli, con gli apostoli san Pietro e san Paolo, ■e i santi Gervasio e Protasio che tengono gli stendardi coli' arme della città. Fu dipinta per 1' aitar maggiore, e pel prezzo di 120 fiorini. Evvi que- sta scritta: PETKUS ■ CHRISTOPHOEI • VANVTII - DE CASTRO • PLEBIS • PINXIT • MDXIII. L'Orsini ne pubblicò il contratto d'allogazione. 1517. Chiesa di Santa Maria de' Servi. — Affresco rappresentante un Deposto di Croce, di cui non restano che poche parti. Ha questa iscri- zione .... ESTÀ HOPERA FERO DEPENGERE LA COMPAGNIIA DELLA STELLA COSSI DICTA IN LI ANNI DOMINI MDXVII. PETR .... 1521. Spello. Collegiata di Santa Maria Maggiore. — Affresco con Nostra Donna che tiene in grembo il morto Figliuolo. Evvi scritto : petrvs DE CASTRO PLEBIS PINXIT. A. D. MDXXI. DI PIETRO PERUGINO 607 1521. Trevi, città, tra Foligno e Spoleto. Chiesa della Madonna delle Lagrime. — Adorazione dei Magi: grande affresco intattissimo, e copio- sissimo di figure, tredici delle quali grandi quanto il vivo. Nel listello della seggiola dove posa la Madonna è scritto a grandi lettere: petrvs DE CASTRO PLEBIS PINXIT. Vienna. Galleria di Belvedere. — Tavola con Maria e Gesìx Bam- bino benedicente, in grembo: indietro, due sante donne; l'una orante, e r altra con un ramo di palma in mano. In essa è scritto : petrvs • perv- siNvs • PINXIT ; senz'anno. Fa incisa nel IV tomo dell'opera della Galleria di Belvedere, pubblicata a Vienna. 15... Siena. — Tavola che è in Sant'Agostino nell'altare dei Chigi. Rappresenta il Crocifisso con varj santi attorno. Fabio Chigi, poi Ales- sandro VII, in certi suoi ricordi manoscritti dice che questa tavola fu piagata 200 fiorini d'oro larghi. PARTE SECONDA Disegni originali del Perugino, esistenti nella Galleria degli Uffizj ^ Cassetta II N° 1. — Studj in penna, di putti nudi in varie attitudini o in dif- ferenti posizioni. Fra questi si riconosce quello per il Divino Pargoletto nudo e giacente sul terreno , che Pietro dipinse nell' affresco coli' Adora- zione de' Pastori, nella Sala del Cambio. Poi primeggia un gruppo di due altri putti, che abbracciati seggono sui gradini di un trono. - A tergo. Santa Caterina delle ruote; figura stupenda, stante di faccia, colla testa inclinata verso la destra spalla, stringendo nella mano un ramo di palma, e appoggiando la destra sul cerchio dello strumento del suo martirio. N° 2. — Studj all'acquerello di cinque figure in piedi, in atto dì camminare: cioè i tre Magi, precedu'ti da due valletti. - A tergo. Gesù Bambino nudo, giacente, con le spalle ed il capo appoggiato ad un guan- ciale. - Altro studio a penna, piìi grande del citato al N° 1, che corri- sponde anch'esso a quello dell'Adorazione de' Pastori, nell'affresco suddetto. ' Molti sono i disegni in questa raccolta dati al Vannucci : ma noi ci re- stringeremo a descrivere solamente quelle carte dove sono studj appartenenti a pitture sue da noi conosciute, e quelli che si trovano nelle carte stesse, la ori- ginalità de' quali è assicurata dalla presenza degli altri. 608 COMMENTAEIO ALLA VITA N° 6. — Madonna adclolomla stante di faccia, colla testa dolcemente inchinata verso la spalla destra, con le mani giunte e stese; avvolta in ampio manto che le scende dal capo. Studio all'acquerello, finito, in carta cerulea con lumeggiature di biacca, per l'affresco nel Capitolo del mo- nastero di Santa Maria Maddalena de' Pazzi dì Firenze. N" 8. — ■■ Tre apostoli stanti. In avanti, a destra dello spettatore, san Giovanni Evangelista riccamente vestito tiene un libro colla sinistra mano, e punta la destra al fianco. La faccia è imberbe, quasi di profilo, e guarda in alto. Dal lato oj)posto si presenta in faccia san Paolo, ornato il mento di lunga barba bipartita, appoggiando la destra all' elsa di uno spadone puntato in terra, e tenendosi al fianco con la sinistra un libro. Dietro, e ti-amezzo ad essi, si vede un terzo apostolo, giovane imberbe, con testa all' insù, e le mani incrociate sul petto. Studio all' acqiierello in carta tinta con lumi di biacca, per la tavola dell' Assunta, fatta per Borgo San Sepolcro. ' N» 11. — San Francesco stante di faccia, in atto di leggere un libro che ha tra le mani. Ha capo e volto raso, e nell'abito ha un taglio che lascia vedere la stimata del costato. Posa sul destro piede. Bellissimo di- segno a penna per la tavola, dal Vasari non citata, della cappella già Romoli, poi Malaspina, nell' Annunziata di Firenze, dove si vede No- stra Donna e il Putto in trono, sotto un atrio sorretto da pilastri, ed i santi Giovanni Battista e Antonio eremita, a destra ; san Francesco e san Lodovico (?), a sinistra. N° .3. — Deposto di Croce. Studio pel quadro dipinto per Santa Chiara di Firenze. Sono le quattro figure vicine ai piedi del Redentore, cioè Nicodemo col sinistro ginocchio a terra, che sostiene con ambe le mani- la sindone; la Maddalena genuflessa a mani giunte, e due altre figure stanti, una delle quali con due chiodi nella sinistra. Tramezzo a queste due si vede leggermente accennata parte di un' altra figura. È questo un acquerello finito in carta tinta, con lumi di biacca, e con qualche tocco di cinabro. N» 4. — Altro studio per lo stesso quadro : cioè, delle tre figure che sono a destra. Una è Giuseppe d'Arimatea, con barba bipartita, e il si- nistro ginocchio piegato a terra. Le altre due sono in piedi : l' una che è san Giovanni, appoggia la guancia alla sinistra palma; l'altra, che è una delle Marie, sta col volto basso e appoggiato alle mani giunte. In disparte è uno studio delle mani di Nicodemo, di proporzione piìi grande, che reggono la sacra sindone. Acquerello come il precedente. ' Dobbiamo però confessare, che della originalità di questi due disegni n° 6 e 8 non siamo ben sicuri. DI PIETRO PERUGINO " 609' N» 5. — Studio per il Biedesimo quadro, del gruppo della Madonna con le due Marie. La Vergine Madre genuflessa contempla il morto Fi- gliuolo, sorreggendone con ambe le mani il manco braccio. Accanto a lei, una delle Marie genuflessa sostiene colla sinistra la fronte del Reden- tore, cignendogli il collo colla destra. L'altra Maria sta in piedi dietro alla Madonna, contemplando a braccia aperte la spoglia del suo Signore. La figura del Cristo morto è semplicemente delineata. Acquerello finito, in carta tinta con lumeggiature di biacca. Non ometteremo però di avvertire, che intorno alla originalità dì questi tre celebri disegni avremmo qualche dubbio : non perchè essi man- chino di pregio; ma perchè la puntuale corrispondenza e certa servilità al dipinto svelerebbero non già la mano risoluta di colui che cerca di esprimere con segni il proprio concetto, ma la scrupolosa diligenza di «hi riproduce opere d'altrui. N° 14. — Testa giovanile con berretto. Mostrasi per tre quarti di faccia, volta alquanto in su, e inclinata verso la destra spalla. In carta tinta, all'acquerello e lumi di biacca. Essa è il ritratto di Pietro stesso in età più giovanile di quello dipinto nella Sala del Cambio e dell'altro esistente nella medesima Galleria degli Uffizj. N'^ 13. — Venere e Amore. La Dea vestita di sottil panno svolazzante si è alzata da una sedia di bizzarra forma, e procede a destra verso Cupido nudo, che vien correndo incontro la madre, con le ali a tergo, la benda agli occhi e l' arco teso. — Acquerello in carta tinta lumeggiato di biacca. È il disegno del pianeta di Venere dipinto in uno dei quattro tondi della volta della Sala del Cambio: ha pure molta somiglianza colla Sibilla Eritrea dipinta in una delle pareti della detta sala; eccetto che è volta dalla parte opposta. N° 12. — Socrate stante sul manco piede, e presentando il lato destro. Ha il capo avvolto in una specie di berretta con nappa in punta, lunga barba, un libro chiuso al fianco nella mano destra, e la sinistra tesa in avanti. Studio a penna del dipinto nella Sala del Cambio. Nella cartella segnata di N° 2, in un cartone con varj disegni at- tribuiti a Cerino da Pistoja, ne abbiamo riconosciuti tre per originali di Pietro, e sono: al N° 4, figura in età senile, stante e voltata a sinistra: studio egregiamente disegnato a penna per il Mosè dipinto nella destra parete della Sala medesima; al N° 1, altra figura stante con la testa girata sulla spalla destra: studio come sopra, i^er la Sibilla Cumana di- pinta nella medesima parete; al N° 3, veneranda figura inginocchiata colle braccia incrociate sul petto; eh' è lo studio di quella posta alla si- nistra del Salvatore nella Trasfigurazione che vedesi nell'altra lunetta della facciata principale del Cambio. Vasari, Opere. — Voi. III. 39 610 COMMENTARIO ALLA VITA PARTE TERZA Prospetto cronologico della vita e delle opere # . di Pietro Perugino^ 1446. Nasce in Città della Pieve da Cristoforo Vannucci. 1475. Pare che in quest'anno dovesse Pietro dipingere nella sala grande del Palazzo Pubblico di Perugia. 1478. Affreschi a Cerqueto, castello nella diogesi di Perugia, oggi perduti. 1480. Circa quest'anno si porta a lavorare a Roma. 148'0-1495. Sua dimora in Roma, e varj lavori ivi fatti. 1482, 5 ottobre. Gli è allogata a dipingere in compagnia di Biagio di Antonio Tucci, pittore iìorentino, la facciata della sala del Palazzo « della Signoria di Firenze, dalla parte della piazza; che i3oi non fece. 1483, 28 novembre. Prima allogazione della tavola per la cappella del Magistrato di Perugia, ora nella Pinacoteca del Vaticano, salvo il colmo con la Pietà che è nella Pinacoteca Perugina. 1488. Dipinge una tavola in San Domenico di Fiesole,, per commissione di Cornelia di Giovanni Martini da Venezia, la quale fece fabbri- care eziandio la cappella del Presepio. Si noti, che la cronaca non dice ne l'argomento della tavola, ne che avvenisse della medesima, verosimilmente portata via al tempo della invasione francese. 1488. 21 agosto. È in Fano, e fa da testimone ad un contratto. 1489. Finisce la tavola del San Bernardo per la cappella de' Nasi nella chiesa di Cestello ( oggi Santa Maria Maddalena de' Pazzi ). 1490. 30 dicembre. Gli sono allogate le pitture della volta della cappella nuova, di San Brizio, nel Duomo d'Orvieto, lasciate imperfette da Fra Giovanni Angelico. Ma Pietro, dopo aver trattenuto nove anni gli Operaj , scrisse' loro di non potere altrimenti andare in Orvieto ad eseguire quel lavoro; ond'essi furono costretti a darne la com- missione a Luca Signorelli, come vedremo. 1490, 5 gennajo (stile comune, 1491). È uno degli artefici chiamati a giudicare sui modelli e sui disegni presentati al concorso della fac- ciata di Santa Maria del Fiore. In altra occasione daremo alla luce l'importante documento che ci fa conoscere questa particolarità. ' t In questa edizione corretto ed accresciuto. I DI PIETRO PERUGINO ' 611 1490, 5 marzo ( stile comune 1491 ). Fa quietanza in Perugia alla Camera Apostolica di 180 ducati d' oro di camera, prezzo residuale picturae per eum factae in Cappella in Palatio Apostolico , a lui allora sbor- sato in vigore d'un ordine camerale spedito sino dal dì 8 agosto del 1489. 1491. Presepio già nel palazzo, ora nella villa Albani di Roma. 1493. Tàvola per San Domenico di Fiesole, ora in Firenze nella Galleria degli Uffizj. 1493. Comincia a dipingere il Capitolo di Cestello per commissione di Dionisio JPucci e di Giovanna sua moglie. 1493. 1 settembre. Sposa nella Canonica di Fiesole Chiara di Luca Fan- celli con dote di 500 fiorini d'oro. 1494. Ritratto di Francesco dell Opere, nella Galleria degli Uffizj. Tavola in -Sant' Agostino di Cremona. Miracolo della Croce j)er la Scuola di San Giovanni Evangelista di Venezia. 14 agosto. Pattuisce di dipingere due storie in una parete della Sala del Gran Consiglio nel Palazzo pubblico di Venezia. • 1495. Tavola per la cappella della Confraternita di San Pietro Martire in San Domenico di Perugia, ora nella Pinacoteca perugina. 1495, 6 marzo (stile comune, 1496). Nuova allogazione della tavola per la cappella del Magistrato di Perugia, sopra citata. 1495. 8 marzo (stile comune, 1496). Tavola coli' Ascensione di Cristo, per la chiesa di San Pietro de' monaci Cassinensi di Perugia, ora nella Cattedrale di Lione. Deposto di Croce, già, in Santa Chiara di Firenze, ora nella R. Gal- leria de' Pitti. Allogazione della tavola con lo Sposalizio della Vergine , nel Duomo di Perugia, ora nel Museo di Caen in Francia. Sulla fine del 1500 trovasi che egli non vi aveva ancora posto mano. ' 1496. Compra in Firenze un pezzo di terra per fabbricarvi una casa. 1497. Tavola con Nostra Donna e più santi, nella chiesa di Santa Maria Nuova di Fano. 1497, 19 di gennajo. Giudica del prezzo delle pitture fatte nel coro di Santa Trinità da Alesso Baldovinetti. 1498, 26 giugno. È chiamato a consultare, insieme con altri artefici, circa il modo più conveniente a restaurare la lanterna della cupola di Santa Maria del Fiore. ' V. Lettera del prof. A. Rossi, a pag. 322 dell'operetta 11 Cambio di Pe- rugia dell' ab. Raffaello Marchesi: Prato, Alberghetti, 1854, in-8. 612 COJklMENTARIO ALLA VITA 1498, 4 settembre. Compra per 150 fiorini d'oro in oro larghi da Mattia della Fioraja una casa cominciata a fabbricare in via Pinti di Fi- renze. 1499, 1 settembre. Matricolato. all'Arte de' Pittori in Firenze. Nel Libro Bianco num. 10 a e. 35 1. delle Matricole dell'Arte de' Medici e Spe- ziali si legge: « 1499, 1 septembris. Magister Petrus Cristophori « Vannucci pictor de perusio volens venire ad magistratum diete « artis, Inter alìos in dieta arte matriculatos &c. et promisit et ju- « ravit. Debet solvere fior, duodecim sigilli. » 1500, Assunzione di Maria Vergine, per Vallombrosa, or^ nella Galleria delle Belle Arti di Firenze. 1500. Pitture nella Sala del Cambio di Perugia. 1500. Tavola in Sant'Agostino per Filippo di Benedetto Capra. 1501. Uno dei dieci Priori del Magistrato di Perugia nei due j)rimi mesi di quest'anno. 1502. 10 settembre. Allogazione di una tavola dipinta da ambedue le parti per r aitar maggiore della chiesa di San Francesco al Monte , fuori ' di Perugia. Fa il disegno del coro di Sant'Agostino di Perugia, allogato il primo d'ottobre del detto anno a Baccio d'Agnolo legnajuolo fiorentino. Allogazione della duplice tavola per la cappella maggiore di San- t' Agostino di Perugia. 1502. Tavola colla Natività, di Gesù Cristo, ora nella Pinacoteca perugina. Altra tavola nello stesso luogo colla Incoronazione di Maria Vergine in alto, e i dodici apostoli in basso. 1503, 19 gennajo. Allogazione del quadro rappresentante il Combattimento della Castità colla Lascivia, commessogli in Firenze dalla marche- sana Isabella Gonzaga di Mantova per cento ducati d'oro, ora nel Museo del Louvre. 1503, 1504, 1505. Sotto questi anni il suo nome è registrato a f. 186 e 187 del libro della Compagnia dei Pittori di Firenze, intitolato Libro Bosso de' Debitori e Creditori dal 1472 al 1520, conservato nell'Ar- chivio della fiorentina Accademia di Belle Arti. 1504, 25 gennajo. È chiamato insieme con altri artefici a dare il suo parere sópra il luogo più conveniente, dove collocare il David di Michelangelo. 1504. Affresco coli' Adorazione de' Magi nella Confraternita di Santa Maria de' Bianchi di Città della Pieve. 1505, 14 giugno. Scrive da Firenze alla marchesa Isabella di Mantova accusandole il ricevuto di ottanta ducati per prezzo del suddetto quadro. \ DI PIETEO PERUGINO 613 / 1505, giugno. Stima in compagnia di Lorenzo di Credi e di Giovanni delle Corniole le teste di mosaico fatte a concorrenza da David del Ghirlandaio e da Monte del Fora miniatore. 1505. di giugno. Finisce il quadro per la marchesana di Mantova. ; . . . . 5 agosto. Allogazione del compimento della tavola dell' aitar mag- giore nella Nunziata di Firenze, lasciata imperfetta per morte da Filippino Lippi. 1506. Matricolato al Collegio de' Pittori di Perugia. 1507. Tavola attribuitagli ragionevolmente dall'Orsini, gik nella terra di Montone. 1507, 5 giugno. Dagli esecutori testamentarj di Gio. Schiano legnaiuolo gli è allogata la tavola, che ora è nella Galleria Penna di Perugia, con la Madonna in pie sopra un gradino tenendo Gesù Bambino in braccio, e due angeli in aria che la incoronano; a sinistra è san Gi- rolamo e a destra san Francesco. 1510. Ha già compita la tavola della Natività di Gesìi Cristo per la cap- pella de' Vieri ih San Francesco di Siena. 1512. Fa il disegno di una nave d'argento per la mensa della Signoria dì Perugia. Compra due poderi nel territorio di Perugia. 1513. Tavola per l'aitar maggiore del Duomo di Città della Pieve. 1515. Compra una sepoltura nella chiesa della Santissima Annunziata di Firenze. 1517. Afiresco in Santa Maria de' Servi di Città della Pieve. 1518. Tavola a olio rappresentante San Sebastiano legato a una colonna e frecciato- da due arcieri: in alto vedonsi due angioletti. Nel piedistallo di essa è scritto : a. d. mdxviii. Nella Pinacoteca di Perugia. 1521. Affreschi nella chiesa maggiore di Spello: l'uno con Nostra Donna che regge sulle ginocchia il morto Figliuolo, ed ai lati san Gio- . vanni a destra e santa Maria Maddalena a sinistra: l'altro con Maria Vergine in trono, san Biagio a sinistra e santa Caterina a destra. 1521. Affresco in Santa Maria delle Lacrime presso Trevi. Affresco in San Severo di Perugia. 1522. Tavola a olio colla Trasfigurazione. Nella predella sono tre storiette: l'Annunziazione, la natività e il battesimo di Gesù Cristo. È nella suddetta Pinacoteca. 1523. Muore di peste a Fontignano tra il febbrajo e il marzo, in età di settantotto anni. 1541, 21 marzo. Muore in Firenze Chiara Fancelli sua moglie. 614 COMMENTARIO ALLA YITA PARTE QUARTA Si esamina se un documento d' allogazione (1494) di alcune pitture per la sala del gran Consiglio di Venezia si riferisca a Pietro Vannucci detto il Perugino. Il dottor Gaye ebbe dalla cortesia dell'abate Giuseppe Cadorin di Venezia, e pubblicò nel suo Carteggio inedito di Artisti ' un contratto di allegagione, de' 14 agosto 1494, fatta dal Doge Agostino Barbarigo a un maestro « Piero Peroxini » di dipingere nella sala del Gran Consiglio le immagini dei Dogi, la fuga da Roma di papa Alessandro III persegui- tato dal Barbarossa, e la battaglia di Spoleto. Il quale documento è prezzo dell' opera di qui riferire : « Notatorio del Magistrato del Sale. 1494 die 14 augusti. — I magni- « fici signori M. Fantin Marcello et compagni, dignissimi Provedadori al « Sai, de comandamento dil Serenissimo principe, hano fato marchado, « et sono rimasti d' acordo cum m." Piero Peroxini depentor, el qual ha « tolto a depenzer nela sala del Gran Conscio uno campo tra una fene- « stra et l' altra , in ver san Zorzi ; tra el qual campo et el campo de la « historia dila Charitade, è uno altro campo over quadro, il qual campo « ha tolto a depenzer, zioè da una fenestra al altra: et sono tre vólti « compidi et mezo; nel qual die depenzer i tanti Doxi quanti achaderà,, « et quella historia quando il Papa scampa da Roma, et la bataia seguida, « di soto havendo a compir quella lossa achaderk in curia di le fenestre « oltre la mitade (?). Item el ditto m. Piero sarà obligado far tuor in « desegno l'opera è al presente, et quella darà ai prefati Magnifici Si- « gnori Provedadori, essendo obligado far essa historia pini tosto miorar, « che altramente: dell'altri lavori factì in ditta Sala, sì come si conviene « a quello degno luogo: dovendo far ditta opera pivi richa della prima, « a tute soe spexe de oro, arzente, azuro et colori, et de tutte quelle « cosse apertien a l' arte del depentor. Et li Magnifici S.""' P.""^' li faranno « far il teller de legnami et de telle da depenzer suxo, et i soleri, et « altri inzegni , azò depenzer possi. Harà ditto maistro per suo pagamento « del ditto lavor, cum li muodi dichiaridi di sopra, ducati quattrocento e d'oro, zoè ducati 400, facendo da cima fino a basso sopra el bancho ' Tomo II, pag. 69 e 70. DI PIETRO PERUGINO 615 « tutti quelli lavori melo parerà star bene, ne menor fatura de quelle è « al presente. Il qual pagamento suo harà, dallo Off." dil Sai a tempo « in tempo, si come sarà necessario, et che esso maistro lavorerà ». Il Gaye non dubitò punto che il pittore nominato in questo docu- mento non fosse Pietro Vannucci detto il Perugino. Sei anni dopo, que- sto stesso contratto fu di nuovo stampato dal Cadorin medesimo in uno opuscoletto, ' nel quale segue anch'egli la opinione dello scrittore prus- siano; e accreditando la taccia di avarizia e di venalità data al Peru- gino dal Vasari, soggi vinge che questa vile passione si fé' signora del- l'animo di lui anche presso i Veneziani, pretendendo doppio prezzo di quello che per tale lavoro gli era stato offerto. Il che fu cagione che il Senato cessò da ogni trattativa col Vannucci. Ventun anno dopo, Tiziano Vecellio scrisse e presentò, a' 13 di mag- gio 1515, una domanda al Doge, colla quale si offriva e si obbligava di dipingere le storie medesime per la metà del prezzo già per questo la- voro promesso al Perusin; cioè per ducati quattrocento. Nel 20 di gen- najo 1515 (stile comune, 1516) fu accettato il partito, ma ridotto il prezzo di pagamento da ducati quattrocento a trecento.' Questa pittura di Tiziano perì, insieme con quelle di valorosi pennelli, nell'incendio del Palazzo Ducale accaduto nel 1577. Peraltro, la opinione de' due benemeriti scrittori ci fa nascere alcuni dubbj, che qui verremo esponendo. Se vogliamo che il Piero Peroxini e il Perusin dei citati documenti non si abbia da credere Pietro Vannucci, allora ci si fa difficile a inten- dere come ad un pittore ignoto ai biografi veneti anche più antichi la Repubblica affidasse un' opera di tanta importanza nella sala del Gran Conseio, dove solo i più famosi pennelli furono chiamati a dipingere : ' e oltreciò, come un pittore di oscuro nome, e quindi mediocre o tale ri- putato, non s'acconciasse al prezzo di 400 ducati, e ne chiedesse anzi il doppio. Ma il Perugino poteva allora andare a Venezia ? Osservando nel Pro- •spetto cronologico della vita e delle opere di lui, noi troviamo appunto nell'anno 1494 due sole pitture: il proprio ritratto e la tavola per Cre- ' Dei miei studj negli Archivi, Discorso dell' ab. Giuseppe Cadorin , letto nell'Ateneo di Venezia, ed inserito nel voi. V de' suoi atti. Nen&zm, Cec- chini, 1864, in-8. ^ Anche questa istanza di Tiziano e la deliberazione del Senato veneto sono pubblicate nel citato opuscolo del Cadorin. ' Cominciando da' più antichi, si distinsero a gara il Guariento, Vittore Pisanello, Giovanni e Gentile Bellini, Alvise Vivarini, Cristoforo da Parma, Lat- tanzio da Rimini, Vincenzo da Treviso, Marco Marciano, Francesco Bissuolo ecc. 616 COMMENTARIO ALLA VITA mona; le quali egli poteva eseguire dappertutto, senza impedirgli di re- carsi a Venezia, e crescere nobiltà e decoro col suo pennello a quella^ insigne sala. L'aver poi taciuto di questo fatto di qualche importanza alle storie di quel luogo e alla vita del Perugino il Vasari e gli scrittori di Belle Arti anche veneti, è cosa, della quale si può dar ragione col dire che, non essendo stata quell'opera eseguita altrimenti dalla mano del Vannucci, facile era che la notizia non se ne divulgasse, o che non fosse creduta degna di esser consegnata alla storia e tramandata alla me- moria de' posteri. Ma se queste sono ragioni di qualche peso per sostenere la opinione del Gaye e del Cadorin; altre pure se ne affacciano, che le contrariano. Di fatto, se questo pittore fosse veramente il maestro di Raffaello, per- chè mai il suo nome non è accompagnato da que' soliti predicati lauda- torj che allora nelle carte venete soleansi premettese ai nomi dei maestri insigni, come a. dire: magnifico, molto illustre, e simili? I quali titoli al • certo non isconvenivano a Pietro Perugino, già a quel tempo in fiore e in fama nell'arte. Né crediamo che il gran Vecellio avrebbe saputo ne- gare qualche aggiunto onorifico al nome del « Perusin », se nella sua supplica al Senato avesse inteso di parlare del valoroso Vannucci. • Dopo ciò, sebbene tutto il nostro esame si riduca solamente ad una. serie di dubbj prò e contro la opinione del Gaye e del Cadorin; senza però risolvere se gli uni abbiano maggior peso degli altri ; ci sia concesso di ammettere che il pittore degli allegati documenti non sia il Perugino. In tal caso vien naturale la domanda : ma chi era dunque questo Piera Peroxini V Il professor Rosini, il quale non conviene niente affatto nella opinione del Gaye, ' vuol riconoscere nel Piero Peroxini del nostro documento l'autore di quella tavola esistente nella Galleria Rinaccini, dove sona rappresentati tre santi in pie, minori del vivo, dentro certe nicchie finte; cioè : san Marco ( s. marcvs ) nel mezzo ; san Girolamo a destra ( s. hiero- -^ NiMvs ) ; san Gherardo a sinistra ( s. geuardvs sagredvs ( ? ) mart ). In uiia^ ' scritta di carattere corsivo grosso, segnata nel rientro della base, sulla quale stanno i santi, e precisamente quello tra il san Marco e il san Ghe- rardo si legge : Pietro Perugino pinx. (Inno 1512. Noi volentieri ci accostiamo alla opinione dello Storiografo, e con altri argomenti la rendiamo maggiormente probabile. In primo luogo ci '■ Storia della Pittura Italiana, III, 189, 190. f DI PIETRO PERUGINO 617 da ragion di credere veneziano questo Pietro Perugino il sapere che la tavola di casa Rinuccini vien da Venezia, donde fu portata a Firenze da un certo signor Grimaldi, il quale ne fece un cambio col marchese Rinuccini. In secondo luogo, questo dipinto non ha nulla affatto, non che della maniera del Vannucci, ma nemmeno della scuola peruginesca; che anzi, ritrae così da vicino quella di Giovanni Bellini, da doverlo attri- buire piuttosto ad un suo discepolo. Oltre ciò, osta a crederla lavoro del Perugino la dizione stessa della epigrafe, che ci offrirebbe l'unico esem- pio di un'opera di lui con soscrizione in volgare. ' Altra singolare coincidenza, e quanto all'anno e quanto al nome del pittore, si presenta a sostegno della nostra congettura in quello che sap- piamo dal Cicogna. ^ Egli dice che nella scuola di San Giovanni Evan- gelista di Venezia si vedeva un quadro, dove era rappresentato un miracolo della «Santa Ci"oce: cioè quando due capitani e due navigli di Andrea Ven- dramin sono per virtù di quella scampati da un naufragio. Questo quadro fu eseguito nel 1494 « de man de un Perosino »; ma essendo arso, venne rinnovato nel 1588. Da' quali argomenti esce per noi probabile la conghietturale conclu- sione, che il Piero Peroxini del recitato documento altri non sia se non il Pietro Perugino della tavola di casa Rinuccini ; la cui originale epigrafe essendosi guastata , forse fu rifatta sopra alcuni elementi che dell' antica restavano: come ne da indizio il non esser essa di scrittura perfettamente simile a quella che si vede nella cartella in mano del San Marco, ed aver un non so che di più moderno e di traente all' vdtima metà del se- colo XVI. Chi ci dice che nel rifarla non fosse alterata? Finalmente, il cognome Perusini non è nuovo a Venezia, e questa fa- miglia è stata ed è tuttavia in quella città. ' PARTE QUINTA Andrea Luigi detto l'Ingegno Parendoci che nessuno meglio del barone di Rumohr abbia trattato un punto controverso oggidì intorno alla vita di questo artefice, ne me- glio abbia ribattuto un' erronea asserzione del Vasari ; abbiamo stimato opportuno di servirci delle stesse parole, traducendole, di quel dotto te- ' Al Rosini però falli la memoria, imperciocché riferisce questa in latino. ' ^ Iscrizioni Veneziane, I, 47. ' Un' altra ragione per credere veneto questo artefice ci pare si possa de- durre dal trovarsi che intorno a quei tempi si ha ■ ricordo di un Giovanni 618 COMMENTARIO ALLA VITA desco, il quale, colla scorta di memorie e di documenti d' incontrastabile autenticità, ha provato che l'Ingegno non fosse colto dalla disgrazia di diventar cieco se non molti anni dopo il tempo assegnatone dall'aretino Biografo. Gli argomenti, coi quali conforta e circonda la sua opinione il Rumohr, ci appajono di tanta forza ed evidenza, che noi atidiamo per- suasi siano bastanti a vincere qualunque contrario sentimento. « Anche fra i pittori che il Vasari fa derivare dalla scuola del Peru- gino, potrebbero alcuni appartenere piuttosto alla scuola di Niccolò Alunno : e nominatamente Andrea di Luigi detto l'Ingegno, e Bernardo Pintu- ricchio. « Il Vasari narra: che l'Ingegno apprendesse l'arte da Pietro Peru- gino, gareggiando alla sua scuola con Raffaello; che abbia ajutato il suo preteso maestro nella sala di Udienza del Cambio a Perugia, e quivi di- pinto alcune belle figure , che egli per altro non descrive particolarmente. Sebbene ora potrebbe esser difficile il ritrovare queste figure, circa le ■quali forse neppur lo stesso Vasari ebbe esatta notizia, pure i moderni intendenti si sono risoluti per le Sibille ed i Profeti: perchè son queste le più belle figure di tutta l'opera. Il Vasari afferma inoltre, che l'In- gegno abbia ajutato il Perugino anche ne' suoi lavori ad Assisi : forse qiii intende delle pitture sull'estremo della cappella di San Francesco, in mezzo alla chiesa di Santa Maria degli Angeli. In fine, vien egli alla cappella Sistina, dove fa ajutare parimente il nostro artefice, dicendo poco dopo: che le grandi speranze date dall'Ingegno furono fraudate per il suo siibito acciecamento , onde papa Sisto (non può parlarsi qui di Sisto IV) aveagli assegnato in Assisi una pensione annua, che egli go- dette fino al suo ottuagesimo sesto anno. Perorino, del quale è in Alba una tavola ai Conventuali coiranno 1517. Il Della Valle, infatuato a cercare pittori piemontesi, sostenne che questo Peroxino e Pietro Grammonzio (e non Gramorzeo, come egli dice ) fossero di quella pro- vincia, perchè di loro si trovano opere in Piemonte. Il Lanzi credette alle parole del Della Valle: ma l'erudito cav. Bossi, nelle sue note alla Vita di Leon X del Koscoe, ne ha qualche dubbio; e sospetta in quella vece, che il Peroxino ed il ■Grammonzio sieno lombardi. (Vedi la Vita suddetta, pag. 134, tom. IX). 1 Intorno a questo fatto controverso della vita artistica del Perugino, la opinione del Gaye e del Cadorin, alla quale si sottoscrivono anche i signori Crowe e Cavalcasene, pare a noi la più giusta e ragionevole. E certo che il Perugino nel 1496, quando fu parlato di allogargli le pitture del Cambio, aveva da soddisfare certi altri suoi impegni, e che fra pochi mesi doveva recarsi in Venezia, forse per conto dell'opera della Sala del Consiglio (Vedi Storia Ar- tistica del Cambio di Perugia, del prof. Adamo Rossi, già citata), ed è proba- bile che la tavola con un Miracolo della Croce, per la Scuola di San Giovanni Evangelista di Venezia, fatta da un Perosino, secondo una memoria riferita •dal Cicogna, sia stata dipinta dal Vannucci. DI PIETRO PERUGINO 619 « Sisto IV morì nel 1484; Raffaello venne per la prima volta verso il 1500 nella scuola del Perugino, e la sala del Cambio a Perugia si co- minciò a dipingere nell'anno 1500. Dunque il Vasari commise un gros- solano errore di cronologia, giacche l'Ingegno non è possibile che potesse acciecare venti anni prima del tempo in cui si dice aver dipinto e gareg- giato con Raffaello. Il Mariotti {Lettere Perugine, pag. 161) e l'Orsini (Guida di Perugia) stimano perciò impossibile che l'Ingegno abbia la- vorato nelle pitture del Cambio, appunto perchè essi vogliono credere al Vasari riguardo al suo anteriore acciecamento. Ma essi avrebbero potuto piuttosto venire alla congettura, che il Vasari non sia stato informato esattamente di tutto quel fatto. Nella prima edizione del Vasari (1550, in-8), non è pure una ijarola sull'Ingegno; egli vien menzionato soltanto nella seconda, ampliata (Firenze, Giunti, ,1568, in-4); e non sarebbe perciò affatto impossibile che in quest' ultima Papa Sisto fosse un error di stampa o di penna in luogo di Pajja Giulio II; poiché, senza contra- sto, sotto quest'ultimo ha l'Ingegno ottenuto un impiego papale, come noi vedremo. Però ]Doteva il Vasari in questo luogo , secondo il suo solito , per una mera associazione di reminiscenze, aver rammentato il nome di Sisto, di cui la prenominata cappella Sistina, citata contro l'ordine dei tempi pivi tardi del Cambio di Perugia, dovea richiamargli appunto la memoria. « Ma lasciando da parte cotal quistione, egli è di per se pienamente dimostrabile, che Andrea, seppure acciecò mai, almen non così presto era acciecato. Imperciocché il cav. Frondini di Assisi, diligente e fedele raccoglitore di patrie antichità, conserva un libro che io stesso ho veduto, dove Andrea in diversi anni fa quietanza di alcune riscossioni per il suo fratello, canonico del Duomo di Assisi. Egli vi si segna: Ingegnio di Maestro Alivisse, ancora Allovisii, Allevisi e Aloisi. Ecco il tenore del- l' ultima quietanza : « Ingegno di Maestro Allevisi, die Mercurii, quinta decemhris, 1509 ». Se egli avesse fatto scrivere da altri queste quietanze segnate da mano franca e identica, sarebbe stato, secondo l'uso giudi- ciario di ogni tempo, espressamente notato e testificato. « Ma sembra ancora che il soprannome di' Ingegìto, se pure (il che in Italia non sempre avviene) aveva una cagione estrinseca, sarebbe da de- rivare non solamente dal suo genio per la .pittura, ma sì ancora dalla varietà ed attitudine d'ingegno che Andrea mostrò più tardi anche nel maneggio dei civili negozj. Il Frondini mi comunicò parecchie autentiche notizie, nelle quali il nostro artefice apparisce come Procuratore,' Arbitro, ^ ' Archivio delle Riformagioni d'Assisi, anno 1501, 7 febbrajo, a carte 48. " Lodo rogato da ser Giampietro Benzi not. pub., die 6 sept. 1507. 620 COMMENTARIO ALLA VITA Sindaco del Magistrato,' e finalmente come Camarlingo Apostolico;^ uf- ficj che, oltre l'uso della vista, richiedono un ingegno pratico. La sud- detta nomina a Camarlingo del Governo potrebbe forse aver dato motivo alla summentovata indicazione del Vasari, che le circostanze dimostrano erronea. Sembra che Andrea non sia entrato in questo pubblico ufficio prima dell'anno 1511, perchè nell'anno precedente aveva egli sostenuto un altro incarico civile. Ad ogni modo, il Vasari scambia qui un ufficio con una pensione; e, come abbiamo osservato di sopra, Giulio II con Sisto IV. Ora, anche per cagione della semplice debolezza di vista, ben può essere che l'Ingegno avesse trascurata la pittura, il che certo potè accadere ; altrimenti noi avremmo una più precisa contezza della sua ope- rosità artistica. Ma piìi s'accosta al vero l'ammettere che l'animo suo volto agli affari , di che abbiamo sicure notizie , lo abbia sottratto all' arte ; piuttostochè la sua cecità o debolezza di vista, circa la quale, com'è chiaro, neppure il Vasari stesso ftveva ricevuto circostanziata notizia. « Io non mi sono mai trattenuto nella ragguardevole città d'Assisi tempo bastante a potere esaminare attentamente i suoi Archivj rispetto alle pitture dell' Ingegno. 11 Frondini non mi potè comunicar notizie che di una sola sua opera di nessun rilievo, cioè di alcuni stemmi, dipinti nell'anno 1484 pel palazzo del Consiglio.' Tuttavia anche da questa no- tizia resulta, che l'Ingegno nell'anno 1484 era di già pittore e maestro, e quindi di nuovo appar verisimile che egli sia stato scolaro , non del Pe- rugino, come vuole il Vasari, ma piuttosto di Niccolò Alunno. Questi aveva già intorno al 1460 aperto nella vicina Fuligno bottega stabile, mentre Pietro fin dopo il 1490 trovò lavori ora in Firenze ora in Roma, e sola- mente verso la fine del secolo fondò a Perugia la sua scuola. Ciò non ostante può maestro Andrea, come allora accadeva, avere ajutato il Pe- rugino nei lavori allogatigli, e nella comune opera essersi appropriato molto della sua maniera. « Intanto mancano affatto prove sufficientemente autentiche del suo ingegno. Un unico dipinto da me già accennato nel Kimstblatt del 1821, N° 73, allora nelle mani dell'incisore e negoziante d'oggetti d'arte, Giovanni Metzger a Firenze, portava le iniziali A. A. P., che io inter- ' Riform. ultimo aprilis 1510 « Magister Andreas magistri Aloysii sìndicator Potestatis ». ^ Archivio della Segreteria d'Assisi. Una lettera del 7 aprile 1511, con la soprascritta: « Alphanus de Alphanis , Perusii vicethesaurarius , spectàbili viro magistro Andrea dieta Ingegno, camerario Apostolico in dvitate Assisi. ' Bollettario in sagrestia del pubblico: <( An. 1483, 29 octobris. Magister ANDREAS ALOYSII habuit bullectam prò armis pictis in platea et ad portas ci- vitatis fior. 5 solid. 26. DI PIETRO PERUGINO 621 petrai: Andreas Aloysiì lìinxit, indicando al tempo stesso le dissomiglianze che distinguevano questo pittore dal Perugino. Queste dissomiglianze (om- bre forti, tono principale brunetto, pienezza e sodezza nella forma mag- giori di quelle proprie dei pittori umbri) credetti di riconoscere nella Madonna sotto l' arco di una porta laterale ad Assisi sopra San Francesco (Porta San Giacomo), come pure in due altre, Tuna in via Superba, poco lungi da San Francesco, in una casa pri-vata; l'altra in un'angusta viuzza della città superiore. Non pertanto, essendo cosa pericolosa il pre- venire in ciò la possibilità, di ulteriori scoperte , io ho sempre con riserbo esposto quelle conghietture. « Altri scrittori, con quella inconcepibile temerità che suol esser pro- pria dei lavori delle moderne storie dell'Arte, hanno parlato di questo maestro sin qui ignoto, e fors' ancora di niun conto, appunto come di un antico conoscente; e privi di ogni autentico fondamento, hanno dato per sue opere, che per il loro carattere non possono appartenere né ai tempi di Andrea, ne in generale ad un pittore, che nel 1484 era già maestro formato ». Se il Vasari è da compatire quando racconta, con quella sua trascu- ratezza della cronologia, che Andrea Luigi fu il migliore scolare del Pe- rugino; che nella sua prhna gioventù fu emulo di Raffaello ; che ajutò il maestro ne' lavori della Sistina (forse 25 anni dopo) e finalmente in quelli del Cambio ( altri 25 anni più tardi ) , e che non ostante ciò sia acciecato tanto tempo innanzi; fa dall'altro lato meraviglia che tali gros- solane incompatibilità non abbiano fatto aprire gli occhi agli investiga- tori più recenti, e mostrato loro che quella notizia capitata tardi al Vasari, e soltanto dopo la sua prima edizione, era grandemente indeterminata e confusa. Principalmente avrebbero dovuto essi desistere dall' attribuire ar- bitrariamente a questo pittore, le cui opere persino il compiacente Va- sari passa sotto silenzio, lavori che egli di certo non ha mai fatti. Può esser debolezza, ma però io non posso mai senza un interno disgusto ri- vedere quel capitolo del Lanzi, cui neppure una sola opera certa del- l'Ingegno era nota, dove con quella sua maniera disinvolta racconta, che Andrea « può dirsi il primo di quella scuola che cominciasse ad in- « grandirne la maniera, e a raddolcirne il colorito. Lo mostrano alcune (?) « sue opere : e singolarmente le Sibille ed i Profeti fatti a fresco nella « Basilica di Assisi; se (aggiunge) son di tal mano, come si crede ». Que- ste Sibille con il restante della cappella furon dipinte da un contempo- raneo del Vasari, Adone Doni, il quale anche nel 1580 lavorava nel gusto degli ultimi seguaci del Buonarroti. Il contratto e il pagamento esistono ancora; sicché io non comprendo come si possa persino in Assisi essere attaccati pur sempre a quella opinione repugnante e mal fondata. Final- 622 COMMENTARIO ALLA VITA mente il Fiorillo , per compir la confusione , ha scambiato queste Sibille con quelle più antiche nel Cambio di Perugia, ed ha trasferito quest'ul- timo ad Assisi, dove non esiste verun edifizio consimile. (Rumohk, Italie- nische Forschungen, II, 324-330). PARTE SESTA Di Domenico di Paride Alfani, e di Orazio e Cesare suoi figliuoli, pittori perugini Domenico Alfani. — Domenico fu figliuolo di Paride di Pandaro Alfani e di Sebastiana, vedova di Stefano di Angelino di Vico, a cui si unì in matrimonio nel 1478. Paride fu ammesso nel Collegio degli Orafi nel 1463. Fece testamento nel 1520. Il nostro Domenico fu ascritto al Collegio de' Pittori per Porta Borgna nel 1510, ed in quella matricola è nominato « Dominicus Paridis Pan- dari Alfani », e così in altre carte. Nel 1527 fece il suo primo testamento. Nel 1536 sposò una certa Maddalena di Filippo. L'anno 1549 fu eletto, insieme con Giambatista Caporali e Pompeo Cocchi, a stimare il quadro da Lattanzio Pagani fatto per Santa Maria del Popolo di Perugia. Nello stesso anno 1549, fece il suo secondo testamento. 11 Pascoli dice nato r Alfani nel 1483 con Raffaello, e morto con lui nel 1520. Ma egli vi- veva ancora ed operava nel 1553, imperocché in quest'anno insieme col figliuolo Orazio prende a dipingere una tavola in San Francesco di Pe- rugia. (Vedi Mauiotti, Leti. Perug,, pag. 241 e seg. ). Venendo alle pitture sue, gli scrittori perugini molte ne citano; ma noi ricorderemo solamente quelle autentiche, a noi note, disponendole nell'ordine de' tempi, come segue: i 1510. Nella Pinacoteca di Perugia è una Santa Famiglia; innanzi ad un fondo di paese e sotto una gloria d'angeli mirasi in mezzo la Ver- gine seduta, con Gesù Bambino in atto di pigliare una melagrana da san Giuseppe: sono a sinistra il Battista e, più indietro, sant'Anna; a destra san Giovacchino. Sul petto della Vergine leggesi mcccccx; sul lembo del manto che cuopre la gamba destra di Maria è Ansel Menco e dietro sant'Anna, sull'arco, Anselmo. Opera condotta secondo un disegno di Raf- faello. (GcAKDABAssi, Ifidice-Guida , pag. 219). 1511. Unitamente a Berto di Giovanni dipinse sei pennoni per le trombe del Magistrato di Perugia. (Mariotti, Lett. Perug., 242). DI PIETRO PERUGINO 623: 1513. Con lo stesso Berto di Giovanni dipinse pel Magistrato le armi di papa Leone X. (Mariotti, ivi). 1518. Nel Collegio Gregoriano, o Sapienza Vecchia, è una tavola con Nostra Donna e il Putto seduta in trono, e due angeli sopra,' che so- stengono la sua corona, ed ai lati san Gregorio papa e san Niccolò di Bari. Nel lembo del manto, ai piedi della Vergine, si legge da un lator A. D. MDxviii; e dall'altro, dominicvs fecit. Di questa tavola si vede un intaglio a pag. 22 del voi. V della Storia del Rosini. t 1521. Nel Duomo di Città della Pieve è una tavola con Maria Ver- gine in trono col Putto, due angeli e due santi. In basso si legge: domi- NICUS PASIDIS PERUSINDS PINXIT ANNO MDXXI. t 1522. Nella detta Pinacoteca è la Pietà, ossia il corpo morto del Redentore compianto dalle Marie e da san Giovanni Evangelista. Nel lembo del manto della Vergine che discende sul braccio destro , leggesi r A. D. Mcccccxxii. Domenico Paris fec. 1 1524. Nello stesso luogo è una tavola a olio con Maria Vergine che accarezza il Bambino in piedi, ammirato da san Pietro e san Paolo e ado- rato da san Niccolò e san Luca. Nel gradino del trono è l'anno mdxxiiii. 1532. Tavola per la chiesa di Santa Giuliana di Perugia, nella quale si vede Nostra Donna e il Bambino, seduta, con ai lati santa Margherita tenendo incatenato il drago, san Giovanni Battista e due angeli accanto al seggio. A grandi lettere vi è scritto : a. d. mdxxxii. dominicvs • paridis • f. picTOR • PEEVsiNVS • FACiEBAT. Questa tavola è ora nella Pinacoteca perugina» 1534. Tavola per la chiesa della Madonna di Castel Rigone nel con- tado Perugino. Di questa oggi non rimane nella chiesa suddetta altro che il basamento e il timpano, o colmo. Vuole il Mariotti, e a lui ten- gon dietro altri scrittori, che questa tavola nell'anno 1643 fosse tolta da- Ferdinando II granduca di Toscana e posta nella Galleria di Firenze. Ma il cav. Montalvi, illustrando la tavoletta con una Santa Famiglia di Orazio Alfani esistente nella Galleria degli Uffizj, avvertiva giustamente, che non poteva essere la tavola di Castel Rigone fatta dal padre suo Dome- nico Alfani : sì perchè è riconosciuto che quella Santa Famiglia è opera del figliuolo ; sì perchè le sue dimensioni non corrispondono al vuoto del for- nimento, dell' imbasamento e del timpano che tuttavia rimangono. Egli j»oi assicura, che nel quadro di Castel Rigone era figurata l' Epifanìa con trentaquattro figure nel piano , e in aria un concerto d' angeli. ' 1535. In compagnia di un certo Giacomo Milanese dipinge nel muro del palazzo de' Priori le armi di Paolo III, in occasione della prima so- lenne venuta di questo pontefice in Perugia. (Mariotti, loc. cit.). ' Vedi la Galleria di Firenze illustrata, Serie Prima, voi. I, pag. 30, 624 COMMENTARIO ALLA VITA 1536. Dipinge la statua di San Lodovico per San Francesco. (Mariotti, loc. cit. ). Racconta il Vasari che il Rosso fiorentino, fuggito da Roma in occa- sione del sacco del 1527, dove era stato assai maltrattato, e riparatosi a Perugia, fu da Domenico Alfani molto accarezzato e riverito, « ed egli disegnò per lui un cartone di una tavola de' Magi ». (Vasari, Vita del Rosso). Nella chiesa di Sant'Agostino è una tavola coli' Adorazione de' Magi, dagli scrittori attribuita a Orazio Alfani. Il Mariotti, non sappiaruo con quali documenti, la dice del 1545, e stima che sia quella che Domenico fece sul cartone del Rosso. * 1553, 20 febbrajo. Ser Pietro di Matteo di messer Antonio da Perugia alluoga a dipingere a Domenico degli Alfani e a Orazio suo figliuolo una tavola con Cristo in croce nel mezzo, e da mano diritta san Girolamo, e da sinistra sant' AppoUonia, da porsi nella sua cappella in San Fran- cesco de' Minori Conventuali. Gli Alfani promisero di ultimarla dentro sei mesi, per prezzo di cento fiorini di bolognini quaranta per ciascuno, com- presovi r ornamento di legno eh' essi vi dovevano far fare dal celebre in- tagliatore Eusebio Bastoni. (Mariotti, loc. cit.). Questo Crocifisso esiste sempre nella suddetta chiesa. '^ Orazio Alfani. — Orazio Alfani è ormai provato per documenti che fu figliuolo e non fratello di Domenico, a cui nacque verso il 1510 da una certa Maddalena di Filippo, allora donna libera, divenuta poi sua moglie legittima nel 1536, come si è detto di sopra. Fn quindi, per volere del padre, legittimato nel 1520. Alla Matricola de' Pittori fu ascritto Orazio, per porta Santa Susanna, nel dicembre 1545 col nome di Horatius Do- minici Paridis Alfani. Nel 1576 egli dipingeva nella sala grande del Magistrato, e sosteneva ad un tempo l'ufficio di pubblico architetto della citta; dal quale fu rimosso, forse a cagione della sua negligenza, nel dicembre dello stesso anno 1576, entrando in suo luogo Bino Sozj. Il Mariotti, dal quale abbiam cavato queste notizie, fu il primo a scoprire che ad Orazio Alfani è dovuta la fondazione dell'Accademia del disegno ' t Nel detto Indice-Guida, a pag. 243, si dice invece che l'Epifania di Castel Rigone è quella che fu dipinta da Domenico Alfani secondo il cartone del Rosso. L'Epifania che è in Sant'Agostino è uno de' soggetti della tavola bifronte che l' Alfani dipinse nel 1544 per la chiesa di Santa Maria Novella, altro luogo degli Agostiniani. ^ t Nella stessa chiesa, oggi chiamata di San Francesco al Prato, è un'altra tavola di Domenico commessagli dagli Eredi di Angelo Alessandri nell'aprile del 1537 per il prezzo di 150 fiorini. Maria Vergine, seduta sopra un alto basa- mento architettonico, tiene in grembo il Divin Figliuolo, presso al quale stanno il piccolo Battista e san Giuseppe. In basso sono san Francesco a sinistra e sant'Antonio a destra. ( Indice- Guida , p. 175). , DI PIETRO PERUGINO 625 nella sua patria: e ciò fu nel 1573. Questo artefice morì in Roma nelle feste di Natale del 1583 ; lasciando erede Domenico suo figliuolo. « Delle pitture di Orazio Alfani, in tavola, in -tela ed in muro, ne è « ripiena Perugia, e ne conto presso a trenta ». Così V Orsini nelle Me- morie del Perugino. Difatto le Guide sì antiche come moderne di quella città non ne attribuiscono a questo pittore in minor numero. Ma perchè di nessuna e provata l'autenticità con documenti irrefragabili; così, p.er non indurre i nostri lettori in errore con false indicazioni, non faremo ricordo di nessuna ; ma chi ne fosse vago potrà vederle descritte nelle Guide sopra citate. L' unica opera certa di Orazio è la tavola del Ci'oci- fisso con san Girolamo e sant'Appollonia in San Francesco di Perugia, di- pinta in compagnia del padre nel 1553, già da noi ricordata. Cesare Alfani. — Altro figliuolo di Domenico fu Cesare, legittimato anch'esso nel 1520, similmente pittore, e matricolato all'Arte nel 1553, l^er Porta Borgna. Egli cessò di vivere nell'anno 1579. Di lui non cono- sciamo veruna opera. (Vedi Mariotti e Orsini, op. cit. ). Vasabi Opere - Voi IH. 40 f 027 VITTOEE SCARPACCIA' ED ALTRI PITTORI VINIZIANI K LOMBARDI (La sua prima raeinoria artistica è del 1490; l'ultima del 1522?) Egli si conosce espressamente, che quando alcuni de' nostri artefici cominciano in una qualche provincia, che dopo ne seguono molti, l'un dopo l'altro, e molte volte ne sono in uno stesso tempo infiniti; perciocché la gara e T emulazione, e l'avere avuto dependenza chi da uno e chi da nn altro maestro eccellente, è cagione che con più fatica cercano gli artefici di superare V un l'altro , quanto possono maggiormente. E quando anco molti de- pendono da un solo, subito che si dividono o per morte del maestro o per altra cagione, subito viene anco di- visa in loro la volontà; onde per parere ognuno il mi- gliore e capo di se cerca di mostrare il valor suo. Di molti dunque, che quasi in un medesimo tempo e in una stessa provincia fiorirono, de' quali non ho potuto sapere ne posso scrivere ogni particolare, dirò breve- mente alcuna cosa, per non lasciare, trovandomi al fine della seconda parte di questa mia opera, indietro " Scarpaccia è una corruzione di Carpaccio , suo vero cognome, t Dice l'abate Cadorin nelle note ad un documento pubblicato da Michelan- gelo Gualandi, Memorie di Belle Arti, serie III, pag. 92, che la nascita del Carpaccio nell'Istria è provata dal canonico Stancovich, ma è incerto il luogo ed il tempo. Ne' ricordi contemporanei è chiamato Scarpaza. 628 VITTORE SCAEPACCIA alcuni che si sono affaticati per lasciar il mondo adorno dell'opere loro: de' quali, dico, oltre al non aver potuto aver l'intero della vita, non ho anco potuto rinvenire i ritratti; eccetto quello dello Scarpaccia, che per questa cagione ho fatto capo degli altri.' Accettisi, dunque, in questa parte quello che io posso, poiché non posso quello che io vorrei.' Furono, addunque, nella Marca Trivisana ed in Lom- bardia, nello spazio di molti anni, Stefano Veronese, Akligieri da Zevio, Iacopo Davanzo bolognese, Sebeto da Verona, lacobello de Flore, Guerriero da Padova, Giusto e Girolamo Campagnuola, Giulio suo figliuolo, Vincenzio Bresciano, Vittore, Sebastiano e Lazzaro Scarpaccia, vi- niziani, Vincenzio Catena, Luigi Vivarini,' Giovan Bati- sta da Conigliano, Marco Basarini, Giovannetto Corde- gliaghi, il Bassiti, Bartolomeo Vivarino, Giovanni Man- sueti, Vittore Bellino, Bartolomeo Montagna da Vicenza, Benedetto Diana e Giovanni Buonconsigli , con molti altri, de' quali non accade fare ora menzione. E per cominciarmi dal primo, dico che Stefano Ve- ronese,* del quale dissi alcuna cosa nella Vita d'Agnolo ' *II Lanzi, nell'Indice della sua Storia, dice che il ritratto del Carpaccio da se stesso dipinto è presso la famiglia Giustiniani alle Zattere; e che poi'ta scritto l'anno 1522. Sebbene questa Galleria oggi sia invisibile, pure abbiam cagione di credere che esso ritratto vi sia ancora. i Del ritratto del Carpaccio ricordato dal Federici (Memorie Trivigiane, pag. 228), e dal signor Otto Mundler come posseduto dal cav. Giustiniani alle Zattere, i signori Crowe e Cavalcaselle dicono non avere nessuna contezza. (Histoì-y of Painting in North Italy, I, pag. 213, nota 4). ^ Ecco una confessione ingenua e da scrittore onorato, la quale dovrebbe esser bastevole a far tacere i suoi detrattori, che gli mettono a colpa ogni omis- sione verso artefici non toscani. * *Di Luigi Vivarini noi abbiamo già ragionato abbastanza nella nota 2 a pag. 159. ' Egli ebbe i natali in Zevio, paese soggetto a Verona. Fu uno dei migliori scolari d'Agnolo Gaddi. Parlarono di lui il Baldinucci, il quale copiò il Vasari; il Panvinio; e il Dal Pozzo, scrittore delle Vite de' Pittori veronesi. t Le moderne ricerche vorrebbero stabilire che due sieno stati i pittori veronesi col nome di Stefano. Del più antico, chiamato perciò il seniore, si credono le pitture del coro e la Crocifissione presso la porta della sagrestia VITTORE SCARPACCIA 629 Gaddi, fu più che ragionevole dipintore de' tempi suoi: e quando Donatello lavorava in Padova, come nella sua Vita si è già detto, andando una volta, fra T altre, a Ve- rona, restò maravigliato dell'opere di Stefano; affermando che le cose che egli aveva fatto a fresco, erano le migliori che insino a que' tempi fussero in quelle parti state lavorate. Le prime opere di costui furono in Sant'An- tonio di Verona, nel tramezzo della chiesa, in una testa del muro a man manca, sotto il girare d'una volta; e furono una Nostra Donna col Figliuolo in braccio, e Sant'Iacopo e Sant'Antonio che la mettono in mezzo. Questa opera è tenuta anco al presente bellissima in quella città, per una certa prontezza che si vede nelle dette figure, e particolarmente nelle teste fatte con molta grazia.' In San Niccolò, chiesa parimente e par- nella chiesa di San Zeno; sebbene non manchino alcuni che assegnano quest'ul- tima opera ad Altichiero. E ancora antica tradizione che di questo Simone fos- sero gli affreschi che ornavano la facciata della chiesa d'IUasi, fuori di Verona; de' quali l'unico avanzo fu trasportato col muro in un altare dentro la detta chiesa. Esso rappresenta la Vergine col Putto seduta in trono con sei angioletti in gloria, ed il pavone ai piedi. All' altro Simone, detto l'juniore, nato da un Giovanni nel 1393, apparterrebbero le pitture ricordate dal Vasari, restando oggi solamente gli avanzi di quella fatta sopra la casa Sona nella strada di San Paolo che mette alla Porta del Vescovo, dov'è figurata Nostra Donna col Figliuolo, con angeli clie le fanno corona, e san Cristofano. Gli angeli, che il Vasari dice mollo belli, sono abbastanza conservati. In mezzo ad essa si legge Stefanus pinxit; e nell'altra pittura che è sopra la porta piccola della chiesa di Santa Eufemia è pure scritto in mezzo, Stefanus pinxit. Nella Pinacoteca di Brera in Milano è una tavola coll'Adorazione de' Magi e la iscrizione Stefanus pinxit 1435. Essa era un tempo nella casa Ottolini di Verona. Di questa tavola noi abbiamo discorso altra volta in una nota del Commentario alla Vita di Filippino Lippi, rilevando l'errore del prof. Rosini che l'aveva attribuita a Stefano fioren- tino che fu scolare di Giotto. Di questo Stefano juniore si può credere che parli il Vasari nella Vita di Donatello, dove dice che lo scultore fiorentino viste in Verona le costui pitture ne fece le meraviglie. Ma sarà sempre incredibile quel che egli afferma nella Vita del Gaddi, cioè che Simone imparasse da questo artefice tutto quello che in lui fu di buono, perchè i tempi non riscontrano, essendoché, come abbiamo veduto, Stefano sarebbe nato tre anni prima della morte del Gaddi. Forse il Vasari confuse questo Stefano coli' altro del medesimo nome parimente veronese che fu miniatore, e perciò chiamato dai Libri, dal quale nacque Francesco, anch'esso miniatore, che insegnò a Girolamo dai Libri suo figliuolo. ' *I1 Maffei {Verona illustrata) racconta che a queste pitture fu dato di I 630 VITTORE SCARPACCIA rocchia di quella città, dipinse a fresco un San Niccolò, che è bellissimo;' e nella via di San Polo, che va alla porta del Vescovo, nella facciata d'una casa, dipinse la Vergine con certi Angeli molto belli, ed un San Cristo- fano; e nella via del Duomo, sopra il muro della chiesa di Santa Consolata,^ in uno sfondato fatto nel muro di- pinse ima Nostra Donna, ed alcuni uccelli, e particolar- mente un pavone, sua impresa. In Sant'Eufemia, con- vento de' frati Eremitani di Sant' Agostino , dipinse sopra la porta del fianco un Sant'Agostino con due altri Santi; sotto il manto del quale Sant'Agostino sono assai frati e monache del suo ordine.'' Ma il più bello di questa opera sono due Profeti, dal mezzo in su, grandi quanto il vivo; perciocché hanno le più belle e più. vivaci teste che mai facesse Stefano: ed il colorito di tutta l'opera, per essere stato con diligenza lavorato, si è mantenuto bello insino a' tempi nostri, non ostante che sia stato molto percosso dall'acque, da' venti e dal ghiaccio: e se questa opera fusse stata al coperto , per non l' avere Ste- fano ritocca a secco, ma usato diligenza nel lavorarla bene a fresco, ella sarebbe ancora bella e viva come gli uscì delle mani, dove è pure un poco guasta. Fece poi dentro alla chiesa, nella cappella del Sagramento, cioè intorno al tabernacolo, alcuni Angeli che volano; una parte de' quali suonano, altri cantano, e altri incensano il Sagramento; ed una figura di Gesù Cristo, che egli dipinse in cima per finimento del tabernacolo : da basso sono altri Angeli che lo reggono, con veste bianche e bianco a' suoi giorni (1732). Ma il Persico, nella prima edizione della sua De- scrizione di Verona ( 1820 ) , dice che parte di esse restava ancora. ' * L'affresco di Stefano perì nel rinnovar che si fece di questa chiesa dal- Tanno 1627 al 1630. Dell'antica fabbrica non rimane che la cripta, o sotterraneo. ^ *I1 Persico non fa menzione né di questa chiesa, né di questa pittura. ' *I1 Persico {Bescriz. cit. ) dice che v'è il suo nome; ma non lo ripoi'ta. Delle altre molte opere da Stefano fatte in questa chiesa, che il Vasari descrive più sotto, egli non cita che questa. Esse probabilmente sono perite. VITTORE SCARPACCIA 631 lunghe insino appiedi, che quasi Jfiniscono in nuvole: la qual maniera fu propria di Stefano nelle figure degli Angeli, i quali fece sempre molto nel volto graziosi e di bellissima aria. In questa medesima opera è da un lato Sant' Agostino , e dall' altro Sant' leronimo , in figure grandi quanto è il naturale; e questi con le mani so- stengono la Chiesa di Dio, quasi mostrando che ambiduoi €on la dottrina loro difendono la Santa Chiesa dagli ere- tici, e la sostengono. Nella medesima chiesa dipinse a fresco, in un pilastro della cappella maggiore, una Sant'Eufemia, con bella e graziosa aria di viso; e vi scrisse a lettere d'oro il nome suo, parendogli forse, come è in effetto, ch'ella fusse una delle migliori pit- ture che avesse fatto: e, secondo il costume suo, vi di- pinse un pavone bellissimo; ed appresso due lioncini, i quali non sono molto belli, perchè non potè allora ve- derne de' naturali, come fece il pavone. Dipinse ancora in una tavola del medesimo luogo, sì come si costumava in que' tempi, molte figure dal mezzo in su; cioè San Nic- cola da Tolentino, ed altri: e la predella fece piena di storie, in figure piccole, della vita di quel Santo. In San Fermo, chiesa della medesima città dei Frati di San Francesco, nel riscontro dell'entrare per la porta del fianco, fece per ornamento d'un Deposto di croce dodici Profeti dal mezzo in su, grandi quanto il natu- rale ed a' piedi loro Adamo ed Eva a giacere; ed il suo solito pavone, quasi contrassegno delle pitture fatte da lui.' Il medesimo Stefano dipinse in Mantova, nella chiesa di San Domenico, alla porta del martello, una bellis- sima Nostra Donna; la testa della quale, per avere avuto bisogno i padri di murare in quel luogo, hanno con di- ligenza posta nel tramezzo della chiesa alla cappella di Sant'Orsola, che è della famiglia de' Recuperati, dove ' * Esistono tuttavia. (Persico, Descriz. cit. )• 632 VITTOEE SCARPACCIA sono alcune pitture a fresco di mano del medesimo.' E nella chiesa di San Francesco sono, quando si entra a man destra della porta principale , una fila di cappello , murate già dalla nobil famiglia della Ramma; in una delle quali è dipinto nella volta, di mano di Stefano, i quattro Evangelisti a sedere; e dietro alle spalle loro, per campo, fece alcune spalliere di rosai, con un intessuto di canne a mandorle, e variati alberi sopra, ed altre ver- dure piene d' uccelli, e particolarmente di pavoni: vi sono anco alcuni Angeli bellissimi. In questa medesima chiesa dipinse una Santa Maria Maddalena, grande quanto il naturale, in una colonna entrando in chiesa a man ritta.^ E nella strada detta Rompilanza nella medesima città fece a fresco, in un frontespizio d'una porta, una No- stra Donna col Figliuolo in braccio, ed alcuni Angeli di- nanzi a lei inginocchioni; ed il campo fece d'alberi pieni di frutte. E queste sono V opere che si trova esser state lavorate da Stefano; sebben si può credere, essendo vi- vuto assai, che ne facesse molte altre.^ Ma come non ne ho potuto alcun' altra rinvenire; così ne il cognome, ne il nome del padre, ne il ritratto suo, ne altro partico- lare. Alcuni affermano che, prima che venisse a Firenze, egli fu discepolo di maestro Liberale, pittore veronese;" ' *Le pitture di Stefano in questa chiesa sono perite. Nella Pinacoteca del Palazzo pubblico di Verona è una sua tavola con Nostra Donna e il Bambino, circondata da angioli, ed ai lati san Silvestro e san Benedetto. Nel colmo, Cristo in croce, e nei gradino. Cristo morto, con piccole teste e simboli della Passione. Essa Ila la data del 1487. (Persico, Descriz. cit. , I, 226). ' *La chiesa di San Francesco insieme col convento fu ridotta a uso di arsenale militare nel passato governo francese; di maniera che le pitture di Stefano sono distrutte. ' *In Mantova «fece, l'anno 1463, nella chiesa d'Ognissanti, de' Monaci di San Benedetto, una Madonna, che fu secondo que' tempi molto lodata». (Dal Pozzo, Vite de Pittori Veronesi). t Queste pitture di Mantova, che il Zagata nella sua Cronica pubblicata "dal Biancolini dice dell'anno 1495, non sono di Stefano, ma facilmente di Vin- cenzo di Stefano ricordato dal Vasari. (Bernasconi, Studj sopra la storia- pittorica veronese; Verona, Rossi, 18G4; a pag. 226). ' Liberale, di cui leggesi la Vita in appresso dopo molte altre, nacque nel 1451; onde, non solamente è impossibile che fosse maestro di Stefano, ma neppure sco- I VITTORE SCARPACCIA 633 ma questo non importa: basta che imparò tutto quella che in lui fu di buono, in Fiorenza da Agnolo Gaddi. Fu della medesima città di Verona Aldigieri da Zevio,* famigliarissimo de' signori della Scala; il quale dipinse, oltre a molte altre opere, la sala grande del palazzo loro, nella quale oggi abita il podestà;' facendovi la guerra di Gerusalemme, secondo che è scritta da loseffo: nella quale opera mostrò Aldigieri grande animo e giudizio, spartendo nelle facce di quella sala da ogni banda una storia, con un ornamento solo che la ricigne a torno a torno. Nel quale ornamento posa dalla parte di sopra, quasi per fine, un partimento di medaglie, nelle quali si crede che siano ritratti di naturale molti uomini segna- lati di que' tempi, ed in particolare molti di que' signori della Scala: ma perchè non se ne sa il vero, non ne dirò altro. Dirò bene che Aldigieri mostrò in questa opera d'avere ingegno, giudizio ed invenzione, avendo conside- rato tutte le cose che si possono in una guerra d' impor- tanza considerare. Oltre ciò, il colorito si è molto bene mantenuto.^ E fra molti ritratti di grandi uomini e litte- rati, vi si conosce quello di messer Francesco Petrarca.*" laro di esso, il quale fioriva intorno al 1400. Il Vasari infatti lo dice poi disce- polo di un tal Vincenzio di Stefano; figlio forse di quello, di cui ora si parla. ' t Si può credere che Altichiero , nato circa il 1330, fosse già morto innanzi al 1400, dicendo il Biondo neW Italia illustrata scritta nel 1450, che picioriae artis periium Verona superiori saeculo habiiit Alticherium. ^ t II Sanudo, nel detto Itinerario, nomina in Verona i palazzi dil Podestà magnifico , con la salla pyncta; la quale è quella ricordata qui dal Vasari, es- sendoché il palazzo del potestà era parte di quello già abitato dagli Scaligeri. Queste pitture vuole il Bernasconi (Studj , pag. 31), che fossero fatte da Alti- chiero intorno al 1364, cioè a' tempi di Can Signorie, il quale eresse in Verona molte e sontuose fabbriche, come sotto quell'anno racconta il Zagata. ' *Di queste pitture, fino da' tempi del Dal Pozzo, per le alterazioni subite dalle fabbriche, non si vedeva più vestigio. ( Vite de' Pittori, Scultori e Architetti Veronesi; Verona 1718). * *A testimonianza dell'Anonimo Morelliano (pag. 30), il ritratto del Pe- trarca, insieme con quello di Lombardo della Seta, fu anche dipinto da Altichiero da Zevio e da Ottaviano Prandino, bresciano, nella sala de' Giganti (ora Biblio- teca) nel Palazzo del Capitano a Padova. Ne resta ora un misero avanzo, ma sfigurato dal ritocco. 634 VITTORE SCARPACCIA Iacopo Avanzi, pittore bolognese , fu nell'opere di que- sta sala concorrente d' Aldigieri ; e sotto le sopradette pitture dipinse, similmente a fresco, due trionfi bellis- simi, e con tanto artifizio e buona maniera, che afferma Girolamo Campagnuola,' che il Mantegna gli lodava come pittura rarissima. Il medesimo Iacopo, insieme con Al- digieri e Sebeto da Verona, dipinse in Padova la cap- pella di San Giorgio,' che è allato al tempio di Sant'An- tonio, secondo che per lo testamento era stato lasciato dai marchesi di Carrara.' La parte di sopra dipinse Iacopo Avanzi; di sotto, Aldigieri alcune storie di Santa Lucia, ed un Cenacolo; e Sebeto vi dipinse storie di San Gio- vanni.* Dopo tornati tutti e tre questi maestri in Ve- rona, dipinsero insieme, in casa de' conti Serenghi,^ un par di nozze, con molti ritratti ed abiti di que' tempi; ma di tutte, l'opera di Iacopo Avanzi fu tenuta la mi- ' * Girolamo Campagnola scrisse a Niccolò Leonico Tomeo una lettera in la- tino, che ora è perduta, dalla quale il Vasari trasse la maggior parte delle no- tizie riguardanti i pittori lombardi, di cui ora discorre. (Vedi le note 1 e 2 a pag. 385). ^ t Oltre le pitture delle due cappelle di San Felice e di San Giorgio in Padova, vuoisi che Altichiero facesse in Verona il grandioso affresco in una delle stanze terrene ora occupate dalla Guardia di pubblica sicurezza nella piazza de' Signori, e i due dipinti parimente a fresco nella parete a destra di chi entra nella cappella Cavalli in Sant'Anastasia, l'altro nell' aitar maggioi-e in coi^nu evangelii di Santo Stefano coperto da un quadro di Domenico Brusasorci, ed in Padova queir affresco che è nell' arcone di un sepolcro nella cappella Dotti agli Eremitani, nel quale è figurata la Coronazione della Vergine con varj santi- che presentano due guerrieri della detta famiglia Dotti. ' *Qui il Vasari ha sbagliato. Non dai marchesi di Carrara, ma dai mar- chesi di Soragna furono ordinate le pitture della cappella di San Giorgio e pre- cisamente dal cav. Raimondino Lupi da Parma, marchese di Soragna, che fece fabbricare quella cappella. * Il Lanzi, dietro un'osservazione fattagli dal Brandolese, avverte, che questo Sebeto, il quale parve nuovo anche al Maffei, è un pittore ideale, nato proba- bilmente dall'avere messer Giorgio male interpetrato un passo della lettera latina del Campagnola, ove ragionandosi d'Aldigieri (o Alticherio) sarà stato aggiunto a questo nome quello della patria, de Jebeto, cioè da Zevio; ed egli d'un paese ne fece un pittore. ' *In Verona non furon mai famiglie patrizie di cognome Serenghi. Il Va- sari debbe aver voluto indicare i conti Serego, famiglia nobile tuttavia esistente in quella città. VITTORE SCARPACCIA 635 gliore. Ma perche di lui si è fatto menzione nella Vita di ISTiccolò d'Arezzo, per l'opere che fece in Bologna a concorrenza di Simone, Cristofano e Galasso pittori, non ne dirò altro in questo luogo.' In Venezia, ne' medesimi tempi, fu tenuto in pregio, sebbene tenne la maniera greca, lacobello de Flore; il quale in quella città fece opere assai, e particolarmente una tavola alle monache del Corpus Domini, che è po- sta nella lor chiesa all' aitar di San Domenico.^ Fu concorrente di costui Griromin Morzone,' che di- pinse in Vinezia ed in molte citta di Lombardia assai cose; ma perchè tenne la maniera vecchia, e fece le sue figure tutte in punta di piedi, non diremo di lui, se non che è di sua mano una tavola nella chiesa di Santa Lena,* all'altare dell'Assunzione, con molti Santi. ' *Di Simone e di Cristofano si è dato notizia nella Vita di Niccolò Aretino; e di Galasso si legge separatamente la Vita a pag. 89. Intorno poi a Jacopo Avanzi e ad Aldigieri (o Alticherio) da Zevio, vedi la Parte Prima del Com- raentario posto in fine. ^ *Intorno a questo pittore, vedi nella Parte Seconda del Commentario, t II testamento di .lacobello del Fiore fatto il 2 settembre del 1439 fu co- piato dal suo originale nell'Archivio Notarile di Venezia dal chiarissimo signor con- sigliere Michele Caffi, infaticabile e fortunato ricercatore di notizie artistiche di grande importanza. Il signor Mas-Latrie lo pubblicò nella Gazette des Beaux Aris, anno 1866. 1 signori Crowe e Cavalcasene ne hanno dato un estratto (op. cit., I, pag. 10, nota 3). In esso Jacobello elegge la sua sepoltura nella chiesa di San Giovanni e Paolo. Vuole esser portato a seppellire vestito della cappa de'Bat- tuti della Compagnia o Scuola della Carità, alla quale lascia le sue reliquie di santi e i suoi libri. Manomette e libera Anna sua schiava. Ad Ercole suo figliuolo adottivo ed erede lascia tutti i disegni, i colori e le altre cose appartenenti alla pittura, qualora si voglia esercitare in tale arte, altrimenti sieno vendute. A Fra Domenico de Flore e a Fra Giovanni Buono di Murano, dell'Ordine de'Pre- dicatori, lascia otto ducati d'oro all'anno, e dispone che si vendano tutte le case che possiede in Venezia tanto nella contrada di Santa Agnese, quanto in quella della Croce. Se poi alla sua morte madonna Lucia sua moglie fosse gravida e partorisse, ordina che ogni suo bene sia diviso in eguale porzione tra lei e il detto Ercole. ' Questi, secondo lo Zanetti, sarebbe Giacomo o Giacomino Morazone: ma secondo monsignor G. A. Moschini, che lesse meglio il nome scritto sulla tavola mentovata in seguito, è Giacomo Moroceni. * Di Sant' Elena. In detta tavola, oltre alla Vergine assunta, vi dipinse la titolare, san Giovan Battista, san Benedetto, e una santa martire, con quest'epi- 636 VITTORE SCARPACCIA Fu molto miglior maestro di costui Guariero, pittor padovano;* il quale, oltre a molte altre cose, dipinse la cappella maggiore de' frati Eremitani di Sant'Agostino in Padoa,* ed una cappella ai medesimi nel primo chio- stro;' un'altra cappelletta in casa Urbano Prefetto/ e grafe : Giacomo Moroceni à laura questo lavorio. Ano. Dni. mccccxxxxi. Sop- pressa la chiesa di Sanf Elena, la tavola fu trasportata nella veneta Pinacoteca. ' *Il Vasari nella prima edizione non rammenta questo pittore; nella se- conda, una volta Io dice Guerriero, un'altra Guariero: ma è il Guariento, che il Brandolese (Guida di Padova) dice fiorito circa il 1360; molto celebrato a' suoi di, come tra' primi che seppero scostarsi dalla vecchia maniera, e rin- giovanirono l'arte della pittura in Padova. t Del Guariento pittor padovano è ignoto l'anno della nascita, ignoto in che occupasse l'età giovanile, ignoto da chi fosse introdotto nell'arte. I^a più antica memoria che se ne abbia è in uno strumento del 9 luglio 1338, nel quale apparisce tra i testimoni, magistro Guariento pletore q. Arpi. de centrala Domi de Padua: ond'egli sarebbe figliuolo d'un Arpe o Arpi. Nel 1378 era già morto, lasciando una figliuola di nome Jacopina maritata a un Dionigi dall'Olio. (Vedi Napoleone Pietrucci, Biografia degli Artisti Padovani. Padova, 1859). ^ *Le pitture del Guariento nel coro degli Eremitani di Padova sono rap- presentazioni allegoriche a chiaroscuro de' pianeti Saturno, Giove, Marte, la Terra, Venere, Mercurio, la Luna, colle influenze loro sugli uomini. Esse me- ritarono una dotta ed ingegnosa interpretazione dal valente scrittore ed artista cav. Giuseppe Bossi, in una sua lunga lettera al cav. de Lazzara, stampata per la prima volta nelle Pittoriche ( continuazione del Ticozzi, Milano 1825, tom. Vili, pag. 441 e seg. ). Il marchese Selvatico dovendone dar conto nella Guida di Padova per il Congresso degli Scienziati del 1842, ridusse in breve forma la de- scrizione del Bossi, aggiungendovi talvolta qualche osservazione propria e di monsignor G. A. Moschini. Nel mezzo del coro di questa chiesa altre piccole storie si veggono dello stesso pittore, che rappresentano Gesù incoronato di spine. Gesù che porta la croce. Cristo e le Marie, Cristo che appare al Limbo, Cristo risorto. Degli spartimenti coloriti rappresentanti azioni di Sant'Agostino, poco può dirsi adesso, perciocché ridipinti sin dal 1589. 11 D'Agincourt, nella tav. 162 della Pittura, diede un piccolo intaglio di quella storia, dove si vede il papa tra' cardinali con sotto varj frati Eremitani. Quanto all'autore di queste pitture, nota il Selvatico come nessuno dei cronisti contemporanei al Guariento uè faccia menzione; e quel Michele Savonarola stesso ne taccia, che nel suo libro altre volte citato fece frequente e non breve ricordo e del Guariento, e di tutti gli altri artefici tanto padovani quanto forestieri, delle cui opere Padova al suo tempo era insigne. Il primo a dire che le pitture del coro degli Eremitani sono opera del Guariento, fu l'Anonimo Morelliano, il quale però si stette all' autorità del Campagnola. ' 'Delle pitture di questa cappella non abbiamo memoria. ' *Vuol dire nel Palazzo del Capitanio. Si vede (dice il Morelli, nota 56 della Notizia ecc.) che il Vasari ebbe sott' occhio la lettera latina del Campagnola al Tomeo, ove Capitanio sarà stato definito colle parole urbanus praefectus. Anche nella Vita del Mantegua, quando discorre del Pizzolo, nomina il Vasari I VITTORE SCARPACCIA 637 la sala degl'Imper adori romani, dove nel tempo di car- novale vanno gli scolari a danzare.' Fece anco a fresco, nella cappella del podestà ^ della città medesima, alcune storie del Testamento vecchio.^ Giusto, pittore similmente padovano,* fece fuor della chiesa del vescovado, nella cappella di San Griovanni Ba- tista, non solo alcune storie del vecchio e nuovo Te- stamento, ma ancora le revelazioni dell'Apocalisse di San Griovanni Evangelista; e nella parte di sopra fece in un paradiso, con belle considerazioni, molti cori d'An- geli, ed altri ornamenti.^ Nella chiesa di Sant'Antonio la cappella del palazzo d'Urbano Prefetto ; e ciò per lo stesso motivo. — *Vedi la nota 2 a pag. 388. La cappella qui nominata dovette cedere il luogo all'Acca- demia pubblica. Una parte de' freschi fu salvata, ed anche molte tavolette, che forse formavano un'ancona da altare, le quali si veggono, ben mantenute, nel corridojo dell'Accademia medesima. * *Questa sala ora fa parte della pubblica Biblioteca di Padova. - * Secondo il Campagnola, dice l'Anonimo Morelliano (pag. 28), questa sala fu dipinta da Ansuin da Forlì, da Fra Filippo (Lippi), e da Niccolò Pizzolo padovano. ' *II Ridolfi ( Vite de' Pittori veneti) racconta che il Guariento, nel 1365, dipinse nella sala del maggior Consiglio di Venezia, già per 1' avanti stata di- pinta di verde terra, un Paradiso; che poi rimase coperto da quello debolissimo Bimbi, 1868. 708 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA 1485, 10 gennajo. Si obbliga di dipingere una cappella in Sant'Agata di Spoleto i opera che poi, a quanto pare, non ebbe altrimenti effetto. 1485, 22 febbrajo. Del Consiglio de'XVIIL 1485, 22 agosto. Del Consiglio Generale. 1486. De' Priori pe'mesi di gennajo e febbrajo. 1488, 6 luglio. Per la somma virtù, con la quale dipingeva il vessillo della B. V., è fatto cittadino di Città di Castello, come era suo grande desiderio. 1488. Risiede nel Supremo Magistrato di Cortona, per i due mesi di set- tembre e ottobre. 1489. Del Consiglio Generale. 1490. 26 ottobre. Sua istanza con la quale domanda di non litigare col Comune per cagione d'un terreno da lui comprato in Selva Piana. 1490, 25 dicembre. È tratto de' Priori pe'mesi di gennajo e febbrajo. 1490, 27 dicembre. Antonio suo figliuolo dichiara ai Priori del Comune che Luca non può risiedere per esser lontano dalla città oltre qua- ranta miglia. 1491, 5 gennajo. È tra gl'invitati a giudicare de' disegni e modelli pre- sentati al concorso della facciata di Santa Maria del Fiore di Fi- renze. Non v' intervenne , perchè assente. 1491, 23 agosto. Tratto del Consiglio Generale. 1491. Tavola coU'Annunziazione, nel Duomo di Volterra. 1491. Tavola in San Francesco di Volterra. 1493. Tavola con l'Adorazione de'Magi, per la chiesa di Sant'Agostino di Città di Castello.' 1493. Del Consiglio detto. 1493. 24 settembre. Vende per 122 fiorini d'oro a Domenico di Tommaso della Barba da Cortona alcuni pezzi di terra posti nel territorio di Montalla, chiamati la Muccliia e la Via di Montalla, ed altri nel territorio d' Orsaja detti la bocca del Prato e la Via da Loghino. 1494. Allogazione dello stendardo per la chiesa dello Spirito Santo d'Urbino. 1495. De' Priori pei mesi di novembre e dicembre. 1496. Tavoletta della Natività per la chiesa di San Francesco di Città di Castello. ' Insieme con questa spari anche l'altra tavola con il Presèpio del Signo- relli, quando, nel 1789, essendo in gran parte rovinata la chiesa, quei frati non avendo danaro per restaurarla, vendettero al pontefice Pio VI le due tavole. Il gradino poi che ornava la tavola dell'Adorazione de'Magi fu dato alla casa Fe- riani di Pietralunga, che era la patrona di detta tavola: poi passò presso il signor Vincenzo Martinelli di Città di Castello. Vedansi le partite dei pagamenti fatti a Luca nel 1493 e 1494, pnbblicate dal Mancini nelle Memorie citate. E DELLE OPERE DEL SIGNORELLI 709 1497. De' Priori pei mesi di maggio e giugno. 1497, 10 marzo. De' Revisori de^li argenti. 1497. De' Priori pe'mesi di novembre e dicembre. 1497. Dipinge nel chiostro di Mont' Olivete di Chiusuri le storie della Vita, di San Benedetto. 1498. Finisce la tavola per la cappella dei Bichi in Sant'Agostino di Siena. 1498, Del Consiglio Generale. 1499, 5 aprile. Allogazione degli affreschi nella volta della cappella di San Brizio nel Duomo d' Orvieto. 1500, 27 aprile. Allogazione delle pareti della predetta cappella. 1500. Del Consiglio suddetto. 1501. 5 giugno. Vende a Ventura suo fratello la meta d' una casa che gli spettava per indiviso col detto Ventura, posta in Cortona nel terziere di San Marco, confinata dallo Spedale di San Niccolò, da. Pietro detto Scrolla, da Jacopo di Francesco e dalla via del Comune. 1502. Cristo morto, per la chiesa di Santa Margherita di Cortona, ora nella Cattedrale. 1502, 21 febbrajo. Del suddetto Consiglio. 1502, 23 giugno. Tratto de' Priori pe'mesi di luglio ed agosto, ma non risiede perchè aveva la famiglia assalita dalla peste. 1502. De' Priori pei mesi di luglio e agosto. 1504. Tavola di Santa Maria Maddalena pel Duomo d'Orvieto. 1504. De' Priori pei mesi di maggio e giugno. 1504. Del Consiglio de'XVIU. 1504. De' Priori pe'mesi di maggio e giugno. 1504, 5 dicembre. Ultimo pagamento per le pitture della cappella di San Brizio nel Duomo d'Orvieto. 1505, 21 febbrajo. Del Consiglio Generale. 1506, È in Siena, ed ha a fare il cartone della storia del Giudizio di Salomone per lo spazzo di marmo nel pavimento del Duomo: lavoro che non fu fatto altrimenti. 1507, 20 febbrajo. Del suddetto Consiglio. 1507. De' Priori pe'mesi di luglio e agosto. 1507. Tavola nella chiesa principale di Arcevia. 1508. Risiede come sopra pei mesi di luglio e agosto. 1509. 11 marzo. Si obbliga di dipingere per 70 fiorini d'oro larghi una. tavola per l'aitar maggiore della chiesa del monastero delle San- tuccie di Cortona. 1511. Risiede pei mesi di novembre e dicembre. 1512. Dipinge la tavola colla Comunione degli Apostoli per la Compagnia, del Gesù in Cortona, ora nel coro della Cattedrale. 710 PROSPETTO CRONOLOGICO DELLA VITA 1513. E in Roma, ed ha danari in prestito da Michelangelo Buonarroti. ( Vedi Le Lettere di Michelangelo Buonarroti, pubblicate da Gr. Mi- lanesi; Firenze, Successori Le Monnier, 1875, a pag. 391). 1514. 18 marzo. Fa testamento, annullando e cassando le donazioni fatte a Gabbriella sua figlia, a Mariotto Passerini suo genero e a Ber- nardina sua nipote, nata della Felice sua figlia, e chiamando suoi eredi universali Pier Tommaso suo figliuolo e Giulio figliuolo di Pier Tommaso. 1515. Tavola nella terra di Montone, ora presso l'avv. Giacomo Mancini di Città di Castello. 1515, 23 settembre. Dai Priori di Cortona gli è allogata per 16 fiorini d'oro la pittura delle armi di Silvio Passerini datario di Leone X, sulla parete dell'atrio del Palazzo pubblico. (Gustavo Mancini, No- tizie della chiesa del Calcinajo di Cortona). 1515-1516. Deposto di Croce alla Fratta (oggi Umbertide) di Perugia. 1517, 9 novembre. È esonerato dall'andare come ambasciatore a Roma per congratularsi col cardinale Passerini. 1518, 20 febbrajo. È tratto de' Collegi. 1518. Tavola già in Sant'Antonio di Facciano, ora nella Pinacoteca di Perugia. 1519. 19 settembre. Gli è allogata la tavola per la Compagnia di San Giro- lamo, ora nella chiesa del monastero dello Spirito Santo d'Arezzo. 1520. De' Priori pe'mesi di maggio e giugno. 1520, giugno. Dà il disegno d' un candelabro di legno con lucerna d' ot- tone per l'altare della Sala maggiore del Consiglio di Cortona. 1520, 25 agosto. Tratto del Consiglio de' XVIIL 1520. De' Priori pei mesi di maggio e giugno. 1521, 23 aprile. Priore della compagnia di Sant'Antonio. 1521, 22 maggio. I Priori scrivono al cardinale Passerini legato a Perugia che non mandi maestro Pietro Perugino o altri pittori, co' quali po- tesse aver parlato Luca in Perugia per stimare la tavola da lui dipinta nella chiesa di Santa Maria della Pieve. .1521, 7 luglio. Allogazione della tavola pel monastero della SS. Trinità di Cortona, detto delle Contesse. 1521, 6 settembre. I Priori di Cortona rimettono nel cardinale Passerini, in Antonio Zaccagnini, ed in Sebastiano Melli il dichiarare il prezzo della tavola della Fraternità di Santa Maria della Pieve in Duomo. (Mancini, Notizie, pag. 93). 1521, 15 agosto. È eletto con quattro cittadini ad esaminare se può riu- scir dannoso un nuovo passaggio praticato sulla Chiana tra Asina- lunga e Cortona. Il E DELLE OPERE DEL SIGNORELLI 711 1521, 6 settembre. Tratto de' Pacieri. 1522, 18,febbrajo. Tratto de' Collegi. 1522, 23 aprile. Priore della Fraternità di San Marco. 1522,. 25 agosto. Uno de' Conservatori degli Ordinamenti del Comune, e de' Provveditori de' luoghi pii. 1522. De' Priori pe'mesi di gennajo e febbrajo. 1523. finisce la tavola di Fojano. 1523, 21 febbrajo. De' Sindaci del Capitano di Cortona. 1523, 24 aprile. De' Soprastanti della cappella di Santa Margherita. 1523, 16 luglio. Tratto de' Riformatori degli ufficj della città. 1523, 23 giugno. I Priori di Cortona gli danno a fare per la cappella della sala maggiore del palazzo pubblico una tavola con la Disputa» di Gesù Cristo nel tempio , pel prezzo di 35 fiorini d' oro. 1523, 13 ottobre. Ultimo suo testamento. 1523. Muore tra gli ultimi giorni di novembre e i primi di dicembre. FINE UKL TOMO TERZO 713 INDICE Gentile da Fabriano e Vittore Plsanello Pag. 5 Commentario alia Vita di Gentile da Fabriano e di Vittore Pisanello » 15 Peselio e Francesco Peselli » 35 t Commentario alla Vita di Peselio e di Francesco Peselli » 41 Benozzo Gozzoli » 45 Alberetto de' Gozzoli » 57 Commentario alla Vita di Benozzo Gozzoli » 59 Francesco di Giorgio e Lorenzo Vecchietto. '. » 69 i Alberetto de' Martini , » 80 1 Alberetto della famiglia di Lorenzo detto il Vecchietta » 81 t Prospetto cronolog. della vita e delle opere di Francesco di Giorgio. . » 83 t Prospetto cronolog. della vita ecc. di Lorenzo detto il Vecchietta » 87 Galasso Galassi » 89 Antonio Rossellino e Bernardo suo fratello » 93 t Alberetto de' Gamberellì da Settignano » 105 Desiderio da Settignano » 107 t Alberetto della famiglia di Desiderio da Settignano detta poi de'Geri » 113 Mino da Fiesole » 115 i Alberetto della famiglia di Mino detto da Fiesole » 127 i Prospetto cronologico della vita e delle opere di Mino da Fiesole. » 129 Lorenzo Costa » 131 Ercole Ferrarese » 141 Jacopo, Giovanni e Gentile Bellini » 149 Commentario alla Vita dei Bellini » 175 Cosimo Rosselli » 183 Albero de' Rosselli ( rifatto e accresciuto) » 192 Il Cecca » 195 t Commentario alla Vita del La Cecca \ » 205 t Prospetto cronologico della vita e delle opere del La Cecca » 211 Don Bartolommeo » 213 Commentario alla Vita di Don Bartolommeo— t Parte Prima » 227 Parte Seconda . » 231 Gherardo » 237 t Alberetto della famiglia di Gherardo miniatore » 245 t Commentario alla Vita di Gherardo miniatore » 24T 714 INDICE Domenico Ghirlandajo Pag. 253 Prospetto cronologico della vita e delle opere del Ghirlandajo » 279 Albero de' Bigordi e Del Ghirlandajo » 282 Antonio e Piero Pollajoli » 285 Alberetto de' Benci detti Del PoUajuolo » 301 Commentario alla Vita di Antonio e di Piero Del PoUajuolo — Di Giovanni Turini orafo e scultore senese » 303 Alberetto dei Turini orafi senesi » 307 Sandro Botticelli » 309 t Alberetto de' Filipepi » 325 Commentario alla Vita di Sandro Botticelli » 327 Benedetto da Majano » 333 t Commentario alla Vita di Benedetto da Majano — Notizia dei Del Tasso, intagliatori fiorentini de' secoli xv e xvi » 347 t Alberetto dei Del Tasso » 355 Andrea del Verrocchio » 357 t Alberetto de'Cioni o della famiglia di Andrea del Verrocchio » 379 Prospetto cronologico della vita e delle opere di A. del Verrocchio. » 381 Andrea Mantegna » 383 Alberetto della famiglia di Andrea Mantegna » 411 Commentario alla Vita di Andrea Mantegna — Parte Prima » 413 Parte Seconda ... » 440 Filippo Lippi ...;.;.. » 461 Commentario alla Vita di Filippo Lippi — Parte Prima .» 479 t Parte Seconda » 485 Prospetto cronolog. della vita ecc. di Filippo Lippi (accresciuto) . . » 491 Bernardino Pinturicchio » 493 Alberetto della famiglia del Pinturicchio » 513 Commentario alla Vita del Pinturicchio » 515 Prospetto cronologico della vita e delle opere del Pinturicchio ... » 529 Francesco Francia » 533 Alberetto de' Raibolini o della famiglia di Francesco detto il Francia » 549 Commentario alla Vita di Francesco Francia — Parte Prima » 551 Parte Seconda, p. 554. Parte Terza, 558. Prospetto cronologico della vita e delle opere del Francia » 563 Pietro Perugino » 565 Alberetto de'Vannucci o della famiglia di Pietro Perugino » 601 Commentario alla Vita di Pietro Perugino — Parte Prima » 603 Parte Seconda, p. 607. Parte Terza, 610. Parte Quarta, 614. Parte Quinta, 617. Parte Sesta, 622. Vittore Scarpaccia » 627 Commentario alla Vita di Vittore Scarpaccia — Parte Prima » 655 Parte Seconda, p. 659. Parte Terza, 661. Parte Quarta, 663. Parte Quinta, 666. Parte Sesta, 672. Parte Settima, 674. Jacopo detto l' Indaco » 679 Luca Signorelli — » 683 t Alberetto de' Signorelli (rifatto e accresciuto) » 697 Commentario alla Vita di Luca Signorelli » 699 Pfospetto cronolog. della vita ecc. del Signorelli (accresciuto).... » 707 wnr DATE DUE m m Q ') '^^ Brigham Young University BRIGHAM YOUNG UNIVERSITY 3 1197 20687 9824 '*^ ky '' >v -i- ^■-, /. ^^ > •• ^ ,F v 'tk[